martedì 14 giugno 2011

Democrazia diretta: referendum propositivi e crowdsourcing...

Alcuni articoli che evidenziano quanto il risultato degli ultimi referendum abbia sancito la crescente fame di democrazia diretta da parte dei cittadini italiani, la voglia di partecipare direttamente nelle scelte e decisioni del Paese scavalcando l'asfissia del sistema partitico.

E inoltre un esempio di come sia possibile sperimentare e mettere in pratica una forma innovativa e ulteriore di democrazia diretta: il crowdsourcing, attuato in questi giorni in Islanda per riscrivere la Costituzione.

Ma in Italia, tanto per cominciare, ci si potrebbe accontentare di eliminare il quorum e della possibilità di indire referendum propositivi nazionali, sulla scia di quelli comunali votati dai cittadini di Milano.

Il crowdsourcing arriverebbe in seguito come logica conseguenza di questi due provvedimenti.

In Italia però tutto ciò è ancora fantascienza, e d'altronde come potrebbe essere altrimenti in un Paese dove c'è un presidente del Consiglio 75enne che utilizza ancora le videocassette Vhs...


Un paese nuovo
di Conchita De Gregorio - l'Unità - 13 Giugno 2011

È solo l’inizio”, abbiamo scritto il prima pagina il 14 febbraio all’indomani della grande manifestazione delle donne, sordi agli insulti e allo scherno che si levava dai giornali della destra, al sarcasmo greve, alle offese personali.

Era solo l’inizio ma insieme era l'approdo di un lungo cammino, ostinato e silenzioso, sotterraneo: il cammino che ci ha portati sin qui, 30 milioni di persone alle urne, una vittoria dei cittadini e dell’Italia intera. La vittoria di quelle parole che insieme in questi anni abbiamo rinominato da capo: verità, autenticità, coraggio, dignità, responsabilità, giustizia.

Adesso dette così, tutte in fila, possono sembrare l’ennesimo rosario retorico e astratto ma noi sappiamo bene, invece, che a ciascuna di queste parole corrisponde una battaglia, un episodio, un gesto, un segnale che si è levato dal Paese in questi mesi e che qui abbiamo ascoltato, accolto, amplificato, illustrato. Prendendo quel refolo di vento e provando con le nostre forze - la forza di chi osserva la realtà e la racconta, la forza del giornalismo libero - a farlo crescere con noi.

Se scorriamo all’indietro le prime pagine del nostro giornale troveremo tutte le orme, le tappe di quel cammino. Ne abbiamo raccolte alcune, all'interno, per aiutare la memoria breve che è così volatile, per ricordare a tutti che niente accade all’improvviso e per caso, che il futuro era già qui bastava saperlo vedere.

È questa cecità, questa sordità il difetto di chi è rimasto cristallizzato in un tempo che stava scivolando via: è questa incapacità di ascolto che ha punito chi ha perso.

Era maggio del 2009 quando dicevamo “La rabbia dei figli”, saranno i giovani a portarci via da qui. “Ribellarsi fa bene” quando era ancora il momento del torpore apparente, bisognava spronare.

Era luglio di due anni fa quando abbiamo lanciato la campagna sul nucleare, era ottobre (“La legge è uguale per tutti”) il tempo di quella sul legittimo impedimento, era il 6 novembre 2009 quando abbiamo denunciato - “Le mani sull’acqua” - il tentativo in atto.

Poi il risentimento e la rabbia che tanti temevano ci riportasse agli anni Settanta - ricordate? - sono stati cavalcati da alcuni e non da altri. Non ci è mai piaciuta la politica della bava alla bocca, non ci sono piaciute le urla e le minacce, i tentativi di provocare incidenti, le città blindate.

“La lezione degli studenti”, dicevamo il giorno dopo la grande manifestazione dei ragazzi che sfilavano con le copertine dei libri appese al collo. La rivolta delle donne, poi l’ironia e la forza del web - “Avanti Pop” e “Avotar” - il vento, infine, finalmente.

