La crisi finanziaria mondiale si e’ aggravata dopo che il Congresso Usa ha bocciato il piano di Bush di salvataggio delle istituzioni finanziarie americane.
Immediata la reazione di Wall Street che e’ affondata, con gli indici che hanno chiuso la seduta segnando il maggior calo giornaliero dal 1987 (meno 8,8% con oltre 1000 miliardi di dollari bruciati).
Idem dicasi per tutte le altre Borse nel mondo, contraddistinte da pesanti cali.
Il ministro del Tesoro Henry Paulson ha pero’ affermato che userà tutti i mezzi a sua disposizione per proteggere i mercati finanziari dal voto della Camera. In una nota del Tesoro si legge “Il ministro Paulson si incontrerà col presidente George W. Bush, col presidente della Federal Reserve Ben Bernanke e con i leader del Congresso per seguire gli sviluppi. Nel frattempo siamo tutti pronti a lavorare con i regolatori e utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere i nostri mercati finanziari e la nostra economia.”
Paulson ha infine aggiunto che “Le famiglie e le imprese avvertono la stretta del credito [...] è un piano che funziona e ne abbiamo bisogno il più presto possibile”.
Ma ormai e’ gia’ troppo tardi.
Wall Street: le Borse del mondo si preparino all’onda d’urto
di Ilvio Pannullo – Altrenotizie – 30 Settembre 2008
Per pochi voti, il Congresso Usa non ha approvato il piano di salvataggio proposto da Bush. E' l'ultima grande sconfitta politica per l'amministrazione e le sue ricette economiche. Del resto, oltre ai cadaveri politici, la crisi dei mutui sub-prime continua a lasciarsi alle spalle cadaveri finanziari svuotati oramai di ogni valore. La prima a cadere fu la Nothern Rock, nel dicembre del 2007 in Inghilterra, cui seguì il salvataggio pilotato della banca d’investimenti Bearn Stearns da parte di JP Morgan. Era il marzo di quest’anno. C’é stato poi il fallimento della Lehman Brothers e della nazionalizzazione da 200 miliardi di dollari dei due colossi dei mutui, Fannie Mae e Freddie Mac, la più imponente da quando gli USA sono una nazione.
La crisi ha poi travolto, dando così al mondo intero il segno lampante della sua natura strutturale, anche il settore assicurativo, come mostrato dal salvataggio del colosso AIG, costato al governo USA 85 miliardi di dollari, e dalle ingenti perdite registrate dalla Swiss Re, la prima società al mondo, per capitalizzazione, nel settore riassicurativo. E’ notizia di questi giorni, infine, che lo stato del Lussemburgo è pronto ad assumere una partecipazione nel capitale della banca belga-olandese Fortis per farla uscire dalla crisi che sta attraversando; questo nonostante tutti i politici europei (i nostri in questo si uniscono al coro) facciano a gara nel ribadire che il sistema europeo è stabile e sicuro.
Ma le cose, ovviamente, non stanno come vorrebbero farci credere. E’ bastata, infatti, qualche indiscrezione sul piano di salvataggio varato dall’ex numero uno della Goldman Sach, ora ministro del Tesoro USA, Henry Paulson, per far volare le borse in cielo nei giorni immediatamente successivi al fallimento della Lehamn Brothers. Così come è bastato qualche stop and go nella sua approvazione per farle riprecipitare nel baratro da cui i più ingenui pensavano si fossero salvate, per bruciare l’ennesima montagna di dollari ed aggiungere un’altra lapide – l’ultima porta su scritto “Washington Mutual” – nel cimitero di quella che un tempo era la capitale della finanza: Wall Street.
Tutto questo non è casuale. Tutto questo ha un nome: panico. Sono nel panico le banche che non si prestano più i soldi tra loro, indice palese dell’insicurezza in cui versano; sono nel panico gli operatori finanziari e i brokers assicurativi che vedono i loro colleghi, scatoloni in mano, in mezzo ad una strada senza più un lavoro; sono nel panico, in definitiva, tutti coloro che sono a conoscenza della natura strutturale ed endemica delle cause di questa crisi, motivo per cui nessuno deve pronunciare quella parola sul mainstream ufficiale.
