mercoledì 16 marzo 2011

Fukushima update

Una serie di articoli, in particolare sulle conseguenze che il disastro nucleare di Fukushima avrà in tutto il pianeta.


Aggiornamento Fukushima: "Mi dite che cazzo sta succedendo?"
di Davide Stasi - www.ilribelle.com - 15 Marzo 2011

Non è il banale gusto del turpiloquio a suggerire il titolo di questo aggiornamento sulla crisi nucleare giapponese, ma la traduzione, forse un po’ brutale ma realistica, della frase che, riportano Kyodo News e un quotidiano svedese, il primo ministro nipponico Naoto Kan ha rivolto ai dirigenti della TEPCO, la società elettrica che gestisce la centrale di Fukushima.

Kan è frustrato che ancora la situazione non si risolva, anzi vada peggiorando di ora in ora. Ma anche perché cominciano le reticenze interne e incrociate. Pare infatti che la notizia dell’ultima esplosione al reattore n.2 di Fukushima e di un incendio al reattore n.4 sia stata data al primo ministro con un’ora di ritardo. Comincia a saltare la catena comunicativa, insomma, ed è una pessima notizia.

Circa 250 dei 300 operatori attivi nella centrale sono stati evacuati. A gestire sei reattori in crisi di raffreddamento attualmente sono solo in 50. Lavoratori con aspirazioni da kamikaze probabilmente, affiancati, a quanto pare, anche da esperti americani. Nel frattempo si annuncia che l’incidente di Fukushima è stato promosso al livello 6, su una scala di 7 (record stabilito solo da Cernobyl).

L’area di evacuazione è passata da 20 a 30 chilometri, e il sindaco di Tokio ha ufficializzato la presenza di radiazioni sulla città, però a un livello non dannoso alla salute. Ovviamente… Un’osservazione che contrasta con l’invito di tutte le ambasciate diretto ai propri dipendenti a lasciare quanto prima la capitale.

Ma tutto il quadro contrasta aspramente con il mantra che dal Giappone arriva insistentemente, rilanciato con forza da tutti i gruppi d’interesse legati al nucleare, con media asserviti al seguito: “Fukushima non è come Cernobyl”. Non ancora, risponde qualcuno. È peggio, osservano altri.

Quello che appare chiaro già oggi è che l’evento di Fukushima avrà in comune con Cernobyl il ritardo con cui verranno finalmente scoperte le carte. Per chi non ha memoria: l’allora URSS tenne nascoste le reali proporzioni dell’incidente per giorni e giorni, ammettendo tutto solo davanti all’evidenza, quando ormai la nube si era diffusa in modo tale da renderne molto difficoltoso il monitoraggio.

Allora era l’orgoglio sovietico, sancito da un regime dittatoriale, a trattenere le informazioni. Oggi è un’altra forma di dittatura a tenere a freno a fatica il flusso informativo: la dittatura dell’industria e degli interessi legati al nucleare. Anche in questo caso, attendiamocelo, la reale proporzione sarà chiara solo quando l’evidenza sarà tale da non poter essere più negata.

C’è chi ha fatto tesoro dell’esperienza sovietica, come i tedeschi, i cui boschi orientali sono ancora soggetti a divieti di raccolta di frutti o funghi per la presenza di radionuclidi persistenti nel terreno.

Non a caso ieri ben 400 manifestazioni antinucleari si sono tenute in tutta la Germania. Altrove, come in Italia, si lascia ufficialmente il tema a una Prestigiacomo qualunque, terrea in volto nel parlare di cose che non sa.

Per il resto l’opposizione, da noi, viaggia ancora e sempre in Rete, dove si organizzano gruppi e si propongono manifestazioni, probabilmente destinate ad abortire a causa delle solite varie divisioni all’italiana, in questo caso fra i diversi gruppi antinuclearisti, ognuno convinto di avere l’unzione esclusiva per organizzare mobilitazioni popolari e indisponibile ad accodarsi a quelle di altri, pur di fronte a un interesse comune.

Resta la difficoltà giornalistica a scrivere pezzi riguardanti situazioni così capaci di mutare da un momento all’altro. Mentre scrivo, la Reuters notifica che le radiazioni nella sala controllo del reattore n.4 di Fukushima sono troppo alte per permettere il lavoro degli operatori, e quindi verrà presto abbandonata.

