lunedì 27 giugno 2011

Update afghano

Un aggiornamento sul fallimento della NATO in Afghanistan, a pochi giorni dal discorso del presidente degli Stati Uniti Obama con cui ha annunciato il piano di ritiro progressivo dei suoi soldati da completare entro 3 anni.

La verità sul campo è la solita di sempre: i talebani pian piano stanno riprendendo il controllo dell'intero Paese e giustamente hanno liquidato come un mero "passo simbolico" l'annuncio di Obama e definito "privi di fondamento" i progressi vaneggiati dalla Casa Bianca in Afghanistan.

Inoltre i talebani hanno pienamente ragione a mettere il dito nella piaga, accusando l'amministrazione Obama di "dare continuamente false speranze alla sua nazione sulla fine della guerra e di parlare di vittoria senza alcun fondamento".


Gli Stati uniti finalmente parlano con il nemico
di Amir Mir* - Asia Times - 22 Giugno 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Reio

ISLAMABAD - Circa dieci anni dopo gli attacchi dell'11 settembre negli Stati Uniti e la successiva invasione dell'Afghanistan alla fine del 2011 da parte della coalizione guidata dagli USA, i militari statunitensi, con le loro bombe a grappolo e le armi super-tecnologiche, potrebbero aver riconosciuto il proprio fallimento nel tentativo di stanare i talebani afghani e stanno obbligando Washington ad avviare trattative di pace con quelle milizie, prima stigmatizzate e braccate, per garantire una soluzione negoziata del conflitto.

Le forze alleate stanziate in Afghanistan si sono rese conto che lasciare il paese non è possibile senza prima negoziare con i talebani. In un’eventuale significativa tappa verso l'apertura a dei colloqui di pace, il 17 giugno il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha votato per togliere i talebani afghani dalla lista nera dove figuravano assieme al-Qaeda.

Il motivo di questa iniziativa delle Nazioni Unite è quello di mandare il messaggio che al-Qaeda e i talebani hanno preso strade diverse e che i due gruppi non devono più essere considerati alla stessa maniera. Senza tutto questo, per gli Stati Uniti e le altre potenze straniere in Afghanistan, sarebbe stato molto problematico giustificare un piano eventuale per accordarsi con i talebani.

I dettagli delle liste separate per le sanzioni erano contenuti in due risoluzioni redatte dagli Stati Uniti, adottate all'unanimità dai quindici paesi del Consiglio di Sicurezza. Una risoluzione ha stilato una lista nera per i talebani e una per al-Qaeda che contiene i divieti personali per gli spostamenti e il congelamento dei beni.

"Gli Stati Uniti credono che queste nuovo regime di sanzioni contro l'Afghanistan sarà un ottimo strumento per promuovere la riconciliazione e per isolare gli estremisti", ha detto l'ambasciatore degli Stati Uniti, Susan Rice, in un comunicato alle Nazioni Unite.

Ha aggiunto che la divisione delle liste ha mandato un messaggio chiaro ai talebani, che ci può essere un futuro per quei militanti che si separano da al-Qaeda, rinunciando alla violenza e sostenendo la costituzione dell’Afghanistan.

Quasi ventiquattro ore dopo la mossa delle Nazioni Unite, il presidente afghano Hamid Karzai ha ammesso per la prima volta che gli Stati Uniti stavano negoziando la pace con i talebani: "I colloqui di pace stanno proseguendo con i talebani Afghani. Le forze armate straniere, principalmente gli Americani, stanno procedendo con questi negoziati", ha detto Karzai il 18 giugno in una conferenza stampa tenuta a Kabul.

Il giorno dopo il Segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert Gates ha detto in un'intervista alla CNN che l'amministrazione Obama ha avuto i primi contatti con i talebani Afghani. Gates ha aggiunto: "Abbiamo sempre sostenuto che un risultato politico è il modo in cui finiscono quasi tutte le guerre."

Circoli diplomatici ben informati a Islamabad dicono che l'amministrazione Obama ha usato la politica del bastone e della carota con l'emiro dei talebani afghani, il Mullah Omar, per cercare di convincere il fuggitivo leader estremista ad accettare un negoziato.

I circoli diplomatici hanno ricordato che subito dopo l'uccisione avvenuta il 2 maggio ad Abbottabad, in Pakistan, di Osama bin Laden per mano delle forze speciali statunitensi, ci sono state segnalazioni che le agenzie americane e pakistane avevano avviato un’intensa caccia al Mullah Omar.

I media internazionali hanno dichiarato che le forze di sicurezza USA non avrebbero esitato nel portare a termine un altro raid come quello di Abbottabad per catturare o uccidere Omar, nel caso venisse rintracciato nel territorio pakistano.

Comunque, dopo quasi sette settimane dall'uccisione di Bin Laden, ci sono segnali di un colloquio di pace che sta finalmente prendendo piede tra Stati Uniti e talebani afghani, tenendo a mente luglio 2011, il periodo indicato da Obama per l'inizio del ritiro delle truppe statunitensi dal devastato Afghanistan.

Questa settimana Obama dovrebbe annunciare quante truppe ha intenzione di ritirare nell'ambito della consegna, che avverrà nel 2014, di tutte le operazioni di contrasto dei ribelli talebani alle forze di sicurezza afghane. Attualmente ci sono circa 100.000 soldati americani in Afghanistan contro i 34.000 di quando Obama si insediò nel 2009.

Comunque, anche uno sguardo superficiale ci indica chiaramente che i talebani, supportati da una nuova generazione di volontari provenienti dal Pakistan, si stanno riunendo e stanno espandendo la loro area operativa nel sud e nell’est del Afghanistan, le loro vecchie roccaforti.

