domenica 8 agosto 2010

Incendi, inondazioni, siccità, carestie: cause naturali oppure no?

La Russia da alcuni giorni sta bruciando senza sosta e per fortuna è stato spento l'incendio che minacciava la centrale nucleare di Sarov, 500 chilometri a est di Mosca.

Ma l'emergenza non è affatto rientrata. La capitale russa resta ancora avvolta in una micidiale nube di fumo e smog, nelle ultime 36 ore i roghi intorno alla città si sono moltiplicati e il livello di monossido di carbonio resta 6,6 volte oltre i livelli di guardia.

Finora il bilancio ufficiale delle vittime registra 52 morti, numero destinato sicuramente ad aumentare per il combinato disposto caldo torrido-inquinamento atmosferico.

Ma siamo veramente di fronte a una catastrofe esclusivamente naturale?

E la stessa domanda potremmo rivolgerla anche alla luce delle recenti inondazioni in Pakistan che hanno già causato almeno 1.600 morti e l'evacuazione di 500.000 persone.

Idem dicasi davanti a quelle del Kashmir indiano dove si contano finora 137 morti e 400 dispersi.
Oppure ancora di fronte alle frane e smottamenti causati dalle pioggie torrenziali nel nord-ovest della Cina, dove almeno 127 persone sono morte, oltre 2000 sono disperse e 50.000 circa evacuate per l'esondazione del fiume Bailong.
In Cina il maltempo e le piogge torrenziali, dall'inizio dell'anno, hanno già provocato oltre 2.100 morti in tutto il paese, l'evacuazione di 12 milioni di persone e danni per oltre 30 miliardi di euro.

Tempo fa avevamo parlato del programma HAARP e di armi climatiche, un argomento inquietante su cui ritorniamo.



Incendi russi: quali cause umane?
di Pino Cabras - Megachip - 8 Agosto 2010

8 agosto 2010. Mentre Mosca è paralizzata da quasi un mese di canicola e ora da una densa coltre tossica, sospinta dai tanti smisurati incendi, colpisce leggere quanto ha scritto Andrej Arešev, un politologo di «International Affairs», la rivista pubblicata da quella parte dell’establishment russo più istituzionalmente legata alla politica internazionale.

Arešev sospetta che la gigantesca anomalia che oggi sta colpendo l’immenso e disomogeneo territorio da Kalingrad alla Kamčatka sia l’effetto di una qualche arma climatica di nuovo tipo.

È lo stesso tipo di armi evocate dal generale Fabio Mini in un articolo di qualche anno fa (vedi: La guerra ambientale c'è già).

L’analisi è solo un tassello della complessa riflessione che ci dovrà imporre questa sconcertante catastrofe, che per le sue dimensioni si presta subito a diverse letture.

In un’intervista su «Le Monde», ad esempio, Marie-Hélène Mandrillon, una storica e specialista dell’ambiente russo, nonché ingegnere del CNRS (la più grande e prominente organizzazione di ricerca pubblica in Francia), non fa sconti a Vladimir Putin: per lei il disastro ha sì cause umane, ma per via dello smantellamento dell’efficiente corpo degli agenti forestali ereditato dall’era sovietica.

«Con l’implosione del regime e la crisi economica che è seguita, il mezzo trovato per assicurare il loro sostentamento è consistito nell’autorizzarli a vendere il bosco assegnatogli», ricorda la Mandrillon.

«Questa funzione ha presto prevalso sulle altre. Dal 1990, nessuno sul terreno si è più preoccupato di protezione, di manutenzione. La soppressione del ministero dell’ambiente nel 2000 e l’incorporazione, nel 2004, dell’agenzia federale della forestazione al ministero delle risorse naturali, che ha il compito dello sfruttamento e non della protezione dell’ambiente, hanno consolidato questa evoluzione».

Dunque: una gestione scellerata del territorio, concepito come deposito di materiali e non più come sistema dai delicati equilibri, combinandosi con un cambiamento climatico brusco e drammatico, avrebbe creato le premesse dell’attuale calamità, dove tutti fronteggiano scenari mai visti prima.

Si tratta di una spiegazione che calca la mano sulle responsabilità umane, ma non richiama uno scenario di guerra. Che invece è quanto fa Andrej Arešev. Per questo abbiamo tradotto di seguito l’articolo in cui si affaccia questo atroce sospetto.

Qualunque sia la causa dei fatti, con il diverso grado di implicazioni di ciascuna causa ipotizzata, rimane la sensazione che l’impatto dell’uomo sulle risorse ambientali si stia scontrando con problemi di crescente drammaticità, negli stessi giorni in cui si misura l’ampiezza inaudita dello scioglimento dei ghiacci artici e un iceberg vasto quattro volte Manhattan si stacca dalla Groenlandia.

Buona lettura.


