lunedì 1 novembre 2010

Update italiota

Il consueto appuntamento con gli ultimi aggiornamenti italioti...


Il Pdl, il governo e la paralisi. Il coraggio della verità
di Ernesto Galli della Loggia - Il Corriere della Sera - 1 Novembre 2010

Che cos’altro deve succedere perché il Pdl si ricordi di essere, sia pur allo stato fantasmatico, un’entità che dice di essere un «partito»?

Che cos’altro deve succedere perché i suoi deputati e senatori si accorgano che continuando così almeno la metà di loro non rivedrà mai più il Parlamento, e può considerare chiusa la propria carriera politica?

Eppure, che la situazione della maggioranza sia sull’orlo del collasso è evidente a tutti, così come è altrettanto evidente che di questo passo rischia di subire un danno irreparabile l’immagine stessa del Paese e quel poco o tanto che resta del suo rango internazionale.

Non si tratta dell’avventurosa vita notturna del presidente del Consiglio, della quale egli mostra troppo spesso di sottovalutare i rischi. Fin dall’inizio ci siamo volenterosamente sforzati di dire che in fondo (e sia pure entro certi limiti) tutto questo riguardava la sua vita privata: convinti tra l’altro, come i fatti hanno finora dimostrato, che non sarebbe stato certo agitando tali argomenti che l’opposizione sarebbe mai riuscita ad avere la meglio.

Né si tratta della ben nota disinvoltura istituzionale del premier: disinvoltura che spetterà al magistrato appurare se nell’ultima vicenda della ragazza marocchina abbia superato o no il confine della legge.

No, non si tratta di tutto questo, o non solo di questo. E neppure tanto della paralisi dell’azione di governo, che pure è un dato reale.

Si tratta del fatto che negli ultimi mesi è venuta meno nell’esecutivo qualunque capacità di direzione e di coordinazione, qualunque consapevolezza della quantità e della gravità dei problemi sul tappeto se non al livello della pura emergenza.

Palazzo Chigi ha perduto la pur minima capacità di ascoltare e di rappresentare il Paese. L’Italia è — ed ancor più si sente — una nazione allo sbando. Chi ha la responsabilità di essere stato eletto dal popolo lo capisce? Ha gli occhi per vederlo?

È dunque inconcepibile che in una situazione del genere non si apra nel Pdl una discussione approfondita e senza riguardi per nessuno su quello che sta accadendo. Ripetere, come fanno un po’ tutti i suoi esponenti, che questo sarebbe il momento di «resistere », di «tener duro», di «restare uniti», è un vano esercizio retorico da assedio di Forte Alamo.

Nella sostanza è puro nullismo politico. Per giunta all’insegna dell’ipocrisia, dal momento che è noto a tutti come, tra l’altro, proprio i «resistenti» più esagitati siano assai spesso quelli che, nei capannelli e dietro le quinte, vanno poi dicendo le cose peggiori sul conto del presidente del Consiglio, rivelando e stigmatizzando, quasi con sudicio compiacimento, le sue défaillance di ogni genere.

Non è più il tempo dei camerieri zelanti e bugiardi. È giunto il tempo della verità.

Se vuole avere ancora un qualche futuro politico, se non vuole ripetere in un registro grottesco la tragedia del Partito socialista nel 1992-1993, il Pdl deve dimostrare oggi— oggi o mai più — di volere, e di potere — essere un organismo politico reale.

Fermandosi a considerare la propria storia e affrontando quei nodi che fin qui non ha mai voluto affrontare. C’è bisogno di ricordarli?

Il ruolo, certamente decisivo ma a dir poco ingombrante del suo fondatore e capo, di Berlusconi; il modo di reclutamento e la qualità del suo personale politico, sempre cooptato e quasi sempre improbabile e raccogliticcio, quasi sempre privo di vera esperienza e di legami con l’elettorato (e in più di un caso anche di dubbia o accertata pessima origine); l’assenza patologica al suo interno di discussione e di decisioni collettive; l’ottuso compiacimento plebiscitario, il disprezzo plebeo per la costruzione di qualunque consenso che non sia quello da comizio.

E infine il carattere e lo scopo del proprio programma, del proprio ruolo politico generale. Non si può campare in eterno sull’abolizione dell’Ici o sull’opposizione virulenta alla sinistra e alle procure della Repubblica.

L’Italia ha bisogno di qualcos’altro. Di molto altro. Per tutto ciò è inevitabile dispiacere al Cavaliere? Certamente. Ma il destino di un’ormai lunga e importante avventura politica oggi si decide su questo e solo su questo: sulla verità e sul coraggio di dirla.


L'abuso di potere /4
di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 1 Novembre 2010

È ancora possibile, a volte, distinguere tra ciò che accade e ciò che la politica narra. Detto in altro modo, separare i fatti dalle fabbricazioni spettacolari e pubblicitarie del potere che ci trasformano in passivi consumatori di favole.

Il "caso di Ruby" è una di queste occasioni. Nel calderone si avvistano gli ingredienti primi del sistema (o regime) berlusconiano: l'abuso di potere e la menzogna. Li troviamo in coppia, intrecciati - abuso di potere e menzogna - in tutti i capitoli di questa storia.

Primo capitolo. Berlusconi al telefono. Ruby, da oggi maggiorenne, è una sua giovanissima amica. Frequenta Villa san Martino ad Arcore. Anima le serate del Cavaliere. È esuberante, instabile, incapace di tenersi fuori dai guai. Quando finisce in questura e Ruby lo chiama (o fa chiamare), il presidente del Consiglio è scosso da un'inquietudine che, all'esterno, appare irragionevole.

