giovedì 28 ottobre 2010

Don Néstor, un grande Presidente

Ieri si è spento improvvisamente per un infarto l'ex presidente argentino Néstor Kirchner, che da qualche tempo ricopriva il ruolo di segretario generale dell'Unasur - l'Unione delle nazioni sudamericane.

Qui di seguito una serie di articoli in omaggio ad un leader politico che ha risollevato un Paese economicamente
in ginocchio per via delle scellerate politiche neoliberiste applicate alla lettera negli anni '80 e '90, in particolare durante la presidenza Menem.

Un uomo che ha soprattutto ridato dignità e speranza a un popolo annichilito e mortificato da una sanguinosa dittatura militare prima e dai diktat del Fondo Monetario Internazionale poi.


Kirchner, un presidente
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 27 Ottobre 2010

Nestor Kirchner, morto ieri per un infarto all’età di sessant’anni, non è stato un presidente qualsiasi in un paese qualsiasi. L’attuale Segretario del Partito Giustizialista (peronista) arrivò alla Casa Rosada nel 2003 con il ritiro anzitempo di Menem, l’uomo che aveva ridotto il granaio dell’America Latina alla fame.

Kirchner aveva ereditato la tragedia economica del paese latinoamericano, dovuta alle politiche economiche ultramonetariste volute dal ministro dell’Economia Domingo Cavallo, che sotto dettatura dei Chicago boys di Milton Friedman, aveva ridotto il paese sul lastrico.

L’Argentina fu infatti il laboratorio privilegiato del monetarismo, la finestra sulla follia della parità monetaria tra moneta locale e divisa e, nella decade successiva alla caduta della dittatura, divenne il luogo privilegiato per le scorribande dei capitali speculativi esteri - in particolare dei fondi pensione statunitensi - che volarono sui cieli di Buenos Aires comprando a pochi pesos per poi fuggire rivendendo a tanti dollari.

La vendita dell’Argentina a prezzi di saldo alle multinazionali statunitensi aveva posto il Paese sull’orlo dell’abisso. Entrato in scena dopo il fallimento politico di Alfonsin e la vergognosa pagina di Menem, Kirchner salì sul ponte di comando gaucho con l’impegno di scrivere presente e futuro di una grande nazione, prima violentata da una dittatura militare fascista che ridusse l’Argentina a un cimitero a cielo aperto, poi piegata dalla follia economica monetarista.

Mise sul ponte di comando i due elementi dispersi: la sovranità politica ed economica del paese unita alla sua decisione di scavare nella sua storia senza sconti e senza indulgenze.

Sul piano economico Kirchner impose alle banche internazionali e agli speculatori dei tango bond un piano semplice quanto indiscutibile: l’Argentina avrebbe pagato solo quello che riteneva di dover pagare e nei modi e nei tempi che avrebbe potuto e voluto.

Nessun indennizzo per i capitali speculativi veniva previsto, nessun rientro per i debiti contratti illecitamente era più possibile.

Gli organismi monetari e i loro piani di aggiustamento strutturale vennero fermamente ricacciati indietro; la politica nazionale e i bisogni del Paese tornavano sul ponte di comando.

Andava ricostruita l’economia vera, il suo ciclo vitale di produzione, distribuzione e consumo. Non c’era nessuna intenzione di continuare a rappresentare il bingo della speculazione finanziaria del nord.

Le ricette del Fondo Monetario per salvare l’Argentina somigliavano molto alle misure che il becchino prende ai pazienti in coma. Vi si prevedevano misure solo per rimborsare il debito con le banche e non gli argentini per ciò che gli era stato sottratto. Austerità verso l’interno, generosità verso l’estero.

Una vecchia ricetta: il bastone per le vittime, la carota per gli speculatori. Ma Kirchner si rifiutò di baciare il bastone con il quale si voleva colpire l’Argentina e non volle pagare il debito alle condizioni impossibili imposte dai creditori, statunitensi in prima fila.

Niente aggiustamenti strutturali, niente politiche deflattive, nessuna garanzia per gli investitori esteri, nessuna abolizione di dazi doganali per le importazioni e quant’altro prodotto dal ricettario del medico che aveva schiantato il malato con le sue amorevoli cure.

