mercoledì 6 ottobre 2010

Afghan update

Un aggiornamento sulla guerra in Afghanistan e su ciò che si sta muovendo dietro le quinte, anche nel vicino Pakistan.

Intanto ieri a Kandahar, dove da giorni è iniziata l'ennesima offensiva della NATO, c'è stata una serie di esplosioni: dapprima contro un convoglio della polizia e in seguito contro altri agenti arrivati sul posto per prestare soccorso.

Bilancio pesante: nove morti, di cui almeno 4 poliziotti, e oltre venti feriti.

Mentre secondo il Washington Post, rappresentanti dei talebani e del governo del presidente Hamid Karzai hanno già avviato colloqui segreti ad alto livello per arrivare a una fine negoziata della guerra.

Le fonti del giornale, pur sottolineando il carattere preliminare dei contatti in corso, ritengono che per la prima volta i rappresentanti dei miliziani islamici abbiano avuto un pieno mandato a parlare a nome della Shura (Consiglio) di Quetta e del suo leader, il mullah Mohammad Omar.

Va ricordato che la Shura di Quetta è quanto resta del governo dei talebani rovesciato con l'operazione degli Usa Enduring Freedom nel 2001.

Se son rose, fioriranno...


Stop mercenari. Al via il piano Karzai
di Antonio Marafioti - Peacereporter - 4 Ottobre 2010

E' iniziata l'esecuzione del provvedimento che porterà tutti i contractors via dall'Afghanistan entro il 2011. E intanto la Blackwater riesce ad assicurarsi una parte dei 10 miliardi di dollari del contratto fra il Dipartimento di Stato Usa e le aziende private di sicurezza

"Via dall'Afghanistan". Il presidente della Repubblica Islamica, Hamid Karzai, è passato dalle parole ai fatti e ha disposto la messa al bando per otto compagnie private di sicurezza. Fra di esse, manco a dirlo, c'è la Xe Service, ex Blackwater, tristemente nota per i fatti del 16 settembre del 2007 quando i contractor dell'azienda privata di Moyock, North Carolina, uccisero deliberatamente 17 civili iracheni nella piazza Nisour di Baghdad.

La guerra privata di Karzai contro le società di sicurezza private è iniziata il 16 agosto scorso, dopo che il presidente ha annunciato il provvedimento per sciogliere, con decorrenza dal 1 gennaio del 2001, tutti i contractors operanti all'interno dei confini afgani.

"Ladri di giorno, terroristi di notte" li aveva definiti in quell'occasione Karzai che aveva aggiunto: "Non solo provocano tanto disagio al popolo afgano, ma sono in realtà in contatto con gruppi di stampo mafioso e, forse, anche dietro il finanziamento di militanti, ribelli e terroristi".

Oggi, a meno di due mesi da quel proclama, il numero uno del governo di Kabul è tornato sulla questione e, per mezzo del suo portavoce Waheed Omar, ha fatto sapere che è iniziata ufficialmente l'operazione anti-mercenari. "Abbiamo notizie molto buone per il popolo afgano oggi - ha chiosato Omar davanti ai giornalisti - Lo scioglimento di otto società di sicurezza privata è iniziata".

Oltre la Xe Service, il provvedimento colpisce le statunitensi NCL Holdings e Four Horsemen International, l'inglese Compass International, le afgane White Eagle Security Services e Abdul Khaliq Achakza. Delle due rimanenti compagnie, con meno di 100 agenti in servizio, non è stato reso noto il nome.

In piena fase d'esecuzione, prevista per l'1 gennaio prossimo, la misura dovrebbe portare al completo divieto di lavoro per le 52 compagnie armate, registrate presso il ministero della Difesa, che in Afghanistan sono presenti con circa 26 mila uomini.

Dei loro servizi attualmente si servono oltre gli Stati Uniti e la Nato, anche le Nazioni Unite, le organizzazioni non governative, il Dipartimento di Stato Usa e le istituzioni afgane. La stessa scorta di Karzai sarebbe composta proprio da agenti della ex Blackwater.

Non sarebbe un segreto, infatti, che nonostante i proclami pubblici il presidente abbia deciso di sposare questa causa solo dopo numerose pressioni del suo ufficio di gabinetto e della maggior parte dell'opinione pubblica.

Sul fronte dei contrari al blocco delle milizie mercenarie nel Paese asiatico ci sono gli Stati Uniti che si oppongono all'operazione per due motivi precisi. Il primo è quello legato alla sicurezza: "Washington ritiene che le unità di polizia del governo afgano non siano ancora pronte ad assumere la responsabilità della sicurezza del paese" ha sostenuto il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Philip Crowley.

