domenica 19 giugno 2011

Update italiota

Alcuni articoli sulle ultime "novità" nel Belpaese...

Moody's Italia ecchissenefrega: il ritorno degli avvoltoi
di Andrea Mazzalai - http://icebergfinanza.splinder.com - 18 Giugno 2011

Nel fine settimana sentivo nell'aria che qualcosa si stava preparando nei confronti dell'Italia, avevo un strana sensazione non solo per quanto stava accadendo alla Grecia.

Troppi interessi in gioco nel mondo finanziario tra gli avvoltoi che da sempre sorvolano il mondo della finanza, troppe scommesse giocate sulla pelle delle Nazioni, sulla nostra pelle!
“There are two superpowers in the world today in my opinion. There’s the United States and there’s Moody’s Bond Rating Service. The United States can destroy you by dropping bombs, and Moody’s can destroy you by downgrading your bonds. And believe me, it's not clear sometimes who's more powerful.” (M. Friedman, 2001)

...
...Ovvero... ci sono due superpotenze oggi al mondo secondo la mia opinione. Ci sono gli Stati Uniti e c'è l'agenzia di rating Moody's. Gli Stati Uniti possono distruggerti facendo cadere bombe e Moody's è in grado di distruggerti facendo declassare le tue obbligazioni. Mi creda, non è affatto chiaro a volte chi delle due sia la più potente...

Moody's ha avviato ieri una ricognizione a tutto campo sulla capacità dell'Italia di mantenere il rating "Aa2": il «review for possible downgrade» dovrebbe risolversi entro 90 giorni, come di regola. Nella peggiore delle ipotesi, la retrocessione dovrebbe essere di un solo gradino.

Quella decisa ieri sera resta tuttavia una brusca modifica da parte di Moody's dell'affidabilità creditizia della Repubblica italiana, rimasta inchiodata sulla "Aa2" con prospettive "stabili" - due soli gradini sotto la "Aaa" - per più di nove anni, dopo la promozione conquistata il 15 maggio 2002. «L'Italia è la stessa, la conosciamo bene, ma è lo scenario che è cambiato, la crisi del debito sovrano europeo è in evoluzione. Per questo valuteremo nei prossimi mesi fino a che punto, in questo contesto peggiorato con tassi d'interesse, spread e costo della raccolta al rialzo, se l'Italia con le sue debolezze strutturali, la bassa crescita e l'alto debito pubblico sarà in grado di attuare il piano di risanamento dei conti pubblici», ha spiegato Kockerbeck al Sole 24 Ore.(Sole24Ore)

Crisi del debito sovrano europeo in evoluzione! Affascinante non l'avrei mai detto!

Certo che come abbiamo già visto in Dietro le quinte un'altra realtà! è da brividi la nostra esposizione complessiva verso la crisi del debito sovrano europeo, da brividi!

Circa un settimo di quella francese e addirittura un decimo di quella tedesca nei confronti del solo settore pubblico greco ad esempio oppure un trentaseiesimo di quella francese o un sesto di quella tedesca nei confronti del settore privato non bancario.

Da brivido davvero la nostra esposizione. Ed è meglio non proseguire dando un'occhiata a Irlanda e Portogallo perchè se no facciamo la figura dei fessi nei confronti di tutti coloro che in questi anni si sono prodigati a elargire allegramente debiti e illusioni in giro per l'Europa.

Ma siccome in molti hanno la memoria corta e la stampa italiana ma anche molti blog quando pubblicano le notizie non fanno lo sforzo di dare un'occhiata a quanto è accaduto alcuni giorni o mesi fa, lo facciamo noi!

Correva il remoto anno del Signore 2011 e precisamente il 10 di marzo...

MILANO, 10 marzo (Reuters) - Interpellate dopo i downgrade che hanno colpito Grecia e Spagna questa settimana, le agenzie Moody's e S&P ribadiscono che il rating italiano è stabile, come indicato dall'outlook.

In un rapporto della scorsa settimana, Fitch Ratings - che ha rating AA- con outlook stabile sull'Italia - ha previsto un riduzione del debito di Roma dal prossimo anno dopo un picco vicino al 120% del Pil nel 2011, grazie all'attesa discesa del deficit sotto il 3% del Pil nel 2012 e al 2,2% nel 2013. Ma non basta andando ancora più indietro nella notte dei tempi nel lontanissimo 24 maggio del 2011...