Kirchner, per la prima volta nella storia, rifiutò minacce e suggerimenti (così simili tra loro), ignorò le ricette monetariste e fece tutto il contrario di quanto proposto dal Fmi.

La crisi economica del paese venne superata grazie alle politiche economiche di tipo keynesiano ed all’apertura al mercato regionale oltre che al Mercosur. Ignorando i creditori, diede vita ad una politica economica che favorì il consumo interno, impose dazi alti per le importazioni e le transazioni finanziarie; vennero prese misure per l’occupazione e, in soli due anni, vennero creati due milioni di posti di lavoro.

I conti tornarono in attivo, il Pil riprese a salire e l’Argentina denudò il re: nessuna fuga di capitali, come minacciavano i banchieri, bensì ingresso di capitali nuovi. In tre anni, furono molto maggiori i capitali che entrarono o rientrarono di quelli che uscirono.

Ma Kirchner non fu soltanto l’artefice della nuova politica economica argentina. Essa, infatti, venne sempre ispirata da scelte di politica generale che lo collocano nel solco del peronismo di sinistra, così difficile da differenziare, se non si vuol fare accademia, dal socialismo atipico sudamericano.

E così come dovette fare i conti con il passato sul piano del default finanziario, allo stesso modo decise di farlo sistemando una volta per tutte la pagina nera della dittatura militare. Dovendo superare in corsa l’inefficacia della transizione di Alfonsin e il riallineamento politico di Menem con l’ideologia padronale, Kirchner scelse da subito di sistemare i conti all’interno.

La debolezza politica dei governi che avviarono la transizione come quello di Alfonsin, e la malcelata nostalgia per la dittatura di quello presieduto da Menem, avevano infatti promulgato due obbrobri giuridici: Ley de la obediencia debida (Legge dell’obbedienza dovuta) e Ley del punto final (Legge del punto finale).

Il principio ispiratore delle due amnistie mascherate da leggi era l'assoluta non colpevolezza e non responsabilità dei militari e dei poliziotti argentini per i crimini commessi, in quanto soggetti ad "ordini superiori".

In pratica due gigantesche operazioni di amnistia per i militari autori della morte di trentamila persone, con l’assunto giuridico della non responsabilità oggettiva per chi obbedisce a ordini e delinque nell’esercizio del suo dovere.

Erano insomma leggi che avevano assegnato il perdono d’ufficio ai torturatori del Paese, miserabili funzionari dell’orrore nella dittatura militare voluta da Washington e benedetta dal Vaticano.

I criminali diventavano quindi non giudicabili e non perseguibili: un tentativo vergognoso di sbianchettare una tragedia immensa. Vennero azzerate. Il perdono per legge impediva la legge del perdono.

Questo volle il Presidente Kirchner: azzerarle e rimettere la verità seduta al fianco della giustizia. Nessun perdono, nessun oblìo di Stato per i carnefici, che furono invece perseguiti e condannati dai tribunali. I burocrati della dittatura uscirono di scena. Le madri e le nonne di Plaza de Mayo divennero le star del nuovo film che commuoveva l’Argentina.

Anche sul piano dei rapporti internazionali Kirchner seppe dare una svolta impensabile fino ad allora: alla vigilia del suo insediamento, dopo aver annunciato il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Cuba, mandò a dire agli Stati Uniti che i rapporto auspicabile tra Washington e Buenos Aires era un rapporto di vicinanza, ma non di complicità. “Vogliamo avere un rapporto, ma non carnale” disse con una battuta esemplificativa l'allora neo presidente argentino.

Che non si limitò a ristabilire la giusta distanza tra le due capitali, ma coinvolse l’Argentina nel processo d’integrazione regionale economica e politica con il blocco democratico latinoamericano. Schierò l’Argentina con il Gruppo dei 22 che al vertice di Cancun misero con le spalle al muro le pretese coloniali europee.

Si battè contro l’Alca e contribuì alla nascita dell’Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane) della quale fino a ieri era, non a caso, Segretario Generale.

