venerdì 5 settembre 2008

Dopo la Georgia e' l'ora dell’Ucraina

I rapporti tra il governo e il presidente ucraino sono arrivati per l’ennesima volta al collasso.
La coalizione che sostiene la premier Iulia Timoshenko ha infatti chiesto ieri di indire elezioni anticipate nel mese di dicembre, sia per il rinnovo della Rada (il Parlamento ucraino) che per eleggere il nuovo presidente.

E sempre ieri i servizi segreti, che fanno capo al presidente, hanno inviato alla procura materiale "per controllare l'attività di alcuni esponenti del governo che hanno danneggiato gli interessi nazionali".
Nei giorni scorsi la segreteria presidenziale aveva infatti accusato di alto tradimento la Timoshenko per una presunta linea troppo morbida nei confronti di Mosca - riguardo alla guerra con la Georgia - in cambio di un sostegno alle prossime elezioni presidenziali, previste per il 2009.

E oggi il vice presidente USA Dick Cheney ha incontrato a Kiev la Timoshenko e il presidente Yushenko per discutere della crisi politica che sta attraversando il Paese.

Gli USA hanno scelto da tempo con chi stare. Yushenko ringrazia ancora una volta.


Ucraina, coalizione al collasso
di Luca Galassi – Peacereporter – 4 Settembre 2008

La nuova, ennesima crisi di governo, in Ucraina, è cominciata lunedì sera, quando il Parlamento ha approvato una legge tesa a colpire direttamente le prerogative del presidente Viktor Yushchenko, indebolendone i poteri e relegandolo di fatto a un ruolo di mera rappresentanza. La fragile coalizione di governo è stata messa in crisi dall'appoggio dato dal blocco del Primo ministro Yulia Timoshenko alla proposta di legge del Partito delle Regioni, all'opposizione.

Limitazioni istituzionali. La nuova legge prevede che al presidente sia revocata la nomina diretta del Primo ministro, del minsitro della Difesa e di quello degli Esteri. In aggiunta, il provvedimento prevede che il capo dell'agenzia d'intelligence, la Sbu, possa venire licenziato col voto di un terzo dei parlamentari e che la stessa assemblea possa contrastare la decisione presidenziale di rimuovere magistrati della Corte Suprema. In segno di protesta, gli alleati di Yushchenko hanno abbandonato l'aula, facendo venir meno la maggioranza di governo.

Alleati e rivali. L'attuale situazione è lo specchio di una scomoda coabitazione, seguita alla Rivoluzione arancione, che, dopo la sconfitta di Yanukovich, ha portato Yuschenko e Timoshenko a formare una coalizione filo-occientale in cui i rispettivi partiti si sono trovati in disaccordo quasi su tutto, sancendo di fatto una situazione di costante crisi istituzionale e paralisi legislativa, dovuta più alle rivalità personali che a sostanziali divergenze su temi prettamente politici o di politica economica. Yushchenko è un tenace sostenitore delle riforme di mercato, dell'ingresso nella Nato e all'Unione europea. Analoga la visione della Timoshenko, propugnata tuttavia con minor entusiasmo e 'mediata' dall'ostilità contro l'iperliberismo dei magnati che conrollano la maggior parte dell'economia ucraina.

'Alto tradimento'. Il recente conflitto in Caucaso ha approfondito le divergenze tra i contendenti. Il presidente è da sempre stato al fianco dei georgiani, ma il Parlamento ucraino, martedì, ha bloccato una mozione di condanna contro l'aggressione russa. Yushchenko ha inoltre accusato la Timoshenko di 'alto tradimento' per aver assecondato la decisione di Mosca. Una mossa, quest'ultima, vista da molti come il preludio per la ricerca del sostegno del Cremlino in vista delle prossime elezioni presidenziali, la cui campagna elettorale comincia nel 2009. La 'pasionaria' della rivoluzione del 2004 non ha ancora espresso la volontà di partecipare alle presidenziali, ma se il sostegno politico ed elettorale nei suoi confronti procederà di questo passo, non potrà che essere lei la grande favorita.