Se non fosse il premier, i motivi della frenesia sarebbero fatti suoi. Governa e il suo stato d'animo turbato diventa interesse pubblico. A maggior ragione quando, abusando del suo potere, chiama ripetutamente il capo di gabinetto della questura di Milano per esigere che la ragazza sia affidata a "un'incaricata della presidenza del consiglio dei Ministri", Nicole Minetti, invocando con una menzogna la ragion di Stato: quella ragazza è la nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak.

Secondo capitolo. I trucchi in questura. Messa sotto pressione, intimidita, la burocrazia adotta il codice che patisce: abuso di potere e menzogna. È un abuso deformare le prassi consolidate per venire incontro alle pretese del capo del governo. Ruby è un soggetto fragile. È una minore, senza famiglia, senza documenti, senza casa, senza fonti di reddito accertate, imprigionata in un ambiente arrischiato.

Il pubblico ministero chiede che la polizia rintracci una comunità protetta dove possa essere sempre reperibile. Se non c'è posto, non lasci la questura: la ragazza deve essere custodita in sicurezza.

L'arrivo di Nicole Minetti, "incaricata della presidenza del consiglio dei Ministri", non appare una ragione per cambiare idea: una volta identificata, Ruby dovrà andare in comunità. Ecco allora che, per rimuovere l'ostacolo della disposizione del magistrato - che è poi l'ostacolo della legge, è la legalità - burocrati di rango mentono.

Riferiscono al magistrato la menzogna del premier (è la nipote di Mubarak), poi mentono in proprio. Inventano che il magistrato sia d'accordo ad affidare Ruby a Nicole Minetti. È una falsità che scrivono nei loro rapporti interni e nelle relazioni che inviano al capo della polizia e al ministro dell'Interno.

Terzo capitolo. Gli interrogatori di Ghedini. Abuso di potere e menzogna si intravedono anche nell'attività dell'avvocato del premier Niccolò Ghedini. L'entourage di Berlusconi - quello "notturno": Lele Mora, per fare un nome - sa che Ruby è stata più volte interrogata dalla procura di Milano in luglio e ancora in agosto.

Che cosa ha detto? Ci si può fidare di quel che racconta quella scapestrata ragazza a Lele Mora e a sua figlia Diana? E se non dicesse tutto, dopo aver detto troppo o tutto là dentro, in procura?

Il premier, molto agitato, affida a Niccolò Ghedini il contrattacco cautelativo. Una segretaria di Palazzo Chigi convoca le giovani ospiti del premier nello studio legale Vassalli in via Visconti di Modrone a Milano per affrontare la questione delle "serate del presidente".

Quel che Ghedini ha dunque l'incarico di proteggere sono "le serate" di Silvio Berlusconi. Deve raccogliere da quelle giovani donne dichiarazioni giurate che confermino quel che il Cavaliere va dicendo: si rilassa a volte, come è giusto che sia, ma in cerimonie che non hanno nulla di scandaloso o perverso.

Sono "testimonianze" necessarie per evitare al premier altro discredito. La procura di Milano indaga per favoreggiamento della prostituzione Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti.

Berlusconi teme che la prostituzione, ipoteticamente favorita dai suoi tre amici, abbia il teatro proprio a Villa San Martino nelle "serate rilassanti" che il Cavaliere organizza. Non si rintraccia alcun reato per il capo del governo.

Anche nell'ipotesi peggiore, egli sarebbe l'"utilizzatore finale", come direbbe Ghedini. Anche se si scoprisse che le sue ospiti sono minorenni, nessun problema penale: l'utilizzatore non è tenuto a conoscere l'età della sua ospite.

È fuori di dubbio, però, che se si dimostrasse che la villa del capo del governo è stato il palcoscenico della prostituzione predisposta dagli indagati l'onore, la dignità, il decoro del padrone di casa (e utilizzatore finale) riceverebbero una severa mazzata.

Ecco allora la missione di Ghedini. Interrogare le ragazze, raccogliere i loro ricordi e lasciarle dire con buon anticipo dell'innocenza di quelle occasioni. Ghedini può farlo. La sua iniziativa è ineccepibile perché l'art. 391-nonies del codice di procedura penale regola "l'attività investigativa preventiva" del difensore "che ha ricevuto apposito mandato per l'eventualità che si instauri un procedimento penale".

Nell'eventualità che Berlusconi sia indagato, Ghedini già prepara le prove non solo dell'estraneità del Cavaliere, ma dell'insussistenza del "fatto".

Fin qui, la forma è rispettata, ma la sostanza della storia può essere ragionevolmente raccontata alla luce del binomio abuso di potere/menzogna. Occorre un pizzico di senso comune. Decine di ragazzine, ragazze, giovani donne, che hanno partecipato ai "bunga bunga" presidenziali, sono convocate - ora addirittura a Villa San Martino - e trovano Ghedini.

L'avvocato chiede: mi racconta che cosa accade alle serate del presidente? Sono appuntamenti innocenti o peccaminosi? Si fa sesso? Lei ha fatto sesso con il presidente?

Quelle poverette non hanno né arte né parte. Hanno una sola ambizione: fare televisione, apparirvi. Sono addirittura in casa del grande tycoon. Come dire, a un metro dal cielo. Arrivate a quel punto, potrebbero mai dire una parola storta contro o sul conto del presidente del Consiglio?

In questi interrogatori "preventivi", nella figura di chi li ottiene, nel luogo stesso in cui si raccolgono, si può avvertire una violenza, s'avvista un abuso di potere.

È concreto il rischio che possa essere soffocata la libertà morale delle interrogate, la loro libertà di determinarsi "spontaneamente e liberamente". Come è ragionevole credere che i loro racconti potrebbero diventare tasselli della Grande Menzogna che dovrebbe tirar fuori Berlusconi dal pozzo nero in cui ha voluto cacciarsi. Abuso di potere e menzogna, come sempre.