Ecco, siamo arrivati fin qui. Il voto di ieri ci consegna un Paese nuovo. Veramente nuovo, profondamente nuovo. Guai a chi si ostinasse a non vederlo, a chi continuasse ad interpretarlo col vecchio lessico e i vecchi schemi.

Dopo le amministrative - la “rivoluzione gentile” - il referendum. Proverò a dire quelli che mi sembrano i tratti salienti di questo voto e mi scuso in anticipo coi lettori abituali del nostro giornale che queste parole le hanno già lette molte volte, nei mesi, qui. Scusate se mi ripeto, ma oggi è il giorno: riassumiamo, dopo averne avuta conferma, quello che ci siamo già detti nei giorni.

Oltre. Non (solo) un voto contro Berlusconi ma un voto oltre Berlusconi. La stagione del Sultano è finita. Restano in quattro a ballare la sua musica. Bossi che studia come uscirne, e quando. I servi sciocchi e stipendiati. I comprati, che dalla sua caduta hanno solo da perdere. Non vale la pena occuparsi di loro, adesso.

Il Paese non si occupa di loro, è oltre. Dei trenta milioni che hanno votato moltissimi sono elettori di centrodestra, molti altri astenuti che sono tornati a votare perchè chiamati a riprendersi la delega, a esprimersi finalmente su qualcosa di concreto, che li riguarda. A dire: non ci sentiamo rappresentati da questa classe politica, ne vogliamo una nuova che ci somigli e ci tuteli.

I partiti. Continuare a leggere il voto, come sento fare ancora nei salotti tv e nelle direzioni politiche, con la logica del chi ha vinto e chi ha perso, quale alleanza è opportuno adesso fare, destra sinistra centro, come spostare i blocchi di voti secondo convenienze di vertice è miope e sbagliato.

Se ce ne fosse ancora bisogno il voto di ieri conferma che è finita l’epoca della politica verticale, quella in cui il leader di partito dà indicazione all'elettorato e quello - obbiediente e acritico - esegue. È orizzontale, questa politica.

È politica, non c'è dubbio che lo sia: non è antipolitica velleitaria e populista. E' politica che nasce dal basso, dai comitati dai cittadini che si organizzano, che passa anche attraverso i partiti ma non solo, che è capace di disubbidire, che esercita in prima persona la responsabilità.

Direte: ma la nostra è una democrazia rappresentativa, le forme di democrazia diretta come il referendum sono un'eccezione non sempre salutare.

Sì, ma se la democrazia rappresentativa è bloccata da un sistema elettorale che impedisce ai cittadini di scegliere gli eletti, se gli eletti sono nominati dai leader e non rispondono più all'elettorato, se sono deboli perchè dipendono da quella nomina e dunque corruttibili come possono, allora i cittadini, dare un segno?

Come possono chiedere di tornare ad essere i protagonisti di un sistema in cui “la sovranità appartiene al popolo” se le forme in cui la esercita sono sclerotizzate e ammalate?

Gli elettori hanno imparato a dissentire dalla “linea” dettata dalle segreterie. Raccolgono firme sui tavoli anche quando i loro partiti di riferimento non lo fanno, vanno a votare anche quando i loro leader dicono di no.

La Padania di Bossi è andata alle urne in massa, il Veneto e il Piemonte assai più della Calabria: uno scollamento che deve togliergli il sonno, e che connoterà domenica prossima l'appuntamento di Pontida. Hanno fatto come volevano: a sinistra come a destra, al centro.

Inoltre, vedete, torna al voto il partito del non voto: quel 30 per cento di italiani che non si fida e non si identifica più in nessuno – per stanchezza, per disillusione, perchè troppe volte eccetera eccetera – ecco che quando trova spazio per dire la sua in un'area non rappresentata solo dai partiti lo fa.