Una visione diametralmente opposta a quella di Karzai, secondo il quale non si può permettere che esista un sistema di sicurezza parallelo a quello costituito dalla Polizia Nazionale Afgana e dall'Esercito Nazionale Afgano.

Una seconda, e più taciuta ragione, spingerebbe l'establishment di Washington a non appoggiare la legge Karzai: la metà delle 52 compagnie impiegate in Afghanistan è di nazionalità statunitense ed esiste un contratto da diversi miliardi di dollari che, secondo quanto rivelato dalla rivista Wired, sarebbe stato rinnovato poche ore fa.

Ciò nonostante le promesse elettorali che l'attuale Segretario di Stato, ed ex candidata presidente, Hillary Clinton, fece nel 2008 quando scongiurò la possibilità di futuri accordi tra la Casa Bianca e i contractors privati. Oggi la notizia che quel contratto c'è, che l'impegno di Clinton è venuto meno e che, pare impossibile, l'accordo farà contenta anche la Blackwater.

La società macchiatasi di vari crimini, tra cui omicidio di civili e furto d'armi, è riuscita attraverso la join venture di una delle sue affiliate, la US Training, con la Kaseman, ad aggiudicarsi una fetta della torta da 10 miliardi di dollari in cinque anni riservati dal Dipartimento di Stato alle aziende dei mercenari.

In molti leggono nel colpo di spugna di Karzai un desiderio di indipendenza dagli alleati occidentali. Il presidente ne sarebbe così convinto da aver sacrificato anche la NLC Holdings, compagnia diretta da Hamed Wardak, figlio del suo ministro della Difesa Abdul Rahim Wardak.

L'intreccio tra l'élite politica nazionale e le imprese private di difesa è così fitta che lo stesso presidente potrebbe essere costretto a eliminare un pesante conflitto d'interessi. La Watan Risk Management, agenzia privata con sedi in tutto il Paese, sarebbe stata fondata, e tuttora guidata, da due cugini di Karzai.

Tuttavia, il decreto presidenziale salverà chi, fra gli agenti armati, è impiegato nell'addestramento delle forze afgane e nella protezione delle ambasciate e delle sedi delle organizzazioni internazionali.

L'uomo forte di Kabul, da agosto a ora, si è dimostrato fermo sulle proprie decisioni e non disponibile a una moratoria sull'attuazione della misura di scioglimento dei contractors. Per scoprire se ciò rappresenti un nuovo bluff piuttosto che un'orgogliosa presa di posizione contro le milizie mercenarie, bisognerà aspettare ancora qualche mese.


Ancora Blackwater
di Antonio Marafioti - Peacereporter - 1 Ottobre 2010

Fughe di notizie dal Dipartimento di Stato Usa confermerebbero la firma di un nuovo contratto miliardario tra il governo e i contractor privati di sicurezza. Nonostante le promesse di Hillary Clinton i mercenari tornano in Iraq.

Il Dipartimento di Stato (Ds) statunitense starebbe rinnovando un contratto di assunzione del valore di miliardi di dollari per le società di sicurezza private ingaggiate per vegliare sugli ambasciatori e i consoli di Washington nelle zone di guerra.

La notizia, trapelata da fonti del Ds che hanno chiesto di rimanere anonime perché ancora l'accordo non è stato firmato, potrebbe segnare, in negativo, l'operato politico del governo.

Tanto il presidente Barack Obama quanto il suo Segretario di Stato, ed ex candidata presidente, Hillary Clinton, solo due anni fa, in campagna elettorale, avevano infatti promesso ai cittadini di mettere al bando le "imprese mercenarie private".

Fuga di notizie. Invece oggi, proprio dall'ufficio federale guidato dalla Clinton, arrivano indiscrezioni circa il rinnovo di un contratto multimiliardario. Sono ancora ignote le cifre e le clausole dell'accordo che comunque dovrebbe superare quello da 2.2 miliardi di dollari che nel 2005 legò il governo alle ditte Blackwater, DynCorp e Triple Canopy.

Il presunto aumento di prezzo è legato al ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq e alla necessità che le sedi diplomatiche Usa a Baghdad e dintorni, non rimangano sguarnite di una copertura armata. Un'eventualità già prevista lo scorso 21 giugno da Charlene Lamb, assistente della Clinton per la Direzione Programmi Internazionali del Servizio di Sicurezza Diplomatico.

In una lettera alla Commissione per i contratti di guerra Lamb scriveva: "Attualmente il Dipartimento di Stato utilizza i servizi di circa 2.700 persone del PSC (Private Security Contractor ndr) in Iraq [...] Mentre guardiamo al futuro, il Ds prevede che avremo bisogno di 6.000/7.000 unità per soddisfare le esigenze di sicurezza nei consolati e nelle nuove filiali d'ambasciata a Baghdad". Un aumento di personale che, se l'accordo andrà in porto, potrebbe valere molto più dei vecchi 2.2 miliardi di dollari.