Se la gente, il popolo, quei piccoli e piccolissimi risparmiatori, che sono il cibo preferito dai grandi predatori della finanza, sapessero quali sono i termini e i numeri di questa crisi, nulla si potrebbe più inventare davanti al conseguente, nonché inevitabile, collasso del sistema". Qualcosa di grosso sta arrivando. Gli eventi – afferma Jim Willie CB, redattore della HAT TRICK LETTER, giornale online specializzato nel settore economico – convergeranno sulla nemesi principale dell’oro: le obbligazioni del Tesoro degli Stati Uniti.
L’interferenza del mercato è troppo spropositata per le obbligazioni, per le azioni bancarie, per l’intero settore finanziario. Inoltre, le strutture del sistema bancario sono a pezzi. I pilastri dell’economia americana si trovano in guai seri, con profondi disavanzi e insolvenze all’ordine del giorno. Guardate il disavanzo federale del governo degli Stati Uniti (che aumenta rapidamente), il disavanzo commerciale (cronicamente ampio), l’ammortamento negativo nel mercato immobiliare (che sta progressivamente peggiorando) e le banche insolventi (che peggiorano ogni trimestre, nonostante le smentite).
Sta arrivando una fortissima onda d’urto.”Sono infatti i dati macroeconomici del Tesoro americano a dare l’idea della inevitabilità di un redde rationem per la finanza targata a stelle e strisce. Gli Stati Uniti, infatti, sono il paese con il più alto debito pubblico del mondo e continuano ad indebitarsi sempre di più per mantenere uno stile di vita assolutamente al sopra delle loro reali possibilità economiche. Mentre la recessione economica degli Stati Uniti ha preso piede, le entrate dalle tasse sui capital gains e sui salari sono, infatti, in netto calo.
Le prospettive per il futuro, poi, se possibile, sono ancora più nere. Persino le esportazioni s’incepperanno nel rallentamento globale. Il disavanzo nel budget federale del governo degli Stati Uniti sarà enorme, anche senza le richieste di nazionalizzazione. A dare un quadro delle richieste che di qui a poco saranno presentate alla Casa Bianca è sempre lo stesso Jim Willie: “Il gruppo dei settori in cerca di un salvataggio imminente sul filo conduttore della nazionalizzazione comprendono - dopo quelle già concluse di Fannie Mae & Freddie Mac, General Motors, Ford, le banche di Wall Street e alcune compagnie aeree”.
Aggiungete a questa altre stupefacenti richieste di finanziamento per la “Federal Deposit Insurance Corporation” (per coprire i depositi bancari in fallimento) e per il “Pension Guarantee Fund” (per coprire i fondi pensione andati in bancarotta) ed otterrete un quadro decisamente poco edificante: un vero e proprio assalto alla diligenza. Ma di proporzioni, almeno fino ad oggi, difficili da valutare nella loro drammaticità.
Davanti ad uno scenario tanto oscuro la risposta dell’amministrazione Bush non si è fatta attendere: le casse dello stato si accolleranno tutti i titoli spazzatura per salvare l’economia e, ovviamente, per il bene dell’America. Oro in cambio di carta straccia. Il tutto, almeno nella prima bozza del piano Paulson, senza alcuna contropartita da parte di quegli istituti finanziari che si vedranno piovere dal cielo vagonate di dollari e senza, ovviamente, apportare alcuna modifica nel settore dell’autorità di garanzia del mercato e della borsa.
Come se ci fosse una logica nell’affidarsi a quegli stessi soggetti che ci hanno portato, passo dopo passo, sull’orlo del burrone. Se quel piano, o una sua versione simile, dovesse trovare l’appoggio del Congresso – come tutto sembra indicare - sarà come lanciarsi nel vuoto.Rimane poi da considerare il fatto, per nulla secondario, che nel corso degli ultimi due decenni, gli stranieri hanno accumulato quantità gigantesche di obbligazioni del Tesoro americano; con l’esito che, ad oggi, troppi “nemici” degli USA detengono enormi quantità dei loro titoli del debito pubblico federale.
Gli Stati Uniti, in definitiva, non controllano più il loro destino. Abbiamo così il dollaro americano che sta recuperando mentre la sua situazione finanziaria sta implodendo e il declino del mercato immobiliare che inesorabilmente fungerà da forza trainante (verso l’abisso) per la già menomata situazione economica degli States. “La storia della forza relativa degli USA – conclude lo stesso Willie – all’apparenza è assurda, eppure costituisce un capitolo importante nel saggio della Mitologia Economica. Una simile contraddizione invita ad una reazione”.
