Ma a pagarne le conseguenze non saranno solo gli arabi israeliani ma anche tutti quei cittadini ebrei laici che sembrano non accorgersi ancora della pericolosa china che il Paese sta prendendo, ottenebrati come sono dall'eterna propaganda sulla sicurezza e la lotta al cosiddetto terrorismo.
Israele verso la teocrazia?
di Mazzetta - Altrenotizie - 20 Luglio 2010
Mai come ora il mondo osserva con il fiato sospeso Israele, paese che sembra chiamato ad affrontare uno dei periodi più duri della sua breve e travagliata storia. La sfida è ancora più pericolosa perché proviene dall'interno, non sono i vicini (e meno vicini) arabi o islamici a promettere un futuro fosco, ma le dinamiche interne. Dall'avvento del governo Bush e dei neo-conservatori, Israele ha avuto mano libera e partecipato con entusiasmo alla War On Terror.
I premier israeliani, tutti ex-generali dell'esercito, hanno trovato in Washington l'alleato ideale per infierire sui vicini. Nessuna delle numerose aggressioni o attacchi israeliani ai paesi confinanti ha mai ricevuto una sanzione dal Dipartimento di Stato e nemmeno le due vere e proprie guerre-lampo scatenate contro il Libano e Gaza hanno sollevato critiche sostanziali o anche solo rumorose.
Nonostante questo, nessuno può fare a meno di notare che è almeno dagli anni '70 che nessun paese dell'area aggredisce Israele e che, da allora, il divario tra la potenza militare israeliana e alleata e i vicini potenzialmente ostili è aumentato in progressione geometrica.
Sono ormai un paio di decenni che nessun paese dell'area può coltivare velleità militari anti-israeliane, che sono anche fuori anche della portata di paesi come l'Iran, molto più grandi e popolosi di Israele, che però hanno spese militari non paragonabili, quasi sempre dedicate in gran parte al mantenimento del controllo interno e dei confini.
L'arroganza con la quale il governo israeliano affronta le critiche internazionali non aiuta, come non aiuta vedere Netanyahu raccontare sciocchezze smentite nel giro di qualche settimana dalla realtà e l'ossessivo ricorso alla forza militare come strumento per la soluzione dei problemi più diversi, fino a scatenare guerre per guadagnare voti.
La depressione universale delle sinistre negli stessi anni, non ha risparmiato Israele, dove l'opposizione a queste politiche avventuristiche e all'evidente spinta alla colonizzazione della West Bank a creare un “fatto compiuto”. Che é inaccettabile per chiunque non sia perso nel viaggio di quel nazionalismo a sfondo religioso che in Israele ha preso in ostaggio le fragili istituzioni democratiche, di fatto esautorate dal mantenimento di uno stato di guerra artificiale quanto eterno.
Da decenni Israele potrebbe evitare qualsiasi conflitto armato ed è evidente che i più recenti sono stati smaccatamente scatenati per basse ragioni di politica interna, perché alla popolazione in stato di guerra permanente devi dimostrare che sei disposto a fargliela pagare, a tutti quelli là fuori che ci vogliono distruggere.
Il problema per Israele è che a questa paranoia collettiva non si accompagnano solo le conseguenze già tradizionalmente preoccupanti degli unanimismi nazionalisti, ma che oggi i partiti d'ispirazione religiosa hanno decisamente preso il controllo di pezzi fondamentali delle istituzioni e stanno cercando di adeguare l'assetto istituzionale del paese alla loro visione dell'ebraismo e della sua interpretazione fondamentalista.
In un paese con sette milioni e mezzo di abitanti, due milioni di ortodossi pesano molto; a maggior ragione se poi il governo deve essere formato necessariamente da coalizioni di partiti, il più “pesante dei quali ha raccolto settecentocinquantamila voti e ventotto seggi sui centoventi disponibili. Partiti che raccolgono la metà di questi voti sono decisivi e ce ne sono almeno due che rivaleggiano nello spingere Israele vero il medioevo.
Sono arrivati al governo in massa con Netanyahu, che si è accollato una bella compagnia di fuori di testa insieme a “Terror” Lieberman, ministro degli esteri. Alla Knesset, il Parlamento, vola di tutto e attualmente c'è in discussione il tentativo da parte degli ortodossi di attribuire l'autorità sulle conversioni proprio al rabbinato ortodosso.