Ma in questo contesto non sono le notizie date ad angosciare, bensì quelle non date. In particolare, parafrasando Naoto Kan, qualcuno vuole dirci che cazzo sta succedendo alle barre irradiate presenti nelle vasche di raffreddamento e al combustibile di plutonio del reattore n.3?


Giappone, dove va la nube? Parla il meteorologo
di Debora Billi - http://crisis.blogosfere.it - 16 Marzo 2011

In molti si chiedono che direzione prenderà la nube/le nubi che stanno fuoriuscendo dai reattori giapponesi. Così, ho pensato di intervistare il meteorologo. Ecco cosa mi ha risposto Luca Lombroso, responsabile tecnico dell'Osservatorio Geofisico di Modena e previsore meterologo, nonché socio della Società Meteorologica Italiana (http://www.nimbus.it/) .

E' noto per aver partecipato in qualità di esperto meteorologo a molte trasmissioni televisive. E, last but not least, è uno dei pochi italiani ad aver conseguito lo storico diploma di "perito nucleare" nel lontano 1983 (http://www.nucleari83.org/) .

Luca, cosa è uscito dai reattori?
Anzitutto occorre specificare che è impossibile stabilire cosa sia uscito dai reattori, che genere di particelle. Le particelle pesanti tendono a ricadere nel territorio circostante, quelle più leggere a disperdersi nell'atmosfera e a raggiungere anche grandi altitudini. Sono quelle destinate a "viaggiare" di più. Le più preoccupanti sono quelle relative agli scarti di fissione e i rifiuti radioattivi.

Di che genere è la nube che abbiamo visto?
Neppure questo è dato sapere: si può giudicare solo dalle immagini televisive. A sensazione, non è troppo alta. Il che è meglio per noi ma sicuramente peggio per i cittadini giapponesi.

Potrebbe fare il giro del mondo?
La nube di Chernobyl, seppur molto diversa da questa, ha fatto il giro del mondo diverse volte. Con appositi strumenti, si trovano ancora residui di Cesio nei più diversi ghiacciai, negli strati che coincidono con il 1986.

Puoi farci una previsione?
Certo che no! Ma posso fare un'ipotesi molto di massima sui movimenti nell'atmosfera. L'aria che si trova ora sopra il Giappone, potrebbe trovarsi sulla costa est degli Stati Uniti tra circa 7/8 giorni, in un'area approssimativa che va dal Messico all'Alaska. Dopo di che, potrebbe prendere qualsiasi direzione nord, anche verso Canada e Groenlandia, e in seguito il Nord Atlantico. Per raggiungere l'Europa, direi circa 14/15 giorni.

E finiremmo avvelenati?
Anche qui, da quel che sappiamo la fuoriuscita è troppo limitata perché le particelle arrivino fin qui in quantità significative. C'è da considerare che, in tutta la trasvolata, si disperderanno ovunque e qui arriverebbe davvero poco. Questo sempre salvo ulteriori sorprese e salvo informazioni mancanti.

Qualcuno sostiene che le correnti non possono arrivare al Polo Nord. Che ne dici?
Che non è così. L'aria può andare davvero ovunque, non ha alcun confine, fa percorsi incredibili.

Puoi fare una previsione per il Giappone?
Purtroppo, per il Giappone posso essere molto più preciso. Nelle prossime ore è prevista neve per Tokio e i dintorni della centrale di Fukushima. Ed è la peggiore delle notizie dal punto di vista meteorologico: la neve fa ricadere tutto a terra, e lì resta.

Luca attualmente conduce Lombroso Variabile, programma di approfondimento su tempo clima e dintorni, in onda al venerdì su Class News Msnbc. Alle 18 di oggi, potete ascoltare Luca Lombroso in diretta a Caterpillar (http://caterpillar.blog.rai.it/ascolta/) .


Fukushima, il rischio che corriamo
di Luca Galassi - Peacereporter - 15 Marzo 2011

Intervista a Massimo Zucchetti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Torino

Massimo Zucchetti è docente di Impianti nucleari al Politecnico di Torino. Gli abbiamo chiesto di commentare e valutare il rischio cui è esposta la centrale nucleare di Fukushima.

Professor Zucchetti, come giudica la situazione a Fukushima?

Premettiamo che, rispetto a quello che è successo intorno alla centrale, bisogna obiettivamente dire che è molto meno grave a livello di conseguenze, di vittime, o anche solo di persone coinvolte. Dal punto di vista generale io trovo peculiare che tutte le prime pagine dei giornali italiani parlino di allarme nucleare in Giappone e solo dopo sei-sette pagine si parli dell'incertezza che ancora circonda il bilancio delle migliaia di vittime.