Morti civili. L'istanza del Ds sembra non tenere conto degli ultimi rapporti stilati dal Ministero del Lavoro che rivelano che tra l'Iraq e l'Afghanistan sono morti più mercenari che soldati in forza all'esercito statunitense. I contractor delle agenzie private, alle dipendenze di Washington, caduti fra il gennaio e il giugno di quest'anno sono stati 250, contro i 235 uomini in divisa morti nello stesso periodo.

I dati, pubblicati dal quotidiano on-line premio Pulitzer Pro-Publica, rivelano anche che, dal 2001, il numero delle vittime militari (5.531) nelle guerre combattute dagli Stati Uniti è superiore rispetto a quello dei mercenari (2.008). Tuttavia l'elemento rilevante che emerge da queste cifre è circa il 25 percento dei decessi totali in Iraq e Afghanistan è rappresentato dai morti "senza divisa".

Loro è anche un altro triste primato: quello dei ferimenti. Sempre dall'inizio delle ostilità in Afghanistan il numero dei feriti totali nelle due guerre sarebbe di 44mila per i civili armati contro i 40 mila dei soldati alle dipendenze del Pentagono.

Affare Blackwater. Ma c'è un altro dato, se possibile ancora più allarmante, che salta fuori dalla fuga di notizie. Ovvero la presunta partecipazione di Xe Service alla gara d'appalto per entrare, o meglio rimanere, nei libri paga di Washington.

Xe Service è il nome che la Blackwater, società di sicurezza privata, si diede all'indomani del 16 settembre 2007. In quella data alcuni "gorilla" alle dipendenze dell'azienda, uccisero indiscriminatamente 17 civili nella piazza Nisour di Baghdad.

Lo scandalo che colpì i vertici di Blackwater fu così esteso che il governo iracheno ritirò la certificazione di lavoro alla compagnia paramilitare. Oggi, dopo il cambio di nome, che politicamente dovrebbe garantirgli la ripulitura dell'immagine, Blackwater correrà nuovamente per ottenere una fetta di quella torta miliardaria garantita dal Dipartimento di Stato guidato dalla stessa persona che solo due anni fa aveva categoricamente escluso ogni possibile collaborazione fra gli Stati Uniti e la ditta privata.

A confermare, quanto meno la possibilità per Xe Service di "candidarsi" a braccio armato degli Usa nell'Iraq del post-ritiro ci sarebbero alcune dichiarazioni rilasciate da un'altra "gola profonda" del Ds e riportate dal Washington Independent lo scorso 28 aprile: "Qualsiasi azienda - ha detto il funzionario - compresa la Xe Service e le sue controllate, [possono] presentare una proposta in risposta a un processo di acquisizione stabilito sulla base della piena e aperta concorrenza".

Il bando di partecipazione alla gara scade domani. Dopo questa data si saprà di più di quella che ha tutta l'aria di essere un'altra promessa mancata dell'establishment statunitense.


L'esercito Usa diventa "green"

da Peacereporter - 5 Ottobre 2010

Pannelli solari e lampade a risparmio energetico. La scelta è dovuta alla difficoltà di far arrivare il carburante in zone di guerra

I continui attacchi dei talebani alle linee di rifornimento Usa hanno spinto l'esercito americano in Afghanistan a cambiare strategia. Non più combustibili fossili, ma energie rinnovabili.

Settimana scorsa una compagnia della Marina è giunta nella provincia di Helmand portando un nuovo tipo di equipaggiamento: pannelli solari portatili, torce a risparmio energetico, teloni che non solo fanno ombra e proteggono dalle intemperie, ma producono anche elettricità.

I 150 marines saranno i primi ad utilizzare energie rinnovabili in zone di guerra. Le nuove strumentazioni dovranno sostituire i gruppi elettrogeni che alimentano i campi militari bruciando combustibili fossili.

Il cambio di strategia dell'esercito Usa è dovuto alla difficoltà di trasporto del gasolio dal Pakistan alle provincie dell'Afghanistan. Strade accidentate e infestate da guerriglieri che spesso tendono imboscate ai lenti e vulnerabili mezzi pesanti. Uno dei punti più pericolosi è il passo di Khyber, che collega i due Paesi. Domenica 28 camion cisterna sono stati dati alle fiamme nella cittadella militare di Rawalpindi, mentre altri 27 sono stati distrutti nella provincia meridionale di Sindh.