Perchè Berlusconi odia le donne
di Beatrice Borromeo - www.ilfattoquotidiano.it - 29 Ottobre 2010

Direte che Silvio Berlusconi ama le donne. E non serviva che ce lo ripetesse, ancora una volta, lui stesso. Basta andare in un bar qualunque, sentire i discorsi della gente, porre la questione delle abitudini sessuali del presidente del Consiglio per ricevere sempre la stessa risposta: “Almeno gli piacciono le gnocche!”.

E poi: “Beato lui!”. Il must: “Meglio le escort che i transessuali”. Berlusconi è “orgoglioso dei suoi comportamenti”.

A proposito di Ruby, la diciassettenne marocchina che ha fatto rilasciare dalla questura di Milano perché, spiega, ha un grande cuore, il premier dichiara: “Se ogni tanto sento il bisogno di una serata distensiva come terapia mentale per pulire il cervello da tutte le preoccupazioni, nessuno alla mia età mi farà cambiare stile di vita, del quale vado orgoglioso. Sono un ospite unico, direi irripetibile, gioioso e pieno di vita: amo la vita e le donne”.

Sono tre gli scandali sessuali che hanno coinvolto Berlusconi durante l’ultimo anno e che raccontano del suo mondo privato: oltre al caso Ruby, il Casoria-gate e i racconti di Patrizia D’Addario.

Tre donne che lo frequentavano e che al premier piacevano. Io ne ho conosciute due, e ho visto l’effetto che l’”amore” del settantaquattrenne ha avuto su di loro. Partiamo da Noemi: sono andata a Milano alla sua festa di compleanno per cercare di capire, e raccontare, cosa succede a un’adolescente travolta dall’attenzione mediatica di un Paese intero.

Ho visto sulla sua faccia, e sul suo corpo, le conseguenze della frequentazione con il premier. Aveva il volto di plastica, un mini abitino di piume che le stringeva il busto facendo fuoriuscire il seno rifatto, saltava su un tavolo alla ricerca dei flash e baciava in bocca un’amica mentre il vocalist ripeteva “Papi girl”.

Nulla a che vedere con la ragazzina di un anno prima: era la deformazione del prototipo di donna berlusconiana propinato dalle televisioni del presidente. Non c’era nulla di folkloristico alla festa, avevano tutti l’aria più triste che divertita, Noemi per prima. Ed è difficile immaginare un qualunque futuro, ora, per lei.

Poi la D’Addario. Ho intervistato Patrizia qualche mese fa, e mi ha raccontato scene orgiastiche da “bunga bunga” che, a suo dire, caratterizzavano le “serate distensive” del premier. Oggi fa fatica a lavorare, è piuttosto misterioso come faccia a mantenersi.

E’ una donna che ha paura
, che è stata aggredita più volte, e non solo dalla stampa. Ha venduto il residence per cui il padre si era suicidato e ha mandato la figlia in collegio per proteggerla. Anche in questo caso, la storia ha un finale triste e squallido.

Ma è proprio grazie alla D’Addario che sappiamo un po’ di più sui gusti di B.: le vuole tutte giovani, con poco trucco, vestite di nero, omologate, zitte, accondiscendenti. Vuole che cantino con lui e che guardino i filmini che lo celebrano.

Gli piace ballare davanti alle guardie del corpo, mostrando senza inibizioni che lui è “l’imperatore”, come lo definì Veronica Lario quando chiese il divorzio.

C’è un filo rosso che lega tra loro queste ragazze: hanno bisogno di lui.

La D’Addario voleva risolvere le sue questioni edilizie, Noemi desiderava scappare dalla provincia e trasferirsi a Milano in cerca di fama, a Ruby manca persino la cittadinanza.

Sono convinta che fossero tutte ben felici di frequentare il presidente, che lo facessero senza soffrirne. Per loro non era un uomo, ma un’enorme entrata principale per accedere a una vita più facile.

Donne ciniche, che hanno solo il loro corpo e lo usano più che possono, a volte ammiccando e a volte “offrendosi al drago per rincorrere successo, notorietà e crescita economica” (copyright Veronica Lario).

E poco conta che Berlusconi ora dica “in casa mia entrano solo persone perbene, e soprattutto che si comportano perbene”, perché i fatti raccontano un’altra storia.

Tutto questo rende evidente un aspetto: Berlusconi odia le donne. Le teme. Le accetta solo se sono un corpo che non s’interroga, che non lo minaccia né annoia col pensiero, sempre pronto a svolgere un compito basico e chiaro.

John Fitzgerald Kennedy sedusse Marlene Dietrich quando lei aveva 61 anni, alla Casa Bianca. Era un playboy, era curioso. Berlusconi no: non vuole scoprire nulla nelle ragazze che frequenta. Le cerca tutte identiche, le vuole addirittura vestite uguali, con addosso il suo marchio a forma di farfalla.

Non insegue la conquista, non c’è alcuna sfida nel suo rapporto col sesso: per questo vuole l’amante che ha bisogno di lui, che conosce i giochi, con cui non ci sarà mai alcun confronto. Solo uno scambio di concessioni. Sarà pure ossessionato dal sesso, ma amare le donne è un’altra cosa.



Non ci posso credere
di Aldo Giannuli - www.aldogiannuli.it - 31 Ottobre 2010

Quando un amico festante mi ha telefonato per anticiparmi la novella della minorenne marocchina e del Cavaliere, la mia reazione è stata: “Non ci posso credere!”

