domenica 26 giugno 2011

Nuove stampelle dell'opposizione per Berlusconi

Ancora una volta la cosiddetta opposizione va in aiuto di un premier ormai agli sgoccioli ma che, ringalluzzito dal voto di fiducia dei giorni scorsi e dalle numerose stampelle portate subito ai suoi piedi, ne approfitta da par suo intimando oggi a Pd e compagnia cantante di collaborare in Parlamento per il varo della legge contro le intercettazioni, riforma fiscale e manovra economica.

Insomma per l'ennesima volta "l'opposizione" si è dimenticata della storica frase di Mao Tse-Tung "Bastona il cane che annega", mentre Berlusconi la ricorda ancora a menadito...


Incucio doloso permanente?
di Antonio Padellaro - Il Fatto Quotidiano - 26 Giugno 2011

Il Berlusconi piagnone è una maschera ricorrente nella commedia politica all’italiana. Ogni volta che riceve una bastonata elettorale tra capo e collo il bullo dedito alle spedizioni punitive contro i pm si trasforma in agnellino belante e anelante parole di conforto dagli avversari.

I quali da 17 anni partecipano volentieri alla sceneggiata del ‘chiagne e fotte’ che di volta in volta si arricchisce di aspetti sempre più toccanti.

Indimenticabile l’apparizione a Ballarò, dopo la catastrofe della destra alle Regionali del 2005 con il bollitissimo premier che enumerava nell’implacabile falange a lui ostile perfino “le scuole medie superiori e inferiori”. Gli risero appresso. Sappiamo come è finita.

L’altro giorno, alla Camera, con gli occhioni tristi e la criniera appassita il precario di Palazzo Chigi è andato a lamentarsi della sua triste istoria con Antonio Di Pietro che invece di alzarsi e piantarlo in asso (ne avrebbe parlato tutto il mondo) si è fatto intenerire. “È un uomo solo”, lo ha compianto, immaginandolo in serate da incubo con Gasparri e Cicchitto.

Subito il poeta di corte Ferrara ha dedicato un ditirambo allo “statista” molisano che ieri mattina si deve essere commosso molto meno leggendo sui giornali delle quattro amiche di Sgarbi ospiti di Palazzo Grazioli per strappare un sorriso al miliardario malinconico.

Sul “disgusto” provocato da certe aperture di dialogo del Pd in merito al bavaglio da imporre alle “telefonate irrilevanti” (ma quali?, visto il verminaio), ha scritto sul Fatto parole definitive Roberta De Monticelli.

Non volendo pensare il peggio, cioè a un permanente inciucio doloso, quale spiegazione dare al soccorso caritatevole di cui puntualmente i leader del centrosinistra fanno dono all’uomo che li ha insultati a sangue? Cercare d’intercettare i voti in libera uscita della destra mostrandosi moderati e consapevoli?

Via, lo sanno pure i muri che è stato proprio l’odio per la sinistra a cementare l’elettorato berlusconiano! Oppure, l’inconfessabile smania di essere ammessi nel salotto buono di Arcore? Ma proprio adesso quando tutti, dai sorci ai leghisti, ne scappano a gambe levate?


Max The Fox
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 25 Giugno 2011

“Ora è molto tardi per fare una legge sulle intercettazioni e del tutto inopportuno intervenire per decreto. Ma il problema c’è: non è giusto mettere sui giornali la vita privata delle persone. Leggiamo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che fare con vicende penali, ma sono sgradevolmente riferite a vicende personali. Non è una cosa positiva. Occorre proteggere i cittadini”.

Chi l’ha detto? Massimo D’Alema naturalmente. Puntuale come una merchant bank, ogni qualvolta B. è travolto in uno scandalo, arriva la Volpe del Tavoliere a levarlo d’impaccio. O almeno a fare pari e patta. Fa sempre così, da 17 anni.

Breve riepilogo delle puntate precedenti.

Nel ‘94 B. finisce nei guai a Milano per le tangenti alla Finanza: D’Alema finisce nei guai a Bari per un finanziamento illecito di 20 milioni dal re delle cliniche pugliesi, l’imprenditore malavitoso Cavallari (prescrizione).