Afghan Express
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 29 Settembre 2010

Ultimata la prima linea ferroviaria afgana: collegherà Mazar-i-Sharif al confine uzbeco, facilitando commerci, rifornimenti a truppe Nato e traffici di droga

I lavori sono praticamente terminati. I primi convogli di collaudo, trainati da motrici di fabbricazione russa, già sferragliano sui binari appena posati in mezzo alle piatte steppe della provincia settentrionale di Balkh.

Entro fine anno verrà ufficialmente inaugurata la prima ferrovia merci afgana: 75 chilometri di strada ferrata che collegheranno la città afgana di Mazar-i-Sharif al confine uzbeco (varco di Hairatan), facilitando gli scambi commerciali, i rifornimenti militari della Nato e l'export di droga.

La linea, realizzata nel giro di un anno da un'impresa statale uzbeca e finanziata dalla Banca per lo Sviluppo Asiatico (controllata da Washington), attraversa l'unico territorio afgano ancora 'sicuro', dove la guerriglia talebana non è ancora arrivata.

I lavori di costruzione sono andati lisci, ma il rischio che questa ferrovia diventi obiettivo di attacchi è elevato, vista la sua importanza strategica militare. A proteggerla ci sarà la polizia afgana, che ha costruito baracche lungo tutto il tragitto, ma sopratutto i miliziani del generale Abdul Rashid Dostum, il signore della guerra uzbeco che da decenni regna incontrastato su queste regioni.

La linea che collega Mazar all'Uzbekistan rappresenta solo il primo tratto di una rete ferroviaria nazionale da duemila chilometri (e 6 miliardi di dollari) per trasporto merci ma anche passeggeri, che il governo di Kabul ha deciso di realizzare per collegare le principali città del paese tra loro e con i paesi confinanti.

La scorsa settimana le autorità afgane e i rappresentanti della China Metallurgical Group Corporation (Mcc) hanno siglato un accordo per la costruzione di 700 chilometri di ferrovia che collegheranno Mazar a Kabul, valicando l'Hindu Kush, e Kabul al confine pachistano (varco di Torkham, sul Khyber Pass), via Jalalabad. Scopo dichiarato di questa linea sarà il trasporto del rame estratto dalla grande miniera di Aynak, a sud di Kabul, di proprietà della stessa compagnia cinese Mcc.

L'altro tratto ferroviario in fase di realizzazione, ma bloccato da problemi di finanziamento, è quello da 140 chilometri tra la città afgana nordoccidentale di Herat - sede del contingente militare italiano - e il confine iraniano (varco di Islam Qala). I lavori, iniziati già nel 2007, sono fermi da tempo per il mancato arrivo dei fondi che il governo afgano avrebbe dovuto ricevere dall'Arabia Saudita.

Per il resto, la rete ferroviaria nazionale afgana prevede collegamenti tra Herat e il confine turkmeno (varco di Towraghondi), tra Herat e Mazar-i-Sharif, tra Sheberghan e il confine turkmeno (varco di Aqina), tra Mazar e il confine tagico (varco di Shir Khan Bandar), tra Kabul e il confine iraniano (varco di Zaranj) via Kandahar e Lashkargah, e tra Kandahar e il confine pachistano (varco di Spin Boldak).

Ma questi sono solo ambiziosi progetti sulla carta, probabilmente destinati a rimanere tali.


Iniziata l'offensiava di Kandahar
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 28 Settembre 2010

In Afghanistan, dopo mesi di rinvii, le truppe americane hanno lanciato nel fine settimana l'operazione 'Dragon Strike'. Dopo la tregua elettorale la Nato è passata all'offensiva in tutto il paese, con raid aerei anche oltre il confine pachistano

Terminata la tregua elettorale, le forze d'occupazione della Nato sono passate all'attacco in tutto il territorio afgano. In particolare a Kandahar, dove è scattata la grande offensiva militare annunciata e rimandata per mesi, e nelle province orientali, da Laghman a Khost, dove l'aviazione alleata ha condotto negli ultimi giorni pesanti bombardamenti, provocando vittime civili e sconfinando anche in territorio pachistano.

Nel fine settimana, dopo mesi di attesa e preparativi, le truppe corazzate americane hanno lanciato l'operazione Dragon Strike (video), volta a strappare ai talebani il controllo dei distretti rurali di Arghandab, Zhari e Panjwai che circondano la città di Kandahar.

I carri armati Abrams, coperti dagli elicotteri Apache, hanno aperto la strada alla fanteria, che sta avanzando lentamente tra i campi di marijuana (nella foto), riparandosi dietro i muretti di argilla e nei fossi.

La resistenza talebana è sostenuta, i combattimenti violenti. Diversi soldati americani sono già stati uccisi, alcuni colpiti dal fuoco nemico, altri saltati in aria sulle trappole esplosive che i guerriglieri hanno avuto tutto il tempo per preparare.