Eppure nulla pare indicare quel cambiamento vertiginoso che le istituzioni pubbliche dovrebbero imprimere per risollevare la credibilità della loro economia. Lo spettacolo, dopotutto, deve continuare. Sembra quasi di assistere ad una scena grottesca: il popolo americano che, mentre la sua casa sta bruciando dalle fondamenta, decide, con un secchio d’acqua in mano, di farsi una doccia. Peccato che la casa più vicina al rogo sia quella della borsa di Londra. Praticamente dietro casa nostra.
La nostra sorte dipende da quella dei “mascalzoni” di Wall Street
di Carlo Gambescia – carlogambesciametapolitics – 30 Settembre 2008
La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha bocciato il pacchetto da 700 miliardi di dollari approntato dal Tesoro per salvare il sistema finanziario americano. E' mancato il quorum per un pugno di voti. I contrari sono stati 228, i favoreli 205. Per far passare il provvedimento erano necessari 218 voti favorevoli. La notizia ha fatto sprofondare Wall Street: il Dow Jones ha chiuso in calo del 5,8% a quota 10.486,43 mentre il Nasdaq ha lasciato sul terreno il 9,14% a 1.983,73 punti e lo S&P500 è arretrato del 7,34% a 1.123,94 (…). La debolezza di Bush. Il clamoroso 'no' della Camera è stato innescato da un ripensamento in extremis di una dozzina di deputati repubblicani e dalla incapacità del leader democratico Nancy Pelosi di controllare il voto dei suoi deputati.
Ma si è trasformato in uno schiaffo anche per il capo della Casa Bianca, confermando la perdita quasi totale da parte di Bush del potere di influenzare gli eventi (…). Ma il fatto che la maggiore opposizione al piano è venuta dai deputati repubblicani, cioè dal partito del presidente, è un'altra fonte di frustrazione per Bush. I deputati repubblicani sono preoccupati dal voto imminente di novembre: tutti i membri della Camera devono sottoporsi al giudizio degli elettori e sono quindi molto sensibili agli umori dei loro collegi elettorali, umori che sono chiaramente contrari al piano.
Gran parte degli elettori sono convinti che il piano, che costerà 700 miliardi di dollari ai contribuenti, miri infatti a salvare le grandi compagnie di Wall Street ma faccia ben poco per i piccoli risparmiatori e per chi non è più in grado di pagare i mutui delle case. Subito dopo la bocciatura del piano, un Bush "molto contrariato", ha convocato il suo staff nello Studio Ovale. E il segretario al Tesoro Henry Paulson, che ha incontrato il presidente della Fed Ben Bernanke, si è immediatamente detto pronto "a usare tutti gli strumenti a disposizione per proteggere i mercati e l'economia".
I candidati alla presidenza. Il candidato democratico Barak Obama ha chiesto ai mercati "fiducia" e "calma". Il piano da 700 miliardi appena bocciato dalla Camera "non è morto" e adesso "è importante che tutti, gli americani e i mercati finanziari, abbiano nervi saldi". Ma il suo avversario ha attaccato a testa bassa lo stesso Obama e i democratici. McCain ha affidato al proprio consigliere economico, Douglas Holtz-Eakin, il compito di diffondere una dichiarazione al veleno, affermando che il fallimento è legato al fatto che "Barack Obama e i democratici hanno messo la politica di fronte agli interessi del paese" (…). Cosi facendo, secondo McCain, i democratici "hanno messo a rischio le case, le condizioni di vita e i risparmi di milioni di famiglie americane"(…).
Nuovo voto non prima di giovedì. Dopo la picchiata dei mercati la Camera si è riconvocata per giovedì. Oggi i deputati dovevano votare e andare a casa fino alla fine dell'anno per la pausa elettorale: i sostenitori in entrambi i partiti del piano da 700 miliardi - la speaker della camera Nancy Pelosi e (a malincuore) il capo della minoranza repubblicana John Boehner - si sono ripromessi invece di riportare in riga le truppe smarrite e rimettere ai voti il piano. Domani il Congresso osserva la festa ebraica di Rosh Hashanah e i lavori parlamentari erano in ogni caso sospesi (…). (29 settembre 2008) http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/economia/crisi-mutui-6/camer-usa-bocca/camer-usa-bocca.html
Siamo davanti a un errore per ora grave, ma che potrebbe diventare fatale qualora il piano di salvataggio ideato da Bush venisse respinto definitivamente dal Congresso. Del resto c’era da aspettarselo. Negli Stati Uniti non esiste tuttora alcuna cultura sociale diffusa dell’intervento pubblico. Qualsiasi aiuto statale, anche indiretto e non solo alle banche, viene subito interpretato, anche dal cittadino medio, come un attentato "comunista" alla libertà economica. Esemplare, sul piano politico, la reazione, e il voto contrario, dei repubblicani conservatori, da sempre legati a rigidi principi liberisti. Ma anche quella, tutto sommato ambigua, dei democratici, fermi alla troppo generica promessa di fare comunque qualcosa, soprattutto considerata la gravità del momento.