Arriva Cheney. Il ritiro dei parlamentari di Yushchenko dalla coalizione di governo è forse l'ultima, disperata mossa per contrastare il crescente potere politico della Timoshenko. Forzare così la mano, di fronte a un Parlamento dove 300 membri su 450 hanno votato per una legge che limita all'osso i poteri presidenziali, è per il capo di Stato una scelta obbligata. Se una nuova coalizione non verrà formata entro 30 giorni, si andrà a nuove elezioni. Rimescolare le carte significa per Yushchenko cercare di ritrovare il consenso perduto e fare chiarezza sul riposizionamento delle fazioni politiche dopo il conflitto caucasico. Tuttavia, gli alleati del Partito di autodifesa nazionale, tradizionalmente a fianco del partito presidenziale di 'Ucraina nostra' (che con il partito della Timoshenko formavano i tre nella coalizione di governo) hanno dichiarato di non avere nessun obbligo nei confronti del presidente, riservandosi la decisione di entrare in un'eventuale nuova formazione di governo. Con tali presagi di nubi oscure all'orizzonte, la visita del vice-presidente Usa, Dick Cheney, oggi a Kiev, non può che rappresentare un potente e incoraggianzte raggio di sole per il filo-occidentale Yuschenko.


Ucraina: farsa sull’orlo dell’abisso
di Maurizio Blondet - Effedieffe - 5 Settembre 2008

Tutto l’Occidente corre ad abbracciare l’Ucraina, a liberare l’Ucraina, a salvare l’Ucraina dall’orso russo: Dick Cheney arriva, per assicurare che l’Ucraina entrerà nella NATO, e l’America la proteggerà (come la Georgia). L’Europa accorre, e assicura che la democrazia ucraina entrerà nella UE: l’ingresso sarà deciso ad Evian il 9 settembre, se le opposizioni (Germania, Austria ed Olanda) non sventeranno la frettolosa integrazione.

In tutta questa calda fretta, come nota giudiziosamente il sito Dedefensa (1), ci si è dimenticati di rispondere alla semplice domanda: «quale» Ucraina liberare, salvare e soccorrere? Perchè le «democrazie» in Ucraina sono diventate dueIl presidente Yushenko ha appena accusato il suo ex-primo ministro, Yulia Timoshenko, di colpo di Stato. Nel 2004, al tempo della «rivoluzione arancione» pagata da Soros e la cui «democrazia» è stata esaltata dai media, erano uniti e alleati.

Oggi è successo questo: che Yuschenko convoca il regolare consiglio dei ministri, ma 11 ministri del governo (capeggiato dal suo delfino Yanukovitch, che Yushenko ha scelto per cacciare dal posto di primo ministro la Timoshenko nel 2005) non si presentano. Undici su dodici. Yushenko fa la riunione a due, come niente fosse.

Invece la realtà è che ormai Yushenko è in minoranza nel suo stesso Parlamento: contro di lui non solo i partiti d’opposizione fra cui i filo-russi, ma anche la sua (ex) maggioranza parlamentare, che consiste essenzialmente nel partito personale suo (Ucraina Nostra) e nel partito personale della Timoschenko (si chiama Blocco Yulia Timoshenko).

Ormai, con l’inflazione al 30%, la corruzione alle stelle e l’indice di popolarità di Yushenko sotto il 9%, la maggioranza degli ucraini ne ha le scatole piene del presidente, e lo vuole mandar via. Anche perchè, come risulta dai sondaggi, la maggioranza degli ucraini è contraria all’adesione alla NATO, caldamente voluta da Yushenko.

Il Parlamento minaccia di varare una legge per restringere i poteri del presidente: ed è questo che il presidente chiama «colpo di Stato». Sicchè minaccia di dissolvere il parlamento che non vota più come vuole lui, dimostrando che è lui il vero democratico, il meritevole di entrare in Europa. Infatti «l’Occidente» appoggia il golpista Yushenko contro la Timoshenko accusata di golpe.

