lunedì 20 giugno 2011

Siria update

Oggi il presidente siriano Bashar al-Assad ha tenuto un discorso televisivo al Paese, il terzo dall'inizio delle rivolte iniziate il 18 marzo scorso.

Alcuni estratti del discorso: "È pronta una commissione per la legge contro la corruzione [...] È prevista anche una riforma costituzionale per cambiare alcuni articoli e le leggi proposte ora serviranno proprio a fare questa riforma. Ma alla base di tutto ci vorrà il dialogo nazionale. Sono convinto che la nuova legge sulle amministrazioni locali risolverà molti problemi [...] C'è chi chiede che la riforma della legge elettorale sia fatta prima delle elezioni, ma per fare questo è necessario rinviare le prossime consultazioni parlamentari [...] Il complotto ci rende più forti [...] Non è certo la prima volta che la Siria è oggetto di un complotto, sin dal periodo pre-indipendenza (1946, ndr) [...] Chi c'è dietro il complotto? Intellettuali radicali e blasfemi che stanno scatenando il caos in nome della libertà. Alcuni di questi intellettuali sono pagati per filmare le manifestazioni di protesta nel Paese e per comunicare con i mezzi di informazione. Altri sono pagati per partecipare alle stesse manifestazioni, ma appresentano una fetta molto piccola del popolo siriano. Hanno fatto ricorso ad azioni armate, sono loro che hanno perpetrato questi massacri efferati che abbiamo visto in televisione [...] Quel che i sabotatori hanno provato a fare a Jisr ash Shughur ha costituito una svolta nella loro strategia, che si era rivelata vana nelle settimane precedenti, ma grazie all'intervento dell'esercito i tentativi di seminare il caos e la fitna (sedizione confessionale, ndr) sono falliti [...] I soldati hanno trovato a Jisr ash Shughur e a Maarrat an Numan armi ultra moderne, strumentazioni sofisticate all'interno di Jeep [...] I sabotatori volevano condurre un altro massacro a Maarrat an Numan contro altri agenti, che sono stati però protetti dai residenti [...] Ho chiesto al ministero della Giustizia di verificare la possibilità di concedere un'altra amnistia generale senza che la sicurezza dello Stato venga compromessa ".

Inoltre ha invitato i profughi siriani in Turchia fuggiti da Jisr ash Shughur a "tornare alle loro case e non temere alcuna rappresaglia da parte dell'esercito. I profughi hanno la mia parola: l'esercito è lì per assicurare la loro sicurezza e mi auguro che tornino presto a Jisr ash Shughur e negli altri villaggi".

Quando un intervento della NATO in Siria?...


Il piano di destabilizzazione della Siria
di Thierry Meyssan - www.voltairenet.org - 14 giugno 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIOVANNI DALL'ASTA

Le operazioni condotte contro Libia e Siria mettono in campo i medesimi attori e le stesse strategie. Ma i risultati nei due casi sono molto differenti dal momento che queste nazioni non sono paragonabili tra loro. Thierry Messyan analizza questo mezzo scacco delle forze coloniali e contro-rivoluzionarie e prevede un nuova reazione violenta nel mondo arabo.

Il tentativo di colpo di stato ai danni del governo siriano ricorda per diversi punti quello che è stato provato in Libia, benché i risultati siano molto differenti in ragione delle particolarità sociali e politiche.

Il progetto di colpire simultaneamente questi due stati era stato annunciato il 6 maggio 2002 da John Bolton quand’era Vicesegretario di Stato dell’amministrazione Bush, e la sua realizzazione da parte dell’amministrazione Obama nove anni più tardi, nel contesto del risveglio arabo, non è priva di problemi.

Così come in Libia, il piano iniziale mirava a favorire un colpo di stato militare, ma si è rapidamente dimostrato impossibile trovare gli ufficiali adatti allo scopo. Secondo le nostre informazioni, un piano pressoché identico è stato preso in considerazione per il Libano.