Nonostante la caduta del regime dei talebani nell'ottobre 2001, le forze guidate dagli americani non sono riuscite a sradicarli e ogni anno che passa diventano sempre più forti. La rinascita dei combattenti talebani, nascostisi nelle campagne dopo l'invasione dell'Afghanistan, ha sorpreso gli strateghi militari statunitensi. Sanguinosi attacchi suicidi, agguati, bombe e attacchi alle truppe NATO e ISAF nel sud e nell’est dell’Afghanistan sono quasi diventati la norma.

Le strutture di comando e di controllo talebane sono ancora intatte, anche se hanno perso i loro migliori comandanti militari, come il Mullah Dadullah Akhund e il Mullah Akhtar Osmani.

Il solitario emiro talebano è vivo e perfettamente operativo, e sta inviando istruzioni ai suoi comandanti dal suo nascondiglio in Pakistan per mezzo di audiocassette, lettere e messaggi verbali.

Nel luglio 2004 la stampa internazionale ha segnalato la presenza del Mullah Omar a Quetta, capitale della provincia pakistana del Belucistan. Tale informazione pare essere stata raccolta dall’interrogatorio in Afghanistan del Mullah Sakhi Mujahid, collaboratore stretto dell’emiro.

Il 25 febbraio 2006 Karzai ha consegnato all'intelligence di Islamabad l'indicazione che il Mullah Omar e i suoi associati si stavano nascondendo in Pakistan. Quasi un mese dopo, Abdullah Abdullah, l’ex Ministro degli Esteri afghano, disse che aveva condiviso con Islamabad credibili notizie di intelligence su dove si trovasse il Mullah Omar.

Quando il regime di Pervez Musharraf respinse le informazioni afghane considerandole oramai obsolete, Abdullah replicò che il suo governo non avrebbe più passato informazioni a chi non gli credeva. Abdullah disse anche che la maggior parte dei leader talebani che istigavano al terrorismo in Afghanistan stavano operando in Pakistan.

Quasi sei mesi dopo, il 23 settembre 2006, Karzai disse che il Mullah Omar e Bin Laden erano entrambi in Pakistan, accusando che il supporto di Islamabad ai guerriglieri rendeva l’Afghanistan instabile.

Rivolgendosi al Council on Foreign Relations statunitense, Karzai disse che il leader talebano era sicuramente in Pakistan, aggiungendo: "Il presidente Pakistano Musharrak lo sa, io lo so. È veramente lì." Commentando la posizione di Bin Laden, Karzai disse: "Se dicessi che si trovava in Pakistan, il presidente Pervez Musharraf, mio amico, si sarebbe arrabbiato con me. Ma se dicessi che era in Afghanistan, non sarebbe vero."

In un velato riferimento a Musharraf e al suo presunto sostegno ai guerriglieri, Karzai disse che alcuni di loro nella regione stavano certamente usando l'estremismo come strumento politico per mantenere il potere. La dichiarazione di Karzai su Bin Laden si è dimostrata vera.

Il 9 settembre 2006, la CNN ha mandato un servizio su dove si potesse trovare il Mullah Omar dove si affermava che il capo talebano con un occhio solo stesse in Pakistan, anche se non nella stessa area dove si pensava potesse trovarsi anche Bin Laden.

Citando fonti dell'intelligence americana, il report dice: "Il leader talebano si sta nascondendo a Quetta o nelle sue vicinanze." Il 17 gennaio 2007 l’intelligence afgana ha rilasciato un video dove un portavoce dei talebani che era stato catturato confessava che il Mullah Omar si stesse nascondendo a Quetta sotto la protezione dell’Inter-Service Intelligence (ISI).

Agenti afghani hanno arrestato Abul Haq Haqi, ex portavoce dei talebani noto ai media come dottor Mohammad Hanif, nella provincia orientale di Nangarhar. Ha confermato di essere stato preso dopo che era entrato in Afghanistan dal Pakistan e che era entrato nel paese per una missione, dopo aver incontrato il suo emiro. Inoltre, nel corso dei suoi interrogatori, avrebbe detto che il Mullah Omar stava guidando un governo ombra da Quetta, con tanto di consiglio militare, religioso e culturale.

Comunque, il 21 novembre 2009 il quotidiano inglese The Sunday Times ha riportato che, di fronte alle accuse sulla presenza dei leader talebani a Quetta, si stavano muovendo verso la città portuale di Karachi, dove sarebbe stato impossibile per gli americani colpirli con i droni.

Il 1° dicembre 2009, la rivista Newsweek ha riportato che Karachi era il posto più sicuro per loro in Pakistan, dove non avrebbero attirato l'attenzione, mantenendo un basso profilo e senza fomentare violenze.

Quindi, sostiene il Newsweek, i leader talebani stanno costantemente migrando dal Belucistan a Karachi, "dove, fuori dalla portata degli Americani, possono operare più liberamente".

L’arresto a Karachi nel febbraio 2010 del numero due dei talebani, il Mullah Abdul Ghani Baradar, ha dato credito alle dichiarazioni statunitensi che il Mullah Omar avesse già spostato la sua base da Quetta a Karachi, considerandola molto più sicura.

La maggioranza della popolazione di Karachi è Pashtun, sono circa tre milioni e mezzo, e i talebani potrebbero contare su di loro per nascondersi, dato che per lo più appartengono al solito gruppo etnico.

