martedì 16 novembre 2010

La libertà vigilata di Aung San Suu Kyi

Come previsto da tempo Aung San Suu Kyi è stata liberata dopo 7 anni di arresti domiciliari. Dal 1989 ne ha trascorsi in totale 15, intervallati da brevi periodi di libertà.

Ma nulla è cambiato in Birmania. La giunta militare, guidata dal generale Than Shwe, è saldamente al potere, consolidatosi ulteriormente con le ultime elezioni farsa del 7 novembre scorso.

E a conferma del timing preciso scelto dalla giunta per la liberazione, nessun media mainstream parla più delle frodi e irregolarità di queste elezioni, ma solo del rilascio della Lady.

Si tratta comunque soltanto di una libertà vigilata e condizionata, perchè nel momento in cui Suu Kyi costituirà di nuovo una minaccia per la giunta, la Lady verrà per l'ennesima volta arrestata o, peggio, la sua vita sarà in pericolo come è successo nel 2003 poco prima dell'inizio dell'ultimo periodo di arresti domiciliari.

Le uniche speranze per un vero cambiamento nel Paese sono riposte solo in un eventuale colpo di Stato, guidato da "illuminati" generali contrari a Than Shwe, oppure in un'inedita alleanza di tutti gli eserciti dei vari gruppi etnici presenti nel Paese per combattere l'esercito birmano fedele alla giunta. O ancora, in un mix delle due ipotesi.


Dopo l'euforia, la realtà
da Peacereporter - 15 Novembre 2010

La liberazione di Aung San Suu Kyi non è sufficiente per cambiare la Birmania. E non è ancora chiaro cosa il regime le lascerà fare

La sua enorme presa sulla popolazione è stata appena confermata dal bagno di folla che l'ha accolta. Lei ha già moderato le sue posizioni, infondendo speranza ma stando ben attenta a non pestare i piedi alla giunta militare che l'ha tenuta prigioniera per 15 degli ultimi 21 anni.

Mentre la Birmania e il mondo si sciolgono davanti alla liberazione di Aung San Suu Kyi, l'iniziale euforia di questi giorni dovrà però per forza scontrarsi a breve con la situazione reale sul campo: quella di un paese dove l'esercito non ha nessuna intenzione di cedere un potere che detiene da 48 anni, e dove una ricetta per la pacifica coesistenza dei generali e dell'eroina della democrazia non è stata ancora trovata.

Suu Kyi, l'ha confermato lei stessa, è libera senza condizioni. Almeno formalmente, ciò vuol dire che potrà girare a piacimento per la Birmania per lavorare al suo programma di riconciliazione nazionale.

Ma quanto il suo attivismo sarà tollerato dal regime è tutto da dimostrare: Suu Kyi, va ricordato, era stata rimessa in libertà altre due volte, per poi tornare in detenzione con altri pretesti quando stava diventando un pericolo per il regime.

Lo stesso entourage della donna teme per la sua sicurezza: "Basta un uomo armato tra la folla per attentare alla sua vita", ha ammesso Win Tin, uno degli anziani fondatori della Lega nazionale per la democrazia di Suu Kyi.

"Siamo alle cosiddette fasi di studio", spiega a PeaceReporter un osservatore di un'organizzazione per i diritti umani dotata di una capillare rete di informatori nel Paese. "Il regime ha concesso il momento di gloria a Suu Kyi, lei finora si è tenuta all'interno di una linea non scritta di cosa è consigliabile fare. I prossimi mesi saranno decisamente interessanti".

I sette anni consecutivi agli arresti domiciliari non hanno piegato lo spirito del premio Nobel per la pace, ma a giudicare da quanto dichiarato finora ne hanno smussato l'indisponibilità al compromesso con una giunta di cui, in passato, aveva sempre sottolineato l'illegittimità.

"Non provo rancore verso chi mi ha tenuto agli arresti domiciliari", ha detto nel suo primo comizio, in cui non ha mai menzionato le elezioni del 7 novembre, con cui il regime si è assicurato una facciata democratica per il suo potere.

Il tema su cui la donna è ritornata più volte è quello del dialogo. "Incontriamoci, e parliamo", è stato il suo messaggio al generalissimo Than Shwe. Rimane però da vedere se l'impenetrabile numero uno della giunta, a cui viene attribuito un irrazionale disprezzo verso Suu Kyi, condivide la voglia di sedersi a un tavolo con la sua spina nel fianco.

La nuova posizione della donna sulle sanzioni economiche applicate da Usa e Ue potrebbe però interessare i generali (e diversi paesi occidentali). Il tema divide da anni gli osservatori: colpiscono più i militari o il popolo? Con il passare degli anni, la seconda teoria ha acquistato sempre più sostenitori.

Mentre in passato Suu Kyi approvava le restrizioni, in quanto giusta punizione per un regime le cui violazioni dei diritti umani non si contano, ora ha già aperto a un possibile ripensamento: "Se il popolo davvero vuole che siano tolte, ne terrò conto", ha detto dopo aver invitato la gente a "dirle cosa vuole".

Dato che un terzo dei birmani vive sotto la soglia di povertà e praticamente tutti desiderano per prima cosa un innalzamento del proprio livello di vita, sarà interessante vedere se la posizione di Suu Kyi evolverà verso un appoggio alla rimozione delle sanzioni.