In Libia era nata l’idea del complotto e il colonnello Gheddafi aveva fatto arrestare il Colonnello Abdhallah Gehani [1]. In ogni caso, il piano originale è stato necessariamente rivisto nel contesto inatteso della “Primavera Araba”.

L’azione militare

L’idea principale era quindi di provocare dei tumulti in una zona molto delimitata e di proclamarvi un emirato islamico che potesse servire da base per lo smantellamento del paese.
La scelta del distretto di Daraa si spiega perché è confinante sia con la Giordania che con il Golan occupato da Israele. Sarebbe stato così possibile approvvigionare i secessionisti.

È stato creato artificialmente un incidente chiedendo a degli studenti di iniziare delle provocazioni. La cosa ha funzionato al di là di ogni aspettativa, tenuto conto della brutalità e della stupidità del governatore e del capo della polizia locale.

Nel momento in cui sono iniziate le manifestazioni, dei cecchini sono stati piazzati sui tetti per sparare a caso tra la folla e tra le forze dell’ordine: uno scenario identico a quello impiegato a Bengasi per suscitare la rivolta.

Altri scontri sono stati pianificati, sempre nei distretti di confine per garantire una base arretrata, dapprima alla frontiera nord del Libano, poi a quella turca.

I combattimenti sono stati portati avanti da piccole unità, composte spesso da una quarantina di uomini tra persone reclutate sul posto e nuclei di mercenari stranieri provenienti dalle reti del principe saudita Bandar bin Sultan. Bandar stesso è venuto in Giordania a supervisionare l’inizio delle operazioni relazionandosi con ufficiali, sia della CIA che del Mossad.

Ma la Siria non è la Libia e il risultato è stato opposto. In effetti, mentre la Libia è una nazione creata dalle potenze coloniali, unendo con la forza Tripolitania, Cirenaica e Fezzam, la Siria è una nazione storica ridotta alla sua più semplice espressione dalle stesse potenze coloniali.

La Libia è dunque spontaneamente soggetta all’azione di forze centrifughe, mentre diversamente la Siria attira forze che sperano di ricostruire la Grande Siria (che comprenderebbe Giordania, Palestina occupata, Libano, Cipro ed una parte dell’Iraq). La popolazione dell’attuale Siria può solo opporsi ai progetti di suddivisione.

D’altra parte si può confrontare l’autorità del colonnello Gheddafi e quella di Hafez el-Assad, padre di Bachar. Arrivati al potere nello stesso periodo, hanno utilizzato intelligenza e brutalità per imporsi.

Al contrario però, Bachar el-Assad non ha preso il potere e non voleva prenderlo. Ha accettato questo compito alla morte di suo padre solo perché suo fratello era morto e solo una successione in famiglia avrebbe evitato una guerra di successione tra i generali di suo padre.

Se esponenti dell’esercito sono venuti a cercarlo a Londra dove esercitava tranquillamente la professione di oftalmologo, significa che è stato il suo stesso popolo ad armarlo. Egli è incontestabilmente il leader politico più popolare in Medio Oriente. Fino a due mesi fa era anche l’unico che si spostava senza scorta e che non evitava i bagni di folla.

L’operazione militare di destabilizzazione della Siria e la campagna di propaganda che l'ha accompagnata sono state organizzate da una coalizione di paesi sotto il coordinamento USA, proprio come la NATO coordina stati membri e non dell’Alleanza per bombardare e stigmatizzare la Libia.

Come indicato sopra, i mercenari sono stati messi a disposizione dal principe Bandar bin Sultan, che è stato improvvisamente costretto a intraprendere un viaggio internazionale fino in Pakistan e Malesia per ingrandire la sua armata personale spiegata da Manama a Tripoli.

Si può citare a titolo di esempio l’installazione di un centro di telecomunicazioni apposito nei locali del Ministero libanese delle Telecomunicazioni. Ben lungi dall’incitare la popolazione contro il regime, questo bagno di sangue ha provocato un sussulto di spirito nazionalista attorno al presidente Bachar el-Assad. I siriani, consapevoli che si cerca di spingerli in una guerra civile, hanno fatto blocco.