La Nato è passata all'offensiva anche nelle province orientali del paese.
Sulle montagne di Laghman, a est di Kabul, truppe Usa e afgane hanno lanciato un'operazione contro le roccaforti talebane del distretto di Alishang.

Sabato è intervenuta l'aviazione, che ha bombardato un villaggio uccidendo una trentina di persone: tutti guerriglieri talebani secondo i comandi Isaf; anche donne e bambini secondo la gente del posto, che ha poi inscenato una manifestazione di protesta dispersa a fucilate dalla polizia afgana.

Più a sud, nella provincia di Khost, la guerra della Nato si sta gradualmente estendo oltre il confine pachistano, finora varcato solo dai droni telecomandati della Cia (venti incursioni dall'inizio del mese, con almeno 120 morti) e da commando di forze speciali Usa sotto copertura.

Nel weekend, elicotteri da guerra americani Apache e Kiowa, con le insegne della missione Isaf sulle fusoliere, sono penetrati ben tre volte nello spazio aereo pachistano per bombardare le basi talebane nella zona di Datta Khel, in Nord Waziristan: almeno una cinquantina i talebani uccisi secondo i comandi americani.

Mentre al fronte la guerra della Nato si fa sempre più dura, i governi alleati fanno sempre più fatica a mantenere il consenso popolare per una campagna militare dai costi umani ed economici sempre più elevati, e dai risvolti sempre più inquietanti e imbarazzanti.

Negli Stati Uniti continua a suscitare sdegno la macabra vicenda dei soldati americani che si divertivano a uccidere civili afgani come passatempo, conservando come trofeo le loro ossa (lunedì è iniziato il processo a loro carico); l'Australia è sotto shock per la condotta delle proprie forze speciali, accusate di aver ucciso dei bambini nel corso di un'operazione.

Dopo nove anni di guerra presentata come un'umanitaria missione di pace, il vero volto dell'occupazione militare dell'Afghanistan sta lentamente emergendo dietro la maschera della propaganda. Non solo per quanto riguarda gli orrori e le brutalità che caratterizzano questo come ogni altro conflitto armato.

Anche i giochi sporchi e i segreti di questa guerra stanno venendo a galla. L'ultimo caso - dopo il ciclone Wikileaks - riguarda il libro 'Operazione Cuore Nero', scritto dal tenete colonnello Anthony Shaffer, ex operativo Cia in Afghanistan: appena uscito in libreria, il Pentagono ha acquistato e distrutto tutte le copie per ''tutelare la sicurezza nazionale''.


Autocisterne attaccate dai talebani nei pressi del confine afgano

da Peacereporter - 5 Ottobre 2010

Un'autocisterna carica di carburante destinato a rifornire alcuni mezzi militari Usa in Afghanistan è stata danneggiata dall'esplosione di un ordigno.

L'attentato è avvenuto nella regione nordoccidentale del Pakistan, non distante dal confine afgano.

Negli ultimi giorni in Pakistan gli attacchi contro i convogli carichi di rifornimenti per le truppe della coalizione presenti in Afghanistan sono bersaglio degli attacchi talebani.

Venerdì scorso in un attacco nella provincia di Sindh, ventisette autocisterne sono state distrutte e tre persone hanno perso la vita. Ieri nei pressi di Islamabad altre 28 autocisterne sono state oggetto di un attacco da parte talebana. Nell'attentato sei persone hanno perso la vita.


Pervez Musharraf:"Abbiamo addestrato miliziani in Kashmir contro l'India"
da Peacereporter - 5 Ottobre 2010

Secondo l'ex-presidente l'Occidente dovrebbe 'risolvere la disputa' con Nuova Delhi per il controllo della regione himalayana

"E' diritto di ogni paese difendere i propri interessi e l'India non è pronta a discutere del Kashmir alle Nazioni Unite e a risolvere la questione in modo pacifico". Sono queste le ragioni per cui Pervez Musharraf, ex presidente ed ex capo di stato pakistano, avrebbe addestrato gruppi di militanti per combattere l'India nella regione himalayana.

Il politico di Islamabad, intervistato dal Der Spiegel nel suo auto-esilio londinese, ha aggiunto che la decisione è stata presa in seguito all'apatia dell'ex presidente Nawaz Sharif e all'immobilismo della comunità internazionale.

"L'Occidente sta ignorando la risoluzione della questione del Kashmir che è centrale per il Pakistan. Ci aspettiamo che l'Occidente, e in particolare gli Stati Uniti e Paesi importanti come la Germania, risolvano la disputa".