Armi climatiche: solo un'ipotesi di complotto?

di Andrej Areshev - http://en.interaffairs.ru - 27 Luglio 2010

Il tempo così insolitamente caldo nelle regioni centrali della Russia ha già causato pesanti danni economici. Ha distrutto i raccolti in circa il 20% dei terreni agricoli del Paese, con l’effetto di far sì che i prezzi alimentari aumenteranno questo autunno. Come se non bastasse, i roghi si sono accesi nelle torbiere attorno a Mosca.

In questi giorni, gran parte delle previsioni relative al clima sono allarmanti: siccità, uragani e inondazioni saranno ancora più frequenti e gravi.

Il direttore del programma energetico e climatico del Wildlife Fund, Aleksey Kokorin, sostiene che l’attuale tendenza non sia un fenomeno casuale e che non ci si deve attendere che debba diminuire d’intensità (1).

In questo particolare contesto, la credibilità delle proiezioni emanate dal Wildlife Fund, un influente organizzazione internazionale che svolge in tutto il mondo operazioni caratterizzate come programmi di protezione ambientale, è fuori discussione (2).

Il motivo è che il riscaldamento globale, che è oggetto di infervorati dibattiti accademici (o, talvolta, del tutto non accademici) non è necessariamente un processo incontrollato. O perlomeno, l’incidenza delle attuali temperature insolitamente elevate esclusivamente in Russia e in alcuni territori adiacenti, induce a delle spiegazioni alternative.

Andando indietro fino agli anni settanta, Zbigniew Brzezinski invocava nel suo libro Between Two Ages (“Tra Due Ere”, ndt) il tema del controllo del tempo atmosferico, che considerava una forma di più ampia regolazione sociale.

Senza dubbio i pesi massimi del pensiero geopolitico degli Stati Uniti si sono dovuti interessare non solo alle implicazioni sociali immediate, ma anche alle potenziali implicazioni geopolitiche di un’influenza sul clima.

Non fu l’unico autore a cimentarsi sull’argomento ma, in ragione di ovvie cautele, le informazioni sui progressi nella sfera delle armi climatiche è improbabile che fuoriescano dalle barriere della segretezza, nel prevedibile futuro.

Michel Chossudovsky, un professore di economia presso l’Università di Ottawa, scriveva nel 2000 che, in parte, il cambiamento climatico in corso potrebbe essere innescato dall’uso di armi non letali di nuova generazione. Gli USA stanno certamente esplorando le possibilità di controllare il clima in varie regioni del mondo.

La relativa tecnologia è stata sviluppata nel quadro del ‘High-Frequency Active Aural Research Program’ (HAARP) (3), stante l’obiettivo di costruire la capacità di provocare siccità, uragani, inondazioni e terremoti.

Dal punto di vista militare, si ritiene che HAARP dia vita a un nuovo tipo di armi di distruzione di massa, e sia uno strumento di politiche espansionistiche che può essere usato per destabilizzare selettivamente sistemi agricoli e ambientali di determinati paesi obiettivo (4).

Tecnicamente, si sa che il sistema è un insieme di sorgenti di radiazioni elettromagnetiche che concernono la ionosfera. Esso include 360 fonti e 180 antenne aventi un’altezza di 22 metri (5).

Complessivamente, la stazione emette 3.600 kW verso la ionosfera, il sistema di questo tipo più potente al mondo (6). Il programma, aperto nel 1990, è finanziato congiuntamente dallo US Office of Naval Research e dallo US Air Force Research Laboratory, ed è messo in opera da diversi laboratori universitari.

Ipotesi che vanno molto lontano si presentano in modo naturale in una tale situazione. Il leader venezuelano Hugo Chavez è stato ridicolizzato per l’attribuzione del terremoto di Haiti all’impatto di HAARP ma, per esempio, un simile sospetto si è fatto strada a seguito del terremoto nel 2008 nella provincia cinese del Sichuan.

Inoltre, vi sono prove che il programma USA di influenza sul clima non si estenda solo a un certo numero di paesi e regioni, ma risieda anche in parte nello spazio. Per esempio, del veicolo senza pilota X-37B, messo in orbita il 22 aprile 2010, si riferisce che trasporti nuovi tipi di armamenti laser.

Secondo il «New York Times», il Pentagono smentisce qualsiasi legame tra l’X-37B e una qualunque arma meteorologica, ma riconosce che il suo scopo è quello di sostenere le operazioni di terra e di gestire un certo numero di compiti ausiliari (7).

Il veicolo è stato costruito 11 anni fa, come parte di un programma della NASA che è stato rilevato dall’US Air Force, 6 anni fa, e completamente sottoposto a classificazione (8).

Le domante volte a far svelare i dettagli del programma sperimentale messo in pratica in Alaska sono state reclamate sia negli Stati Uniti che in diversi altri paesi.