L'insieme delle manifestazioni anti-governative hanno riunito dalle 150 alle 200 mila persone su una popolazione di 22 milioni di abitanti. Al contrario le manifestazioni a favore del governo hanno radunato folle come il paese non aveva mai visto.

Le autorità hanno reagito agli avvenimenti con sangue freddo. Il presidente ha quindi realizzato le riforme che era già intenzionato a intraprendere da tempo e che la maggior parte della popolazione frenava solo per evitare di occidentalizzare la società.

Il partito Baas ha accettato il multipartitismo solo per non scivolare nell’anarchia. L’esercito non ha represso i manifestanti, contrariamente a quanto hanno riferito i mezzi di informazione occidentali e sauditi, ma ha semplicemente combattuto i gruppi armati.

Sfortunatamente gli ufficiali superiori che erano stati formati in Unione Sovietica non hanno dato prova di gestire efficacemente i civili presi tra due fuochi.

La guerra economica

La strategia occidentale-saudita a questo punto si è evoluta. Dal momento che Washington si è resa conto che l’azione militare non riusciva velocemente a portare il paese nel caos, ha deciso di agire a livello sociale nel medio termine.

L’idea è che la politica del governo di al-Assad stesse creando una classe media (unica garanzia efficace di democrazia) e che fosse possibile rigirargli contro questa stessa classe media. Per fare questo occorreva causare un crollo economico del paese.

Ora, la principale risorsa della Siria è il suo petrolio, anche se la produzione non è confrontabile ai volumi di quella dei ricchi paesi vicini. Per la commercializzazione occorre disporre di asset nelle banche occidentali in grado di servire da garanzia durante le transazioni.

Era sufficiente congelare questi beni per soffocare il paese. Occorreva dunque screditare l’immagine della Siria per far accettare alle popolazioni occidentali delle “sanzioni contro il regime”.

Al principio il congelamento dei beni richiedeva una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma la cosa era molto improbabile. La Cina, che era già stata costretta a rinunciare al suo diritto di veto in occasione dell’attacco alla Libia sotto la minaccia di perdere il petrolio saudita, non avrebbe potuto probabilmente opporsi.

Ma la Russia sì, e in conseguenza di questo avrebbe perso la sua base navale nel Mediterraneo e avrebbe visto la sua flotta del Mar Nero rimandata oltre lo Stretto dei Dardanelli. Per intimidirla, il Pentagono ha impiegato l’incrociatore USS Monterrey nel Mar Nero per mostrare in ogni modo che le ambizioni navali russe sono poco realiste.

Sia quel che sia, l’amministrazione Obama può risuscitare il Syrian Accountable Act del 2003 per congelare i beni siriani senza aspettare una risoluzione dell’ONU o richiedere il voto al Congresso. La storia recente ha mostrato, in particolare a proposito di Cuba e Iran, che Washington può agevolmente convincere i suoi alleati europei ad allinearsi sulle sanzioni prese in modo unilaterale.

È per questo che oggi la vera posta in gioco si sposta dal campo di battaglia a quello dei media. L’opinione pubblica occidentale scambia più facilmente lucciole per lanterne di quanto non creda, non conoscendo granché della Siria e restando abbagliata dal fascino delle nuove tecnologie.

La guerra mediatica

In primo luogo la campagna di propaganda focalizza l’attenzione del pubblico sui crimini attribuiti al “regime” per evitare qualsiasi domanda a proposito di questa nuova opposizione.

Questi gruppi armati non hanno in effetti niente in comune con gli intellettuali contestatori che prepararono la Dichiarazione di Damasco. Provengono dagli ambienti estremisti sunniti.

Questi fanatici respingono il pluralismo religioso dell’est e sognano uno stato che assomiglia a loro. Non combattono il presidente Bachar el-Assad perché lo trovano troppo autoritario, ma perché è alauita, come dire eretico ai loro occhi.
Da allora la propaganda anti-Bachar si è basata sul rovesciamento della realtà.