Insomma: dopo la vicenda Noemi, dopo la separazione con la moglie che gli ha detto in faccia che frequentava minorenni, dopo la storia della D’Addario e dei festini di Villa Certosa, e mentre cerca in tutti i modi di far passare un provvedimento che lo sottragga vita natural durante alla giustizia penale, il Cavaliere si fa beccare per l’ennesima volta con le mani nella marmellata e per di più:

a- con una minorenne
b- immigrata forse irregolare (comunque priva di documenti al momento dell’arresto)
c- alla quale ammette di aver fatto regali per 150.000 euro
d-telefona personalmente (o fa telefonare da altri a nome della Presidenza del Consiglio: è lo stesso) per fare pressioni sulla Questura e farla rilasciare
e- invia a prenderla all’uscita la sua igienista orale personale –che nel frattempo ha fatto eleggere al Consiglio Regionale della Lombardia-
f- ciliegina sulla torta: dice o fa dire, che si tratta della nipote del Presidente Egiziano Mubarak, quindi mettendo le premesse per un incidente diplomatico.

E neanche si può pensare ad una montatura di chissà quale servizio segreto, sia perchè qui ci sono verbali, testimoni, ammissioni dei diretti interessati che non ci sono margini di dubbio, sia perchè le bestialità più stratosferiche le ha fatte lui e nessun servizio segreto del mondo poteva prevedere quella telefonata in Questura e quell’incredibile panzana sulla nipote di Mubarak.

Non c’è al Mondo un servizio segreto capace di prevedere una cosa così e metterla in moto.

E’ un così enorme castello di fesserie, che la spiegazione non può che essere una: quest’uomo è ormai completamente fuori di testa.

E la cosa è così palese che persino l’alleato Bossi ed i suoi fedelissimi cortigiani ne sono terrorizzati e non sanno come uscirne.

Comunque, è uno di quegli episodi che cambiano radicalmente il corso delle cose.

Ad esempio è evidente che la prospettiva delle elezioni anticipate si allontana. Prima di marzo non è possibile votare, nel frattempo è evidente che il PdL sarà in caduta libera di consensi.

E’ evidente che c’è qualche milione di voti che si sposta verso la Lega, Fini, l’Udc e, soprattutto, l’astensione. Per bene che vada, si tratta di 50-80 deputati e 35-70 senatori in meno degli attuali gruppi parlamentari del PdL.

Ovviamente questo è chiaro alla gran parte dei parlamentari berlusconiani che sa di avere una possibilità su due di restare fuori e che, quindi, si stanno attrezzando al salto della quaglia o quantomeno, a cercare di durare per quanto possibile. Pisanu, Biondi, Pizza, Caldoro, Giovanardi stanno già sulla soglia di casa ed hanno già messo sciarpa e cappotto e non è affatto improbabile la formazione di nuovi gruppi parlamentari.

La prospettiva del “governo tecnico” (o “di Garanzia” o “di Tregua” o di “Unità Nazionale” o “di Convergenza ed emergenza” o come diavolo vi pare) fa passi da gigante e diventa la più probabile.

La soluzione più indolore sarebbe quella di convincere il Cavaliere ad accettare in fretta e furia il primo incarico internazionale disponibile (vice governatore della Banca Mondiale con delega ai rapporti con il Buthan, presidente della commissione dell’Onu per la lotta alla zanzara Tigre, primo cameriere di grazia e merito di Sala di Sua Santità…) dopo di che, lo si convince a stabilire la sua sede operativa ad Antigua, attorniato da 700 vergini che cambiano ogni settimana.

Può anche darsi che ci si riesca, ma l’uomo non è facile da convincere. Poco probabile un aperto voto di sfiducia degli altri dirigenti del PdL. La via più probabile resta lo sbriciolamento del partito ed una grande rimescolata di carte.

D’altra parte, è vero che la notizia è solo di qualche giorno fa, ma è possibilissimo che essa fosse risaputa già in anticipo nelle stanze del potere ed, in effetti, nelle ultime settimane si sono manifestati segni di questo tipo: passaggi di amministratori locali dal PdL a Fli (guarda caso, in particolare a Milano, dove è incardinata l’inchiesta sul caso in questione), poi voci di uscita di altre tre deputati, poi ancora la “rimpatriata” fra vecchi socialisti per discutere di che fare, le sortite di Casini sul governo tecnico “possibile già oggi, perchè anche molti del PdL lo voterebbero”, i segnali di panico della Lega, l’improvviso ripensamento del Cavaliere che torna a parlare di elezioni anticipate…

Insomma, in una situazione così è difficile pensare che il Parlamento consenta di arrivare subito alle elezioni, a meno che, il caos non diventi assolutamente ingovernabile ed allora le elezioni finirebbero per imporsi come una sorta di automatismo.

Non siamo al fulmine o allo tsunami che avevo invocato una settimana fa, ma come non pensare al versetto biblico che avverte “Deus dementat quos vult perdere “ (“Dio fa impazzire coloro che vuol perdere”).

Il mio solido ateismo inizia ad esserne scosso. Insomma, magari non scalzi e con il cilicio, ma se il Cavaliere si toglie davanti prima di Natale, una processione di ringraziamento occorrerà organizzarla. Vi pare?


Io rubo, tu Ruby, egli copre
di Marco Travaglio - www.ilfattoquotidiano.it - 31 Ottobre 2010

L’altra sera al Tg La7 lo zio Tibia Sallusti spiegava che la Repubblica del Bunga Bunga vanta illustri precedenti: tutti i grandi della storia, da Napoleone a Mitterrand, da Kennedy a Clinton, amavano le donne. Invano Padellaro tentava di spiegargli che qui le donne c’entrano come i cavoli a merenda.

Ieri Belpietro ripeteva a pappagallo su Libero che “la storia è piena di capi di Stato puttanieri. Il più noto è Kennedy” e poi Mitterrand, Clinton e tutti gli altri: “Se Kennedy fosse ancora vivo, le sue abitudini sessuali indurrebbero Bersani a chiederne le dimissioni?”.

Tutt’intorno, titoli inneggianti all’“elisir di bunga vita” (battutona), a B. che “la sa più bunga dei suoi avversari tetri e bigotti” (ri-battutona), all’“orgoglio etero di Silvio” (mica come i culattoni della sinistra), al suo “stile di vita liberale ma poco borghese” (tipo Einaudi, per dire).