Un'idea folle che consegnerebbe agli ortodossi il potere di stabilire chi sia ebreo, almeno ai fini dell'acquisizione della cittadinanza israeliana. Un'azione che unita al tentativo di sopprimere la legge, che prevede la cittadinanza automatica ai discendenti di ebrei consegna un potere enorme agli ortodossi.
Come possa il governo Netanyahu svendere parte dello storico impianto ideologico-istituzionale e una peculiarità come la concessione della cittadinanza a una fazione religiosa, attiene sicuramente alla miseria degli scambi politici più bassi; ma questo genere di azioni si moltiplicano di mese in mese senza una significativa opposizione della popolazione non-ortodossa. Sul fronte interno l'unanimismo patriottico è marmoreo, chi non è d'accordo con il governo è contro Israele, un traditore.
La cosa non è piaciuta agli ebrei della diaspora, che hanno il loro peso, ma che all'interno della Knesset non ci sono e che pensano con sgomento all'idea di una Israele come casa degli ortodossi, che non sono d'accordo nemmeno sull'ebraicità di molte fazioni concorrenti che ritengono semplicemente impuri e contagiosi i laici.
Solo poche centinaia di persone partecipano ormai a manifestazioni per i diritti civili o contro la politica di colonizzazione o contro le ultime guerre e, spesso, sono soggetti ad aggressioni a sfondo politico o, più semplicemente, ad una rude repressione. Sembra che l'intero paese fatichi a rendersi conto di queste evoluzioni, sia perché ostaggio della paranoia, sia perché non è per niente facile fare opposizione o mostrarsi diversi quando ti definiscono traditore o ti sputano per strada.
Sono state proposte leggi che puniscono severamente chi simpatizzi per la campagna di boicottaggio ad Israele o per quei professori che condividano l'opinione dei loro colleghi internazionali sull'occupazione e si battono per contrastarla e, dove non arriva la censura militare, le cattive notizie s'infrangono su un'opinione pubblica a prima vista impermeabile a qualsiasi disfattismo.
In Israele oggi non ti sputano solo se dissenti, ti sputano anche se non sei abbastanza “modesto” e ti molestano in ogni maniera se non hai rispetto delle molteplici prescrizioni e credenze religiose dell'ortodossia.
Ci sono quartieri nei quali le donne devono sedere sul fondo degli autobus e nei quali non è bene per le signore avventurarsi esponendo le proprie grazie, pena insulti e aggressioni.
Il potere e l'influenza degli ortodossi dilaga, manifestano in massa ogni volta che sentono odor di sacrilegio e dove non ottengono il privilegio per vie legali, forzano la mano senza temere punizioni, che tanto non arrivano.
La loro ossessiva tendenza a regolamentare ogni aspetto della vita secondo le prescrizioni della Torah, tira dritto verso il medioevo, in direzione opposta alla storia della “unica democrazia”dell'area, verso una repubblica teocratica retta dal rabbinato ortodosso. Il fatto che Israele non abbia ancora una Costituzione, induce ulteriori preoccupazioni per l'ulteriore istituzionalizzazione dell'ingerenza religiosa nello stato.
Al nazionalismo si somma quindi il fanatismo religioso, con effetti perversi, ancora di più nelle colonie, dove spesso gli ortodossi costituiscono il nerbo degli insediamenti e il fertilizzante della loro crescita, visto che molti di loro non possono lavorare per precetto religioso e che apprezzano le famiglie numerose.
Alimentati dalle casse dello Stato come massa colonizzante al servizio dei generali, sono diventati forza di riferimento nell'imponente (per i numeri israeliani) trasferimento di popolazione oltre i confini riconosciuti, in quei territori che nessun paese o istituzione internazionale al mondo riconosce come israeliani.
Dice il rappresentante di Nordkin, una colonia vicino a Betlemme che ospita ortodossi e non, di origine russa, che l'insediamento ha rifiutato a grande maggioranza l'arrivo di famiglie non sufficientemente osservanti. A Nordkin, Lieberman ci ha preso casa e i non-ortodossi sembrano non aver voce in politica.