A divertente titolo di esempio, ricordiamo il caso del blog Gay Girl in Damascus creato nel febbraio scorso.

Questo sito Internet realizzato in lingua inglese dalla giovane Amina è diventato una fonte per molti media atlantici. L’autrice vi descriveva le difficoltà di una giovane lesbica di vivere sotto la dittatura di Bachar e la terribile repressione della rivoluzione in corso.

Femmina e lesbica, godeva della simpatia protettrice degli internauti occidentali che si mobilitarono quando venne annunciato il suo arresto da parte dei servizi segreti del “regime”.

Tuttavia, si è poi appurato che questa Amina, in realtà, non è mai esistita. Rintracciato dal suo indirizzo IP, il vero autore di questa finzione era uno “studente” americano di 40 anni, Tom Mc. Master.

Questo personaggio, già identificato per preparare un dottorato in Scozia, era presente in occasione del Congresso dell’opposizione pro-occidentale in Turchia che causò un intervento della NATO. Evidentemente non era lì solo in qualità di studente [2].

La cosa più sorprendente in questa storia non è l’ingenuità degli internauti che hanno creduto alle falsità della pseudo-Amina, ma la mobilitazione dei difensori delle libertà per difendere quelli che in realtà li combattono.

Nella Siria laica, la vita privata è considerata sacra. L’omosessualità, vietata negli scritti, non è invece repressa. Può essere difficile da vivere in seno alla famiglia, ma non nella società.

Al contrario, coloro che i media occidentali presentano come rivoluzionari e che noi consideriamo invece contro-rivoluzionari sono, essi sì, violentemente omofobi.
Si ripropongono addirittura di instaurare delle punizioni corporali, fino ad arrivare alla pena di morte, per punire questo “vizio”.

Questo principio di inversione è applicato su larga scala. Tornano alla mente i rapporti dell’ONU sulla crisi umanitaria in Libia: decine di migliaia di lavoratori immigrati lasciano il paese per sfuggire alle violenze. I media atlantici ne avevano ricavato che il “regime” di Gheddafi doveva essere rovesciato e che occorreva sostenere gli insorti di Bengasi.

Ora, non era il governo di Tripoli il responsabile di questo dramma, ma i sedicenti rivoluzionari della Cirenaica che davano la caccia alle persone di colore. Mossi da un’ideologia razzista, li accusavano di essere tutti al servizio del colonnello Gheddafi e appena ne catturavano uno, veniva sottoposto a linciaggio.

In Siria, le immagini dei gruppi armati appostati sui tetti che sparano a caso sulla folla e sulle forze dell’ordine sono state diffuse dalla televisione nazionale. Queste stesse immagini sono state riprese anche dalle catene televisive occidentali e saudite per attribuire questi crimini al governo di Damasco.

In definitiva il piano di destabilizzazione della Siria funziona in modo imperfetto. È riuscito a convincere l’opinione pubblica occidentale che questo paese è sotto il giogo di una terribile dittatura, ma ha rinsaldato la maggioranza della popolazione al suo governo. Tutto questo potrebbe rivelarsi pericoloso per chi ha concepito questo piano, in particolar modo per Tel Aviv.

Abbiamo recentemente assistito tra il gennaio e il febbraio di quest’anno a un’ondata rivoluzionaria nel mondo arabo, seguita tra aprile e maggio da un’ondata controrivoluzionaria. Il pendolo non ha ancora terminato il suo movimento.

Note:

[1] « La France préparait depuis novembre le renversement de Kadhafi », par Franco Bechis, Réseau Voltaire, 24 mars 2011.
[2] « Propagande de guerre : la bloggeuse gay de Damas », Réseau Voltaire, 13 juin 2011



La destabilizzazione della Siria e la guerra del grande Medio Oriente
di Michel Chossudovsky - http://globalresearch.ca - 17 Giugno 2011
Traduzione di Alessandro Lattanzio

Ciò che si sta svolgendo in Siria è una insurrezione armata, sostenuta segretamente da potenze straniere tra cui Stati Uniti, Turchia e Israele.