Sotto, la lingua vellutata di Mario Giordano, la vocina del padrone, informava che “la gnocca fa bene, è ufficiale”, “è bastato un po’ di bunga bunga e via: eccolo lì di nuovo in pista, cazzuto e grintoso come da qualche settimana non si vedeva”, e via con una serie di eleganti metafore sul ritrovato vigore del Cavaliere di Hardcore: “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare… Più lo attaccano con la gnocca, più lui si galvanizza”, “in Europa ottiene un risultato storico”, a Napoli “annuncia l’accordo coi sindaci”, senza dimenticare “le parole quantomai equilibrate e misurate sulla giustizia”, ergo “se tanto mi dà tanto, un’altra lenzuolata di D’Avanzo e riprende slancio la riforma dell’Università, un paio di articoli di Travaglio e riusciremo ad accelerare l’avvio del nucleare… la riduzione delle imposte e il quoziente familiare”, “gli insulti a base di gnocca, lungi dal prostrarlo, provocano a B. la stessa reazione delle arachidi a Superpippo: lo riattizzano. Più cercano di tirarlo giù, più lo tirano su. Sia detto senza allusioni, ma a lui il bunga bunga fa quell’effetto lì”.

Il Giornale, sempre spiritoso, ne deduce che “adesso Fini deve dimettersi” e intervista un ascaro di complemento, Antonio Polito. Non bastando i problemi che ha in casa (anche ieri nessun lettore si è precipitato in edicola ad acquistare il Riformatorio), Polito el Drito denuncia il vero scandalo: “La strana e grave fuga di notizie” (come se si potesse nascondere per sei mesi una telefonata del premier alla Questura di Milano per far rilasciare una ragazza fermata per furto senza documenti né fissa dimora).

La vicenda invece è “una storia di cui non si conoscono i contorni precisi” e comunque gli scandali “rafforzano negli italiani la convinzione che il premier è perseguitato” (dev’essere per questo che precipita nei sondaggi).

Parole dure anche nell’editoriale del Pompiere, affidato alle manine esperte dell’estintore capo Massimo Franco, che si spinge a criticare “l’estetica a dir poco discutibile del potere attuale”, poi crolla esausto per l’immane sforzo compiuto.

Manca solo un intervento di monsignor Fisichella che inviti a “contestualizzare” il bunga bunga. Ci dev’essere una centrale operativa, un trust di cervelli che, appena il Caim-ano ne combina una delle sue, compulsano la Treccani a caccia di precedenti storici e sfornano vassoi di alibi prêt-à-porter a beneficio di house organ e ospiti dei talk-show.

L’Ufficio Toppe
lancia la velina e i cani da riporto si precipitano a raccoglierla. Vita grama, la loro. Se ne stanno a colazione con gli amici o in piscina o sul campo da tennis, quando arriva implacabile la convocazione all’Ufficio Toppe: “Ragazzi, l’han beccato mentre apriva l’impermeabile in un giardino d’infanzia con un cetriolo in mano. Prendete nota: pare che Numa Pompilio avesse una particolare inclinazione per le pecore.

Al confronto degli antichi romani, siamo fortunati. Massima diffusione. Il Papa raccomanda di non mercificare il corpo femminile: rammentare al compagno Ratzinger che Alessandro VI era solito giacere con la figlia, quindi pensasse ai fattacci suoi. Dunque Fini deve dimettersi”.


Dimenticati all’Asinara
di Luca Telese - www.ilfattoquotidiano.it - 31 Ottobre 2010

Ci sono quattro offerte per lo stabilimento Vinyls. Ma sull'isola dei Cassintegrati sta arrivando l'inverno e dopo 246 giorni di protesta, gli operai sardi si sentono sempre più abbandonati dal governo

Ci sono quattro buste appena aperte, ma adesso arriva il freddo. Forse non gliene frega nulla a nessuno, in questo paese, perché gli operai della Vinyls di Porto Torres, volontariamente autoreclusi nell’isola dell’Asinara, non praticano il Bunga Bunga, ma casomai lo subiscono, per il gioco delle trattative e delle beffe realizzato sulla loro pelle.

Adesso arriva il freddo, l’inverno, che si abbatte gelido sulle colline brulle dell’Asinara e la protesta dopo 246 giorni di stenti può diventare persino drammatica, ed è appesa al filo di un’asta che si chiude questa settimana.

Oggi si toccano 246 giorni di occupazione delle celle della diramazione carceraria di Formelli. In questa lunga stagione di stenti sull’isola si sono celebrati compleanni di bambini, un primo maggio di musica e di festa, svariate dirette televisive.

Si sono visti succedere, nella terra vista dall’isola – cioè l’Italia – tre presunti ministri dello Sviluppo economico. Tutti sanno che Claudio Scajola si è dimesso travolto dallo scandalo della casa “a sua insaputa”, non tutti ricordano che quella mattina aveva un appuntamento al ministero in cui avrebbe dovuto “risolvere” la vertenza e favorire l’acquisto da parte di una ditta araba, la Ramco, l’unica che fino a quel momento avesse fatto un’offerta di acquisto seria.

Ma quel giorno Scajola non prese mai parte a quell’incontro, l’Eni tenne alto il prezzo delle sue materie prime (che sono il punto decisivo di questa trattativa), la Ramco fece un passo indietro e scomparve.

Poi è stata la volta del ministro ad interim, Silvio Berlusconi. Mesi di limbo in cui nulla è accaduto e nulla è stato fatto. Adesso tocca a Paolo Romani, che non ha ancora ritenuto opportuno fare passi ufficiali su questa vicenda.