Il tesoro nascosto riemerge. In questa struttura a rete, orizzontale, certo che i partiti hanno una funzione fondamentale: ne sono parte, non ne sono più il vertice.

Possono e devono mettersi al servizio dei cittadini: quando lo hanno fatto, sebbene in ritardo in qualche caso, seppure con qualche prudenza al principio, hanno vinto.

Nella battaglia referendaria, per esempio, nata dai Comitati così a lungo dileggiati, sostenuta da principio da Di Pietro e da Sel, poi anche convintamente dal Pd tutti costoro possono dire oggi di aver vinto.

Come tutti coloro che hanno sostenuto con lealtà De Magistris e Pisapia hanno vinto. Come le primarie - che ora anche la destra con ridicolo ritardo e nessuna credibilità dice di voler fare – insegnano.

L'elettorato ha dimostrato, tutte queste volte, di avere più lungimiranza e più coraggio di chi lo rappresenta in Parlamento. In qualche caso, penso al voto cattolico, persino di essere più a sinistra dei suoi leader. Gli elettori di centrodestra hanno detto invece che possiamo voltare pagina, Berlusconi è passato, adesso torniamo a fare politica.

I giovani. La rivoluzione arriverà quando i nonni si alleeranno coi nipoti, abbiamo scritto tante volte. Quando i ragazzi convinceranno i genitori: a votare, a cambiare, ad uscire dal torpore ipnotico di cui la generazione di mezzo è stata in grande parte vittima, nel trentennio di regime mediatico.

I vecchi e i giovani hanno realizzato questo cambiamento. I ragazzi, soprattutto. E principalmente usando mezzi e linguaggio nuovo: il web, l'ironia, il passaparola, i videomessaggi, la satira. Vale più una vignetta che gira in rete di un comizio.

La Rete. Dicevamo qualche giorno fa che il voto delle amministrative decreta la fine dell'era televisiva. L'inizio della fine, certo, perchè ci vorrà tempo. Ma oggi non c'è chi non veda come questo voto non sia stato in alcun modo determinato dalla tv. A parte tre o quattro dibattiti televisivi, sempre gli stessi, del referendum non ha parlato nessuno.

Gli otto milioni di Santoro non sono nemmeno un terzo dei trenta che sono andati a votare: davvero è colpa o merito di Annozero presidente? Non penso proprio, fate un giro in rete.

La quantità e qualità della mobilitazione ha raggiunto l'eccellenza creativa anche con mezzi rudimentali: vi abbiamo mostrato in copertina, negli ultimi giorni, di cosa fosse fatta questa campagna. Del protagonismo di ciascuno e della sua capacità di “bucare”.

Capacità, scrive oggi il blogger Alessandro Capriccioli, direttamente proporzionale all'autenticità del desiderio di esserci, di passione e ragione, di verità. La verità, l'autenticità hanno vinto sulle menzogne sulle censure e sulle prepotenze. Si riconoscono, le une e le altre.

Non serve più che il Tg1 oscuri Napolitano che va a votare, come non serve censurare le voci scomode: si leveranno altrove. Vale per tutti, a destra e a sinistra. Del resto: il governo ha provato a boicottare in ogni modo il voto: spostandolo al primo week end dopo la chiusura delle scuole, scrivendo leggine e inoltrando ricorsi.

Ma se era inutile, perchè tanta fatica presidente?

Un tempo nuovo. Erano 15 anni che un referendum non raggiungeva il quorum. Ventidue, dal '97, hanno fallito l'obiettivo. Vogliamo continuare a discutere, da domani, come se non fossimo davanti a un'Italia che rinasce?

Vogliamo ancora baloccarci con le pensose analisi degli opinionisti tv - tutti uomini, di solito, tutti cinquantenni - o vogliamo andare a sentire anche i ragazzi per strada, i giovani dei comitati, gli amministratori coraggiosi, quelli che non contano niente perchè non hanno l'autista, quelli che lavorano nei circoli e nelle sezioni ma nessuno gli chiede mai altro che obbedienza, magari per fax?