Insorti armati, appartenenti ad organizzazioni islamiste hanno attraversato il confine con la Turchia, Libano e Giordania.

Il Dipartimento di Stato statunitense ha confermato che sostiene l’insurrezione. Gli Stati Uniti ampliano i contatti con i siriani che contano sul cambiamento di regime nel paese.

Lo ha detto la funzionaria del Dipartimento di Stato USA Victoria Nuland. “Abbiamo iniziato a espandere i contatti con i siriani che chiedono il cambiamento, sia all’interno che all’esterno del paese“, ha detto.

Nuland ha anche ripetuto che Barack Obama aveva già invitato il presidente siriano Bashar Assad ad avviare le riforme o a dimettersi dal potere.” (Voce della Russia, 17 giugno 2011)

La destabilizzazione della Siria e del Libano, come paesi sovrani, è sul tavolo dell’alleanza militare USA-NATO-Israele da almeno dieci anni. L’azione contro la Siria è parte di una “roadmap militare“, una sequenza di operazioni militari.

Secondo l’ex comandante generale della NATO, Wesley Clark, il Pentagono aveva chiaramente individuato Iraq, Libia, Siria e Libano come paesi bersaglio di un intervento USA-NATO:

[La] campagna quinquennale [include] … un totale di sette paesi, a iniziare dall’Iraq, quindi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan” (Un funzionario del Pentagono citato dal generale Wesley Clark)

In “Winning Modern Wars” (pagina 130) il generale Wesley Clark afferma quanto segue:

Tornando indietro, al Pentagono nel novembre 2001, uno degli alti ufficiali militari ebbe il tempo per una chiacchierata. Sì, eravamo ancora in pista per andare contro l’Iraq, mi disse. Ma c’era di più. Questo era oggetto di discussione nell’ambito di un piano quinquennale, ha detto, in cui c’era un totale di sette paesi, a cominciare dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan. … Lo disse con rimprovero – con incredulità, quasi – sull’ampiezza della visione. Ho spostato la conversazione, questo non era qualcosa che volevo sentire. E non neanche era qualcosa che volevo vedere andare avanti. … Ho lasciato il Pentagono quel pomeriggio, profondamente preoccupato“.

L’obiettivo è quello di destabilizzare lo Stato siriano e implementare il “cambio di regime” attraverso il sostegno occulto all’insurrezione armata delle milizie islamiche. I rapporti sui morti civili sono utilizzati per fornire un pretesto e una giustificazione per l’intervento umanitario, in base al principio della “responsabilità nel proteggere“.

Disinformazione Mediatica

Tacitamente riconosciuto, l’importanza di una insurrezione armata è casualmente lasciata cadere dai media occidentali. Se dovesse essere riconosciuta e analizzata, la nostra comprensione degli avvenimenti in corso sarebbe completamente diversa.

Quanto è abbondantemente esposto, è che le forze armate e la polizia sono coinvolte nell’uccisione indiscriminata di manifestanti inermi. Notizie della stampa confermano, tuttavia, fin dall’inizio del movimento di protesta, un conflitto a fuoco tra ribelli armati e la polizia, con perdite da entrambe le parti.

L’insurrezione è iniziata a metà marzo nella città di confine di Daraa, che si trova a 10 km dal confine giordano. Il “movimento di protesta” di Daraa, il 18 marzo, aveva tutte le apparenze di un evento organizzato che coinvolge, con ogni probabilità, il sostegno segreto ai terroristi islamici dal Mossad e/o delle intelligence occidentali.

Fonti governative indicano il ruolo dei gruppi salafiti radicali (sostenuti da Israele). Altre relazioni hanno sottolineato il ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziamento del movimento di protesta.