Rivendicando le scelte di Islamabad, l'ex presidente ha detto che "l'Occidente accusa il Pakistan di ogni cosa. Nessuno però chiede al primo ministro indiano: perché doti il tuo Paese di armi nucleari? Perché uccidi civili innocenti in Kashmir?".

Musharraf, che durante il governo Sharif era a capo dell'esercito, ha destituito il presidente con un sanguinoso colpo di Stato nel 1999. Nello stesso anno diede l'ordine per una incursione a Kargil che portò ad un conflitto armato con l'India.


Pakistan, secondo Musharraf c'è il rischio di un nuovo colpo di stato militare
da Peacereporter - 30 Settembre 2010

L'ex presidente prepara il suo rientro sulla scena politica

L'ex presidente Pervez Musharraf ha dichiarato che in Pakistan c'è il rischio di un nuovo colpo di stato militare, e ha spiegato che all'esercito dovrebbe essere concesso un ruolo costituzionale proprio per fare fronte alla difficile situaizone politica.

Musharraf, che sta preparando un ambizioso ritorno sulla scena politica in vista delle elezioni presidenziali, salì al potere con un colpo di Stato nel 1999 per poi dimettersi nel 2008.

L'ex presidente riconosce nella situazione attuale molte similitudini con quella che portò alla sua presa del potere e ha aggiunto che l'attuale capo dell'esercito, Ashfaq Pervez Kayani, potrebbe essere costretto a intervenire contro l'impopolare presidente Asif Ali Zardari.

Secondo Musharraf, la soluzione è riconoscere all'esercito un ruolo costituzionale nel governo della nazione, che conta 167milioni di persone, e ha aggiunto: "Se si vuole la stabilità nella struttura democratica del Pakistan, l'esercito deve avere una sorta di ruolo".

L'ex presidente ha espresso il suo apprezzamento per l'attuale capo dell'esercito, Kayani, oer avere tenuto fuori i militari dalla politica e per aver condotto la sua battaglia contro i Talebani e i militanti di al Qaeda nelle aree tribali del Pakistan al confine con l'Afghanistan.


In Pakistan è tutto già visto
di Mazzetta - Altrenotizie - 5 Ottobre 2010

Facili profezie quelle che vedevano il presidente Zardari correre incontro al fallimento prima ancora che il suo partito vincesse le elezioni. Gli Stati Uniti avevano lavorato a lungo per offrire un'uscita onorevole a Musharraf, l'ex capo dell'esercito golpista sarebbe diventato presidente e Benhazir Bhutto avrebbe potuto correre alle elezioni grazie alla rimozione del limite dei mandati e alla condanna all'esilio che aveva accettato invece di finire in galera per corruzione.

L'accordo lasciava fuori l'ex primo ministro Sharif, nelle stesse condizioni di Bhutto, ma il suo partito non era negli interessi degli americani. L'idea degli americani era quella di una transizione verso un governo capace di sottomettere l'esercito all'amministrazione civile e di allontanarlo da suggestioni e personaggi troppo vicini all'islamismo radicale, con il quale ormai da decenni i potentissimi servizi segreti pachistani intrattengono rapporti utilitaristici quanto evidenti.

Benhazir però è morta in una strage che ha colpito il suo corteo elettorale e al governo ci è andato il marito, “Mr 10%”, come lo chiamano i pachistani. Da allora si può dire che non ne abbi presa una, ha fatto cadere Musharraf dalla carica presidenziale e accettato il ritorno di Sharif spingendo in teoria il paese verso la democrazia, ma ha fatto ha testate con l'apparato giudiziario sostenuto dall'opinione pubblica, si è rivelato come d'abitudine più incline a badare ai propri interessi che a quelli del paese e il paese è affondato come prevedibile.

Per gli americani non ne è venuto niente di buono, l'esercito pachistano ha accettato l'intervento americano sul territorio nazionale e ha lanciato una grande offensiva contro talebani e associati senza che le cose migliorassero stabilmente.

Poi sono arrivate le alluvioni, e mentre Zardari stava nella sua casa a Parigi i pachistani hanno potuto contare solo l'esercito, il governo è rimasto afono e impotente. Tanto afono che nel mondo la catastrofe pachistana ha avuto un'eco relativa, come relativamente congrui sono stati gli aiuti internazionali per i soccorsi, appena più congrui delle scarsissime donazioni in moneta sonante.

Se a giustificare parzialmente la taccagneria Occidentale ci può essere l'impressione che il Pakistan sia un paese nemico abitato da nemici, per il resto del mondo vale la regola che dare denaro al governo Zardari significa arricchire il presidente.

Così siamo da capo, i pachistani guardano di nuovo all'esercito come all'elemento unificante e costituente dello stato, l'unica istituzione affidabile, onesta, moderna e laica per quanto profondamente musulmana.