Così il rappresentante ufficiale della colonia, che vive e prospera grazie alla protezione e ai fondi di un paese che in teoria ripudia il razzismo, può dire senza timore di sanzioni o di sollevare scandalo che: “Il problema più grande é che, se accetti dieci famiglie nelle quali la madre non è ebrea, presto ci saranno trenta bambini e domani tuo figlio potrebbe innamorarsi della bella ragazza della porta accanto: è un vero problema. È già abbastanza difficile con le dozzine di terroristi che entrano ogni mattina”. (leggasi i palestinesi che lavorano per i coloni ndr).
E prosegue: “Dobbiamo separarci dai gentili nel commercio e in tutto il resto, soprattutto nel vivere con loro. Potrebbe portare all'assimilazione o all'idolatria. Apre la porta a ogni genere di problemi. Potrebbero spingerci a commettere peccati che gli ebrei normalmente non commettono, come l'idolatria, l'incesto e tutte le altre perversioni di ogni genere. Per questo qui non c'è posto per loro.” Questo delirante discorsetto è tradotto da Haaretz.com.
È appena il caso di far notare che le stesse parole pronunciate in un contesto occidentale sarebbero considerate razzismo puro, ancora di più se l'oggetto dell'ostracismo fossero famiglie respinte perché ebree. Questo è il contesto culturale e sociale prodotto dagli estremisti religiosi nella sua brutale pochezza.
Purtroppo gli ortodossi non si limitano ad auto-segregarsi, ma hanno la tendenza a considerare le loro regole come le uniche appropriate per Israele e si applicano moltissimo allo scopo, nelle più lontane colonie come nel centro della metropoli, Gerusalemme.
Per questo anche Anat Hofman, rappresentante di un gruppo di preghiera femminile, Le Donne del Muro, è stata prima aggredita e sputacchiata e poi arrestata per aver trasgredito una sentenza dell'Alta Corte che le vietava di leggere la Torah al Muro del Pianto, infrangendo un divieto stabilito ancora una volta dagli ortodossi che, da tempo, operano per a trasformare un monumento nazionale accessibile a tutti gli ebrei in un tempio all'interno del quale valgono le regole dell'ortodossia più stretta.
Una tale deriva spinge lontano dalle soluzioni auspicate internazionalmente o lontanamente accettabili per i palestinesi. Il sogno degli ortodossi è infatti un solo Stato dal quale siano possibilmente espulsi o emarginati tutti quelli non abbastanza ebrei, trasformando il paese in senso teocratico e provocando una frattura da antiche guerre di religione all'interno dell'ebraismo.
Una brutta aria per gli arabi israeliani, ma anche per gli altri israeliani, che al danno aggiungono la beffa di dover finanziare con le loro tasse lo stile di vita degli ortodossi, in gran parte a carico dello stato sociale. Di tutti i molteplici divieti uno solo è stato sollevato dal clero ortodosso, quello di arruolamento volontario nell'esercito per gli uomini, che al pari delle donne sono esentati dal servizio militare per motivi religiosi.
Le uniche forze in grado di contrastare questa inarrestabile avanzata sembrano gli Stati Uniti e quella, minore e comunque rilevante, della diaspora. Gli Usa garantiscono un ombrello legale con diritto di veto esercitato in automatico all'ONU e la protezione, l'assistenza militare e i finanziamenti dell'unica superpotenza mondiale.
C'è molto che gli Stati Uniti possono mettere sul piatto per far capire a Netanyahu e a Israele che la situazione si sta deteriorando oltre il tollerabile e che Israele nel medioevo non lo vuole nessuno.
L'Unione Europea si è già incamminata in quella direzione, ma l'amministrazione Obama ancora arranca, esita, intimorita dalla sfacciata doppiezza di Netanyahu e distratta altre questioni. Nemmeno il Segretario di Stato H. Clinton sembra avere lo spunto giusto. Forse a qualcuno Israele piace proprio così.
Ai tempi di Dayan e Begin si votava seguendo ordini di partito dettati dall'isteria bellica. Oggi nel parlamento israeliano spuntano come funghi leggi razziste e antidemocratiche. E la maggioranza è impegnata in un'irresponsabile caccia alla streghe contro deputati e cittadini arabi
Quando sono stato eletto per la prima volta alla Knesset, quello che ho trovato lì dentro mi ha scioccato. Ho scoperto che, con rare eccezioni, il livello intellettuale dei dibattiti era quasi pari a zero: una serie di cliché presi tra i luoghi più comuni.