Quello che è si è svolto a Daraa, nelle settimane successive agli scontri violenti iniziati il 17-18 marzo, è il confronto tra la polizia e le forze armate da un lato, e unità armate di terroristi e cecchini dall’altra, che hanno infiltrato il movimento di protesta.

Ciò che è chiaro da questi rapporti iniziali, è che molti dei manifestanti non erano manifestanti, ma terroristi coinvolti in atti premeditato di assassinio e di incendi dolosi. Il titolo della notizia israeliana riassume quello che è successo: Siria: sette poliziotti uccisi, Edifici incendiati nelle Proteste. (Si veda Michel Chossudovsky, SYRIA: Who is Behind The Protest Movement? Fabricating a Pretext for a US-NATO “Humanitarian Intervention“, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24591 Global Research, 3 maggio 2011)

Il ruolo della Turchia

Il centro dell’insurrezione si è spostato nella piccola città di confine di Jisr al-Shughour, a 10 km dal confine turco. Jisr al-Shughour ha una popolazione di 44.000 abitanti. Insorti armati hanno attraversato il confine con la Turchia.

I membri dei Fratelli Musulmani sono stati segnalati avere preso le armi, nel nord-ovest della Siria. Ci sono indicazioni che militari e l’intelligence turchi supportano queste incursioni. Non c’era alcun movimento di protesta civile di massa a Jisr al-Shughour.

La popolazione locale è stata presa nel fuoco incrociato. I combattimenti tra ribelli armati e forze governative ha contribuito a innescare la crisi dei profughi, che è al centro dell’attenzione dei media.

Al contrario, nella capitale della nazione Damasco, dove si trova il cardine dei movimenti sociali, ci sono state manifestazioni di massa a sostegno piuttosto che in opposizione al governo. Il presidente Bashir al-Assad viene erroneamente paragonato ai presidenti Ben Ali di Tunisia, e Hosni Mubarak d’Egitto.

Quello che i media mainstream non sono riusciti a menzionare è che, nonostante la natura autoritaria del regime, il presidente al-Assad è una figura popolare che ha l’ampio sostegno della popolazione siriana.

La grande manifestazione a Damasco del 29 marzo, “con decine di migliaia di sostenitori” (Reuters) del presidente al-Assad, è stata appena menzionata. Eppure, in modo insolito, le immagini e le riprese video di alcune manifestazioni filo-governative sono stati utilizzati dai media occidentali per convincere l’opinione pubblica internazionale che il Presidente aveva contro una massiccia manifestazione antigovernativa.

Sebbene il regime siriano non sia affatto democratico, l’obiettivo dell’alleanza militare USA-NATO, in accordo con Israele, non è promuovere la democrazia. Tutto il contrario.

L’intenzione di Washington è quello d’installare alla fine un regime fantoccio. L’obiettivo della disinformazione mediatica è demonizzare il presidente al-Assad, e più in generale, destabilizzare la Siria quale stato laico.

Quest’ultimo obiettivo viene attuato attraverso il sostegno segreto a varie organizzazioni islamiste: La Siria è gestita da una oligarchia autoritaria che ha usato la forza bruta nei rapporti con i cittadini. I disordini in Siria, tuttavia, sono complessi. Non possono essere visti come una semplice ricerca della libertà e della democrazia.

C’è stato un tentativo da parte degli Stati Uniti e dell’UE, di utilizzare i disordini in Siria per fare pressione e intimidire la leadership siriana. Arabia Saudita, Israele, Giordania, e l’Alleanza del 14 Marzo, hanno avuto un ruolo nel sostenere l’insurrezione armata.

Le violenze in Siria sono state sostenute dall’estero, con l’obiettivo di sfruttare le tensioni interne… A parte la reazione violenta dell’esercito siriano, i media hanno mentito e dei filmati fasulli sono stati mandati in onda.