Non abbiamo mai condiviso la politica di Bush in tutti i campi, ma riteniamo che il piano debba essere approvato, pena l’ espandersi della crisi finanziaria, e in misura gravissima, anche all’Europa e al mondo intero.Il problema del momento, se si vuole evitare una crisi economica internazionale lacrime e sangue, è intervenire rifinanziando le banche per impedire che il loro crollo si porti dietro l’economia mondiale. In Europa si dovrebbe subito cominciare a studiare un piano simile a quello di Bush.
Le polemiche, spesso moralistiche, sul fatto che dietro la speculazione vi sono, tuttora, dei "mascalzoni", sono assolutamente inutili. Se ci si passa la movie-espressione, è il capitalismo bellezza: da Francis Drake in poi il destino dei "mascalzoni" è sempre stato legato, e a filo doppio, a quello di miliardi di onesti cittadini-investitori. Magari solo desiderosi di guadagnare in fretta... Quasi, ma non proprio, come i "mascalzoni"...Come è del tutto inutile qualsiasi atto di fede nel mercato, legato al ragionamento che il ciclo economico debba fare il suo corso. Se si “lascia fare” al ciclo economico, corriamo il rischio di ritrovarci, tutti, con centinaia di milioni di disoccupati.
Ovviamente ogni intervento, sulla falsariga di quello proposto da Bush, implica una crescita del tasso d’inflazione. Ma fra inflazione e recessione è preferibile la prima. Anche perché alla politica di intervento creditizio andrebbe affiancata una politica di opere pubbliche e di promozione dell’occupazione. Allo scopo di favorire il rilancio dei consumi privati e pubblici. E dunque la crescita dei salari e l' avvio di un nuovo ciclo economico, questa volta virtuoso. Il che ovviamente, per andare a regime, potrebbe richiedere almeno cinque, se non dieci anni. E si spera nessuna nuova guerra.
E’ perciò l’ora di attuare una “globalizzazione” non più del mercato, ma dell’intervento pubblico. Dal momento che non esistono alternative, se non quella di una crisi, dalla quale uscirebbero rafforzati solo quei gruppi sociali che detengono il potere militare. Il capitalismo, e in particolare quello Usa, allo stato attuale non ha oppositori capaci di coalizzarsi “globalmente” e trasformare la crisi economica in crisi rivoluzionaria. Certo, resta la possibilità, di una "compartimentalizzazione" della crisi mondiale per grande aree geopolitiche. Ma anche qui mancano le classi politiche, soprattutto in Europa, capaci di sganciarsi e muoversi autonomamente rispetto alle classi economiche.
L’Europa finirebbe ( o resterebbe) perciò nell’orbita di altre grandi potenze. Almeno per ora.In conclusione, ripetiamo, è giunta l’ora di “globalizzare” l’ intervento pubblico, comune e concordato tra tutti i paesi. E questo, sul piano dei principi, non per salvare il capitalismo - non lo meriterebbe - ma per salvare il futuro dei nostri figli e nipoti. Purtroppo legato, almeno per ora, alla sorte dei "mascalzoni" di Wall Street.
Il modello Wall Street: una creazione poco intelligente
di Pam Martens – Counterpunch – 21 Settembre 2008
Wall Street sta collassando non per i prestiti ipotecari spazzatura o per la mancanza di capitale, e meno ancora per l'eccessiva valutazione: questi sono solo sintomi. Wall Street sta collassando perché è necessario che ciò avvenga: deve crollare per consentire agli Stati Uniti di sopravvivere. L'economista Joseph Schumpeter l'ha definita distruzione creativa: una situazione in cui modelli superati spariscono per lasciare il posto a modelli innovativi. In realtà, nell'ultimo decennio Wall Street non ha mai avuto principi finanziari di riferimento al di là credo affaristico: essere avidi è bene, essere ancora più avidi è meglio. Che Wall Street stia collassando è una realtà. Come abbia potuto sopravvivere così a lungo nonostante la sua perversa struttura è un problema che la prossima generazione dibatterà nei libri di storia.