Nel ’96 B. è politicamente morto e l’Ulivo di Prodi si accinge a una sonante vittoria: Max va in pellegrinaggio a Mediaset per esaltarla come “grande risorsa del Paese” e garantire che non la sfiorerà nemmeno con un dito. B. medita di ritirarsi a vita privata: D’Alema s’inventa la Bicamerale per riscrivere “insieme” la Costituzione, specie sulla giustizia, lo trasforma in padre ricostituente e manda in soffitta il conflitto d’interessi.

Nel ’98 Prodi e Ciampi portano l’Italia in Europa: Bertinotti li rovescia in men che non si dica e l’indomani D’Alema è già pronto con una maggioranza alternativa, rimpiazzando Rifondazione coi ribaltonisti di Mastella, Cossiga e Buttiglione e dichiarando morto l’Ulivo.

Nel ’99 Rete 4 perde la concessione, ma D’Alema – impegnatissimo a sponsorizzare i “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti e Consorte per l’assalto a Telecom – la salva regalandole la licenza per trasmettere in proroga sulle frequenze che spettano a Europa7.

Nel 2001 B. risorge dalle sue ceneri e governa cinque anni: unica opposizione i girotondi, i pacifisti, i no global, infatti D’Alema raccomanda di evitare la piazza.

Nel dicembre 2005 B. è alla canna del gas, dopo aver perso le amministrative e le europee, mentre l’Unione di Prodi ha 15 punti di vantaggio in vista del voto politico del 2006: ma ecco saltar fuori le intercettazioni sull’ultimo colpo di genio di Max, l’appoggio alla scalata illegale dell’Unipol di Consorte alla Bnl (“Vai, Gianni, facci sognare!”).

Pari e patta con le scalate di Fiorani e Ricucci ad Antonveneta ed Rcs sponsorizzate dal centrodestra. Così l’Unione si mangia quasi tutto il vantaggio e Prodi vinciucchia per 25 mila voti, troppo pochi per governare senza i ricatti dei partitini.

Nel 2009 B., dopo un anno di governo, è già alla frutta per lo scandalo D’Addario-Tarantini: ben presto si scopre che “Gianpi” le mignotte le portava nei giorni pari a Palazzo Grazioli e in quelli dispari a Sandro Frisullo, vicepresidente della giunta Vendola e dalemiano di ferro. Una Bicamerale a luci rosse.

Nel 2010 B. è di nuovo sputtanato dalle rivelazioni di Wikileaks: Max non può mancare e infatti salta fuori un cablo dell’ambasciatore Spogli a Washington su quel che gli ha confidato D’Alema nel 2007: “La magistratura è la più seria minaccia per lo Stato italiano”. Infatti i giudici baresi arrestano anche l’altro assessore dalemiano di Vendola, Alberto Tedesco, provvidenzialmente rifugiatosi al Senato.

Nel 2011 B. perde comunali e referendum: D’Alema offre un bel governo istituzionale col Pdl. Scandalo P4: Bisignani trafficava con vari ministri, ma accompagnava pure il gen. Poletti da D’Alema (e da chi, se no?). Ora B. ci riprova col bavaglio ai giornali che pubblicano intercettazioni pubbliche.

Max The Fox concorda, ma dice che “per una legge è tardi”. Ci penserà lui quando tornerà al governo. Per lui la missione del centrosinistra è sempre stata questa: completare l’opera del centrodestra. Il guaio è che quegli stronzi degli elettori non l’hanno ancora capito.


Cari D’Alema e Vietti, rischiate il disgusto
di Roberta de Monticelli - Il Fatto Quotidiano - 25 Giugno 2011

C’è un grande equivoco, che la parte più ambigua della classe politica e dirigente italiana sta alimentando, a rischio di disgustare di nuovo e irreversibilmente quelle centinaia di migliaia di persone, giovani soprattutto, che si erano appena riaffacciati all’impegno della partecipazione civile e politica.

Non parlo del bell’ambientino dei ministri di questo governo, e neppure della banda allo sbando che puntella disperatamente le poltrone della legislatura, poche delle quali sono ancora a rischio perdita vitalizio.