Denaro e armi sono stati incanalati a elementi dell’opposizione siriana dagli Stati Uniti, dall’Unione europea… finanziando inoltre dei minacciosi e impopolari esponenti dell’opposizione siriana residenti all’estero, mentre armi sono state contrabbandate dalla Giordania e dal Libano alla Siria. (Mahdi Darius Nazemroaya, America’s Next War Theater: Syria and Lebanon? http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=25000, Global Research, 10 giugno 2011)

L’accordo militar-spionistico Israele-Turchia

La geopolitica di questo processo di destabilizzazione ha una vasta portata. La Turchia è impegnata nel sostenere i ribelli. Il governo turco ha sancito i gruppi di opposizione siriana in esilio, che sostengono l’insurrezione armata. Inoltre, la Turchia fa pressione su Damasco, per conformarsi alle richieste di Washington di cambio di regime.

La Turchia è un membro della NATO, con una potente forza militare. Inoltre, Israele e Turchia hanno da tempo un comune accordo militare e d’intelligence, che è esplicitamente diretto contro la Siria.

Un protocollo d’intesa del 1993 ha portato alla creazione di “comitati congiunti” (turco-israeliani) per gestire le cosiddette minacce regionali. Secondo i termini del Memorandum, la Turchia e Israele hanno accettato “di collaborare nella raccolta d’intelligence su Siria, Iran e Iraq, e di riunirsi regolarmente per la condivisione delle valutazioni riguardo al terrorismo e le capacità militari di questi paesi.”

La Turchia ha accettato di permettere alle IDF e alle forze di sicurezza israeliane lo spionaggio elettronico su Siria e Iran dalla Turchia. In cambio, Israele collaborava all’equipaggiamento e all’addestramento delle truppe turche nell’anti-terrorismo lungo i confini siriani, iracheni e iraniani.

Già durante l’amministrazione Clinton, un’intesa militare triangolare tra Stati Uniti, Israele e Turchia era stata presentata. Questa “triplice alleanza“, dominata dall’US Joint Chiefs of Staff, integra e coordina le decisioni dei comandi militari tra i tre paesi, pertinenti al più grande Medio Oriente. Si basa sugli stretti legami militari, rispettivamente di Israele e Turchia con gli Stati Uniti, accoppiati a un forte rapporto bilaterale militare tra Tel Aviv e Ankara. ….

La triplice alleanza è anche accoppiata all’accordo di cooperazione militare del 2005 tra NATO-Israele, che riguarda “molte aree di interesse comune, come la lotta contro il terrorismo e le esercitazioni militari congiunte”.

Questi legami di cooperazione militare con la NATO sono visti dai militari israeliani come un mezzo per “rafforzare la capacità di deterrenza d’Israele verso potenziali nemici che lo minaccino, soprattutto l’Iran e la Siria.” (Vedi Michel Chossudovsky, “Triple Alliance”: The US, Turkey, Israel and the War on Lebanon, 6 agosto 2006)

Il sostegno segreto agli insorti armati dalla Turchia o dalla Giordania, sarebbe senza dubbio coordinata nell’ambito dell’accordo d’intelligence e militare tra Israele e Turchia.

Crocevia pericoloso: La guerra nel grande Medio Oriente

Israele e la NATO hanno firmato un ampio accordo di cooperazione militare nel 2005. Secondo questo accordo, Israele è considerato un membro de facto della NATO.

Se un’operazione militare dovesse essere lanciata contro la Siria, Israele sarebbe con ogni probabilità coinvolto nelle operazioni militari a fianco delle forze della NATO (sotto l’accordo bilaterale NATO-Israele). Anche la Turchia svolgerebbe un attivo ruolo militare.

Un intervento militare in Siria per falsi motivi umanitari, porterebbe a un escalation della guerra USA-NATO su su una vasta area, che si estende dal Nord Africa e dal Medio Oriente all’Asia centrale, dal Mediterraneo orientale al confine occidentale della Cina con l’Afghanistan e il Pakistan.

Contribuirebbe anche al processo di destabilizzazione politica in Libano, Giordania e Palestina. Sarebbero così poste le basi anche per un conflitto con l’Iran.