Pensate, ad esempio, a un modello d'affari che fissa la remunerazione degl'intermediari in base alla quantità di denaro raccolta per conto dei propri datori di lavoro di Wall Street e non in base ai risultati del portafogli clienti. La remunerazione di un intermediario di Wall Street va dal 30 e il 50% della commissione lorda calcolata sul valore delle commissioni globali, senza tenere in alcuna considerazione l'andamento dei conti dei clienti. In nessuna delle grandi società di Wall Street esiste un meccanismo interno per valutare il successo globale del portafogli che gl'intermediari gestiscono. Il settore è stato irrimediabilmente spinto verso la corruzione, così come gl'intermediari sono stati spinti al silenzio.
Il motivo per cui in queste settimane stiamo assistendo a una fuga precipitosa verso i buoni del tesoro americano è che in effetti buona parte dei soldi veniva proprio da lì, e non dai prodotti esotici per i prestiti ipotecari, dalle azioni spazzatura, dai fondi azionari o dalle rendite garantite dall'AIG. Gli intermediari piazzano "il patrimonio sicuro" dei clienti in quest'investimenti spazzatura perché gli affaristi di Wall Street offrono incentivi finanziari estremamente seducenti.
Su 100.000 dollari investiti in buoni del Tesoro a lunga scadenza, un intermediario guadagna meno di 1.000$ in commissioni lorde (cioè, prima della ritenuta del 50 o 70% effettuato dalla società). La stessa somma investita in azioni spazzatura o in obbligazioni ipotecarie può far guadagnare anche più di 3.000$. In altre parole, gl'incentivi finanziari hanno creato una domanda artificiale.
E, com'era inevitabile, la realtà di questa domanda sta venendo alla luce solo adesso, a causa dell'eccesso dell'offerta.
Perché le società di Wall Street pagano commissioni più elevate per alcuni prodotti piuttosto che per altri? Perché, oltre a incassare una percentuale sulle commissioni degl'intermediari, sui prodotti d'investimento più esotici caricano anche ingenti spese di emissione e di sindacazione. Le società hanno quindi sostituito i poco redditizi buoni del Tesoro con investimenti Freddie Mac e Fannie Mae sui mercati ipotecari presentati come "Fondo del governo degli Stati Uniti". (Questa pratica scorretta e il fatto che miliardi di dollari dei soldi pubblici siano finiti in fondi dal nome ingannevole hanno di sicuro svolto un ruolo importante nella decisione del governo di nazionalizzare Freddie Mac e Fannie Mae).
Esiste dunque un modello perverso che immette sul mercato sempre nuovi affari bidone. Se guardiamo chi c'è alla guida della Wall Street che sta oggi crollando vedremo che, pur avendo cambiato poltrona di comando, ci sono le stesse controverse persone che hanno provocato in America lo scoppio della bolla NASDAQ, a causa della quale dal marzo 2000 sono evaporati 7 trilioni della ricchezza americana. Wall Street non ha nessun interesse a proporre al grande pubblico le aziende che hanno superato la prova del tempo e che hanno creato nuovi posti di lavoro e nuovi mercati per rendere gli USA più forti e competitivi a livello mondiale.
Il suo unico interesse è raccogliere i fondi dei sottoscrittori e monetizzarli velocemente in pacchetti azionari privati.
E poi c'è un altro modello perverso, che consiste nell'ospitare all'interno della stessa azienda una sala operativa della società che si suppone conduca ricerche indipendenti per il pubblico. Immaginiamo, ad esempio, che XYZ Brokerage compri un pacchetto azionario della ABC Company nella sua sala operativa (il comparto che si occupa dei profitti dell'azienda) il mercoledì pomeriggio. Il venerdì pomeriggio può già assicurarsi ampi profitti pubblicando un rapporto di ricerca che fa aumentare il valore dello stock.
Naturalmente può anche, all'inverso, ridurre lo stock il mercoledì ed emettere un parere negativo per far scendere il prezzo il venerdì, garantendosi comunque un profitto. A parte una qualche fantascientifica muraglia cinese, non c'è assolutamente niente da fare per bloccare questo tipo di escamotage pubblico.
