martedì 28 giugno 2011

C'è del marcio in Itaglia...

Alcuni articoli sulle nauseabonde vicende italiote...


Tanto fumo, poco arrosto!
di Marco Cedolin - Il Corrosivo - 27 Giugno 2011

Il fumo è quello dei gas lacrimogeni ed asfissianti, con i quali le forze dell'ordine hanno materialmente "soffocato" gli oltre 2000 cittadini valsusini che presidiavano la Libera Repubblica della Maddalena contro l'assalto della mafia del tondino e del cemento.

L'arrosto quello di un cantiere immaginifico e senza futuro, che la consorteria politica tenterà di vendere all'opinione pubblica e alla compiacente UE, come la prima pietra di quel TAV in Val di Susa, nato già morto e destinato ad essere solo una fonte di guadagni illeciti, alla quale fare abbeverare animali politici e prenditori d'accatto.

Di questa nottata di trepidante attesa, fino al mattino, vissuto con i polmoni che bruciano, gli occhi accecati, ma la testa alta, rimangono molte immagini, alcune destinate a scolorire velocemente, altre a rimanere nella memoria come segni indelebili.

L'orgoglio del popolo, che anche in questa Italia votata al malaffare e all'opportunismo, trova il coraggio di mettere a repentaglio la propria incolumità fisica, per difendere la terra in cui vive e il futuro dei propri figli, riscoprendo valori che la maggior parte degli italiani hanno dimenticato.

Ed è un popolo disposto a passare le notti all'addiaccio, rubando le ore alla famiglia e al lavoro, un popolo che riscopre la bellezza dello "stare insieme" e del sentirsi parte di qualcosa che travalichi l'egoismo qualunquista, ormai diventato forma mentis imperante.....

Il volto marcescente dei burattini della politica, completamente asserviti a finanza e grande imprenditoria, fino al punto da arrivare a prendere direttamente ordini da Confindustria, che ha materialmente dettato al Ministro Maroni i tempi ed i termini di un'azione "di guerra" assolutamente priva di senso.

La faccia oscura degli agenti in divisa, ormai abituati a trattare i cittadini che protestano, alla stessa stregua delle donne e dei bambini d'Afghanistan o d'Iraq.

Forze dell'ordine al soldo di poteri che nulla hanno a che fare con l'interesse dello stato, picchiatori che agiscono militarmente contro i cittadini, in rappresentanza di quel malaffare che sarebbero chiamati a combattere.

I visi fieri di una decina di signore (che potrebbero essere le nostre madri o le nostre sorelle) abbarbicate sopra al guard rail, a fronteggiare una ruspa a tenaglia grande come un paio di TIR, guidata da un "assassino" che non si faceva alcun scrupolo nell'affondare la tenaglia contro di loro, con il rischio concreto di ammazzarle o renderle storpie a vita. Perchè anche il tentato omicidio è lecito, qualora propedeutico alla costruzione della "Grande Opera" imposta da Confindustria.

E poi tanto fumo, centinaia e centinaia di lacrimogeni di ultima generazione, dispensati a pioggia, a soffocare i polmoni e accecare gli occhi. Perchè soffocare e accecare era l'unica strada praticabile, per scacciare dalla propria terra migliaia di persone, decise a difenderla con il "peso" del loro corpo.

E ancora lacrimogeni a centinaia, lanciati sulla montagna, ad inseguire i cittadini che si ritiravano, per essere sicuri che "avessero imparato la lezione". Fra loro tanti anziani, tante donne, tante ragazzine, che non respiravano, che vomitavano, ma hanno continuato a camminare, senza perdere un grammo della propria dignità.

In Val di Susa l'incubo del 2005 è tornato, greve come allora, la Valle è militarizzata, le strade sono bloccate, e come allora spira il vento dell'insurrezione popolare.

Ma chi pensa di avere soffocato con il gas la lotta contro il TAV, con tutta probabilità non ha mai conosciuto un valsusino, nè il percorso di questa battaglia.

Scesi dalla montagna, con gli occhi rossi ed i polmoni riarsi, i presidianti della Maddalena, hanno mantenuto intatta la convinzione che in Val di Susa il TAV non passerà mai.

Asfissiando i cittadini, oltre 1500 poliziotti, sono riusciti a prendere possesso di un fazzoletto di terra, che ora dovranno presidiare notte giorno con centinaia di uomini.
Non si tratta di un cantiere, ma di una spianata di terreno che si affretteranno a recintare.

E di cantiere probabilmente non si tratterà mai, perchè prima che lo diventi i valsusini torneranno in decine di migliaia, come nel 2005, e se lo riprenderanno, sempre naturalmente che Maroni e chi lo comanda, non carezzino l'idea di gasarli tutti.