Mi sembra che i morti, anche se non sono radioattivi, abbiano diritto a un minimo di rispetto in più. Riflettiamo su un dato: gli operatori della centrale di Fukushima erano divisi in due turni. Quelli che avevano il turno nella centrale si sono salvati. Quelli che erano a casa sono morti sotto lo tsunami.

Relativamente all'incidente, ciò che sta succedendo all'impianto è sicuramente un problema. Tecnicamente come stanno le cose?

Sappiamo che le centrali nucleari, anche da spente, continuano a rilasciare energia a causa della radioattività che hanno al loro interno. A causa dell'alimentazione elettrica che mancava, le pompe di emergenza in tilt, i motori diesel distrutti dallo tsunami, non c'era modo gestire il cosiddetto 'calore di decadimento'. La temperatura cresce come in una pentola a pressione in cui ci sia un arrosto che cuoce. Per smaltire il calore ci sono due modi: o si usano sfiati, valvole, emissioni di calore caldo, oppure si cerca di portare dentro acqua, in questo caso acqua di mare. Il reattore è talmente danneggiato che non ha nessuna importanza se l'acqua è pulita o meno.

L'aumento di temperatura è fastidioso perché il nocciolo fonde, rilasciando radioattività nel contenitore primario, e quando il nocciolo fonde diventa difficilmente refrigerabile, composto com'è da un elaborato sistema di canali di raffreddamento che, se ostruiti, formano un'unica massa fusa compatta che contiene combustibile e altro.

Se si butta sopra acqua l'interno continua comunque a generare calore. Salendo la temperatura, le guaine del combustibile che sono a base di una lega di zirconio, reagiscono con l'acqua, liberando idrogeno, gas esplosivo che nell'aria calda del contenitore genera esplosioni.

A cosa si va incontro se la situazione dovesse peggiorare in Giappone?

A Fukushima sono avvenute esplosioni chimiche. Il contenitore di cemento tiene, nonostante le esplosioni. La lotta è per evitare che il contenitore ceda, o si fessuri. A quel punto si passerebbe da un incidente tipo quello di Three Mile Island, con il reattore da buttare ma rilasci limitatissimi, a un incidente tipo Chernobyl, con il reattore da buttare, il nocciolo esposto, fumi caldi contenenti radioattività che prendono l'ascensore dell'aria calda e si disperdono nella troposfera.

A questo punto l'incidente non sarebbe più limitato localmente, di livello 4, ma diventerebbe 6, secondo la scala Ines (International nuclear and radiological event scale), acquisendo portata nazionale, se non continentale. Il manufatto di Fukushima è molto robusto, ha tuttavia subito un terremoto sei volte più potente di quello per cui era stato dimensionato, e la situazione è obiettivamente preoccupante. Bisogna sperare che gli operatori riescano a raffreddare gli impianti, ma quando si è costretti a sperare le cose non vanno tanto bene.

La struttura di Fukushima era 'vecchia'?

Non si tratta di una centrale vecchia, ma di un evento eccezionale. Fukushima ha superato tutte le prove di sicurezza, le revisioni, i test. E' una centrale della seconda generazione, come lo era quella di Caorso. Le nuove centrali sono invece di terza generazione. Avranno il doppio contenimento e sistema di sicurezza passivo, ovvero basato su un raffreddamento a circolazione naturale. Non più esterno, ma concepito come un termosifone, con l'acqua calda che va verso l'alto e quella fredda verso il basso.

A Fukushima è stato lo tsunami a invalidare gli strumenti di emergenza attivi (cioè i motori diesel), e non il terremoto. Non dico che un reattore di terza generazione si sarebbe comportato perfettamente. Di sicuro meglio, ma credo che da nessuna parte nel mondo una centrale avrebbe resistito intatta a un evento simile.

Come prevede che si svilupperà il dibattito sul nucleare in vista del referendum?

Da docente di impianti nucleari sono favorevole all'energia nucleare. Sarò probabilmente uno dei pochissimi che voteranno contro l'abolizione del programma nucleare al prossimo referendum. Dopodiché penso che un governo - se fosse un governo decente - dovrebbe tener conto della volontà popolare.