" Tempi duri quindi per l'Italia? In soccorso della Penisola, ieri, è arrivato il commissario UE per gli affari economici, Olli Rehn che ha assicurato che la crescita economica è relativamente solida e il Paese è sulla buona strada per rispettare gli obiettivi di deficit. A dare una mano all'Italia, poi ci hanno pensato anche le altre due agenzie di rating Fitch e Moody's che si sono schierate dalla parte del tricolore, lasciando da sola nei suoi giudizi, una, forse, troppo catastrofica visione sull'Italia da parte di Standard & Poor's.

Moody's e Fitch hanno confermato, infatti di non aver intenzione di cambiare nè il rating sull'Italia nè l'outlook che, per le due agenzie rimane stabile. "Non c'è nessuna evidenza che la situazione di bilancio dell'Italia si stia deteriorando", ha affermato David Riley analista di Fitch che poi continuato dicendo: "non vi è nessuna indicazione che il Governo non riesca a centrare gli obiettivi di stabilizzazione delle finanze pubbliche…visto che il governo procede come previsto". Fitch , ha spiegato Riley, non ritiene neppure vi sia un "impatto negativo" in termini di stabilità politica sul programma governativo di riduzione del deficit...(Repubblica)


Affascinante no... un paio di mesi fa e circa tre settimane fa tutto andava più o meno bene poi all'improvviso...

Chissà cosa è cambiato. Ho ancora in mente quanto è accaduto nelle stanze ovatate delle sedi delle agenzie di rating americane e sottolineo americane e risottolineo americane, quando si davano le triple A alla spazzatura americana e risottolineo americana sottolineando come era importante dare il rating anche ad una vacca!

Dal 2002 al 2007 i profitti delle agenzie di rating sono quadruplicati e nelle inchieste governative sulla crisi hanno sottolineato come i loro rating erano solo innocenti opinioni, si opinioni e fessi coloro che ascoltavano le loro innocenti opinioni.

E allora chissenefrega se la modesta o la povera ci raccontano le loro opinioni un giorno si e uno no, beati i fessi che corrono a scaricare i loro titoli nelle mani degli avvoltoi il giorno dopo e state pur certi che lunedi mattina molti ingenui correrano a disfarsi dei loro titoli di stato e delle loro azioni.

Cresciamo poco? E chissenefrega! Siamo poco produttivi? E chissenefrega! Abbiamo tutti i problemi di questo mondo? E chissenefrega ...perchè gli altri stanno meglio? Abbiamo bisogno di una rivoluzione morale!

Ma quale crescita, quale flessibilità, quale produttività, quale consumismo, andiamo a prendere i soldi dove ci sono, tra gli evasori, sequestrando e pignorando patrimoni sporchi di sangue, andiamo a prenderli dalle mani della speculazione, in quel mondo di carta che soffoca il mondo reale e produttivo, che soffoca la creatività e l'innovazione dei nostri giovani, andiamo a prenderli dalle mani della finanza predatoria irresponsabile!

Siamo in guerra Signori, una guerra nuova, una guerra finanziaria, subdola, feroce, criminale, nascosta, lontana dalle Vostre attenzioni, dalla Vostra consapevolezza, che piano, piano lentamente ma inesorabilmente sta sequestrando il nostro e Vostro futuro e quello dei nostri figli, dei nostri nipoti, delle generazioni future!



Gli italiani e la povertà nata dalla ricchezza
di Massimo Fini - Il Fatto Quotidiano - 18 Giugno 2011

Questa storia che gli italiani stiano diventando poveri, di una povertà insopportabile, mi convince fino a un certo punto. Nei ’50, a parte una sottile striscia di alta borghesia che si guardava bene dall’ostentare, eravamo tutti più poveri della media di coloro che oggi sono considerati tali.