Rotondi dice no ai tagli dei privilegi. “La gente ci detesta, difendiamo la Casta” da Il Fatto Quotidiano - 28 Giugno 2011

Il ministro per l'Attuazione del programma, intervistato da Libero, si scaglia contro Tremonti e a Berlusconi suggerisce: se vuole far durare il governo deve coccolare i parlamentari

“Dobbiamo coccolare i parlamentari; se un giorno gli si dice che vanno dimezzati, il giorno dopo che gli si taglia lo stipendio, quello successivo l’auto blu, significa voler proprio far cadere il governo”. Il ministro Gianfranco Rotondi è contrario ai tagli dei privilegi a deputati e senatori. Anzi. I privilegi, dice, vanno tutelati. “Tanto, più impopolari di così”.

Il ministro per l’Attuazione del programma si arruola nell’esercito nemico di Giulio Tremonti. “Le misure contro i privilegi della politica le considero un insulto alla sua intelligenza”, dice. E suggerisce una ricetta tutta sua. “Forte del fatto che nessuno, neanche all’opposizione, vuole andare al voto, Berlusconi deve avere un’unica preoccupazione: coltivare i rapporti con Camera e Senato”.

Come? “Teniamoci buoni i mille parlamentari”, dice Rotondi in un’intervista a Libero. “Non possiamo dargli l’aumento, ma almeno coccoliamoli, rassicuriamoli, non rompiamogli le palle se vogliamo arrivare al termine della legislatura. E nel frattempo cerchiamo di farci dimenticare. Perché, inutile negarlo, la gente ormai ci detesta”.

Secondo Rotondi, dunque, cosi il governo può arrivare alla sua scadenza naturale del 2013. Altrimenti rischia. “Se uno un giorno dice a deputati e senatori che vanno dimezzati, il giorno dopo che taglia loro gli stipendi, quello successivo che gli toglie l’auto blu, allora è un kamikaze, significa che vuole proprio farlo cadere questo governo”.

Una difesa della Casta. “Più impopolari di così. Il deputato oggi è uno sputtanato che va per la pagnotta, questo è il giudizio che ci siamo cuciti addosso, per merito dei comici, delle trasmissioni tv”, secondo Rotondi. Non per merito dei parlamentari.

“Un tempo si accusava i politici di rubare, oggi gli si rimprovera solo di avere dei privilegi previsti dalla legge. Ma attenzione. Questa furia antipolitica finisce per essere antiparlamentare. e il Parlamento è come la salute: ti rendi conto che è importante solo quando non ce l’hai più”, dice Rotondi.

Insomma una sorta di requiem al governo. E al premier Rotondi suggerisce di tornare allo spirito di una volta tanto “deve rassegnarsi al fatto che in diciotto mesi non può fare le riforme istituzionali, né la riforma della giustizia e neppure quella fiscale. Al massimo si può far approdare qualche legge in Parlamento”.


Santanchè santa subito
di Chiara Paolin - Il Fatto Quotidiano - 28 Giugno 2011

“Daniela, sul serio i tuoi ti chiudevano per castigo dentro lo sgabuzzino? Ma al buio!?” Barbara D’Urso è solo capelli dorati e occhi di rimmel, il resto è sfumato in un’aureola che prelude a risposte drammatiche. Seduta lì di fronte c’è la sua amica Dani, col ciuffo biondo sempre più mielato nel confessare con un sorriso triste: “Sì. Mio padre era un uomo molto severo”.

Applausi e commozione, conduttrice con l’occhio lucido e pubblico in visibilio: eccola qua la risposta Mediaset a tutto il fango delle ultime intercettazioni, un bel “Cuore a cuore con Daniela Santanchè” su Pomeriggio Cinque per far resuscitare la pr più ungulata del governo italiano.

Una donna cattiva e profittatrice? La lady sadomaso di Palazzo Chigi con tanto di stagisti tenuti a guinzaglio, come da puntuale imitazione della Cortellesi? Macchè. Un angelo caduto in terra, la pecorella nera della sua umile famiglia d’origine, una mente ribelle e volitiva fin da piccina.

Quando chiese – a 13 anni – di andare a Londra per studiare l’inglese, papà Ottavio rispose cupo: ok, ma vai a raccogliere le fragole se vuoi le 500mila lire che ti servono. Così lei, finita la scuola, passò un mese con la schiena piegata, sempre in giro dalle 5 del mattino alle 8 di sera, per racimolare la cifra necessaria.