Nel gennaio 2011 i media internazionali hanno riportato che il Mullah Omar ha avuto un attacco cardiaco, e che è stato portato in un ospedale di Karachi dagli agenti dell’intelligence, dove è stato curato per diversi giorni.

Come sempre, il Ministero degli Esteri pakistano ha smentito con forza queste informazioni, tacciandole di infondatezza, e allo stesso modo quelle riguardo la presenza di Bin Laden in Pakistan.

Il 23 maggio, quasi tre settimane dopo l’uccisione di Bin Laden, la TV privata afgana TOLO ha riportato che il leader supremo dei Talebani è stato ucciso mentre viaggiava da Quetta verso un’area tribale del nord Waziristan, in Pakistan.

Un portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha prontamente negato il report e ha affermato che il Mullah Omar era in Afghanistan e non in Pakistan. Questo resoconto è stato poi smentito anche da un alto funzionario dell’intelligence afgana che sosteneva che il leader talebano non era stato ucciso, ma che era stato preso in custodia dall’ISI dopo l’uccisione di Bin Laden, visto che non era più in grado di contattare la sua gente in Afghanistan.

Eppure, il 27 maggio il New York Times e il Washington Post hanno riportato che qualche alto funzionario americano aveva incontrato un vecchio collaboratore del Mullah Omar almeno tre volte negli ultimi mesi durante i primi tentativi di colloqui di pace.

Questi incontri sono stati facilitati da Qatar e Germania, e la CIA e il Dipartimento di Stato USA erano sul posto ogni volta che era presente Tayyab Agha, assistente personale di Omar e considerato molto vicino al Mullah.

Allo stesso tempo, altri resoconti riportano che Abul Haq Haqi, ex portavoce talebano, possa aver svolto un ruolo chiave nelle comunicazioni tra Stati Uniti e talebani, spianando la strada alla negoziazione della fine del conflitto in Afghanistan.

Haqi è stato arrestato da agenti dell’intelligence afgana e statunitense in una località segreta dell’Afghanistan nel gennaio 2007 e ora opera come mediatore fra il Mullah Omar e Washington.

Secondo la proposta di pace, gli Stati Uniti hanno offerto ai talebani il controllo del sud dell'Afghanistan, lasciando il nord sotto l'influenza politica americana. Ma la proposta è stata rifiutata dai talebani, perché secondo loro questo porterebbe alla distruzione dell'Afghanistan.

I talebani hanno sempre rifiutato di avviare colloqui di pace con gli Stati Uniti fino a che le forze straniere rimarranno in Afghanistan. Comunque, a seconda dei resoconti, hanno richiesto con forza di incontrarsi direttamente con alti funzionari USA attraverso alcuni intermediari.

La shura (consiglio) di Quetta guidata dal Mullah Omar, ha deciso di prendere le distanze da al-Qaeda nel momento in cui il processo di riconciliazione internazionale ha accelerato verso una soluzione negoziata.

Fonti diplomatiche ben informate a Islamabad dicono che c'è una possibilità che i talebani si separino da al-Qaeda, soprattutto da quando i talebani hanno compreso che i loro contatti con la rete terrorista minacciano la propria sopravvivenza e gli sforzi di migliorare la loro immagine.

La lunga alleanza tra al-Qaeda e i talebani era radicata dall'amicizia personale fra Bin Laden e il Mullah Omar. Dopo la morte del leader di al-Qaeda, il Mullah ha ritenuto opportuno rompere con la rete terrorista e negoziare un accordo con le potenze occidentali.

La dichiarazione rilasciata l'8 maggio dalla shura di Quetta sulla morte di Bin Laden mostra che i talebani si vogliono ora distanziare da al-Qaeda. Nonostante abbiano descritto l'uccisione di Bin Laden come una tragedia, non è stata condannata l'azione, né annunciata vendetta, come era di routine quando venivano commentate queste uccisioni nelle dichiarazioni ufficiali.

La dichiarazione sembrava essere redatta con cura dagli anziani della shura di Quetta per trasmettere un messaggio pungente dal Mullah Omar alle potenze internazionali, dove erano pronti a prendere le distanze da al-Qaeda, che era la prima richiesta degli Stati Uniti per poter entrare in un dialogo di pace con i talebani.

Nella dichiarazione, rilasciata sul sito web della shura di Quetta, La Voce della Jihad, i Talebani descrivono Bin Laden come il "Grande Martire Sceicco Osama Bin Laden", e hanno respinto le dichiarazioni degli ufficiali statunitensi che dicevano che la sua morte avrebbe avuto conseguenze sulla guerra in Afghanistan. La dichiarazione diceva:

"L'Emirato Islamico dell'Afghanistan rivolge la sue profonde condoglianze alla famiglia del martire, ai suoi seguaci e ai mujaheddin combattenti per questa tragedia. Preghiamo l'onnipotente Allah di accettare il sacrificio del martire. Possa l'onnipotente Allah salvare l'ummah (comunità) islamica dalla situazione attuale di crisi dovuta all'impatto della benedizione della sacra jihad e del martirio del martire".

La dichiarazione ha descritto Bin Laden come leader della jihad mondiale, come colui che guidava la causa legittima contro lo stato di Israele e la jihad contro l'aggressione cristiana ed ebraica al mondo islamico. Aggiungeva:

"Il martirio dello sceicco Osama Bin Laden darà nuovo impulso alla jihad contro gli invasori in questa fase critica. Le ondate della jihad acquisteranno forza e grandezza. Il tempo dimostrerà tutto questo sia agli amici che ai nemici, con la volontà di Dio".