Da ultimo, la maggioranza istigata dalla Timoshenko sta occupando la Rada (il parlamento di Kiev) per impedire a Yushenko di tenere il suo consueto discorso. La Timoshenko ha raccolto ben 7 milioni di firme - almeno così dice lei - per una riforma costituzionale che prevede tra l’altro l’abolizione dell’immunità per le alte cariche dello Stato, giudici e deputati, allo scopo di rinforzare la lotta alla corruzione.

La grande concordia democratica della rivoluzione arancio è finita in una zuffa di potere personale, che sa di pochade da dittatura delle banane. Yushenko accusa la Timoshenko di essere filo-russa (per forza di cose, la nuova opposizione parlamentare ha avvicinato il Blocco Timoshenko al Partito delle Regioni, votato dai russofoni), e l’ha accusata di «tradimento»; la Timoshenko moltiplica perciò le dichiarazioni di indipendenza di sapore provocatoriamente anti-russo: «Abbiamo di che assicurare la nostra dipendenza energetica. Nessuno ci detterà le condizioni, nè ci dirà come dobbiamo vivere, usando le risorse naturali come mezzo di pressione». E qui la faccenda si fa delicata.

Lo si è visto quando la USS Dallas della Guardia Costiera americana, penetrata nel Mar Nero per portare aiuti ai poveri georgiani democratici, ha fatto uno scalo di buon vicinato a Sebastopoli in Crimea: ed è stata accolta da massicce manifestazioni ostili, degli abitanti della Crimea, che sono russi.

Varrà la pena di ricordare che la Crimea è sempre appartenuta alla Russia; è diventata parte dell’Ucraina solo nel 1954, quando Kruschev (ucraino) regalò quella regione peninsulare e turistica alla sua patria etnica. Il «regalo» faceva poca differenza quando tutti erano uniti nell’Unione Sovietica; oggi, è facile capire che c’è qui l’innesco per una replica in grande della secessione del Sud-Ossezia.

E’ istruttivo notare che Mosca, moderandosi, non ha rivendicato la Crimea, dove mantiene la flotta del Mar Nero, in base ad un contratto stilato con la nuova «democrazia arancione», fino al 2017. Ma la situazione richiederebbe delicatezza. Invece Yushenko moltiplica le provocazioni; durante il conflitto georgiano ha minacciato di cacciare la flotta; ed intanto, ha aumentato la pigione della flotta russa in Crimea di 25 volte. E naturalmente - come dubitarne? - è in Crimea che Dick Cheney va a proclamare che l’Ucraina entrerà nella NATO, lo voglia o no il popolo ucraino.

Lo vuole Yushenko, e tanto basta. E’ la democrazia, ragazzi. Mosca sta osservando attentamente, e con immaginabile inquietudine, l’evolversi della pochade. Ufficialmente è silenzio, o quasi. Ma lascia parlare diversi analisti russi, le cui visioni paiono riflettere le valutazioni strategiche che la Russia sta ricavando dall’avventurismo in corso.

Uno di questi analisti (2) ha scritto: l’aggressione di Saakashvili non è un «fatto isolato», bensì «un anello della catena delle attività USA intese ad esercitare un ‘controllo del caos’ su tutta la linea dal Pakistan all’Afghanistan, dall’Iran alla Georgia, dall’Ucraina al Kossovo, onde frammentare lo spazio politico eurasiatico in zone di conflitto che impediscano alle principali potenze eurasiatiche di integrare il continente. La aggressione georgiana della Sud Ossezia è solo un passo in un lungo cammino progettato dai neocon USA, che sono pronti a tutto, anche a scatenare un conflitto con Russia ed Iran, per mantenere il controllo della Casa Bianca ed ottenere l’elezione di McCain... Gli USA dispongono del presidente Yushenko per trascinare la Russia in un conflitto fatale col il suo più prossimo vicino».
Si noterà la somiglianza di questa analisi con quella tratteggiata da Putin nelle sue interviste.