Il che pone ancora una volta le condizioni ideali per un golpe che, a fronte di un tale fallimento, più d'uno considera già necessario. Per i pachistani, piagati da un sistema politico, tipicamente asiatico, nel quale i partiti fanno capo a un'oligarchia corrotta che si riproduce lungo le linee delle dinastie familiari più in vista, l'esercito è per definizione “meno corrotto” delle alternative civili.

L'esercito, al quale storicamente è stata affidata senza interferenze anche la “difesa” dall'India, è stato a lungo il vero gestore della politica pachistana e, come in Turchia, ha sviluppato una mistica sui suoi doveri verso il paese. Mistica che prevede il dovere di salvare il paese quando i ladroni esagerano, il che nella storia pachistana accade invariabilmente a scadenze abbastanza regolari.

Il nuovo capo dell'esercito e papabile dittatore è il generale Kayani, istruito nelle accademie occidentali e considerato ben disposto verso gli Stati Uniti, almeno fino a prova contraria. Prova contrari che sembra essere stata raggiunta in questi giorni, quando il Pakistan per protestare contro i bombardamenti americani sul suo territorio, prima con i droni e ora con gli elicotteri, ha chiuso il passo del Kyber e tagliato i rifornimenti agli americani. Per una notevole coincidenza gli americani hanno anche perso un intero convoglio che trasportava benzina, colpito in Pakistan da un gruppo di militanti non ancora identificato.

La pressione americana non aiuta, dall'amministrazione arrivano indicazioni spesso dissonanti e Obama sembra quasi intenzionato a spostare il baricentro dei combattimenti in Pakistan, almeno stando ad alcune sue dichiarazioni in questo senso e all'osservazione dell'aumento degli attacchi in Pakistan.

I generali pachistani però dispongono del temibile deterrente atomico e un attacco aperto al Pakistan è impensabile perché non è possibile paralizzare le capacità nucleari pachistane. Il nucleare, voluto per fronteggiare la minaccia indiana e finanziato da Arabia Saudita, Iran e Libia è tanto caro ai militari pachistani, che negli anni lo hanno coccolato e ne hanno tratto grandi soddisfazioni e prestigio.

Per questo quando nel 2003 si è scoperto “ufficialmente” il traffico nucleare verso Libia e Iran, Musharraf ha accusato di tutto un solo scienziato, il padre del nucleare pachistano. Nello stesso momento in cui Musharraf accusava lo scienziato in televisione, ne annunciava il perdono. A. Q. Kahn, il padre del nucleare pachistano, si è fatto un po' di domiciliari e ora è di nuovo sulla cresta dell'onda.

Nessuna americano ha potuto interrogarlo, nonostante a Washington volessero tanto. Lo stesso Musharraf, pur deposto e oggetto di gravi accuse, vive libero e sereno, molto più di prima, quando da dittatore è stato bersaglio di almeno sei attentati di quelli seri e pesanti.

Difficilmente Kayani si discosterà dalla tradizione pachistana, probabilmente tratterà a viso aperto con gli Stati Uniti mettendo sul tavolo le inderogabili esigenze dell'esercito pachistano, identificandole con l'interesse nazionale.

Zardari è ormai appeso alla volontà dell'esercito, privo di legittimazione morale e il suo governo è sostenuto solo dai pochi che non si rassegnano alla gestione militare, mentre i partiti politici cercano impossibili alchimie e inedite alleanze per sostituirlo.

Un compito improbo, in un panorama politico frammentato e paralizzato dai veti incrociati di un'oligarchia incapace di evadere un copione, che la vede corrotta e inadeguata ai compiti che si è riservata.


Usa e Pakistan, nervi tesi
di Michele Paris - Altrenotizie - 3 Ottobre 2010

In seguito all’ennesimo attacco in territorio pakistano delle forze di occupazione della NATO di stanza in Afghanistan, il governo di Islamabad qualche giorno fa ha chiuso un importante valico di frontiera tra i due paesi vicini.

Il provvedimento, che blocca una rotta fondamentale per i rifornimenti dei soldati occidentali e riaccende le tensioni tra USA e Pakistan, è giunto dopo una serie di bombardamenti aerei in una “agenzia” dell’area tribale nord-occidentale di quest’ultimo paese, causando la morte di tre guardie di frontiera.

Giovedì scorso, elicotteri delle forze ISAF in volo lungo il confine tra Afghanistan e Pakistan, verosimilmente all’inseguimento di un gruppo di guerriglieri islamici, sono entrati nello spazio aereo pakistano.