La Sardegna è sempre più il luogo simbolo della rabbia: pastori in rivolta, industrie dimesse e poi loro, l’Isola dei Cassintegrati, raggiunti nei giorni scorsi persino da una delegazione che è partita in barca dall’Australia per conoscere la loro esperienza.

Adesso però ci sono quattro buste sul tavolo negoziale: i commissari straordinari che hanno il compito di gestire l’azienda nel periodo di crisi le hanno aperte lunedì scorso.

Quattro offerte che, come in un gioco di scatole cinesi, potrebbero rappresentare altrettanti offerenti. C’è un ditta svizzera dietro cui – come scrive sul sito degli operai della Vinyls Michele Azzu – “potrebbe celarsi la stessa Ramco”.

Delle quattro, questa è l’unica che si propone di acquistare tutti gli impianti, sia quelli di Porto Torres che quelli di Porto Marghera e di Ravenna. Poi c’è una ditta di Varese che vuole acquisire solo quelli di Ravenna e poi c’è una società croata con una pessima fama, la Dioki, che ambisce solo a quelli del Veneto.

In ballo, nei tre stabilimenti ci sono 370 operai. E secondo i sindacalisti che hanno seguito la trattativa persino dietro la società di Varese potrebbe nascondersi un altro protagonista industriale di primo piano, i francesi della “Arkema”.

Non è un retroscena da poco, se fosse vero, perché quest’anno le quotazioni di mercato del Pvc sono salite e le quote di produzione abbandonate dall’Italia sono state coperte da Francia, Spagna e Germania.

Forse questa trattativa nasconde un “Risiko” più complesso di quanto appaia in superficie e una strana forma di “desistenza” industriale che verrebbe meno se la chimica italiana riaprisse i battenti.

Sta di fatto che adesso arriva il freddo gelido dell’inverno sardo, nuvole nere cariche di pioggia si affacciano sul mare. E mantenere l’occupazione della Torre Aragonese (che dura da dieci mesi) e il presidio nell’isola (da otto) può diventare persino rischioso per l’incolumità degli operai.

C’è chi, come Andrea Spanu, si è fatto crescere la barba lunga, chi ogni tanto torna a terra come Tino Tellini. Tra i cassintegrati si sono persino create dinamiche da reality, sono usciti due diversi libri (quello di Tino Tellini e quello di Silvia Sanna) ci sono state lezioni magistrali all’università, litigi e amori.

C’è di nuovo che questa volta l’Eni, per bocca di Leonardo Bellodi, l’amministratore delegato della Syndial (la società del gruppo che segue la trattativa) ha espresso la volontà di “venire incontro al compratore”.

Come? Praticando prezzi di favore sul dicloroetano, materia fondamentale per il ciclo del Pvc sviluppato dalla Vinyls. Pietro Marongiu, il “tiranno dell’isola”, decano degli operai sardi, ripete: “Anche se arrivasse la glaciazione resteremo nell’isola. Qualcuno ha detto che siamo in vacanza e non vede l’ora che ce ne andiamo, ma noi abbiamo una sola certezza: ce ne andremo solo quando la trattativa sarà, in un modo o nell’altro risolta”.

Ci sono quattro buste, arriva il freddo, e altri sette giorni di attesa da passare. Al contrario dei reality televisivi, qui il dramma è vero.


Milano, truffa derivati. La Moratti informata già a inizio 2008
da www.ilfattoquotidiano.it - 29 Ottobre 2010

Lo scoop del Sole 24 Ore: un rapporto riservato dello studio legale Pavia e Ansaldo del febbraio 2008 avvertì il sindaco delle criticità dei contratti. Ieri ilfattoquotidiano.it ha rintracciato la parte fondamentale del documento

Sospettando una truffa ai suoi danni nella sottoscrizione di contratti derivati, il Comune di Milano ha intentato un’azione legale contro le banche responsabili dell’operazione nel gennaio 2009.

Ma le criticità contrattuali al centro dell’esposto, e tuttora oggetto del processo penale a carico degli istituti, erano state rese note al sindaco Letizia Moratti già nel febbraio 2008, ovvero quasi un anno prima.

Lo prova un documento “riservato e confidenziale” redatto dallo studio legale Pavia e Ansaldo (cui il Comune aveva chiesto una consulenza sui derivati) e successivamente consegnato a mano (non direttamente dai consulenti) allo stesso primo cittadino.

Nel testo, mai protocollato tra gli atti comunali, i legali giudicano “non corretta” la valutazione effettuata dalle banche sull’effettiva convenienza dell’operazione ipotizzando per questo possibili “responsabilità sotto il profilo amministrativo e civilistico”.

A rivelare la notizia è stato ieri Il Sole 24 Ore – Lombardia, in un articolo a firma Sara Monaci. Ilfattoquotidiano.it ha indagato sulla vicenda riuscendo successivamente a prendere visione del documento.

Al centro della questione c’è ovviamente la maxi emissione obbligazionaria da 1,68 miliardi realizzata nel 2005 dalla giunta presieduta dall’allora sindaco Gabriele Albertini.

Secondo il Pm Alfredo Robledo, i contratti derivati sottoscritti a copertura dell’operazione, e rinegoziati in seguito proprio dall’amministrazione Moratti sempre con l’obiettivo di garantire un risparmio all’ente pubblico, avrebbero consentito alle banche di guadagnare 100 milioni di euro “spogliando dolosamente” il comune.

Nel marzo del 2010, con l’accusa di truffa aggravata, sono state rinviate a giudizio quattro banche e 13 persone: i dipendenti di Deutsche Bank Tommaso Zibordi e Carlo Arosio, i loro colleghi di Ubs Gaetano Bassolino (figlio dell’ex governatore campano Antonio), Matteo Stassano e Alessandro Foti, gli operatori di JP Morgan Antonia Creanza, Fulvio Molvetti, Francesco Rossi Ferrini e Simone Rondelli, quelli di Depfa Bank Marco Santarcangelo e Francis William Marrone, l’ex direttore generale del Comune milanese Giorgio Porta e il consulente di Palazzo Marino Mauro Mauri. Nel processo, tuttora alle fasi iniziali, gli imputati hanno respinto ogni accusa.