Liberiamo le donne e i bambini, ascoltiamo la voce dei figli e dei nonni, riprendiamoci la libertà, la dignità, la bellezza dell'impegno politico. Nei partiti e fuori di lì, dappertutto.

Costringiamo chi pensa che il potere sia facoltà di comando a ricordarsi che è obbligo di servizio. Una grande responsabilità, una fatica e una gioia. Tutto il resto verrà, sta già arrivando. Buongiorno, Italia. E grazie.


Un successo senza padri
di Massimo Gramellini - La Stampa - 14 Giugno 2011

Chi ha perso? Berlusconi, Bossi, l’idea che il Privato sia sempre e comunque meglio del Pubblico, i telegiornali di regime che hanno cercato di abrogare i referendum dalla testa degli spettatori.

Chi ha vinto? Una rabbia e una speranza indefinite, il Noi che torna dopo tanto tempo a prevalere sull’Io, migliaia di cittadini riuniti nelle nuove famiglie elettroniche dei social network, dove si va a votare perché ti ha informato l’amico e non il partito.

Tra i due elenchi, una differenza salta subito agli occhi. In quello degli sconfitti ci sono dei leader (ancorché anziani), mentre fra i vincitori nemmeno uno. Poteva esserlo Di Pietro, ma è stato abbastanza furbo da fare un passo indietro. Vorrebbe esserlo Bersani, ma appena ha provato a intestarsi il trionfo è stato zittito dal resto della compagnia.

La verità è che se pensi al referendum sul divorzio ti viene in mente Pannella. Se pensi a quelli sulla partitocrazia, Mariotto Segni. Invece le vittorie su acqua, nucleare e legittimo impedimento non possono essere collegate a nessun politico. Al massimo a Celentano e Santoro.

Di solito sono le sconfitte a non avere padri. Ma qui sta succedendo il contrario. Prima le elezioni amministrative di Milano e Napoli hanno premiato due eretici. E adesso i referendum, vinti da cittadini che sono tornati a credere nella politica, ma non nei politici.

Un movimento di massa sganciato dai partiti, che sancisce il declino dei due capi-popolo più potenti dell’ultimo ventennio, ma non incorona nessuno al posto loro, perché in nessuno riconosce una figura davvero estranea alla Casta.

Questo movimento è un magma rovente che si condenserà in qualcosa di inedito o di antico, ma solo a patto di incontrare qualcuno capace di dargli uno sbocco.

Veniamo da anni di personalizzazione eccessiva, dove ai leader si è voluto delegare anche troppo, trattandoli come anfore luminescenti nelle quali versare tutte le nostre aspettative e i nostri pensieri migliori (o peggiori).

Un meccanismo tipico dell’innamoramento. A cui hanno fatto seguito, come in tanti innamoramenti, le montagne russe della delusione trasmutata in rabbia, poi in nausea e infine in una fuga percorsa da volontà di riscossa. Ma non si può restare orfani di padre troppo a lungo.

Ogni mutazione sociale ha bisogno di interpreti forti. E perché avvenga dentro i canoni della democrazia, richiede da questi interpreti qualità non solo carismatiche, ma di sostanza: la competenza, la sobrietà, il demone del riformismo.

Quel talento del vero leader che consiste nell’anticipare i bisogni profondi dei cittadini, anziché inseguirli lungo la china demagogica dei sondaggi. La fine sfilacciata ma inesorabile del berlusconismo sorprende l’Italia senza padri, a destra e a sinistra.

Magari il futuro prossimo ci riserva personalità ancora ignote o sotto traccia. Ma per il momento l’ironia della sorte è che i nomi più appetibili sul mercato - da Casini a Matteo Renzi a Rosi Bindi - sono tutti democristiani. Come se questo Paese non potesse essere nient’altro, nel bene e nel male.