Alla dichiarazione sono seguiti giorni di speculazioni riguardo il fatto che il Mullah Omar in realtà volesse distanziare il suo gruppo da al-Qaeda, sopratutto dal momento che Bin Laden non c'è più.

In realtà la dichiarazione della shura di Quetta fu rilasciata cinque giorni dopo la sua morte e sembra strano che i talebani non abbiano annunciato nessuna punizione, a differenza del Tehrik-e-Taliban Pakistan (i talebani Pakistani) che hanno minacciato vendetta.

Gli analisti ritengono che i legami tra al-Qaeda e i talebani afghani si siano in gran parte indeboliti dopo l'invasione dell'Afghanistan del 2001, soprattutto perché gli obiettivi delle due organizzazioni non erano più allineati.

Mentre al-Qaeda è per una jihad mondiale contro l'Occidente e per l'istituzione di un super-stato di carattere religioso nel mondo musulmano, i talebani afghani sono focalizzati sul proprio territorio e non hanno mostrato alcun interesse per gli attacchi verso obiettivi fuori dal loro paese.

Ora, dopo aver combattuto una guerra infinita per una decina di anni, sia l'Occidente che i talebani sembrano voler porre fine a tutto il prima possibile.

Però l'esercito Pakistano e il servizio di intelligence hanno serie riserve sull'"approccio selettivo" degli Stati Uniti nei colloqui di pace con i Talebani e vogliono includere altri gruppi di insorti oltre a quello guidato dal Mullah Omar, quello della rete degli Haqqani del nord Waziristan - la fazione salafita dei Talebani che controlla le province del Kunar e del Nuristan in Afghanistan -, e l'Hizb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar, che ancora non sono stati inclusi nei colloqui di pace.

"Vogliamo che tutti questi gruppi prendano parte a qualsiasi impegno per l'Afghanistan... tutti loro hanno dei diritti. Senza di loro nessuna trattativa può avere successo", così il 20 giugno ha detto un alto funzionario pakistano che ha richiesto di rimanere anonimo al quotidiano inglese The Express Tribune.

Il funzionario pakistano ha detto che la questione è stata al centro dei discorsi nei colloqui durante il recente viaggio di Karzai a Islamabad, quando i due paesi hanno dato il via a una commissione bilaterale per cercare la pace in Afghanistan.

La commissione, guidata da dirigenti, inclusi militari e capi dell’intelligence, è il primo serio tentativo di un accordo parallelo per portare avanti una negoziato senza il coinvolgimento degli americani.

"Questo è quello che ci piacerebbe portare avanti... gli americani ci hanno tenuti lontani da qualsiasi sviluppo. Questa è la nostra risposta: possiamo fare meglio senza di voi", ha detto il funzionario.

Ha affermato che il presidente afghano ha anche espresso riserve riguardo il modo degli occidentali di gestire il problema afghano e ha assicurato che le autorità pakistane sarebbero più concentrate sulle trattative di pace attraverso questo meccanismo bilaterale.

È interessante che, durante la conferenza stampa del 18 giugno a Kabul, Karzai ha chiaramente indicato che invece di aspettare che gli Stati Uniti indeboliscano i Talebani, preferirebbe che il Pakistan lo aiutasse a porre fine alla disputa. Ha detto: "L’aiuto del Pakistan nei colloqui di pace è molto importante per noi".

Il risveglio dei talebani ha reso le cose difficili alle forze alleate in Afghanistan, specialmente perché in patria la guerra ha stancato. La popolazione statunitense sta chiedendo la fine della guerra in Afghanistan e in Iraq per il peso che ha sui conti pubblici. Anche i leader afghani hanno fatto passi avanti verso un Afghanistan post-occupazione.

Senza parlare con i Talebani, il ritiro delle truppe americane rischia di essere pericoloso. Il governo afghano semplicemente non ha la capacità o l'abilità per tenere insieme un paese così fragile senza lo sforzo estremamente costoso e impopolare della guerra americana.

Quindi, la fredda e dura logica economica e il tributo democratico dell'opinione pubblica sembra che abbia prevalso sull'amministrazione degli Stati Uniti nella decisione di avviare un negoziato per il conflitto afghano, invece di portare avanti una guerra senza fine impossibile da vincere.

*Amir Mir è un importante giornalista pakistano, autore di diversi libri sull’Islam militante e sul terrorismo: l’ultimo si intitola "The Bhutto Murder Trail: from Waziristan to GHQ".



Se dieci anni vi sembran pochi
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 27 Giugno 2011

Adesso è ufficiale: gli americani stanno trattando col Mullah Omar per una 'exit strategy' dall'Afghanistan. Lo ha confermato il ministro uscente della Difesa Robert Gates, anche se per evidenti motivi non ha fatto il nome di Omar su cui pende ancora formalmente una taglia di 25 milioni di dollari.

È curioso che Gates rimproveri agli europei la scarsa efficacia dell'intervento in Libia proprio mentre sta cercando di svignarsela dall'Afghanistan. In fondo in Libia gli europei ci sono solo da tre mesi e hanno di fronte un esercito che ha ancora carri armati e un minimo di contraerea.

In Afghanistan gli americani, con i loro alleati, ci sono da dieci anni e hanno di fronte guerriglieri che combattono quasi a mani nude (kalashnikov, granate, mine imrovvisate e kamikaze), ma che, nonostante l'enorme disparità negli armamenti, non solo sono riusciti a tenere in scacco il più potente, tecnologico e robotico esercito del mondo ma lo hanno messo sotto rioccupando il 75/80% del territorio del loro Paese (stime Usa). Del resto gli americani non hanno alternative.