Se la maggioranza degli italiani, per motivi suoi, non vuole il nucleare, allora tale volontà va rispettata. Inoltre, perché non si sente più parlare di una Conferenza nazionale sull'energia che metta a confronto gli esperti sul problema? Perché non si sentono le opinioni di chi è pro, di chi è contro, di chi propone soluzioni alternative? Negli anni Ottanta si era fatto così: dobbiamo forse rimpiangere Craxi?


Tolleranza zero
di Mario Tozzi - www.greenreport.it - 16 Marzo 2o11

Non si può addomesticare l'energia nucleare, esattamente come non è possibile domare lo tsunami, solo che della prima dovremo fare a meno (l'uranio, come il petrolio, è a termine), il secondo non lo elimineremo mai.

Questo ci insegna il gravissimo incidente occorso alla centrale giapponese di Fukushima che, anche se fosse risolto ora, ci impone una pausa di riflessione significativa lungo l'eventuale strada del nucleare mondiale e italiano.

Le barre di combustibile sono rimaste esposte completamente ("fully exposed" secondo Tepco, il produttore di energia giapponese) in un reattore e parzialmente in un altro (2,95 m su 4 m).

Questo, normalmente, significa impossibilità di raffreddare e, quindi, fusione parziale, il fenomeno maggiormente pericoloso in caso di incidenti nucleari. Ma da noi i politici diventati ideologi del nucleare ci dicono che questa è la prova che la sicurezza funziona e che si va avanti comunque.

Peccato che neanche gli accortissimi geofisici giapponesi si aspettassero un terremoto di quella violenza sul proprio territorio, ma, al massimo di magnitudo 8 Richter (cioè centinaia di volte meno distruttivo). Perciò i parametri di sicurezza di quella vecchia centrale non erano adeguati al sisma.

Ciò significa che un qualsiasi programma di costruzione di centrali sul nostro territorio deve essere rivisto per parametri di sicurezza non più commisurati a un terremoto massimo di magnitudo 7,1 Richter (quello di Messina preso a riferimento), ma anche di potenza maggiore. Con costi incrementati di conseguenza.

In secondo luogo, oggi tutti possono comprendere che il costo di un kWh di origine nucleare non è stimabile a priori, ma solo a fine ciclo del combustibile. Cioè che vanno messi nel conto inertizzazione delle scorie (dove? Come?) e possibili incidenti, che, come si vede in queste ore, fanno lievitare i costi in maniera esponenziale.

Chi costruisce una centrale lascia questi costi occulti a carico della collettività, che sarà obbligata a caricarseli lungo tutta la vita delle scorie, per non citare gli eventuali incidenti. Cioè per migliaia di anni.

I guasti nelle centrali nucleari non sono frequenti, è vero, ma quando avvengono pesano più che in qualsiasi altro impianto industriale. Ecco perché la tolleranza deve essere zero. E questo nessuna centrale nucleare può garantirlo.

Purtroppo nessuna delle ragioni addotte dai fautori del ritorno all'energia nucleare è soddisfacente. Dico purtroppo perché tutti vorremmo energia a buon mercato, innocua e infinita.

Ma questo non è certo il caso del nucleare. Abbiamo riserve di uranio per forse 50 anni, ma a patto di non accendere nuovi reattori, altrimenti dureranno molto meno, magari meno degli altri combustibili geologici (anche l'uranio lo è).

Una centrale nucelare costa quasi 10 miliardi di euro, che potrebbero essere meglio impegnati nel risparmio energetico e nella migliore efficienza: coibentare bene le anbitazioni, per esempio, ridurrebbe le emissioni inquinanti di quel terzo dei consumi (che sono quelli domestici) di circa la metà, consentendo di non costruire nuove centrali di alcun tipo.

E' come se avessimo una vasca in cui mantenere costante il livello dell'acqua nonostante si aprano dei buchi: conviene metterci altra acqua o riparare i buchi? Poi c'è il problema non risolto delle scorie, che restano potenzialmente pericolose molto a lungo: in nessun posto al mondo di sa dove metterle per sempre.


Gli avvoltoi contro il Giappone
di Carlo Musilli - Altrenotizie - 16 Marzo 2011

Dopo il terremoto, per gli investitori è diventato quasi irrinunciabile scommettere contro il Giappone. Attualmente per assicurare contro il pericolo di default 10 milioni di dollari del debito pubblico nipponico sono necessari ben 125 mila dollari.