E proprio disobbedendo ai diktat del FMI e della Casa Bianca per obbedire alle necessità dell’Argentina, Nestor Kirchner tracciò una rotta successivamente seguita da sua moglie, Cristina Fernandez, attuale presidente, anzi Presidenta.

Si vociferava di un suo possibile ritorno alla Casa Rosada, rilevando Cristina nel 2011, nonostante la pareja presidencial avesse smentito a più riprese l’ipotesi della staffetta familiare. Aveva lasciato la presidenza nel 2007.

Legato fortemente alle altre democrazie progressiste del continente, Kirchner é stato protagonista assoluto della riscossa latinoamericana. Ecuador, Bolivia, Uruguay, Cile e Paraguay hanno già annunciato la presenza dei rispettivi presidenti alle esequie di Stato e Brasile e Venezuela hanno proclamato tre giorni di lutto nazionale.

Il Cono sud ha perso uno dei suoi attori principali e la sovranità argentina ha perso l’uomo che l’aveva inaugurata. Questo fu Nestor Kirchner: un grande Presidente per un grande Paese.


Alfredo Somoza:" Nestor Kirchner, il peronista di sinistra"

da www.peacereporter.net - 27 Ottobre 2010

Era un uomo nuovo nel panorama politico argentino

"Innanzitutto è stato una rivelazione perché era un personaggio estraneo alla politica nazionale. Kirchner era governatore di uno stato della Patagonia, Santa Cruz, e si è trovato a gestire un Paese che usciva dalla tremenda crisi del 2001" racconta dall'ufficio di presidenza dell'Icei, Alfredo Luis Somoza.

"Kirchner era un po' un uomo uscito dal nulla quando fu eletto alla presidenza. Ottenne un misero 26 percento al primo turno elettorale e vinse perché l'altro candidato Menem si ritirò dal ballottaggio e consegno di fatto all'Argentina un presidente che aveva solo il 26 percento dei voti, un po' poco.

Ma Kirchner è stato un presidente importante. In qualche modo per la prima volta l'Argentina aveva un presidente che esprimeva l'essenza dell'ala di sinistra del peronismo.

E nonostante se ne dicano tante sui suoi modi, penso ad esempio alle polemiche sul poco rispetto per la libertà di stampa o i metodi bruschi da classico peronista verrà ricordato per tre cose. La prima è la più importante.

Quando è diventato presidente ha trovato un Paese devastato. Lui è riuscito a farlo ripartire riattivando l'industria e restituendo un ruolo allo Stato argentino.

La seconda è la sua scommessa vinta sull'unione sudamericana. E' stato uno dei protagonisti insieme e Lula, Chavez e Morales di quello che è stato costruito in questi anni.

E per sottolineare questo impegno di integrazione proprio quest'anno era stato nominato segretario generale di Unasur. La terza è quella che non è mai riuscito a fare: il partito peronista unito.

Nel paese infatti ci sono ancora due movimenti che si definiscono peronisti: quello più spostato a destra. Che si è scontrato con lui durante le ultime elezioni, e quello più orientato a sinistra, più vicino a Kirchner e alla moglie che attualmente è la presidente del " dice Somoza.

Ora però la politica nazionale resta nelle mani della moglie, Cristina Fernandez. "L'anno prossimo ci saranno le elezioni e il dubbio era sulla candidatura. Si sarebbe ricandidata Cristina o lui avrebbe voluto riprovare a riprendere la strada interrotta?

A questo punto il dubbio si scioglie e come sempre avviene in questi casi ci sarà un effetto positivo per Cristina, se confermerà la sua ricandidatura.

Ora le viene a mancare un figura fondamentale nel panorama politico. Il suo compito sarà quello di trovare nuove alleanze nuovi equilibri. Per me però, l'evento negativo avrà effetti positivi sulla politica della Fernandez" conclude il presidente Icei


L'eredità di Néstor Kirchner sull'America Latina del XXI secolo
di Gennaro Carotenuto - www.gennarocarotenuto.it - 27 Ottobre 2010

Chi poteva immaginare Nestor Kirchner, il ragazzo della Gioventù Peronista divenuto presidente della Nazione in uno dei momenti più difficili della storia mai facile dell’Argentina, come un cardiopatico morto a sessant’anni appena compiuti?