Un altro analista (3) paragona la enorme dissimmetria militare americana rispetto a tutti i suoi avversari potenziali a quella della «Francia napoleonica nel 1799, al Kaiserreich del 1900, e al Terzo Reich del 1933: in tutti e tre i casi, una simile situazione - destabilizzante per essenza - si è conclusa con una guerra di grande portata».

Napoleone e Hitler furono gli invasori della Russia: si può immaginare la risonanza che hanno, a Mosca, prospettive di una replica. Lo stesso analista dice: «Benchè anche Napoleone ed Hitler non riconoscessero limiti ‘naturali’, le loro ambizioni erano essenzialmente confinate all’Europa. La novità con gli Stati Uniti è che le sue ambizioni sono estese, letteralmente, al mondo intero. Il globo stesso viene oggi proclamato come sfera d’influenza americana, compresi i cortili di casa caucasici, asiatici ed europei della Russia».

Un terzo analista russo (4) valuta le contromisure possibili: «Data l’imminente spaccatura della Comunità di Stati Indipendenti (la confederazione degli stati ex-sovietici), da cui la Georgia si è già ritirata, la Russia potrebbe accelerare l’accettazione dell’Iran come membro eguale nella Shanghai Cooperation Organization. Come membro, l’Iran si troverebbe protetto dall’ombrello collettivo della organizzazione, fra cui i due Stati nucleari, Russia e Cina».

Lo stesso analista si spinge a ipotizzare «un più grave passo, che gli USA e specialmente Israele (fra parentesi, la fornitrice di armi alla Georgia) temono di più una revisione della politica russa verso l’Iran. Un’alleanza strategica con la firma di un trattato politico-militare può cambiare il quadro geopolitico... Con la nuova alleanza, si potrebbero piazzare almeno due basi militari in aree strategiche dell’Iran. Una potrebbe essere posizionata nel nord, nella provincia iraniana dell’Azerbaijan orientale, l’altra nell’isola di Qeshm, nel Golfo Persico. Con la prima base, la Russia potrebbe controllare le attività militari di Azerbaijan, Georgia e Turchia e condividere le informazioni con l’Iran. Con lo spiegamento nell’isola di Qeshm, la Russia sarebbe in grado di tener d’occhio le attività di USA e NATO nel Golfo Persico, in Iraq e negli altri Stati arabi. Con uno specifico equipaggiamento, la Russia potrebbe efficacemente monitorare tutta la navigazione in questo collo di bottiglia marittimo».

Ripetiamo, non sono valutazioni ufficiali di Mosca, ma private ipotesi di suoi privati analisti. Ma dimostrano che le rotelle dei cervelli strategico-militari, a Mosca, sono in pieno movimento. La guerra impensabile è nell’ambito delle possibilità reali.E come risponde il cosidetto «Occidente» per calmare queste ansie russe? Con la constatazione che, dopo averlo visto all’opera nel contrattacco in Georgia, «l’armamento russo appare vecchio e obsoleto»: così ha scritto l’esperto militare Martin Sieff sul Washington Times (5). Carri armati T-72 vecchi di trent’anni, anche se migliorati da armatura esplosiva e accompagnati da moderni T-90».

Certo, i russi hanno usato benissimo i loro ferrivecchi, concentrando brillantemente le forze «secondo i classici principi di von Clausewitz, usando artiglieria, supporto aereo tattico per le forze terrestri e una fanteria straordinariamente mobile».

Senza contare le «forze speciali, efficacemente usate per prendere preventivamente posizioni in colli di bottiglia potenziali onde impedire alle forze georgiane di rallentare l’avanzata russa». E il tutto con soli «10 mila uomini, una piccolissima porzione delle forze armate russe». Ma ferrivecchi sono. Hanno vinto contro i georgiani; ma se li affrontiamo noi, «Occidente», vinciamo di sicuro.