Durante buona parte delle discussioni, l'assemblea era quasi vuota e la maggioranza dei partecipanti parlava un ebraico volgare. Durante il voto, molti membri non avevano idea per cosa stessero votando: seguivano l'ordine del partito.
Era il 1967, quando la Knesset aveva membri come Levy Eshkol e Pinchas Sapir, David Ben-Gurion e Moshe Dayan, Menachem Begin e Yohanan Bader, Meir Yaari e Yaakov Chazan. Tutte persone che hanno dato i propri nomi a strade e quartieri. Se comparato all'attuale Parlamento d'Israele, quella Knesset sembra l'Accademia di Atene.
Ciò che mi spaventò più di ogni altra cosa, fu la prontezza dei membri a varare leggi irresponsabili per conquistare popolarità, soprattutto al tempo dell'isteria di massa. Una delle mie prime iniziative alla Knesset, fu la presentazione di un progetto di legge che avrebbe istituito una seconda camera, una specie di Senato, composto da persone autorevoli, che avrebbe rallentato la messa in vigore di nuove leggi. Speravo che avrebbe prevenuto norme adottate in un'atmosfera di euforia.
La proposta di legge non fu presa in considerazione seriamente, sia dalla Knesset sia dall'opinione pubblica. La Knesset votò contro quasi all'unanimità (dopo qualche anno, molti membri mi confessarono che se ne erano pentiti). I quotidiani soprannominarono la camera che avevo proposto la «Camera dei Lord» e la ridicolizzarono. Ha'aretz vi dedicò una pagina di vignette: io ero raffigurato come un nobile inglese.
Così non c'è stato alcun freno. Abbiamo avuto un'esplosione di leggi irresponsabili, la maggior parte delle quali razziste e antidemocratiche. Quanto più il parlamento sta diventando un'assemblea di politicanti, tanto più diminuisce la possibilità di prevenire leggi di questo tipo. Il governo attuale, il più grossolano, spregevole e disprezzato nella storia di Israele, collabora con la Knesset che presenta queste leggi. Talvolta è il governo stesso a proporle.
L'unico ostacolo a tale sconsideratezza è la Corte Suprema. In assenza di una Costituzione scritta, l'annullamento di leggi scandalose che violano la democrazia e i diritti umani spetta a lei. Ma la stessa Corte Suprema è assediata da gente di destra che vuole distruggerla, quindi sta intervenendo solo nei casi più estremi.
In questo modo nasce una situazione paradossale: il parlamento, la più alta espressione di democrazia, rappresenta una gravissima minaccia per la democrazia israeliana. L'uomo che incarna questo fenomeno più di ogni altro è Michael Ben-Ari, membro della Knesset nel partito Unione nazionale, erede di Meir Kahane, la cui organizzazione «Kach» («Così») è stata messa fuorilegge per anni, perché di aperta ispirazione fascista.
Kahane fu eletto alla Knesset una volta. La reazione degli altri membri fu inequivocabile: quando cominciava a parlare, quasi tutto il resto dell'assemblea lasciava l'aula. Il rabbino doveva parlare davanti a una manciata di colleghi di estrema destra.
Qualche settimana fa ho fatto visita all'attuale Knesset per la prima volta dalla sua costituzione. Sono andato per ascoltare un dibattito su un tema a cui tengo molto: la decisione dell'Autorità palestinese di boicottare i prodotti degli insediamenti, una decina di anni dopo l'inizio del boicottaggio da parte di Gush Shalom. Ho trascorso qualche ora nell'edificio e di ora in ora la mia repulsione aumentava.
Il motivo principale è stato un fatto di cui non ero a conoscenza prima: Ben-Ari, il successore e ammiratore di Kahane, è considerato autorevole. E non solo non è isolato ai bordi della vita parlamentare, come il suo maestro, ma anzi è al centro dell'attenzione. Ho visto i membri di quasi tutti i partiti raccogliersi al bar attorno a lui o ascoltare assorti i suoi discorsi nel corso dell'assemblea.
Onorevole Zoabi, vattene a Gaza!
Recentemente, il paese ha assistito a una scena che assomiglia a certe scene dei parlamenti della Corea del sud o del Giappone. Haneen Zoabi del Balad, il partito nazionalista arabo, stava spiegando dalla tribuna perché si fosse unita alla flotta in aiuto di Gaza, poi attaccata dalla marina israeliana.