Nel mezzo di una crisi economica acutissima non ce la fanno più a sostenere la spesa per la guerra all'Afghanistan che gli costa 400 miliardi di dollari l'anno. Il pretesto buono per andarsene, adesso ce l'hanno: Bin Laden è stato ucciso, sia pur in modo postumo (era morto sette anni fa) e quell'ectoplasma di Al Zawahiri che ne ha preso il posto ha affermato che cellule di quel che resta di Al Quaeda operano in Yemen, Somalia, Cecenia, Iraq, Maghreb.

Nessuno può più decentemente sostenere che il terrorismo internazionale sia ancora in Afghanistan. Inoltre gli americani sono preoccupati perchè da mesi Karzai chiama gli 'alleati' Nato 'forze di occupazione'.

Anche lui sta trattando, da tempo, con Omar. Negli incontri, fra emissari, avvenuti in Arabia Saudita nel 2008 il Mullah aveva lasciato pochissimo spazio a Karzai: solo un salvacondotto per lui e la sua cricca.

Ora Omar ha cambiato strategia e ha fatto a Karzai due proposte.

1) "Tu, formalmente, sei il presidente dell'Afghanistan democraticamente eletto. In questa veste chiedi alle forze straniere di lasciare il Paese. Voglio vedere con quali argomenti potrebbero risponderti di no".

2) "Unisciti all'insurrezione e col tuo esercito che gli stessi americani hanno armato, cacciamo, insieme, gli stranieri con la forza. Così ti riscatterai da dieci anni di collaborazionismo e potrai avere ancora un ruolo in Afghanistan".

Quale opzione sceglierà il Mullah Omar dipende dall'andamento delle trattative con gli americani. Se accetteranno di sgombrare senza lasciare sul suolo afgano nemmeno un soldato e tantomeno un aereo il Mullah è disposto, in cambio, ad ammorbidire la sharia.

Se gli americani non accetteranno si alleerà con Karzai, pashtun come lui. Oppure continuerà la guerra da solo, contando sul tempo e sul favore della maggioranza della popolazione che non ne può più degli stranieri.


In questa situazione così fluida è arrivato in Afghanistan Renato Schifani, noto cuor di leone, che, trasportato con impressionanti misure di sicurezza, all'avamposto italiano di Bala Murghab, ha dichiarato:"Fermare ora la missione sarebbe un errore gravissimo. La ritengo intoccabile.... Parlare di un ritiro a breve proprio ora che si dovrebbero cogliere i frutti significa darla vinta ai terroristi". Non ha capito una mazza, come al solito.

Nella stessa occasione il generale Giorgio Cornacchione ha rassicurato:"La gente ha iniziato a fidarsi di noi". Beh, se dopo dieci anni "ha iniziato" vuol dire che siamo un tantinello indietro col programma.


Non so se il Mullah Omar ce la farà. Ma il giorno che dovesse rientrare da trionfatore a Kabul sarebbe
una vittoria speciale: dell'uomo contro il denaro. E contro la macchina.



Obama, sipario sull'Afghanistan
di Carlo Musilli - Altrenotizie - 26 Giugno 2011

Il ritiro può cominciare, non c'è più il pericolo che assomigli a una ritirata. Mercoledì sera Barack Obama ha annunciato che entro quest'anno 10mila soldati americani rientreranno dall'Afghanistan.

Nel settembre 2012 arriveranno a quota 33mila. A quel punto ne rimarranno 68mila, ma anche loro a poco a poco faranno le valige. Gli ultimi torneranno a casa nel 2014.

Nel suo ultimo discorso alla nazione, il presidente degli Stati Uniti non ha nascosto un certo compiacimento: "Abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo dati nel dicembre 2009 mandando più truppe al fronte: spezzare lo slancio dei Talebani e impedire ad Al Qaeda di usare l'Afghanistan come base per nuovi attacchi contro gli Stati Uniti".

Parole degne di uno stratega, ma la verità è che rispetto agli ultimi mesi la situazione nella palude afghana non è cambiata poi molto. Ormai da tempo la minaccia terroristica più seria si è spostata altrove.

Gli ultimi tentativi di attacchi sono giunti dal Pakistan, dallo Yemen e perfino dal Corno d'Africa. Quanto alle prospettive di democrazia per il popolo afgano, non si capisce come un eventuale compromesso politico fra il governo Karzai e i Talebani possa essere considerato un successo.

Ma per capire davvero il discorso di Obama bisogna tener conto dell'unico vero fatto epocale della storia recente. Il suo significato, naturalmente, è più che altro simbolico. Parliamo della morte di Osama Bin Laden.

L'assalto alla diligenza dei Navy Seals è stato un vero spartiacque psicologico per gli americani, passati dalla percezione obiettiva di uno stallo irrisolvibile alla pretesa irrazionale e retorica di un trionfo compiuto.

Questo scarto decisivo consente oggi al Presidente di salvare la faccia mentre asseconda i capricci dell'opinione pubblica e del Congresso, entrambi esasperati dai problemi economici del Paese.

Con la ripresa che implode, la disoccupazione alle stelle e il deficit fuori controllo, poter mettere da parte una delle guerre più inutili e costose della storia (1.000 miliardi di dollari dal 2001, di cui 120 solo quest'anno) è un bel sollievo.

Combattere i terroristi fa bene allo spirito nazionale, ma se le tasche sono vuote bisogna concentrarsi sui problemi di casa. Per questo il 56% dei cittadini Usa è convinto che il ritiro totale dall'Afghanistan debba avvenire il più presto possibile.