Parlo di uomini come D’Alema, Vietti, e molti altri, che avranno la responsabilità storica terribile di aver ucciso la speranza di un riscatto morale e civile per via democratica, e di aver ricacciato nel qualunquismo dell’antipolitica la generazione che avrebbe potuto nutrire il rinnovamento.

Si dice: che le indagini si facciano, ma le intercettazioni non vengano pubblicate. Si aggiunge: perché non hanno rilevanza penale.

Questo è un ragionamento palesemente incongruo, dato che non si può decidere per legge, e anticipatamente, che cosa ha rilevanza penale e che cosa no, e la legge semplicemente cancella tutta l’informazione, preventivamente, salvo permettere che arrivi quando avrà perduto ogni interesse, cioè a processi conclusi. Dunque l’argomento dell’irrilevanza penale è di per sé invalido.

Ma ora supponiamo che davvero molte delle intercettazioni pubblicate non abbiano rilevanza penale. Quanti comportamenti per i quali esistono molti aggettivi, da “ignobili” a “mafiosi”, non hanno specifica rilevanza penale, semplicemente perché il legislatore presuppone rispettato l’ovvio limite della decenza?

Ad esempio: che un ministro della Repubblica non prenda ordini da un condannato per truffa che non ha nessun titolo ufficiale per fornirli, che un Direttore di servizio pubblico non si faccia correggere le lettere aziendali da un qualunque occulto portavoce di interessi non pubblici, che chi è preposto alla nomina di esperti alla guida di aziende e servizi pubblici non sottostia ai ricatti o alle pressioni di chi dispone di armi di pressione e ricatto per far nominare invece suoi amici e parenti.

Basterebbe rileggere qualche articolo della Costituzione, e non soltanto il celebre articolo 54 sulla disciplina e l’onore con cui i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle.

Ad esempio tutto il Titolo III della Parte Seconda, dove fra i nove articoli che disciplinano le funzioni del governo non se ne trova uno solo che preveda consiglieri occulti, revisori telefonici e informatori segreti degli umori e delle volontà del Capo.

Faccio un altro esempio. Anche nel sistema universitario dei concorsi non è affatto previsto come reato che i membri della commissione decidano al telefono chi sarà promosso in un dato concorso: perché ovviamente poi tutte le procedure concorsuali saranno seguite a puntino – e serviranno a rendere tutto “penalmente irrilevante”.

Ora, magari lo specchio del cielo potesse rispecchiare e svergognare pubblicamente le innumerevoli consorterie e “cordate” (questo è il termine tecnico) che hanno fatto tanto male all’Università italiana, dove i migliori lottano perché, a seguito di questo male, non vada semplicemente distrutto il sistema dell’insegnamento e della ricerca. Lo volesse il cielo, lo volesse Iddio. Quanto meglio si lavorerebbe, allora.

E come è possibile che, dove le proporzioni del verminaio sono immensamente maggiori, e incomparabile la gravità del male fatto alla cosa pubblica, si dica con convinzione e amore di verità che il verminaio va nascosto agli occhi del pubblico, e al giudizio dei cittadini? Vergogna.


Le nuove narrazioni di Silvio Berlusconi
di Pierfranco Pellizzetti - Il Fatto Quotidiano - 25 Giugno 2011

Il salvataggio dell’insalvabile Berlusconi impone alla politica una radicale ritaratura dello stile argomentativo usuale, al lavoro da decenni e ormai inefficace. Un cambio di “narrazione”, direbbe il Nichi Vendola postmoderno, mentre oscilla tra l’antagonismo e il papismo.

Sicché l’unto del Signore, lo sciupafemmine fanfarone del non aver mai pagato costi di seduzione (tutte escort di buon cuore e minorenni mosse da amore filiale?), il riccone calpestatore di ogni regola, presunto oggetto dell’inconfessabile invidia nazionale, il grande comunicatore signore e padrone dell’etere, ora viene rappresentato come un povero e innocuo nonnetto che si appisola sulla poltrona.

Il rimbambito, la cui non eccelsa intelligenza può essere oggetto di crudele sottolineatura perfino da parte di un colosso del pensiero quale Stefania Prestigiacomo, la Barbie-ministra dell’Ambiente, assurta a tale rango grazie a una certa fotogenicità e i crediti formativi acquisiti nella militanza di seconda fila in quella “Scuola d’Atene” dell’associazionismo democratico rappresentata dai Giovani Imprenditori berluschinizzati di Confindustria.