Legittimo godimento
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 14 Giugno 2011

Siccome aborriamo il carro dei vincitori e, appena vinciamo, cominciamo a starci un po’ sui cogl… anche noi, ringraziamo gli sconfitti che invece ci stanno simpaticissimi.

Grazie, B., per aver rilanciato tre anni fa il nucleare, affidandolo per giunta a quell’affidabile personcina di Scajola. Grazie, gerarchi Pd, per aver detto che Di Pietro, raccogliendo le firme, faceva il gioco di B. e per aver tenuto le mani in pasta nelle municipalizzate pubbliche e miste, favoleggiato di “nucleare sicuro di quarta generazione” e teorizzato una modica quantità di immunità.

Grazie, Pompiere della Sera, per avere scritto che non bisogna demonizzare B. parlando dei suoi processi, che non interessano a nessuno perché la gente “vuole parlare di programmi”. Grazie, gerarchi Pd, per aver creduto al Pompiere della Sera.

Grazie, Piercasinando, per aver inventato il legittimo impedimento così da fare un dispetto a B. che, senza processi, non farà più la vittima. Grazie, Belpietro e Sallusti, per quei memorabili titoli di Libero e del Giornale: “L’imbroglio referendum”, “Voto a perdere”, “La presa in giro”, “Facciamo saltare i referendum”, “Meglio non votare”, “Astenersi grazie”, “State a casa”, “Referendum no grazie”, trascinando alle urne i pochi dubbiosi di centrodestra.

Grazie, giovine Renzi, per aver fatto campagna sul No all’acqua pubblica, trascinando alle urne i pochi dubbiosi di centrosinistra. Grazie, finiani, per aver trattenuto i cacadubbi Urso e Ronchi, fiaccando ogni residua speranza in una destra antiberlusconiana.

Grazie, professor Piepoli, per aver autorevolmente vaticinato che “al 50% il quorum non si raggiungerà”. Grazie, B., per aver lasciato libertà di voto ai suoi elettori salvo poi annunciare l’astensione innescando la corsa alle urne.

Grazie, Bossi, per aver detto in un raro lampo di lucidità “i quesiti sull’acqua sono interessanti”, salvo poi ripiombare in stato confusionale e invitare all’astensione.

Grazie, Rai, per aver disinformato i cittadini sui referendum con spot di 6 minuti al giorno (anzi alla notte) in ostrogoto, spingendoli a informarsi su Internet, sul blog di Grillo e un po’ anche sul Fatto. Grazie, Mediaset, per Tg4, Tg5 e Studio Aperto.

Grazie, Santanchè, Castelli e Brunetta, per aver detto “Celentano è meglio che canti e non parli”, ché a parlare ci pensano loro. Grazie, Testa, per farti chiamare Chicco a 60 anni.

Grazie, Garimberti e Lei, per aver chiuso Annozero proprio ora. Grazie, Minzolingua, per aver dedicato negli ultimi cinque mesi 11 sole notizie al referendum anti-nucleare, per aver sbagliato le date dei referendum, per aver oscurato le immagini di Napolitano al seggio e per aver usato financo le previsioni del tempo per invitare gli italiani “a farsi una bella gita”.

Grazie, Giuliano Ferrara, per aver riunito i “servi liberi” al teatro Capranichetta, ma soprattutto per averli fatti parlare e vedere.

Grazie, B., per il triplice miracolo di far eleggere un comunista sindaco di Milano e un magistrato sindaco di Napoli, e di resuscitare l’istituto referendario che giaceva in coma da 16 anni.

Grazie, governo, per aver sabotato l’accorpamento referendum-amministrative al modico costo di 320 milioni e poi il voto sul nucleare con il decreto-truffa. Grazie, grandi partiti, per averci convinti definitivamente che dobbiamo fare da soli.