Certo, avevamo molte meno esigenze. I bambini non venivano iscritti ai corsi di tennis, di nuoto, di danza. Noi ragazzini giocavamo a pallone nei terrain vague dove anche ci scazzottavamo allegramente (era la nostra “educazione sentimentale”) e tornavamo a casa la sera con le ginocchia nere e sbucciate (chi mai riesce, oggi, a vedere un bambino, vestito col suo paltoncino, come un cane di lusso, con le ginocchia sbucciate?).

A nuotare (parlo di Milano) si andava all’Idroscalo oppure, durante le vacanze scolastiche, accompagnati dalla mamma (il padre rimaneva in città, perché allora per mantenere la famiglia bastava uno solo) sulla Riviera di Ponente.

Gli adulti non sognavano i Caraibi, non sapevamo nemmeno che esistessero. Vivevamo in un mondo circoscritto.

La fabbrica o l’ufficio, a Milano, erano quasi sempre vicino a casa. In altre zone del Paese invece si doveva fare anche 30 chilometri. Allora si inforcava la bicicletta, che a quei tempi era un mezzo di locomozione (negli anni Trenta avevano la targa, come le automobili) e non un gadget per tipi snob.

In compenso non c’era bisogno di fare jogging. Eppoi la povertà aiuta la povertà. Passava lo strascè (“strascè, strasciaio”) e gli buttavi dalla finestra qualche vecchio lenzuolo bucato. Passava l’arrotino e ti affilava i coltelli per poche lire.

Veniva il contadino (la città era ancora compenetrata con la campagna) e ti portava le uova, i pomodori, la frutta. Essere poveri dove tutti, più o meno, lo sono non è un dramma e nemmeno un problema.

Quando uno ha da abitare, da vestire, da mangiare (nessuno nei ’50 moriva di fame, anche se la minaccia paterna, dopo la marachella, “Stasera vai a letto senza cena”, non era da prendere sottogamba), gli amici, la ragazza e, più tardi, una moglie e dei figli, cosa gli manca per essere non dico felice (parola proibita, che non dovrebbe essere mai pronunciata), ma almeno sereno?

La povertà nasce con la ricchezza. Quando una fetta consistente della popolazione la raggiunge. Innanzitutto per la concreta ragione che tutti i prezzi dei beni essenziali si alzano. Lo si vede bene nella Russia di oggi dove accanto agli Abramovich ci sono professori universitari che col loro stipendio ci comprano un mezzo pollo.

Nei ‘50 e nei primi ‘60, in Italia, un pasto completo in trattoria con una bottiglia di buon Barbera costava 250 lire che, anche fatta la tara dell’inflazione, non hanno nulla a che vedere con i 25/30 euro con cui si paga oggi una pizza. Gli affitti erano abbordabili, oggi bisogna strangolarsi di mutui per andare ad abitare nell’anonimato dell’hinterland.

Inoltre scatta il meccanismo dell’emulazione, dell’invidia, su cui del resto si basa l’intero nostro modello di sviluppo. Raggiunto un obiettivo bisogna inseguirne immediatamente un altro e poi un altro ancora – a ciò costretti dall’ineludibile meccanismo produttivo, che ci sovrasta – e, sempre inappagati, non possiamo mai raggiungere un momento di equilibrio, di quiete, di serenità.

Ludwig von Mises, il più estremo ma anche coerente teorico dell’industrial-capitalismo, rovesciando venti secoli di pensiero occidentale e orientale, ha affermato: “Non è bene accontentarsi di ciò che si ha”.

Ha interpretato lo spirito del tempo coniugato con le esigenze del sistema. Ma poiché “ciò che non si ha” non ha limiti abbiamo creato il meccanismo perfetto dell’infelicità.


Seppelliti da una risata
di Antonio Padellaro - Il Fatto Quotidiano - 19 Giugno 2011

Diciamo la verità, quanto a buonumore la notizia della Stampa “’Bisi’ venne raggirato dalla fidanzata” fa il paio con la strepitosa fregatura di Alfonso Papa che sottrae a una sua fiamma la Jaguar precedentemente regalata falsificandone la firma.

Un mondo tra “Totòtruffa”e “Il vedovo” di Alberto Sordi (che si riprende il visone imprudentemente donato all’amante) se “Bisi” non fosse quel Bisignani a cui si rivolgono deferenti, per aiutini e aiutoni, ministri e ministre (Prestigiacomo, Brambilla, Carfagna) e una processione di politici, militari, magistrati e manager: dal direttore generale della Rai (giustamente redarguito per la “figura di merda” fatta con Santoro) al presidente della Ferrari.