Dettagli antisindacali a parte (potrà una bambina aver lavorato 10 ore al giorno nelle lande cuneesi finito il Dopoguerra?), arrivò infine l’agognato stipendio, ma mancava ancora un centone. Noooo, recita all’unisono il coro greco in trasmissione. “E allora? Che successe poi?” s’accora Barbarella. “Mio padre disse: te li presto io i soldi che mancano, mi ripagherai con del lavoro durante l’inverno”.

Giusto, che bravo, i figli devono capire cosa sia il sacrificio, applausoni. Ma, colpo di scena, quale sarà mai il lavoretto adatto a una ragazzina tanto sveglia per la ditta di trasporti del papà?

Organizzare un party, un brunch, un defilé? “Pulire i cessi dei camionisti” spiegava Superdani in un profluvio di ohhhh, con la D’Urso incerta se convocarla anche alla nuova edizione del Guinness dei primati per il titolo di ex adolescente più maltrattata delle Alpi occidentali.

Non c’è tempo per i dubbi, l’inviata a Cuneo chiede la linea per il collegamento: deve intervistare il primo fidanzatino di Daniela. “Si chiama Flavio”. Momento di suspance: sarà mai quel Flavio lì? No, è un signore simpatico, senza yacht né babbucce di camoscio, pure un po’ spelacchiato. “Carino” concede Barbara, ma la faccia dell’amichetta dice: “Meglio quelli che ho cuccato dopo”.

E infatti si parla del primo marito chirurgo (di cui ha mantenuto il cognome dal suono chic), poi del padre di suo figlio Lorenzo (“un ragazzino educato, per bene, rispettoso, discreto” lo definisce mamma che sa bene quanto conti oggi lo stile), ma niente gossip d’attualità con chiacchiere su tipacci tipo Bisignani e/o Sallusti.

Meglio virare sulla sorella, che, come in ogni carrambata, compare in studio portando un paio di ballerine in omaggio: provale, Dani. Lei, schifata dall’assenza di tacco 12, ci fa un giretto e sentenzia: “Per carità, mi state massacrando, era meglio se andavo da Santoro.

Viene giù il teatro dalle risate complici, e l’emozione solidale resta alta grazie a un tripudio di amarcord giovanile: il circolo del tennis dove la Santanchè impallinava le avversarie, la comparsata tv a W le donne nel 1983 (“Da grande voglio fare il ministro” disse preveggente), l’amica del cuore con cui scorrazzava in motorino per andare a feste in cui la nostra cantava a squarciagola Sei bellissima, i saluti strappacore di fratello, mamma e papà, il liberatorio pianto finale della sottosegretaria che scioglieva tutta la tensione di una prova tanto dura con la seguente dichiarazione: “Non esistono i problemi quando tu hai vicino una famiglia così”.

Fuori i fazzoletti, primo piano strettissimo, ovazione dell’arena, D’Urso compiaciuta fino in fondo nello scandire: “Ecco, questa è la vera Daniela. La sera a casa coi ferri per fare la maglia, altro che”. E certo.

Peccato non aver fatto anche una domandina su quelle fatture di cui parla il Bisi (e che avrebbero fatto saltare per aria Visibilia, l’agenzia pubblicitaria della Santanchè, senza il pronto intervento di mister P4), né sulla reazione dell’amico Briatore a tale rivelazione (“Pensa te, che cretina. Comunque è una che non si merita un cazzo” poetava Flavio al telefono col Gigi).

Strano, nemmeno un accenno a quel discorsetto fatto col compaesano sul declino di Berlusconi (“Ma allora qua viene giù tutto” si allarmava Dani commentando il trasloco del bunga bunga da Arcore a Villa Gernetto). Niente.

Solo pane e cipria per il popolo tv
, perché tutto va bene nel meraviglioso mondo di Silvio. E anche chi dice qualche cattiveria di troppo va compreso: non è cattiveria, è che li truccano così.


L'Italia, il Paese dove a comandar è un signor "Nessuno"
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 27 Giugno 2011

Luigi Bisignani, allora oscuro cronista dell’Ansa, comparve all’onor del mondo quando nel 1981 il suo nome fu trovato fra i quasi mille iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli.

Un peccato, anche se non innocente, di gioventù (aveva 27 anni), perché sono sempre stato convinto che la P2 fosse un’associazione a delinquere solo nei suoi vertici (Gelli, Ortolani, Calvi e Tassan Din) mentre per il resto si trattava, per lo più, di una framassoneria di stracciaculi per fare carriera alla svelta.


Dieci anni dopo troviamo però Bisignani in una vicenda che non è framassonica o paramafiosa ma penale.


Divenuto nel frattempo capo delle relazioni esterne del Gruppo Ferruzzi (Raul Gardini/Sam) è colto con le mani nel sacco nella supertangente Enimont («la madre di tutte le tangenti») e condannato a due anni e otto mesi di reclusione. Una brillante carriera spezzata.