Da venerdì ad oggi, l'aumento è stato del 24%. E' facile prevedere che sarà necessario mettere in campo diversi miliardi per finanziare la ricostruzione e questo renderà ancor più costoso il piazzamento dei titoli di stato.

L'economia giapponese da diversi anni vive una condizione di estrema fragilità. La recente catastrofe ha portato improvvisi quanto inaspettati guadagni ai molti investitori che, da tempo, scommettevano sul fatto che il Paese sarebbe stato trascinato a picco dai suoi problemi irrisolti.

Negli anni molti profeti hanno vaticinato un'inevitabile crisi legata alla stagnazione economica, al calo demografico e soprattutto alla peggiore situazione fra i paesi industrializzati per quanto riguarda il debito pubblico, che supera il 200% del Pil annuo. Certo, a questi profeti il terremoto ha dato una bella mano.

Per anni, scommettere contro il Giappone non è stata una mossa vincente. Nonostante la questione del debito, i prezzi dei titoli di stato hanno continuato a salire, in parte perché la preoccupazione principale nel Sol Levante era la deflazione, non l'inflazione.

Inoltre, la maggior parte del debito era nelle tasche di investitori giapponesi, poco propensi a vendere. Adesso però lo scenario cambia, soprattutto in vista dell'onerosa ricostruzione che attende il Paese.

Ma la speculazione in corso non si realizza solo sul piano del debito pubblico. Anzi, i Cds legati ai titoli di alcune aziende private sono diventati perfino più redditizi. Parliamo dei Credit-default swaps, strumenti derivati che possono essere utilizzati come polizza assicurativa o copertura per chi sottoscrive un'obbligazione.

Tra i casi più eclatanti c'è quello della Tokyo Electric Power Corporation, proprietaria degli impianti nucleari danneggiati dal terremoto.

Il Commonwealth Opportunity Capital, un hedge fund da 90 milioni di dollari con sede a Los Angeles, ha realizzato, secondo il Wall Street Journal, profitti per diversi milioni di dollari investendone meno di 200 mila nei titoli della società nipponica.

Se fino a venerdì scorso il costo annuale per proteggere 10 milioni di dollari del debito della Tokyo Electric Power Corporation era di 40,700 dollari, questa cifra è schizzata alle stelle dopo il terremoto e i problemi alle centrali, arrivando a toccare quota 240 mila dollari.

Diversi speculatori si sono concentrati su quelle società giapponesi che, gravemente indebitate, non hanno nelle esportazioni la loro attività principale. Il piano è semplice. All'aumentare del debito pubblico, lo yen sarà messo sotto pressione e dovrà necessariamente svalutarsi. Questo aiuterà gli esportatori, i cui prodotti diventeranno più competitivi sui mercati internazionali. Per le altre società, invece, ci saranno solo gravi problemi di accesso ai mercati finanziari.

La borsa di Tokyo ha fatto registrare martedì la terza peggior chiusura di sempre, con l'indice Nikkei in ribasso del 10,55% a causa dell'allarme radiazioni. In una situazione del genere il rischio speculativo più grande è quello delle vendite allo scoperto.

In sostanza, si tratta di vendere all'attuale prezzo di mercato titoli di cui ancora non si è proprietari, impegnandosi ad acquistarli realmente da banche o intermediari finanziari entro un certo periodo di tempo, quando si prevede che il loro prezzo sarà calato.

Al momento, in Giappone, non si tratta di una previsione difficile. I titoli che rischiano di essere messi maggiormente sotto pressione sono gli energetici, le commodities e le auto. Il governo di Tokyo ha assicurato che contrasterà con forza ogni tentativo di speculazione e non tollererà vendite allo scoperto.

La Banca del Giappone ieri ha iniettato nel sistema bancario la cifra record di 15mila miliardi di yen (pari a 131 miliardi di euro) e contemporaneamente ha raddoppiato da 5 a 10 mila miliardi di yen (87 miliardi di euro) il programma di acquisto di obbligazioni. L'obiettivo è di limitare l'impatto del terremoto sull'economia. Ma gli avvoltoi della speculazione non si spaventano per così poco.


Quanto ci costa (davvero) l'energia dell'atomo
di Giorgio Nebbia - Liberazione - 16 Marzo 2011

Dall'uranio alle scorie: nell'intero ciclo rischi per l'ambiente e l'economia

Tutti vivi a Fukushima. Ricalco il titolo di un celebre libro di Dario Paccino, "Tutti vivi ad Harrisburg", scritto dopo l'incidente alla centrale nucleare americana di Three Mile Island, vicino Harrisburg, appunto, in Pennsylvania.