Come mai un tipo apparentemente senza arte né parte (a parte la condanna per Enimont) può disporre di uno straordinario potere illegale (ma niente affatto occulto) decidendo su nomine e affari?

Possibile che il Papa, un arruffone napoletano che paga le ragazze con Rolex sfusi, possa scalare i vertici del ministero della Giustizia per poi farsi eleggere deputato Pdl (sia pure nel Parlamento degli Scilipoti)?

Sarà la magistratura a spiegarci, carte alla mano, quello che in fondo già sappiamo. Che, cioè, sulla nostra malandata democrazia, si è annidata una razza di parassiti e sanguisughe in grado di ricattare governi e istituzioni con adeguato scambio di favori e denari.

Niente di nuovo nel paese dei Licio Gelli, ma ciò che colpisce è la naturalezza con cui le P3 e le P4 crescono e si diffondono alla luce del sole, mentre in fondo le trame del Venerabile di Arezzo avevano bisogno del cappuccio, quello magistralmente evocato in tv da Corrado Guzzanti.

Tanto che i vari Rondolino possono tranquillamente teorizzare dalle colonne del “Giornale” che in Italia “nessuno riesce a muoversi senza l’appoggio di una famiglia, di una corporazione o di un comitato di affari”.

Può darsi che a vivere tra i miasmi qualcuno ci abbia fatto l’abitudine. Ma che si spaccino i maneggi di alcuni cialtroni per “realtà di potere nelle democrazie” aggiunge un ulteriore tocco di sputtanamento al tutto. Tranquilli. Una risata li seppellirà.


Flop ad alta velocità. I numeri che nessuno vuole sentirsi dire
di Luca Mercalli - www.altracitta.org - 18 Giugno 2011

Le grandi opere non le vuole più nessuno, salvo chi le costruisce e la politica bipartisan che le sponsorizza con pubblico denaro. Dell’inutilità del Ponte sullo Stretto non vale più la pena di parlare, e dell’affaruccio miliardario delle centrali nucleari ci siamo forse sbarazzati con il referendum. Prendiamo invece il caso Tav Val di Susa.

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Su cosa sta succedendo in questi giorni in Piemonte, sulla repressione, vi consigliamo la lettura di “Piove sulla Valle di Susa” di Claudio Giorno scritto per il sito Democrazia Km Zero.


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Per i promotori si tratterebbe di un progetto “strategico”, del quale l’Italia non può fare a meno, sembra che senza quel supertunnel ferroviario di oltre 50 km di lunghezza sotto le Alpi, l’Italia sia destinata a un declino epocale, tagliata fuori dall’Europa. Chiacchiere senza un solo numero a supporto, è da vent’anni che le ripetono e mai abbiamo visto supermercati vuoti perché mancava quel buco.

I numeri invece li hanno ben chiari i cittadini della Valsusa che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone , lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento “No Tav”, spesso dipinto come minoranza facinorosa, retrograda e nemica del progresso.

Numeri che l’Osservatorio tecnico sul Tav presieduto dall’architetto Mario Virano si rifiuta tenacemente di discutere. Proviamo qui a metterne in luce qualcuno.

Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente.

Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 chilometri di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia.

I calcoli sono stati fatti dall’Università di Siena e dall’Università della California. In sostanza la cura è peggio del male. Veniamo ora all’essere tagliati fuori dall’Europa: detto così sembra che la Val di Susa sia un’insuperabile barriera orografica, invece è già percorsa dalla linea ferroviaria internazionale a doppio binario che utilizza il tunnel del Frejus, ancora perfettamente operativo dopo 140 anni, affiancato peraltro al tunnel autostradale.

Questa ferrovia è attualmente molto sottoutilizzata rispetto alle sue capacità di trasporto merci e passeggeri, sarebbe dunque logico prima di progettare opere faraoniche, utilizzare al meglio l’infrastruttura esistente. Lyon-Turin Ferroviarie a sostegno della proposta di nuova linea ipotizza che il volume dell’interscambio di merci e persone attraverso la frontiera cresca senza limiti nei prossimi decenni. Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino dimostra che “assunzioni e conclusioni di questo tipo sono del tutto in-fondate”.