Chi poteva immaginare, ricordando l’immensa vitalità con la quale saltava da un capo all’altro della Patria grande latinoamericana, che in questo inizio di XXI secolo aveva contribuito a disegnare nella sua ineludibile integrazione, che il suo cuore potesse non reggere più?

Anche quando nelle ultime settimane erano giunte notizie allarmanti su ricoveri e interventi chirurgici, si collocava Don Néstor ancora nella sfera dei giovani cavalli di razza della politica continentale.

E lo si vedeva alla vigilia di lanciarsi in una nuova e più appassionante sfida politica, quella di succedere a sua moglie Cristina e tornare alla Casa Rosada per dare continuità al progetto kirchnerista di Argentina. È quel progetto che aveva plasmato la speranza dell’Argentina nei giorni bui dell’uscita dalla notte neoliberale che aveva portato il paese al crollo di fine 2001.

Ancora pochi giorni fa svolgeva un ruolo attivissimo nella soluzione del colpo di Stato in Ecuador contro il governo amico di Rafael Correa, lui segretario generale di quella UNASUR, l’Unione delle Nazioni Sudamericane che in poco tempo si è imposto come il principale consesso regionale sulla base del fatto che il contributo degli Stati Uniti (da sempre egemoni nell’OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani) è in genere il problema e quasi mai la soluzione alle crisi regionali.

Il primo straordinario contributo di don Néstor fu evitare il far ripiombare il paese nel passato obbligando il suo rivale Carlos Menem a rinunciare al ballottaggio al quale erano giunti insieme nella corsa alla prima elezione presidenziale post-crollo del dicembre 2001.

Menem era l’uomo simbolo delle peggiori tragedie neoliberali, della distruttiva parità col dollaro che in 13 anni aveva completamente deindustrializzato il paese, della chiusura delle mense costringendo migliaia di bambini a morire di fame, dell’abbandono delle scuole e degli ospedali pubblici, del disastro culturale prodotto dalle televisioni commerciali, dell’impunità per le violazioni dei diritti umani e delle “relazioni carnali” con gli Stati Uniti.

Semplicemente sconfiggendo la prospettiva dell’eterno ritorno di un governo coloniale a Buenos Aires, Néstor Kirchner aprì una pagina nuova nella storia del grande paese australe. Per voltare pagina, in un modello sociale, quello kirchnerista, non certo radicale, ricostituì la sovranità nazionale stuprata dalla dittatura del Fondo Monetario Internazionale.

Con l’aiuto politico ed economico del brasiliano Lula da Silva e del venezuelano Hugo Chávez, chiuse la pagina più nera della storia argentina saldando il debito con l’FMI e recuperando la capacità del paese di scegliere le proprie priorità.

Inaugurò così una stagione nella quale rifecero capolino le nazionalizzazioni, un vero tabù in un paese completamente privatizzato, e fu uno dei baluardi, di nuovo con Lula e Chávez, nell’impedire il progetto dell’ALCA.

L’Area di Libero Commercio delle America doveva essere la risposta di George Bush alla Cina: l’intera America latina doveva essere un’immensa maquiladora dove in condizioni di lavoro semischiaviste, omologhe a quelle cinesi, gli Stati Uniti potevano combattere la battaglia per l’egemonia mondiale con il paese asiatico organizzando l’intera economia latinoamericana in nome di tale supremo interesse.

Fu un battaglia che gli USA persero in quei giorni di Mar del Plata nel 2005 quando Kirchner sfilava con al fianco Diego Armando Maradona e gridava insieme a tutto un continente il proprio NO al modello neocoloniale rappresentato da Bush.

Se è ragionevole sostenere che il neoliberismo non è mai tramontato in America latina, anche nei paesi integrazionisti, è altrettanto vero che la rottura della teoria della dipendenza operata in questo decennio da uomini come Néstor Kirchner è la premessa fondamentale alla costruzione di un modello sociale meno ingiusto.

Proprio con Lula e Chávez, don Néstor inaugurerà quel “concerto latinoamericano”, consultazioni quotidiane e incontri continui, che hanno portato a quello straordinario fiorire delle relazioni economiche (più che triplicate) e politico sociali nella regione, fino a ieri impedite dal modello neocoloniale di sviluppo.