Gli interessi coinvolti sono enormi. Alle spalle della giunta militare, negli ultimi anni è fiorita in Birmania una ristretta ma potente cricca di businessmen con le



Nel suo primo discorso:"Lavorare insieme per la democrazia, senza perdere la speranza"
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 14 Novembre 2010

Aung San Suu Kyi parla dalla sede del suo partito davanti a 40 mila persone

Nel suo primo comizio dopo la liberazione, Aung San Suu Kyi ha parlato oggi dalla sede della Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) davanti a 40 mila persone. Le forze di sicurezza della giunta militare erano presenti ma non sono intervenute, limitandosi a fotografare e filmare la folla (video).

"La base della libertà democratica è la libertà di parola", ha detto la premio Nobel per la pace. "Io penso di sapere cosa vuole il popolo birmano, ma siate voi stessi a dirmelo. La mia voce, da sola, non è democrazia, niente può essere raggiunto senza la partecipazione della gente: dobbiamo camminare assieme, senza perdere la speranza, senza farsi scoraggiare".

"C'è democrazia quando il popolo controlla il governo, e io accetterò che il popolo mi controlli. Insieme decideremo quello che vogliamo, e per ottenerlo dobbiamo agire nel modo giusto. Dobbiamo lavorare insieme: voglio lavorare con tutte le forze democratiche della Birmania".

"Parlerò con chiunque voglia lavorare per il bene del paese e per la democrazia, anche se la riconciliazione nazionale significa riconoscere che vi sono differenze. Non nutro ostilità nei confronti del governo per avermi tenuta prigioniera per tanto tempo: gli ufficiali della sicurezza mi hanno trattato bene: chiedo loro di trattare bene anche il popolo birmano".

"Questo è il momento in cui la Birmania ha bisogno di aiuto da parte delle nazioni occidentali, delle nazioni orientali, del mondo intero: tutto comincia con il dialogo. E se il popolo vuole veramente la revoca delle sanzioni internazionali contro la Birmania, ne terrò contro", ha concluso Aung San Suu Kyi.


Birmania, il Nobel Aung San Suu Kyi: “La democrazia si basa sulla libertà di parola”
da www.ilfattoquotidiano.it - 14 Novembre 2010

All'indomani della sua liberazione la donna ha parlato davanti a migliaia di persone: "Voglio lavorarer con tutte le forze democratiche", ha detto dopo un incontro con diplomatici asiatici e occidentali

Torna alla vita politica da donna libera e lo fa con idee chiare e concilianti. Bisogna lavorare con tutte le forze democratiche affinché cadano le sanzioni contro la Birmania, uno Stato che ha bisogno di aiuto.

Il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, liberata ieri dopo sette anni di arresti domiciliari, è tornata a parlare in pubblico e lo ha fatto davanti alle migliaia di persone raccolte vicino alla sede della Lega nazionale per la democrazia (Nld) a Rangoon. San Suu Kyi, 65 anni, negli ultimi 21 anni è stata agli arresti per tre lustri.

Secondo fonti del Nld, l’intenzione della leader è quella di lavorare con “tutte le forze democratiche” alla riconciliazione nazionale, smuovendo la Birmania dal muro contro muro con la giunta militare. Ai suoi sostenitori ha detto che “c’è democrazia quando il popolo controlla il governo”: “Accetterò che il popolo mi controlli – ha aggiunto precisando – Dovete resistere per quello che giusto”.

“La base della democrazia è la libertà di parola – ha spiegato il premio Nobel per la pace nel 1991 – e anche se penso di sapere cosa volete, vi chiedo di dirmelo voi stessi. Insieme, decideremo quello che vogliamo, e per ottenerlo dobbiamo agire nel modo giusto. Non c’è motivo di scoraggiarsi”, ha proseguito Suu Kyi, aggiungendo poi di “non provare rancore” verso la giunta militare che l’ha privata della libertà per 15 degli ultimi 21 anni.

Vestita di blu, con un fiore giallo tra i capelli, l’icona della dissidenza ha inoltre detto di “non temere le responsabilità”, aggiungendo di “avere bisogno dell’energia della popolazione” e che ha intenzione di lavorare “per migliorare il livello di vita” in Birmania.

Suu Kyi ha poi concluso il discorso spiegando che la sua voce, da sola, “non è democrazia. Niente può essere raggiunto senza la partecipazione della gente”.

In precedenza, la donna aveva incontrato una trentina di diplomatici asiatici e occidentali nella sede del Nld, mentre all’esterno la folla continuava a ingrossarsi e a intonare slogan in suo onore. ”Se il popolo vuole veramente la revoca delle sanzioni internazionali contro la Birmania, ne terrò contro”

”Questo è il momento in cui la Birmania ha bisogno di aiuto”, ha detto la leader democratica usando il vecchio nome del suo paese, e non Myanmar, nome scelto dalla giunta militare. “Le nazioni occidentali, le nazioni orientali, il mondo intero…. tutto comincia con il dialogo”, ha aggiunto nella prima conferenza stampa dopo la sua liberazione.

Secondo gli osservatori Suu Kyi lavorerà con i paesi occidentali per la revoca delle sanzioni, un provvedimento che in passato aveva appoggiato, ma che ora ritiene colpisca il popolo e non la giunta militare.