I dati degli ultimi anni lungo l’asse Francia-Italia smentiscono infatti questo scenario: il transito merci è in calo e non ha ragione di esplodere in futuro.

Un rapporto della Direction des Ponts et Chaussées francese predisposto per un audit all’Assemblea Nazionale nel 2003 afferma che riguardo al trasferimento modale tra gomma e rotaia, la Lione-Torino sarà ininfluente.

E ora i costi di realizzazione a carico del governo italiano: 12-13 miliardi di euro, che considerando gli interessi sul decennio di cantiere portano il costo totale prima dell’entrata in servizio dell’opera a 16-17 miliardi di euro.

Ma il bello è che anche quando funzionerà, la linea non sarà assolutamente in grado di ripagarsi e diventerà fonte di continua passività, trasformandosi per i cittadini in un cappio fiscale.

Ho qui sintetizzato una minima parte dei dati che riempiono decine di studi rigorosi, incluse le recenti 140 pagine di osservazioni della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, dati sui quali si rifiuta sempre il confronto, adducendo banalità da comizio tipo “i cantieri porteranno lavoro”.

Ma suvvia, ci sono tanti lavori più utili da fare! Piccole opere capillari di manutenzione delle infrastrutture italiane esistenti, ferrovie, acquedotti, ospedali, protezione idrogeologica, riqualificazione energetica degli edifici, energie rinnovabili.

Non abbiamo bisogno di scavare buchi nelle montagne che a loro volta ne provocheranno altri nelle casse statali, altro che opera strategica! Seguendo lo stesso criterio, anche l’Expo 2015 di Milano sarebbe semplicemente da non fare, chiuso il discorso. Sono eventi che andavano bene cent’anni fa.

Se oggi in Italia tanti comitati si stanno organizzando per dire “no” alle grandi opere e per difendere i beni comuni e gli interessi del Paese, non è per sindrome Nimby (non nel mio cortile), bensì perché, come ho scritto nel mio “Prepariamoci” (Chiarelettere), per troppo tempo si sono detti dei “sì” che hanno devastato il paesaggio e minato la nostra salute fisica e mentale.


Alitalia, ecco la truffa di B.
di Stefania Maurizi - l'Espresso - 17 Giugno 2011

Nel dossier riservato Usa che pubblichiamo in esclusiva, l'analisi lapidaria dell'amabsciata americana sulla cordata Cai. "È una pagina triste, Berlusconi ha aiutato i suoi amici e fatto pagare i debiti ai contribuenti italiani"

La cordata Alitalia? "Amiconi del Cavaliere, che si sono presi il meglio della compagnia lasciando ai contribuenti il peso dei debiti". Ora che si ricomincia a parlare di un futuro francese per la compagnia di bandiera, fa effetto leggere il giudizio di Washington sul ruolo di Silvio Berlusconi nella vicenda.

L'analisi, contenuta in un dossier riservato ottenuto da WikiLeaks che "l'Espresso" pubblica in esclusiva, si intitola: "Alitalia vola ancora sotto bandiera italiana, ma a un prezzo alto per l'Italia".

A scrivere è Ronald Spogli, l'ambasciatore americano inviato a Roma da George W. Bush, che ha raccontato come tra Berlusconi e Bush ci fosse "un'intesa particolare". Nella stagione di Spogli tra Palazzo Chigi e Casa Bianca c'è stato un filo diretto, che ha fatto nascere operazioni internazionali, missioni militari e grandi affari.

Eppure è difficile immaginare un giudizio più tagliente sull'operato del premier. "Durante la campagna elettorale della primavera 2008 l'allora candidato Berlusconi è intervenuto sulla vendita di Alitalia, dichiarando che sarebbe dovuta rimanere "italiana"".

Spogli ricostruisce come durante il governo Prodi l'appello del Cavaliere e le proteste dei sindacati abbiano fatto tramontare l'offerta di Air France-Klm per rilevare la compagnia. "Avendo mandato in fumo l'affare, Berlusconi si è ovviamente ritrovato sotto la pressione politica di dover salvare in qualche modo Alitalia".