Ma il contributo del ragazzo della Gioventù Peronista non si ferma alla politica economica e internazionale. In un momento nel quale il paese doveva ricostituire la propria dignità, capì che questa non potesse sedimentarsi senza giustizia.

Così Kirchner si caricò del peso e del rischio politico di abrogare le leggi dell’impunità volute in epoca neoliberale per i militari violatori dei diritti umani responsabili dei 30.000 desaparecidos.

Se oggi migliaia di processi per violazioni dei diritti umani sono in corso e l’Argentina è in grado di puntare il dito contro paesi come la Spagna incapace di fare giustizia per i crimini del franchismo, ciò è merito di quella generazione testarda di militanti di sinistra e peronisti della quale Kirchner faceva parte e che con l’abrogazione delle leggi d’impunità, Punto Finale e Obbedienza Dovuta, qualcosa di impensabile nell’Argentina neoliberale, ha saldato un impegno morale con i compagni sterminati per imporre il modello economico che ha distrutto il paese.

Oggi che finisce la corsa di Néstor Kirchner si aprono grandi interrogativi. Il kirchnerismo, il presidente, Cristina Fernández, hanno davanti a loro ancora un anno di governo per superare l’assenza del candidato naturale alla presidenza della Repubblica nelle elezioni del prossimo anno.

La nuova America latina deve superare la prima scomparsa di un suo leader storico. La continuità dei processi popolari non è assicurata, ma le premesse, anche per l’azione di personaggi come Néstor Kirchner, ci sono tutte.


I mercati e la stampa neoliberali plaudono alla morte di Néstor Kirchner e sognano Josè Serra in Brasile
di Gennaro Carotenuto - www.gennarocarotenuto.it - 28 Ottobre 2010

Alla notizia della morte di Néstor Kirchner i mercati schizzano verso l’alto. Per il “Wall Street Journal” la morte è positiva perché apre la prospettiva ad un governo “market friendly”, che vuol dire “people unfriendly”.

Testuale: “la morte di Kirchner è un’opportunità”. Per il momento dovranno farsi una ragione del fatto che alla Casa Rosada c’è Cristina Fernández de Kirchner, alla quale in queste ore sta arrivando la solidarietà di tutti i democratici d’America (nell’immagine la bella copertina di Página12 di oggi, disegnata da Daniel Paz).

Intanto il “Financial times” endorsa (invita i brasiliani a votare) per José Serra nell’imminente ballottaggio contro Dilma Rousseff. Con un linguaggio insolitamente aggressivo e maschilista il quotidiano londinese liquida Dilma come “una protégée” di Lula.

Nel succo il motivo dell’endorsement è che Serra può allontanare il ritorno della minaccia Lula nel 2014. Il governo brasiliano ha risposto ufficialmente che il tempo del colonialismo è passato da un pezzo.

Sia il “Wall Street Journal” che il “Financial Times” sono ossessionati dall’integrazione latinoamericana, che ovviamente vedono come il fumo negli occhi, e dall’amicizia dell’Argentina di Néstor e Cristina e del Brasile di Lula e Dilma con il Venezuela e con Cuba e dalla capacità soprattutto brasiliana di giocare da attore globale per esempio per evitare una guerra con l’Iran.

Continuano a vedere il mondo con il solo paraocchi del loro tornaconto, indifferenti alla vita e alla morte delle persone (le loro intere collezioni testimoniano il plauso all’Argentina neoliberale per le misure economiche che mandavano a morte per fame migliaia di bambini) fino ad applaudire alla morte di un politico democratico perché questa morte farà loro guadagnare soldi.

Nel loro delirio razzista, non riescono neanche a pensare una politica internazionale policentrica e nella quale un paese del sud del mondo, il Brasile (figuriamoci l’Argentina o il Venezuela) non debba chiedere il permesso a loro.

Al mondo, per fortuna, le voci ciniche di sciacalli mediatici come il “Wall Street Journal” o il “Financial Times” o l’ “Economist” sono sempre più flebili. E se milioni stanno piangendo don Néstor, nessuno verserebbe una lacrima per tali sciacalli mediatici.