E adesso chiedetevi un poco perché, con la gran varietà di mezzi per far soldi a disposizione di Wall Street, si consente a queste società di avere una propria sala operativa e al tempo stesso di pubblicare ricerche conflittuali. Dopo gli scandali NASDAQ, in cui si è visto che Wall Street preparava ricerche truccate per profitto personale, perché non è stato tolto a queste aziende il diritto ad avere sale operative e di effettuare al tempo stesso ricerche per il pubblico? Ci sono un sacco di società di ricerca pronte a riempire i vuoti.
L'unica conclusione possibile è quella che l'Europa definisce “regulatory capture” (cattura normativa) qui negli USA. È una definizione simile a quella che il 17 settembre Nancy Pelosi aveva definito “capitalismo complice”, prima di decidere di raggiungere via etere i capitalisti complici il giorno seguente e promettere una gestione bipartisan sulla causa prima di tutti i bailout [Il termine definisce una situazione in cui un organismo in bancarotta o quasi riceve liquidità supplementari per far fronte ai pagamenti a corto termine. NdT] di Wall Street.
Questo stupido modello affaristico sarebbe scoppiato e imploso già da parecchio tempo se non avesse avuto la fortuna di essere accompagnato da un altrettanto stupido modello giudiziario chiamato "arbitraggio obbligatorio", che una volta Gloria Steinem ha definito “McJustice.” E in effetti non è dissimile dal metodo Burger King; Wall Street lo può preparare come vuole. In un sistema messo a punto dai giuristi di Wall Street, gl'intermediari non sono obbligati a rispettare la legge o la giurisprudenza consolidata, a mettere per esteso una decisione ragionata, o scegliere la giuria in un'ampia equa base, come si fa per scegliere una giuria popolare. Se ne occupano in maniera rutinaria sempre gli stessi addetti interni al settore.
Se ci fosse stato un processo in un'aula di tribunale aperta al pubblico, il fenomeno dei titoli sopravvalutati e senza valore e il corrotto modello affaristico sarebbero venuti alla luce prima di portare gli USA alla bancarotta finanziaria.Wall Street e i suoi accoliti a Washington sono ancora legati alla "regulatory capture" e la stupidità del modello è perfettamente messa in luce dalla recente fusione della Merrill Lynch, la società d'investimenti/intermediazione, con la Bank of America, la banca commerciale, e le discussioni in corso in vista della fusione della Morgan Stanley, la società d'investimenti/intermediazione, con una banca commerciale (nota per i Nemici dei contribuenti a Wall Street/Washington: si tratta di una copia del fallito modello messo a punto da Citigroup. Perché odiate gli Stati Uniti?)
E non fatevi illusioni: qualunque sia la somma che la prossima settimana verrà stanziata per comprare i debiti marci dalle banche e dalle società di Wall Street, sarà insufficiente. Si tratta solo di una benda su un tumore maligno.
Il tumore maligno è il CDS (Credit Default Swaps) con oltre 60 trilioni di dollari attualmente detenuti con contratti segreti su un mercato non regolamentato che è stato creato, finanziato e posseduto dagl'ideatori del modello stupido, le aziende di Wall Street (cfr. “How Wall Street Blew Itself Up,” CounterPunch, 21 gennaio 2008.)
L'attuale amministrazione non ha un piano onesto per aiutare gli Stati Uniti e i suoi cittadini. Ha solo un piano per rallentare il collasso finanziario fino a dopo le elezioni di novembre, che consiste nel fornire al sistema liquidità in quantità politicamente accettabile, continuando a imputargli l'incendio della casa. Se i cittadini americani permetteranno che ciò accada, si dimostreranno sostenitori di questo modello progettuale stupido. Prima che anche un solo penny delle nostre tasse venga speso in questo imbroglio, dobbiamo esigere un posto al tavolo dei negoziati (e penso che dovrebbe essere occupato da Ralph Nader) per discutere la rottura di Wall Street, la polverizzazione di questo modello, e la nascita di un nuovo modello al servizio dei singoli investitori e del mondo degli affari, che consenta ai nostri figli un futuro migliore di quello offertoci da questa repubblica delle banane.
Pam Martens ha lavorato a Wall Street per 21 anni; non ha securities position, a breve o lungo termine, in nessuna delle società citate nell'articolo. Scrive su temi d'interesse pubblico dalla sua casa nel New Hampshire e può essere raggiunta all'indirizzo pamk741@aol.com