Allora, per "fornire la sua soluzione italiana Berlusconi ha usato le proprie capacità politiche e personali al fine di convincere un gruppo di ricchi uomini d'affari italiani a dedicarsi al "salvataggio" della compagnia e a preservarne l'italianità".

E' così che sedici investitori formano la Cai, Compagnia aerea italiana. E il risanamento dell'impresa è presto spiegato: "(I sedici, ndr.) saranno aiutati da una legge italiana sulla bancarotta fatta su misura, che permetterà di dividere in due la compagnia: gli obblighi e i debiti di un miliardo di euro rimarranno alla "bad company", che sarà di responsabilità del governo italiano, e Cai si terrà la parte redditizia".

L'ambasciatore descrive i sedici uomini d'affari, da Roberto Colaninno a Gilberto Benetton, in un paragrafo dal titolo: "Gli investitori Cai: capitalisti o amici degli amici?".

Poi il commento finale dell'emissario di Bush, lapidario: "La saga Alitalia è un triste memento di come funzionano le cose in Italia e della debole aderenza di Berlusconi ad alcuni principi base del capitalismo del libero mercato. Berlusconi aveva la possibilità di lasciare che questa vicenda fosse gestita come una faccenda di affari e invece ha scelto di politicizzarla (...) un gruppo di amici stretti di Berlusconi sono stati allettati a prendere la porzione sana di Alitalia, lasciando i debiti ai contribuenti italiani. Le regole della bancarotta sono state cambiate nel corso dell'operazione per soddisfare i bisogni del governo (...) il modo in cui questo affare è stato gestito - amicizie, interferenza politica, preferenza per acquirenti italiani e leggi fatte su misura - ha offerto al mondo un chiaro promemoria dei limiti dell'Italia in materia di investimenti".

Tanto più che "resta da vedere se i viaggiatori italiani ne beneficeranno". E che Alitalia ha comunque bisogno di un alleato internazionale, per non restare chiusa nella provincialità. Su questo punto, nel file dell'ottobre 2010 Spogli sottolinea il sostegno della Lega per Lufthansa che promette di mantenere l'hub milanese di Malpensa.

Ma meno di tre anni dopo, anche i tedeschi hanno fatto le valigie abbandonando lo scalo lombardo. E tutto torna sulla rotta di Parigi: anni e miliardi buttati via.


C'è chi dice no
di Massimo Gramellini - La Stampa - 17 Giugno 2011

Dopo aver letto l’articolo del nostro Zancan ho ancora più voglia di arrabbiarmi e di sperare. Racconta di Fabio Pisacane, un giocatore del Lumezzane che ha denunciato chi gli offriva 50 mila euro per addomesticare una partita, a costo di passare per spione in un ambiente che spesso applica codici mafiosi.

Pisacane viene da una malattia grave e da una famiglia poverissima, ma evidentemente gli è stato insegnato l’essenziale. «Non me la sono sentita di infangare la mia storia». Dice proprio così: infangare la mia storia.

Mentre sfoglio i resoconti di affaristi e politici che intrallazzano, corrompono, fanno assumere amichette in barba ai concorsi e regalano rolex comprati al mercato nero, ecco, mentre questo quadro tragico di una classe dirigente senza valori che non siano quelli quotati in Borsa mi si scioglie davanti agli occhi, mi ritrovo a pensare: ma questi cialtroni temuti e riveriti si saranno mai chiesti se stavano infangando la propria storia?

Avranno avuto un sussulto d’orgoglio? No, altrimenti sarebbero stati spazzati via dai loro compagni di merende. Ma adesso la puzza è diventata troppo forte.

Il corpaccione Italia non ce la fa più a sopportarli e li sta sparando fuori uno dopo l’altro come brufoli. Stavolta a interrompere il gran ballo dei privilegiati non sono i magistrati come nel ’92. Sono i cittadini armati di computer, schede elettorali e buoni esempi.

I cittadini esclusi dalla festa per ragioni di censo o di casta e quelli come Pisacane, che hanno deciso di escludersi da soli per dare linfa a una parola appassita: dignità.