Lo stesso segretario alla Difesa, Robert Gates, ha ammesso che la decisione di Obama è giunta dopo una riflessione "sulla situazione politica interna". E forse c'entrano qualcosa anche le elezioni presidenziali del 2012.

Era ovvio che il piano di ritiro a tappe forzate suscitasse l'opposizione dei Repubblicani. Dal punto di vista del Presidente, tuttavia, dovrebbe essere ben più preoccupante il contrasto con i maschi Alfa dello U.S. Army. Nessuna insubordinazione, com'è ovvio, ma quando si parla di Esercito americano anche i più piccoli mal di pancia hanno effetti difficili da prevedere.

Il super-generale David Petraeus, comandante uscente della coalizione Isaf e nuovo capo della Cia, ha definito il rientro dei soldati "più rapido di quanto consigliato".

Ancora più esplicito il capo di Stato maggiore, l'ammiraglio Mike Mullen: "La decisione del Presidente è più aggressiva e comporta più rischi di quanto io fossi pronto ad accettare" e "il pericolo di disperdere i vantaggi acquisiti nell'ultimo anno contro i Talebani aumenta".

Anche perché l'annuncio del ritiro americano ha scatenato un effetto domino internazionale, con Francia e Germania che hanno subito colto la palla al balzo per avviare procedure analoghe.

Di fronte allo scenario che si profila, il più entusiasta di tutti è ovviamente Hamid Karzai. Il Presidente afgano non si è lasciato sfuggire l'occasione per sottolineare come la scelta di Obama rappresenti "il segnale che il governo di Kabul sta assumendo il controllo del Paese".

In realtà è rimasto lo stesso esecutivo illegittimo e corrotto di sempre. Quanto alle effettive capacità delle forze armate afgane di mantenere la sicurezza, i dubbi del Pentagono sembrano più che fondati, tanto che nessuno al mondo ha avuto il coraggio di contraddire su quest’aspetto i generali americani.

Ma il punto è che ormai Washington deve fare cassa e abdicare al suo ruolo di cane da guardia globale. Cosa comporterà questo per l'Afghanistan lo capiremo solo fra 3-4 anni, quando il sipario a stelle e strisce calerà definitivamente sul Paese.


Afghanistan: perché i civili vengono uccisi? Una guerra di popolo e non una “guerra al terrore”
di James Petras - Global Research - 9 Giugno 2011
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Il recente aumento di uccisioni di civili da parte delle forze NATO nell’Afghanistan occupato solleva diverse questioni di fondo: perché gli USA, le forze aeree della NATO e di terra uccidono tanti civili, in modo costante, per lunghi periodi di tempo, nelle regioni in tutto il paese?

Perché il numero di civili uccisi è aumentato nel corso del conflitto?

Perché gli aerei NATO e USA continuano a bombardare le abitazioni civili e i luoghi di riunione nei villaggi, mentre le truppe di terra attaccano indiscriminatamente case e luoghi di lavoro?

Perché le suppliche del presidente collaborazionista NATO Karzai affinché cessino i bombardamenti sulle abitazioni civili rimangono lettera morta?

Infine, sapendo che l’uccisione di civili, di intere famiglie, compresi bambini, donne e anziani aliena la popolazione locale e genera una profonda e diffusa ostilità, perché i militari NATO-USA si rifiutano di modificare le loro tattiche e strategie?

Spiegazioni e scuse per le uccisioni di civili

Gli apologeti della NATO sono tanto abbondanti quanto le loro spiegazioni per le uccisioni di civili sono prive di sostanza: i portavoce del Pentagono parlano di “incidenti”, “errori di guerra”, “effetti collaterali”; gli esperti dei media incolpano i guerriglieri di ingaggiare battaglia nelle aree popolate da civili; gli accademici neo-conservatori e i loro colleghi “think tank” incolpano il fondamentalismo islamico di convertire gli abitanti dei villaggi alla loro causa e “forzare” la NATO ad uccidere civili, al fine di creare martiri e utilizzare la loro morte come dispositivo di reclutamento.

Queste spiegazioni palesemente superficiali sollevano più domande che risposte o, in alcuni casi, inavvertitamente respingono la giustificazione per tutta la guerra. L’argomento degli “errori di guerra” esige domande più precise: in quale tipo di guerra sono impegnati USA e NATO per trovare costante “promiscuità” tra guerriglieri e popolazione, quando le forze di occupazione sfondano le porte e percepiscono ogni singola abitazione come un possibile santuario o avamposto della resistenza?

Che tipo di azione militare si basa sull’utilizzo di aerei da caccia di alta quota e aerei senza pilota comandati a distanza per attaccare i centri abitati, coinvolgendo le attività commerciali, agricole e domestiche della popolazione?

Chiaramente solo un esercito di occupazione, un esercito imperiale, è disposto a sacrificare ripetutamente una moltitudine di civili per uccidere un singolo o pochi sospetti combattenti.

Solo operazioni militari in un ambiente civile ostile assumono l’opzione che dietro la porta di ogni casa ci sia un “nemico”, che in ogni famiglia si nasconda un combattente, che è meglio “sparare” piuttosto che rischiare una pallottola in pancia.

Gli “incidenti di guerra” non “capitano” solo da un intero decennio, investendo un paese intero. L’uccisione di civili è il risultato di una guerra di conquista imperiale contro un intero popolo che resiste all’occupazione, in qualsiasi forma adeguata alle circostanze.