Anastasia Michaeli, membro del partito di Lieberman, si è alzata dalla sua sedia e si è fiondata verso la tribuna, emettendo urla raccapriccianti, agitando le braccia per allontanare Haneen Zoabi con la forza. Altri membri si sono alzati per aiutare Michaeli, mentre una folla terrorizzata si raccoglieva vicino allo speaker.
Gli uscieri hanno evitato che Zoabi si potesse fare male con grande difficoltà. Uno degli uomini membri dell'assemblea le ha urlato con una caratteristica miscela di razzismo e sessismo: «Vattene a Gaza, vedrai che possono fare lì a una donna nubile di 41 anni».
Non si può immaginare quanto distanti siano le storie dei due membri della Knesset. Haneen Zoabi viene da una famiglia le cui radici nella regione di Nazareth risalgono a molti secoli fa, forse al tempo di Cristo.
Anastasia Michaeli è nata a Leningrado, come si chiamava allora. È stata eletta «Miss San Pietroburgo» e poi è diventata una modella, ha sposato un israeliano, si è convertita all'ebraismo, è emigrata a Israele all'età di 24 anni ma ha mantenuto il suo nome estremamente russo. Ha avuto otto figli e potrebbe essere la Sarah Palin israeliana che, infatti, è stata anche lei reginetta di bellezza.
Per quanto ho potuto vedere, nemmeno un ebreo ha alzato un dito per difendere Zoabi durante la rissa. Nulla se non una protesta esitante dello speaker, Reuven Rivlin, e di un membro di Meretz, Chaim Oron.
Nei suoi 61 anni di attività, la Knesset non aveva mai visto una cosa del genere. In un minuto l'assemblea sovrana si è trasformata in una bolgia parlamentare di linciaggio.
Zoabi parla in maniera fluida e persuasiva. Si è laureata in due università israeliane, lotta per i diritti delle donne all'interno della comunità arabo-israeliana ed è il primo membro donna di un partito arabo nella Knesset.
La democrazia israeliana dovrebbe essere orgogliosa di lei. Fa parte di una grande famiglia araba allargata. Il fratello di suo nonno è stato sindaco di Nazareth, uno zio è stato vice-ministro e un altro giudice della Corte Suprema.
Via la pensione al deputato arabo
Questa settimana la Knesset ha deciso a larga maggioranza di adottare una proposta di Michael Ben-Ari, sostenuta dai membri del Likud e di Kadima, per privare Haneen Zoabi dei suoi privilegi da parlamentare.
Anche in passato il ministro degli Interni Eli Yishai aveva chiesto al consigliere legale del governo che venisse approvato il suo piano per togliere la cittadinanza israeliana a Zoabi per tradimento. Uno dei membri della Knesset le aveva gridato: «Non c'è posto per te nella Knesset di Israele! Non hai diritto al passaporto israeliano!».
Proprio lo stesso giorno, la Knesset prese un provvedimento contro il fondatore del partito di Zoabi, Azmi Bismara. In un'udienza precedente aveva approvato una proposta - anche questa sostenuta dai membri sia del Likud che di Kadima - che revocava la pensione a Bishara, che gli spettava dopo le sue dimissioni dalla Knesset (ora si trova all'estero, dopo essere stato minacciato con accuse di spionaggio).
Gli orgogliosi responsabili di queste iniziative, che godono di totale sostegno dei partiti di Likud, Kadima, Lieberman e di tutte le fazioni religiose, non nascondono la loro intenzione di cacciare gli arabi dal parlamento e fondare una Knesset totalmente ebrea e che duri a lungo.
Le ultime decisioni della Knesset fanno solo parte della campagna che ormai dura da tempo e che ogni settimana presenta nuove iniziative dei membri dell'assemblea affamati di popolarità. Loro sanno che più i provvedimenti sono razzisti e antidemocratici, più popolarità conquisteranno tra l'elettorato.
Come la decisione della Knesset di questa settimana: l'acquisizione della cittadinanza sarà condizionata sul giuramento di fedeltà del candidato verso uno «stato ebraico e democratico», chiedendo agli arabi (soprattutto agli arabi stranieri coniugi di cittadini arabi) di aderire così all'ideologia sionista. Sarebbe come chiedere ai nuovi americani di giurare fedeltà agli Stati Uniti in quanto «stato di Anglosassoni bianchi protestanti».