Sotto la lente di Pavia e Ansaldo era finita in primo luogo la presunta correttezza dell’operazione finanziaria condotta dal Comune insieme agli istituti: costituzione di un contratto swap e inglobamento di un derivato già esistente, sottoscritto con Unicredit, che aveva generato perdite per Palazzo Marino.

Secondo i consulenti non sarebbero stati presi in considerazione «né l’effettivo costo delle passività degli swap in essere né l’eventuale costo relativo alla rimodulazione o estinzione delle coperture in essere».

Tradotto: nel rinegoziare i derivati già sottoscritti il Comune avrebbe rischiato di sostenere dei costi ma tale eventualità non era stata presa in considerazione nella valutazione sulla convenienza dell’operazione.

Un giudizio, quest’ultimo, di fondamentale importanza visto che secondo l’accusa le banche avrebbero costruito la loro truffa proprio sull’omissione di informazioni chiave.

A lasciare perplessi i consulenti legali anche la sottoscrizione di un credit default swap a protezione dell’eventuale caduta in disgrazia delle obbligazioni detenute dall’ente. Ma qui, se non altro, si parla di “rischio contenuto”.

Il terzo capitolo del documento è dedicato alla sottoscrizione degli interest rate swaps, i derivati che avrebbero dovuto proteggere il Comune dal rischio di un’impennata dei tassi e dalle conseguenti ricadute negative sullo stato del proprio debito. L’accordo prevede uno scambio periodico di denaro sottoforma di interessi su un capitale predefinito (in questo caso gli 1,68 miliardi dei bond emessi nel 2005).

Ad ogni scadenza le banche versano un tasso fisso del 4,019%, mentre il comune eroga agli istituti un interesse variabile calcolato su quello generale di riferimento, l’Euribor, e che, da contratto, non può in ogni caso essere superiore al 6,19% né inferiore al 3,48%.

Entrambe le parti, dunque sono protette da quelle che per loro sono le rispettive peggiori eventualità (crollo ed impennata dei tassi) ma ad ogni scadenza, inevitabilmente, c’è chi vince e chi perde.

Se il tasso di riferimento scende sotto il 4%, va da sé, il Comune si avvantaggia (perché il rimborso della banca supera le spese), se il variabile eccede il fisso, al contrario, l’istituto ottiene una plusvalenza.

Il problema, rileva però l’analisi di Pavia e Ansaldo, è che il Comune «si avvantaggia modestamente della possibilità che il tasso variabile sia inferiore al tasso fisso dovuto al prestito obbligazionario (poco più di mezzo punto % – ndr), mentre si espone in maniera più rilevante ad un’eventuale oscillazione dei tassi in cui il variabile sia superiore al fisso (Milano si fa carico di un’oscillazione a rialzo fino a 2,14 punti % – ndr)».

Esperti finanziari, rileva il documento, dovrebbero quindi stabilire se il valore della protezione offerta dalle due parti sia effettivamente equivalente. Una condizione fondamentale per la legittimità del contratto e che, si sospetta, in questo caso mancherebbe.

Il famoso gruppo di esperti (composto dai consulenti Nicolino Cavalluzzo, Paolo Chiaia e Cesare Conti) si è formato solo nel luglio 2008. Dal suo lavoro sono emerse le prime valutazioni sulle perdite derivanti dai costi impliciti dell’operazione (80 milioni, oggi la cifra è salita a quota 100).

La denuncia alla magistratura è avvenuta nel gennaio 2009 mentre il processo penale, nel suo genere il primo al mondo, ha preso il via nel maggio 2010. Il nome di Letizia Moratti, insieme a quelli dei suoi predecessori Gabriele Albertini e Gianpiero Borghini (quest’ultimo dirigente dell’Amministrazione milanese), compare nell’elenco dei testimoni che saranno ascoltati in aula dal giudice della quarta sezione penale di Milano Oscar Magi.

Scarica il documento dello studio Pavia e Ansaldo



Via D'Amelio, la mano del Sisde?
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 28 Ottobre 2010

Torna alla ribalta l’inchiesta che mira a far luce una volta per tutte sulla strage di via D’Amelio e tornano i sospetti sul fatto che non sia stata tutta farina del sacco di Cosa Nostra. Nell’ennesimo interrogatorio cui è stato sottoposto, il pentito di mafia Gaspare Spatuzza avrebbe infatti indicato lo 007 Lorenzo Narracci, ex funzionario del Sisde ed attualmente in forza all’Aisi (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), come l’uomo esterno a Cosa Nostra presente nel garage in cui venne imbottita di tritolo la Fiat 126 destinata ad esplodere dinanzi la casa della madre del compianto Borsellino.

Il riconoscimento sarebbe avvenuto in due fasi: una prima in cui il pentito avrebbe individuato Narracci in foto ed una seconda in un confronto all’americana avvenuto all’interno della Dia di Caltanissetta. Nonostante il condizionale sia d'obbligo, il nome di Narracci non è nuovo alla Procura di Caltanissetta.

L'ex funzionario del Sisde, braccio destro di Bruno Contrada (ex dirigente generale di pubblica sicurezza della Polizia di Stato condannato con sentenza definitiva a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa ed allora numero tre del Servizio Civile con delega all'antimafia), fu infatti iscritto nel registro degli indagati all'interno dell'inchiesta sui "mandanti esterni" delle stragi del 1992, inchiesta poi archiviata nel 2002.