I piloti e le truppe di terra riconoscono di essere una forza aliena ostile, la cui presenza è diretta dall’alto da generali e politici immersi in schemi astratti su “terroristi legati ad Al Qaeda”, che non hanno attinenza con la fitta rete di legami personali di solidarietà tra combattenti della resistenza e civili in Afghanistan.

Lavorando con queste categorie astratte, gli strateghi etichettano i grandi complessi famigliari come “nascondigli”, le riunioni di famiglia come “riunioni di terroristi”, le carovane commerciali come “contrabbandieri della guerriglia”.

Gli interessi contrastanti dei politici, generali, strateghi e ufficiali militari imperiali da un lato e popolazione civile e resistenza dall’altro, generano una distanza immensa.

Maggiore è il numero di civili/combattenti uccisi, più veloci sono i progressi di carriera per gli ufficiali imperiali, smaniosi di promozioni e laute pensioni. Il “successo”, secondo la visione del mondo imperiale, è misurato internazionalmente dal numero dei governanti clienti, a livello nazionale dal numero di “città sicure” sulle mappe di guerra e localmente dal numero delle famiglie massacrate.

Sul terreno, tra i milioni nelle famiglie e nei clan, in cui dolore e rabbia coesistono, la resistenza si dispiega in tutte le sue molteplici forme: voti sacri e promesse laiche di “combattere” sono alimentate dai milioni di umiliazioni quotidiane che colpiscono giovani e anziani, mogli e mariti, nelle case, nei mercati, per le strade e sulle vie.

Lo sguardo ostile di una madre che ripara un bambino dai soldati che fanno irruzione in una camera da letto è rivelatore quanto il crepitio degli spari di un cecchino nascosto nel crepaccio di una montagna.

Una guerra di popolo e non una guerra al terrore

L’uccisione di civili non è “accidentale”. La ragione fondamentale per cui tanti civili vengono uccisi, ogni giorno, in ogni regione da oltre un decennio, è che civili e combattenti sono indistinguibili.

L’immagine dei combattenti afgani come una sorta di professionisti indipendenti del lancio terroristico di bombe è completamente fuori luogo.

La maggior parte dei combattenti afgani hanno una famiglia, coltivano terreni agricoli e allevano bestiame, crescono famiglie e vanno in moschea, sono “civili part-time” e combattenti part-time. Solo nella mente schematica dei “grandi strateghi della guerra” nel quartier generale del Pentagono e della NATO esistono queste distinzioni.

La loro mortale missione militare di “salvare il popolo dai terroristi fondamentalisti”, un auto-inganno egocentrico, è, di fatto, una scala gerarchia politico-militare. Ogni avanzamento dipende dal condurre una “guerra giusta” verso una conclusione positiva.

I civili-combattenti sono un fenomeno popolare di massa. In quale altro modo possiamo spiegare la loro capacità di sostenere la resistenza armata per oltre un decennio, anche progredendo con il passare del tempo?

Come possiamo spiegare il loro successo militare contro le forze armate e i consiglieri militari provenienti da 40 paesi, compresi Stati Uniti, Europa e un gruppo di mercenari afro-asiatico-latinoamericani?

Come possiamo spiegare la crescente resistenza, nonostante l’occupazione militare sostenuta dai più avanzati strumenti tecnologici di guerra? Come possiamo spiegare il declino del sostegno popolare per la guerra nel paese “Conquistatore” e il numero crescente di affiliati alla Resistenza?

I combattenti hanno la lealtà del popolo afgano, non hanno bisogno di spendere miliardi per comprare la spuria “fedeltà” di mercenari che possono e devono in ogni momento “rivolgere le armi altrove”.

Le feste di matrimonio sono bombardate perché i combattenti frequentano i matrimoni - insieme a centinaia di parenti e amici. I villaggi vengono bombardati perché le coltivazioni dei contadini contribuiscono alla resistenza.

Rifugi civili diventano santuari militari. L’Afghanistan è polarizzato: i militari statunitensi contro un popolo in armi. Di fronte a questa realtà, la vera politica di NATO e Pentagono è di dominare e/o distruggere.

Ogni bomba che uccide decine di civili alla ricerca di un cecchino approfondisce l’isolamento e il discredito del governo fantoccio. Il “Presidente” Karzai ha visto la sua missione di costruire una “base civile” per ricostruire il paese, completamente screditata.

Le sue lamentele impotenti alla NATO perché cessino i bombardamenti contro gli obiettivi civili cadono nel vuoto, perché il comando NATO sa molto bene che “i civili” sono la “resistenza profonda” - la vasta riserva di supporto per i combattenti, i loro occhi e orecchie superano di gran lunga tutti i dispositivi di spionaggio elettronico dell’occupante.

Proprio come Karzai non riesce a convincere i civili a rivoltarsi contro i combattenti, allo stesso modo non riesce a convincere gli eserciti imperiali a fermare i bombardamenti su case e raduni civili.

Washington sa che ad ogni ritiro (o ritirata), il terreno, le città ed i villaggi sono occupati da combattenti della resistenza che emergono da ogni dove. Il meglio che i politici USA-NATO sono in grado di negoziare è una partenza sicura e ordinata.

Il meglio che essi possano sperare è che i loro collaboratori locali non disertino o fuggano all’estero prematuramente abbandonando miliardi di dollari di ordinativi militari alla resistenza.

Il meglio che i collaborazionisti possono sperare è la garanzia di una via d’uscita, di un visto, un conto all’estero e una confortevole seconda casa all’estero. Ciò che è assolutamente chiaro è che gli Stati Uniti, la NATO ed i loro collaboratori non avranno alcun ruolo da giocare nel nuovo Afghanistan indipendente.