Secondo la ricostruzione di un portavoce dell’esercito pakistano, le guardie di frontiera avrebbero esploso alcuni colpi per avvertire i mezzi aerei NATO del loro sconfinamento. In risposta, sarebbero stati sparati due missili che hanno finito per distruggere il posto di frontiera.

Come già avvenuto in precedenza, le autorità pakistane hanno proceduto alla chiusura del valico di Torkham, a nord di Peshawar, di fatto il più trafficato punto di transito tra l’Afghanistan e il Pakistan, dal quale passano buona parte delle forniture dirette alle forze armate occidentali impegnate in Afghanistan.

Già dopo il primo giorno di chiusura del passo, oltre 150 convogli NATO risultavano bloccati lungo la strada diretta al confine. Se in altre occasioni la chiusura del valico è durata pochi giorni, al momento è difficile prevedere le intenzioni pakistane.

Nonostante le dure proteste del governo e dei vertici militari, le incursioni americane all’interno dei confini pakistani sono peraltro sempre state più o meno tacitamente sostenute da Islamabad. Con l’intensificarsi degli attacchi negli ultimi mesi, la rabbia delle popolazioni locali è però aumentata di conseguenza.

Anche se i bombardamenti, spesso condotti tramite aerei senza pilota e comandati a distanza, dovrebbero colpire i ribelli che operano in Afghanistan per poi trovare rifugio in Pakistan, in realtà il numero di vittime civili continua ad essere consistente.

Dopo il più recente episodio, da parte pakistana si sono moltiplicate le minacce di ritorsioni. I toni degli ufficiali del governo sono risultati comprensibilmente accesi, dal momento che secondo il diritto internazionale, uno sconfinamento ed un bombardamento di questo genere rappresentano un evidente atto di guerra.

Le minacce, tuttavia, non hanno impensierito l’amministrazione Obama che, nonostante le tensioni e le visite a Islamabad appena concluse del capo di stato maggiore, ammiraglio Mike Mullen, e del direttore della CIA, Leon Panetta, due giorni più tardi ha dato il via libera ad un nuovo attacco in territorio pakistano che ha ucciso sei presunti militanti islamici.

La disputa tra Stati Uniti e forze NATO da un lato e Pakistan dall’altro è la diretta conseguenza della delicata situazione in cui si è venuto a trovare il governo di Islamabad fin dal rovesciamento dei Talebani nell’autunno del 2001 e, allo stesso tempo, della dipendenza americana dal governo pakistano per raggiungere i propri obiettivi in Afghanistan.

Gli americani da anni spingono il governo e l’influente esercito pakistano ad adottare una strategia più offensiva nei confronti dei vari gruppi ribelli che mantengono le loro roccaforti nelle aree tribali (FATA) lungo il confine nord-occidentale del paese.

Una strategia finora adottata in maniera non troppo efficace in alcune province pakistane che però non trova l’appoggio della maggioranza della popolazione, irriducibilmente avversa alla presenza e ai diktat statunitensi.

Assieme agli incentivi di ingenti aiuti finanziari e militari, le pressioni di Washington su Islamabad si traducono in sempre più frequenti incursioni aeree, in ultima istanza condotte per allineare il Pakistan ai propri interessi nell’intera regione centro-asiatica.

Pressioni e minacce che non tengono conto né della situazione interna pakistana - l’eventuale ripiegamento sulle richieste americane potrebbe portare il paese sull’orlo della guerra civile - né degli obiettivi strategici del problematico alleato.

I Talebani, infatti, continuano a rappresentare per Islamabad il mezzo attraverso il quale esercitare la propria influenza su un futuro governo afgano, una volta che gli americani se ne saranno andati.

Un Afghanistan alleato del Pakistan, come ai tempi del regime talebano, ovviamente in funzione anti-indiana, soprattutto alla luce del riemergere delle tensioni in Kashmir al confine orientale con l’arcinemico di sempre.

Pur chiedendo maggiore supporto per il proprio disegno in Asia centrale, gli USA sembrano perseguire una politica volta a frustrare gli interessi vitali pakistani. Oltre alla costruzione di una solida partnership con Nuova Delhi, Washington ha ad esempio cercato in vari di modi di ostacolare l’approvvigionamento di reattori nucleari dalla Cina o di gas naturale dall’Iran per sostenere il fabbisogno energetico del Pakistan.

Così, in un paese devastato dalle recenti inondazioni, l’amministrazione Obama ha intensificato le operazioni militari di dubbia legalità - più di venti nel solo mese di settembre - provocando la morte di altri civili innocenti. Un’escalation di distruzione che, oltre a mettere a repentaglio i già difficili equilibri nei rapporti con il Pakistan, finisce per infiammare ulteriormente la resistenza talebana da entrambi i lati del confine in una spirale di violenza senza alcuna fine in vista.