La Russia non si è unita al coro, ma l’impressione è che gli sforzi intesi a modificare il clima deliberatamente, non siano un mito, e che in un futuro più vicino, la Russia – insieme con il resto del mondo – dovrà affrontare una nuova generazione di minacce.

Al momento, le armi climatiche potrebbero raggiungere le loro capacità obiettivo ed essere utilizzate per provocare siccità, cancellare coltivazioni e indurre diversi fenomeni anomali in certi paesi.

Le Note

(1) Odnako 2010, 28, p. 33.

(2) Per dettagli riguardanti la Wildlife Foundation, si veda: http://www.globoscope.ru/content/articles/2892/

(3) Sito del programma: http://www.haarp.alaska.edu/. La stazione HAARP si trova in Alaska, 250 chilometri a nord-est di Anchorage.

(4) Chossudovsky M., Washington’s New World Order Weapons Can Trigger Climate Change: http://www.mindfully.org/Air/Climate-Change-Weapons.htm

(5) http://www.haarp.alaska.edu/haarp/gen.html

(6) http://www.kp.ru/daily/24494/648410/

(7) Surveillance Suspected as Spacecraft’s Main Role, William J. Broad, http://www.nytimes.com/2010/05/23/science/space/23secret.html?_r=1&hp

(8) Il Times ha affermato che il veicolo senza equipaggio segreto potrebbe sperimentare armi laser: http://www.newsru.com/world/24may2010/kosmorazved.html.


Grano russo e speculazione
di Gabriele Battaglia - Peacereporter - 6 Agosto 2010

Siccità e carestia abbattono la produzione e fanno salire i prezzi. La finanza aumenta l'effetto rincaro

La Russia ha annunciato il blocco temporaneo delle esportazioni di grano.
In una dichiarazione all'agenzia Interfax, il Primo ministo Putin ha dichiarato che la misura si è resa necessaria a causa "delle temperature molto alte e della siccità" e che riguarderà "grano e prodotti agroalimentari derivati".

Quello che sta affliggendo il Paese è il periodo secco più lungo degli ultimi cinquant'anni, a cui si aggiunge il danno ambientale degli incendi che hanno già distrutto oltre 712mila ettari di bosco (oltre 2500 chilometri quadrati), con il corollario di almeno 50 morti.

E così, secondo stime ufficiali, la produzione russa passerà quest'anno dai consueti 90 milioni di di tonnellate a 70-75 milioni, determinando un aumento dell'inflazione 2010 fino a 7-7,5 punti percentuali contro i 6,3 previsti.

Ma il calo dell'export russo ha forti ricadute anche sui mercati internazionali.
A luglio si è già registrato un aumento del prezzo del grano del 40 per cento; a breve anche per le decisioni annunciate da Putin, si prevede un'ulteriore balzo in alto.
Soffrono soprattutto i Paesi che dipendono dall'import per nutrirsi.

L'Egitto, il maggiore importatore di grano al mondo, ha appena acquistato 180mila tonnellate di grano russo al prezzo di 270 dollari alla tonnellata. Il 31 luglio costava 238 dollari.
A livello globale, gli analisti prevedono un rincaro di tutti i prodotti alimentari da qui a fine anno.

Questa è l'economia tradizionale: quando c'è scarsità di un bene, il suo prezzo aumenta.
Ma non tutti sanno che il grano, come del resto tutte le commodities, movimenta il mercato finanziario nella sua veste più speculatrice.

Stiamo parlando di "prodotti derivati", intesi qui non come pasta o pane, bensì come strumenti finanziari che "scommettono" sul fatto che un titolo o - come nel caso del grano - un bene, aumenti o cali di prezzo in un determinato periodo. E' quasi certo che queste "scommesse" moltiplicano l'effetto rialzo.

Sul mercato dei derivati non si scambia solo il grano che esiste effettivamente, bensì anche il grano ipotetico - cartaceo come i titoli che lo rappresentano - e questo determina la volatilità dei prezzi al di là della domanda e dell'offerta reali.

Sul sito di Nouriel Roubini, l'economista-guru salito all'onore delle cronache per aver previsto la crisi finanziaria con un anno di anticipo, si ipotizza per esempio che dopo i primi rialzi alcuni investitori istituzionali come gli hedge fund si siano trovati "corti", cioè con pochi titoli a disposizione.

Sono quindi corsi a comprarne altri e il prezzo è salito una prima volta. Se però un autorevole fondo speculativo (gestito magari da una nota banca d'affari) fa incetta di un determinato titolo, tutti corrono a fare lo stesso. E così si scatenano ulteriori rialzi.

Nessuno sa quantificare esattamente il peso della componente finanziaria nei rincari del grano.
Ma sta di fatto che la carestia è un fatto per lo più naturale, la speculazione no.