Mi stupii quindi quando lo rividi ricomparire nella cosiddetta «Tangentopoli 2» ascoltatissimo consigliere di Lorenzo Necci, l’amministratore delegato delle Ferrovie, la più grande azienda di Stato italiana, poi condannato per vari reati.


Pensavo infatti che nei confronti di tipetti alla Bisignani scattasse una sorta di sanzione sociale e che almeno nella Pubblica amministrazione nessuno volesse averci a che fare.
Invece Bisignani era sempre lì, più riverito che mai, ricevuto in tutte le case che contano.

La settimana scorsa ho aperto il giornale e ho letto: «Ricatti, arrestato Bisignani». Arieccolo.
Se la cosiddetta «P4» sia un’associazione a delinquere lo giudicherà la magistratura, ma mi ha colpito la definizione che di Luigi Bisignani ha dato il Gip di Napoli: «Ascoltato consigliere dei vertici delle più importanti aziende controllate dallo Stato, di ministri della repubblica, sottosegretari e alti dirigenti statali... un personaggio più che inserito in tutti gli ambienti istituzionali con forti collegamenti con i servizi di sicurezza».

«È amico di tutti» ha detto Gianni Letta, per giustificarsi. Ma proprio questa è la cosa grave. Altro che «sanzione sociale». Questa non opera per le mele marce, inserite in tutti i gangli dello Stato, con un crescendo impressionante negli ultimi trent’anni, che si annusano, si fiutano, si riconoscono e si cooptano, ma per quelle sane, temutissime perché non sono ricattabili.

Vade retro Satana. È con i Bisignani che ci si intende.


L’Italia è davvero uno strano Paese. Nel 1981 scoprimmo che il vero burattinaio non stava né a Roma né a Milano né a Torino ma a Castiglion Fibocchi, non abitava i Palazzi della politica, era un modesto dirigente della Permaflex oltre che uomo volgarissimo e di un’ignoranza quasi comica (Angelo Rizzoli mi raccontava che «manager» lo pronunciava «managè» e, piccandosi di parlar francese, diceva «debals» al posto di «debacle»).
Si chiamava Licio Gelli.

Chi era costui? Gli italiani non ne avevano mai sentito parlare. Ma quelli che contano sapevano benissimo chi fosse e quanto potesse. Tutti.

Se è vero che persino Indro Montanelli sentì il bisogno di andare in pellegrinaggio da lui all’hotel Excelsior di Roma, dove teneva base.


Oggi, 2011, scopriamo che chi determina i presidenti e gli amministratori dei grandi Enti di Stato, decide chi deve dirigere la Rai, influenza ministri e sottosegretari più che Silvio Berlusconi è un signor Nessuno, noto alle cronache solo per squallide vicende giudiziarie, di nome Luigi Bisignani.



Lo Stato a strati
di Massimo Gramellini - La Stampa - 28 Giugno 2011

Trentun anni da Ustica e come ogni anno ritornano le rivelazioni, gli appelli, i riassunti delle puntate precedenti di uno strazio infinito, parte dell'intricato feuilleton che era l'Italia di quei tempi certo non migliori di questi.

Prima, durante e dopo il DC-9 inabissatosi in mare (i pinocchi di Stato parlarono di «cedimento strutturale») ci furono la bomba alla stazione di Bologna, la lista P2, la morte di Calvi, il rapimento di Emanuela Orlandi, i delitti Ambrosoli, Pecorelli e Dalla Chiesa, in un turbinio di gangster, doppiogiochisti, terroristi interni e internazionali, agenti «in sonno» e altri fin troppo svegli.

Migliaia di pagine d'inchiesta non sono bastate a suturare nemmeno una di queste ferite della memoria collettiva. Su Ustica, fra un baciamano e l'altro, fra un bombardamento e l'altro, si sarebbe potuto almeno chiedere qualche delucidazione a Gheddafi, che la sera del 27 giugno 1980 pare volasse da quelle parti. Invece muri di gomma e facce di bronzo.

Intendiamoci. Ogni nazione ha i suoi misteri insoluti: in America ancora si discute sui mandanti dell'assassinio di Kennedy e sui presunti alieni caduti nel New Mexico. Anche lì si pensa che il Potere tenga nascosti pezzi di verità. Ma nelle nazioni più serie il Potere coincide con lo Stato: istituzioni politiche e forze armate.

Invece da noi a reggere i fili del mistero sembrano esserci delle cricche perennemente in lotta o in combutta fra loro. Mafie, consorterie, piccoli Stati cresciuti dentro lo Stato fino a corroderlo e a trasformarlo nell'esile fondale di una recita che si svolge dietro le quinte e proietta sul palco soltanto le ombre.