Insomma, si sta realizzando la virata dalla tracotanza al compassionevole. Del resto, tonalità che tocca le corde segrete nel Paese delle mamme d’Italia. Compreso quelle di Antonio di Pietro, sempre in sintonia con gli umori italioti più profondi.

Chi aveva proclamato che “non avrebbe fatto prigionieri” adesso si ritrova incartato nel cellofan del patetico. A sua insaputa. Perché è proprio lo stesso Berlusconi l’unico a non essersi reso conto della svolta comunicativa in avvio e per questo continua a remare contro se stesso, prigioniero della mitologia precedente.

Ma con effetti quasi commoventi: il solito fotografo lo riprende col teleobiettivo nella villa sarda deserta, mentre intrattiene lo sparuto gruppetto di due-ragazzotte-due al posto delle vagonate di satanelle sgallettate di periferia e d’oltremare del bel tempo che fu, quando i caporali della carne fresca di coscia lunga non erano ancora finiti in galera; i suoi messaggi telefonici rimbombano nelle sale vuote davanti a una platea di sole poltroncine abbandonate.

Ce ne sarebbe da stringere il cuore, se Silvio Berlusconi non fosse sempre lo stesso; a parte l’avanzamento dello stato di decomposizione e qualche ulteriore tirante da lifting, per cui i suoi occhi sono diventati fessure a mandorla come quelli di un mandarino confuciano. Sempre lo stesso: l’autobiografia di una certa Italia.

Ossia la summa iconica di quella parte di società nazionale che ha trovato in lui lo sdoganatore e il clonatore (la neoborghesia cafona) ma anche il referente ideale di una classe dirigente che ormai ha trascinato il Paese in serie B e che ora rischia di farlo precipitare ulteriormente di categoria.

Quella classe dirigente che – come stiamo dicendo un po’ tutti in questo blog – si affanna a mettere in salvo Berlusconi per salvare se stessa. Operazione che ne svela, al di là del succedersi di tracotante e di patetico, la sua vera natura: quella di essere ridicolmente mediocre.

Sempre più comica nella misura in cui il timore, che induceva rispetto verso i potenti, va spegnendosi davanti all’indignazione dell’Altra Italia che mostra di volersi riprendere il proprio destino.

Ridanciana alla Ridolini, nel Massimo d’Alema, con le sue supponenti teorizzazioni di alta strategia politica che si risolvono nel creare trappole in cui cade lui stesso. Imbarazzante alla Tafazzi, nell’opposizione che si rivela il migliore puntello degli equilibri vigenti che la penalizzano (almeno apparentemente).

Ma anche fantozziana da sbellicarsi quando emergono dalle penombre i volti di quelli che sarebbero i grandi manovratori, le eminenze grigie. Tipo il Topo Gigi Bisignani: uno spicciafaccende come se ne trovano a diecine nei corridoi romani o a bivaccare negli uffici Pubbliche Relazioni delle grandi aziende con l’unico mandato di “procurare compagnia serale” ai clienti importanti.

Gente con la faccia ammiccante di quello che, mentre sei in coda per un taxi all’uscita della stazione Centrale di Milano, ti propone una corsa senza fattura. E poi ci sono gli interlocutori del Bisignani stesso.

Con una new entry: il giornalista ex bancario Enrico Cisnetto, sfrenato presenzialista nel vippume, che si spaccia per grande esperto di economia solo perché trent’anni fa, quando già lottava contro la precoce calvizie e sgomitava per arrampicarsi, aveva bazzicato i soliti Giovani Imprenditori riempiendo la propria agendina di numeri telefonici e collezionando gustosi gossip.

Apprendere che questa fauna manovra i destini nazionali è la conferma del livello di penosa miseria a cui siamo giunti. Per cui non ha nessun senso l’operazione compassionevole nei confronti dell’avvizzito corruttore che ci ha trascinato sino a questo punto. Semmai compassione dovremmo nutrirla verso noi stessi e per questa nostra Italia, che gira a vuoto. Come un criceto che corre restando fermo, mentre zampetta frenetico sulla ruota della sua gabbietta.