Afghanistan, un "default" militare
di Alessandro Avvisato - Contropiano - 23 Giugno 2011

Obama annuncia il ritiro di una parte del contingente militare Usa. Le parole di circostanza non possono occultare la situazione sul campo: la guerra afghana è stata una fallimento. Ucciso un altro soldato della Nato

“Iniziamo questo ritiro in una posizione di forza” è quanto ha detto il presidente Usa Barack Obama, in un passaggio del suo discorso in tv, annunciando il ritiro di 33 mila soldati dal fronte afghano entro settembre del 2012 (di cui diecimila entro quest'anno) e sottolineando che – a suo avviso - Al Qaeda non è mai stata così sotto pressione dall'11 settembre 2001.

“Insieme con i pakistani-ha proseguito Obama- abbiamo eliminato oltre la metà della leadership di Al Qaeda e grazie alla nostra intelligence e alle forze speciali abbiamo ucciso Osama Bin Laden, l'unico leader riconosciuto”.

Il presidente Usa, in Afghanistan ha rivendicato una vittoria “per tutti coloro che hanno servito dall'11 settembre. Al Qaeda resta pericolosa” - ha quindi affermato il presidente Usa - “e dobbiamo restare vigili contro gli attacchi. Ma abbiamo messo Al Qaeda su un percorso di sconfitta e non cederemo fino al termine del lavoro”.

Fin qui le dichiarazioni ufficiali con cui Obama ha annunciato l'inizio dello sganciamento da una missione politico-militare ormai decennale ma che sotto tutti i punti di vista va definita con il suo vero nome: fallimento.

Se le parole fanno paura, adesso può essere definito in termini meno perentori “default” esattamente come quelli delle banche degli affari Usa.

In Afghanistan, dopo dieci anni di occupazione militare Usa e Nato, i due terzi del territorio restano o sono tornati sotto controllo dei talebani e degli altri gruppi di insorti; il governo Karzai controlla poco più del distretto di Kabul; più di 1100 soldati Usa sono stati uccisi sul fronte afghano creando un impatto sempre più negativo sull'opinione pubblica.

Certo è stato ucciso Bin Laden ma solo i “semplici di cuore e di cervello” hanno preso per buono il nesso strategico tra l'Afghanistan e le attività di una sofisticata rete regionale come Al Qaida.

Il problema è che il fronte afghano è diventato quasi subito un pantano dentro cui anche la maggiore potenza militare del mondo non ha potuto che impantanarsi dentro un conflitto asimmetrico che non ha fatto sconti a nessuno, neanche ad Obama.

A conferma di una realtà sul campo che suona a conferma, un altro soldato della Nato è morto ieri nell'Afghanistan orientale. Lo ha riferito la stessa Isaf a Kabul. In un breve comunicato si precisa solo che la morte è avvenuta durante un attacco degli insorti.

I militari stranieri morti in Afghanistan sono, secondo una statistica non ufficiale, 261 dall'inizio dell'anno e 45 dal primo giugno 2011.


Afghanistan, falsi successi
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 15 Giugno 2011

Migliaia di 'talebani' catturati nei raid notturni dalle forze speciali Usa, secondo il generale Petraeus. Ora si scopre che oltre il 90 per cento erano civili innocenti

Allo scopo di far credere all'opinione pubblica mondiale che la strategia militare americana in Afganistan è efficace e vincente, il generale David Petraeus e i comandi Usa hanno deliberatamente mentito alla stampa, lasciando credere che i contestati blitz notturni delle forze speciali abbiano portato alla cattura di migliaia di talebani, quando invece oltre il 90 per cento dei detenuti sono civili innocenti.

La scoperta è stata fatta dallo storico giornalista investigativo americano Gareth Porter - famoso per le sue corrispondenze durante la guerra in Vietnam, da anni all'agenzia Inter Press Service (Ips) - grazie a documenti militari declassificati di cui è entrato in possesso.

Documenti della Task Force 435, il comando americano delle operazioni detentive, che dimostrano come solo una minima percentuale degli afgani fatti prigionieri dalle forze speciali Usa lo scorso anno fosse in realtà composta da 'Agf' (forze anti-governative), come vengono chiamati i talebani in gergo militare.

Lo scorso dicembre il generale Petraeus dichiarò alla stampa che nella seconda metà del 2010 erano stati catturati 4.100 'talebani', dimenticandosi di dire che 3.410 di questi erano stati rilasciati pochi giorni dopo la cattura in quanto civili, e altri 345 erano stati successivamente scarcerati dalla prigione militare di Bagram per mancanza di qualsiasi prova di 'militanza' a loro carico.

In conclusione, secondo le tabelle consultate da Porter, solo solo l'8,4 per cento dei 'talebani' catturati secondo Petraeus erano realmente appartenenti alle 'Agf'. Gli altri erano tutti civili innocenti, completamente estranei alla guerriglia, arbitrariamente sottoposti a settimane di prigionia e duri interrogatori.

Chissà quanti di loro, traumatizzati da questo immeritato trattamento e mossi da sentimenti di vendetta, hanno poi deciso di entrare veramente nella resistenza talebana. Magari dopo aver visto uccidere qualche loro familiare nel corso dello stesso blitz in cui erano stati fatti prigionieri.

Tenuto conto che il generalissimo, nella stessa conferenza stampa dello scorso dicembre, aveva parlato anche di circa 2.000 'talebani' uccisi nei raid delle forze speciali, sorge spontanea la domanda: quanti di loro erano in realtà civili innocenti?