Anche allora, come oggi in Giappone, si ebbe un'interruzione del flusso di acqua che "deve" raffreddare continuamente il nocciolo di un reattore, quell'insieme di tubi in cui avviene la fissione dell'uranio (e del plutonio) con liberazione del calore.

Se cessa il riscaldamento, anche se la reazione di fissione nucleare viene interrotta, gli elementi radioattivi all'interno dei tubi del "combustibile" continuano a liberare calore che può provocare l'idrolisi dell'acqua con formazione di idrogeno, quello che si è incendiato e ha provocato la (o le) esplosioni degli edifici delle centrali giapponesi. Non si può dire oggi quante persone siano state contaminate dalla radioattività, quante siano morte o moriranno per esposizione alle radiazioni.

Di certo gli incidenti giapponesi hanno provocato l'interruzione della distribuzione dell'elettricità in vaste parti del paese che tanto aveva puntato, per soddisfare la fame elettrica delle sue fabbriche e città e metropolitane, su 55 centrali nucleari, a drammatica riprova della fragilità di questa tecnologia.

L'incidente ai reattori di Fukushima è il terzo importante nella storia dell'energia nucleare commerciale, lunga circa 14.000 anni-reattore (il numero dei reattori in funzione moltiplicato per gli anni di funzionamento di ciascuno): un incidente ogni circa 4.500 anni-reattore, un incidente in media ogni dieci anni quando sono in funzione, come oggi nel mondo, circa 450 reattori; una probabilità di incidenti molto maggiore di quella assicurata dai solerti venditori di centrali nucleari.

Inaccettabili pericoli, inquinamenti e costi umani e monetari riguardano tutto intero il ciclo delle attività nucleari, ciclo che parte dalle miniere di uranio, comprende i processi di arricchimento dell'uranio e la preparazione del combustibile nucleare (durante la quale si verificarono gli incidenti alla KerrMcGee negli Stati Uniti, del 1974, e a Tokaimura in Giappone del 1999).

Vi sono poi i costi e i conflitti per la ricerca della localizzazione degli impianti; e poi i costi della costruzione e di funzionamento "normale" delle centrali nucleari e quelli, di soldi e politici, per i controlli di tipo militare. Non a caso il governo italiano ha dovuto invocare il segreto di stato sulle scelte e sul funzionamento delle infrastrutture energetiche, quello stato atomico autoritario di cui aveva parlato Robert Jungk in un libro del 1970.

E poi ancora vi sono i costi e i pericoli e gli incidenti del ciclo del ritrattamento del combustibile irraggiato per recuperare un po' di plutonio da aggiungere all'uranio nelle centrali per trarne un po' più di elettricità e di soldi; e poi i costi del ciclo di smaltimento delle centrali esaurite e della sistemazione del combustibile irraggiato e degli inevitabili rifiuti, la coda avvelenata delle centrali.

Si tratta, anche solo in Italia, di migliaia di tonnellate di prodotti radioattivi, tutti, sia pure in diverso grado, pericolosi, che continuano ad accumularsi anche quando è svanito e sarà svanito il sogno dell'elettricità abbondante a basso prezzo. Tutte operazioni che richiedono una vigilanza per secoli e decenni per evitare perdite di radioattività nell'ambiente.

Per tutti questi motivi le centrali nucleari, anche quelle "perfettissime" di "terza generazione" che già tanti guai e ritardi stanno incontrando prima ancora di entrare in funzione in Finlandia e in Francia, quelle che il nostro governo fa intendere di volar comprare a quattro per volta, non sono sicure né convenienti in termini di soldi. Sono insomma inaccettabili.

Se tutti i soldi che sono stati spesi anche in Italia in passato, e quelli che rischiamo di dover spendere per i programmi nucleari governativi, fossero investiti non dico per le fonti di energia rinnovabili, ma anche soltanto per la razionalizzazione dell'intero sistema economico e produttivo italiano, per scelte lungimiranti su quello che è utile produrre e consumare, con minori e diversi consumi di energia, saremmo un paese con più posti di lavoro e veramente moderno. Non resta perciò che fermare l'avventura nucleare governativa col referendum e col voto, impegnando i futuri governanti a rinsavire.