Insomma, la risposta dell’anglo-Occidente alle ansie di Mosca è questa: irresponsabile a dir poco. Il Times (6), con i suoi analisti, ha rincarato: «L’armata russa d’oggi non è nemmeno lontanamente all’altezza (is no match) della Us Army e dei suoi alleati NATO». Che hanno tutti i più moderni gadget e le più sopraffine tecnologie della «revolution in military affairs’».

Peccato che, come deve ammettere lo stesso Sieff, «la US Army e i Marines sono esauriti dal loro perenne impegno in Iraq, a combattere una piccola ma continua controguerriglia dei sunniti da cinque anni», sunniti privi di gadget e persino di obsoleti carri armati T-72. Quanto alle «nazioni dell’Unione Europea in generale, esse hanno consentito alle loro forze convenzionali di degradarsi ad un grado estremo dalla caduta del comunismo».

Ma allora, chi ha i ferrivecchi più ferrivecchi? L’Europa difenderà l’Ucraina - più precisamente Yushenko il dittatore democratico - coi suoi catorci lasciati degradare al grado estremo? E come si fa a dire che l’armata russa è «no match» per un’America che non riesce a vincere gli afghani, e un’Europa che ha solo catorci arrugginiti? Ci sarebbe da ridere. Se la pochade non si giocasse sull’orlo dell’abisso.

Ultima Ora: l’amico Wayne Madsen segnala (7) che «un gruppo di neoconservatori americani, capeggiati da Randy Scheunemann (il consulente di politica estera di MaCain, che fa anche il lobbista per Saakashvili) e George Soros, stanno facendo lobby perchè Washington riconosca l’indipendenza di Cecenia, Daghestan e Inguscezia come risposta al riconoscimento russo di Abkhazia e Sud-Ossezia... Le entità riconosciute dagli USA dovrebbero costituire un cosiddetto governo in esilio che avrà sede in Occidente».

Tanto per calmare le acque: aizzare tutti gli irredentismi russi. Un’idea tipicamente di Katz. Spero che l’amico Madsen stia scherzando, nello stile della comica finale.


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1) «Nous allons libérer l’Ukraine! Certes, mais qui en Ukraine allons-nous libérer?», Dedefensa, 3 settembre 2009.
2) I. Dzhadan The Caucasian Twilight. A Scenario, 21 marzo 2008.
3) Srdja Trifkovic, «A major war: not just rumors», GlobalResearch, 3 settembre 2008.
4) Radzhab Safarov, «Iranian trump card. Russia can take control of Persian Gulf», GlobalResearch, 1 settembre 2008.
5) Martin Sieff, «Older weapons’ efficacy evident in Georgia conflict», Washington Times, 2 settembre 2008.
6) «Russia fighting machine is showing its age, say analysts», Times, 22 agosto 2008. Ecco l’elenco delle manchevolezze second gli inglesi: «Ageing armoured personnel carriers lacked proper bolt-on armour to protect against anti-tank weapons. - No airborne unmanned surveillance platforms to spot Georgian anti-air defence systems . - No precision-guided missiles/bombs . No night-vision or satellite-linked navigation equipment. - No protection for Tu22 bomber destroyed during reconnaissance».
7) «A group of American neoconservatives, led by McCain foreign policy adviser Randy Scheunemann and George Soros, lobbying Washington’s recognition of Chechnya, Dagestan and Ingushetia as independent states in response to recognition of Russia the independence of Abkhazia and South Ossetia. After recognition of the independence of 3 Caucasian states, US planning to recognition the independence of Adygea, Altai, Buryatia, Kabardino-Balkaria, Kalmykia, Karachay-Cherkessia, Karelia, Komi, Mari El, Mordovia, Sakha, North Ossetia, Tatarstan, Tuva, Udmurtia, Khakassia, and Chuvashia. It is assumed that the ‘leadership’ of these recognized by the US countries would constitute a so-called ‘governments in exile’, which will be located in the West».