Grazie, B., per essere rimasto ostentatamente al mare mentre gli elettori (compresi i suoi) correvano ai seggi, bissando l’“andate al mare” di Craxi modello ‘91, il che fa ben sperare nello stesso epilogo: la spiaggia di Hammamet nel giro di un paio d’anni o, in alternativa, la galera.


La massa al potere: l'Islanda affida al pubblico la sua nuova Costituzione
di Haroon Siddique - Guardian - 9 Giugno 2011
Traduzione per
www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Il paese che si sta rialzando dal collasso delle sue banche e del governo usa i social media per convincere i cittadini a condividere le proprie idee
Non è come avrebbero fatto gli scriba del passato, ma l’Islanda sta buttando al macero il libro delle regole per disegnare la sua nuova costituzione attraverso il
crowdsourcing.

E mentre il paese è in una fase di recupero dopo la crisi finanziaria che ha provocato il collasso delle sue banche e del governo, sta usando i social media per avvicinare i propri cittadini per condividere le proprie idee su quello che il nuovo documento dovrebbe contenere.

"Io credo che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene abbozzata principalmente in Internet", ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del consiglio per la Costituzionale islandese.

"Il pubblico vede i progressi della costituzione davanti ai propri occhi. […] È molto diverso da quello che succedeva in passato quando le persone che scrivevano la costituzione spesso pensavano che fosse meglio trovare un posto fuori dalla visuale, dal contatto col prossimo."

La costituzione che è al momento in vigore in Islanda risale ai giorni in cui il paese ottenne l’indipendenza dalla Danimarca. Venne presa la costituzione danese e furono fatti alcuni aggiustamenti marginali, come il sostituire la parola “re” con "presidente".

Per creare il nuovo documento il consiglio ha postato le bozze delle proposte sul suo sito web ogni settimana da quando in aprile il progetto è stato avviato. Il pubblico può commentare o seguire una discussione sulla pagina di Facebook del consiglio.

Il consiglio ha anche un account su Twitter, una pagina su pagina su YouTube dove vengono postate con regolarità le interviste con i suoi membri e un account Flickr che contiene le foto delle venticinque persone al lavoro, ben intenzionate a massimizzare l’interazione con i cittadini.

Le riunioni del consiglio sono aperte al pubblico e diffuse in streaming sul sito web e sulla pagina di Facebook. L’ultimo ha più di 1.300 “mi piace” in un paese di 320.000 persone.

Il crowdsourcing è nato da un forum nazionale dello scorso anno dove 950 persone scelte a caso hanno trascorso un giorno per discutere della costituzione. Se il comitato riuscirà a redigere il progetto di legge, che dovrebbe essere pronto per la fine di luglio, sarà votato in un referendum senza alcun cambiamento imposto dal parlamento, e così sarà davvero un’iniziativa del popolo, per il popolo.

Visto che l’intenzione era quella di indire un referendum, ha detto Gylfason, l’idea era che il pubblico potesse essere coinvolto fin dall’inizio del processo e non solo alla fine. I social media sono stati ritenuti il modo migliore per rendere questa cosa possibile, visto che la popolazione islandese è tra le più abili al mondo nell’uso del computer. Due terzi dei suoi abitanti sono su Facebook.

Gylfason ha detto che è stato piacevolmente sorpreso dal livello delle discussioni. "C’è stato molto apprezzamento per quello che stavamo facendo. Il pubblico ha aggiunto molto al nostro dibattito. I loro commenti sono stati di grande aiuto e hanno avuto un effetto positivo sul risultato."

Gylfason, un professore di economia all’Università d’Islanda, ha detto che il progetto di legge includerà controlli e responsabilizzazione per il parlamento e l’introduzione della separazione dei poteri per prevenire il ripetersi della crisi finanziaria. Conterrà anche cambiamenti significativi che riguardano le elezioni dei parlamentari e le nomine dei giudici.