Ora però i riflettori tornano su di lui, non solo grazie alle rivelazioni di u' Tignuso - nomignolo mutuato dall'incipiente calvizie del picciotto di Brancaccio - ma anche alle sibilline conferme di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco colluso di Palermo.

A detta del rampollo di don Vito, Narracci avrebbe recato visita al padre in due occasioni: la prima in un hotel di Palermo assieme al misterioso "signor Franco" - l'uomo che Ciancimino jr indica come l'anello di congiunzione tra Stato e Mafia - e la seconda direttamente nell'abitazione dell'ex sindaco.

Sebbene di nuovo indagato a Caltanissetta, Narracci al momento non è colpevole di nulla: il rischio che, 18 anni dopo, la memoria dei testimoni sia confusa è forte e più che fondato. Ma, se il doppio riconoscimento trovasse conferma, sarebbe il tassello mancante di un mosaico di “coincidenze” che lascia senza fiato, confermando di fatto l'esiziale alleanza tra Mafia e Stato.

In quel terribile 19 luglio del 92, l'agente del Sisde Narracci si trovava infatti su una barca, a largo di Palermo, assieme a Contrada, ad un comandante dei carabinieri e a Gianni Valentino, un commerciante di abiti da sposa in contatto con il boss Raffaele Ganci (condannato in via definita all’ergastolo per le stragi del '92).

In uno dei verbali del processo che ha portato alla condanna di Contrada, l'imputato dichiarò che quel giorno, poco dopo pranzo, Valentino ricevette una telefonata dalla figlia in cui lo avvisava che a Palermo c'era stato un attentato.

Contrada aggiunse che immediatamente dopo la notizia, Narracci chiamò l'ufficio palermitano del Sisde per avere ulteriori informazioni ed ebbe conferma che una bomba aveva sventrato via D'Amelio, indirizzo di residenza della madre del giudice Borsellino.

In questa deposizione nulla sembrerebbe pendere a scapito dei due uomini dello Stato, ma le ricostruzioni sui tabulati telefonici elaborate del super consulente Gioacchino Genchi smentiscono clamorosamente le dichiarazioni di Contrada, aggravando sia la sua posizione che quella di Narracci.

Secondo i dati riportati dall'Osservatorio geosismico, il momento esatto della deflagrazione che ha disarticolato Borsellino e i cinque uomini della sua scorta è da fissarsi alle 16, 58 minuti e 20 secondi.

Alle 17 in punto, 100 secondi dopo l’esplosione, Narracci chiama dal suo cellulare il centro Sisde di via Roma. Ma, fra lo scoppio e la chiamata, c’è almeno un’altra telefonata: quella che ha avvertito Gianni Valentino dell’esplosione.

Insomma in poco più di un minuto e mezzo accade praticamente di tutto: esplode la Fiat 126, la figlia di Valentino chiama il padre in barca, il commerciante informa i convitati alla gita in barca, Narracci telefona all'ufficio del Sisde che, per quanto sia domenica, si ritrova ad essere aperto e stranamente gremito di agenti informatissimi sull'accaduto appena accaduto.

Come accennato sopra, il condizionale è d'obbligo ma alcune domande sorgono spontanee: come facevano la figlia di Valentino e gli uomini del Sisde a sapere, a pochi istanti dallo scoppio, di quello che Contrada riferisce come "attentato"? Le prime volanti arrivarono sul luogo della strage solo un quarto d'ora dopo l'esplosione e le prime notizie cominciarono a circolare alle 17.30, esattamente 32 minuti dopo, e parlavano di un generico scoppio in zona Fiera.

A voler pensar male si potrebbe dire che i natanti a largo delle coste palermitane siano stati informati in presa diretta perché direttamente interessati e perché in contatto con chi da Castel Utveggio (ufficio occulto del Sisde, certificato dagli incroci telefonici di Genchi) aveva una visuale privilegiata su via D'Amelio. Se così fosse, l'innocua gita in barca cui partecipò anche lo 007 Narracci, assumerebbe tutta un'altra prospettiva.

Ahinoi, la misteriosa telefonata della figlia di Valentino proveniva da un telefono fisso (in quanto tale non rintracciabile dai tabulati di Genchi) e in questi 18 anni il commerciante di abiti da sposa amico del boss Ganci è passato a miglior vita, impedendo un incidente probatorio che potrebbe spazzar via tutti i se e i ma che Spatuzza e Ciancimino jr. si portano dietro a causa della loro storia personale.

Se le connivenze di Contrada sono state accettate e ratificate da ben due sentenze in appello, per Narracci le accuse sono ancora tutte da verificare. A suo sfavore pende però il giudizio negativo del Copasir ( Comitato per la Sicurezza Interna della Repubblica) che, riunito in seduta lo scorso 13 ottobre, ha interrogato il direttore dell'Aisi, Giorgio Piccirillo, sollecitando la rimozione di Narracci dall'incarico.

Una rimozione sui cui si premeva già precedentemente, quando a inizio luglio il comitato affrontò il caso di fronte al direttore del Dipartimento di Sicurezza Interna, Gianni De Gennaro.

Da Caltanissetta però si richiama alla prudenza. Il procuratore capo Sergio Lari tiene a sottolineare come Spatuzza abbia si riconosciuto Narracci in foto ma abbia anche espresso dubbi sul fatto che fosse la stessa persona “estranea a Cosa Nostra” presente nel garage mentre veniva preparata la Fiat 126 utilizzata per la strage di via D’Amelio.

Secondo Lari, le notizie circolate in serata perciò “non sono esatte” ma, dato il segreto istruttorio, non ha potuto aggiungere altro.

In attesa che il filo di questa pantagruelica matassa si dipani, il dubbio che lo Stato e i suoi occulti colletti bianchi siano implicati in una delle pagine pagine più buie della nostra Repubblica, resta e si rafforza.