Sembra che non ci sia limite all'irresponsabilità di questo governo. Tutte i confini sono stati oltrepassati tanto tempo fa. Questo non interessa solo la rappresentazione parlamentare di più del 20% dei cittadini di Israele, ma è una tendenza crescente che tende a privare tutti i cittadini arabi della loro cittadinanza.
Questa tendenza è legata all'attacco continuo alle condizioni di vita degli arabi a Gerusalemme est.
Questa settimana ero presente all'udienza del tribunale di Gerusalemme sulla detenzione da parte di Israele di Muhammed Abu Ter, uno dei quattro membri di Hamas al Parlamento palestinese. L'udienza si è tenuta in una stanza piccola con una decina di posti a sedere. Con molta difficoltà sono riuscito a entrare.
Dopo essere stati eletti democraticamente, in conformità con l'obbligo esplicito sancito dagli accordi di Oslo che permette agli arabi di Gerusalemme est di prendere parte alle elezioni, il governo ha annunciato che la loro condizione di «residenti permanenti» era stata revocata.
Cosa significa? Quando Israele ha «annesso» Gerusalemme est nel 1967, il governo non si sognava nemmeno di conferire la cittadinanza ai suoi abitanti, perché questo avrebbe significato un aumento della percentuale di arabi votanti a Israele.
E nemmeno si creò un nuovo status per loro. Non avendo alternative, gli abitanti divennero «residenti permanenti», una condizione inventata per gli stranieri che vogliono stare in Israele. Il ministero degli Interni ha il diritto di revocare questo status e di deportare queste persone ai loro paesi di origine.
Residenti di serie Z
È chiaro che questa definizione di «residenti permanenti» non si dovrebbe applicare agli abitanti di Gerusalemme est. Loro, e i loro antenati, sono nati là, non hanno né un'altra cittadinanza e nemmeno un altro luogo di residenza. La revoca del loro status li trasforma in «senzatetto» da un punto di vista politico, senza alcuna protezione.
L'accusa ha sostenuto che con la revoca della condizione di «residente permanente», Abu Ter è diventato una «persona illegale» il cui rifiuto a lasciare la città giustifica la detenzione a tempo indeterminato. (Qualche ora prima, la Corte Suprema si occupava della nostra petizione in merito all'indagine sull'incidente della Flotilla. Abbiamo raggiunto una parziale, ma significativa, vittoria: per la prima volta nella sua storia, la Corte Suprema ha deciso che potrà interferire con il lavoro di una commissione di inchiesta. La Corte ha deciso che se la commissione richiede la testimonianza di ufficiali militari e il governo cerca di impedirlo, la corte potrà intervenire).
Se alcune persone stanno cercando di illudersi che la bolgia parlamentare penalizzerà solo gli arabi, queste persone si sbagliano. L'unica domanda è: chi sarà il prossimo?
Questa settimana la Knesset ha dato una prima lettura a una proposta di legge che impone pesanti sanzioni a chi supporterà il boicottaggio di Israele, in generale, e verso imprese economiche, università e altre istituzioni israeliane, compresi gli insediamenti, in particolare.
Ogni istituzione avrà diritto a una indennità di 5000 dollari per ogni sostenitore del boicottaggio.
L'invito al boicottaggio è un mezzo di espressione democratico. Sono contrario a un boicottaggio generale nei confronti di Israele ma, seguendo Voltaire, sono pronto a combattere per il diritto di tutti a proporre un boicottaggio di questo tipo.
Il vero scopo della legge è senza dubbio la protezione degli insediamenti: è pensato per fermare coloro che vogliono boicottare i prodotti degli insediamenti nei territori occupati al di fuori ai confini dello stato. Perciò riguarda me e i miei amici.
Dalla sua fondazione, Israele non ha mai smesso di vantarsi di essere «l'unica democrazia del Medio Oriente». Questo è il gioiello sulla corona della propaganda israeliana. La Knesset è il simbolo di questa democrazia.
Sembra che la bolgia parlamentare, che ha preso il posto della Knesset, voglia distruggere questa immagine una volta per tutte, per fare in modo che Israele trovi il suo posto da qualche parte tra la Libia, lo Yemen e l'Arabia Saudita.