mercoledì 3 novembre 2010

Un governo a puttane

Ritorniamo ancora sulle ultime penose vicende di un cosiddetto premier e di uno pseudo-governo ormai definitivamente andati a puttane....


Polvere di stalle
di Giorgio Barbacetto - www.ilfattoquotidiano.it - 2 Novembre 2010

Un'altra Ruby racconta: "Droga a Villa Certosa". L'escort Nadia ha parlato di incontri sessuali a pagamento col premier e con Brunetta

Ora nei festini del presidente del Consiglio fa la sua comparsa anche la droga. Hashish e marijuana che le giovani ragazze invitate da Silvio Berlusconi trovavano sul comodino, nelle camere di villa Certosa in Sardegna e che potevano utilizzare prima dei party.

Questo almeno secondo il racconto di una ragazza, Nadia Macrì, che fa la cubista a Milano e che è stata sentita dai magistrati di Palermo impegnati da tempo in un’indagine su un traffico di droga. Ma c’è altro.

Due incontri sessuali a pagamento, pagati cinquemila euro l’uno. Ora le dichiarazioni della ragazza, videoregistrate, saranno mandate alla Procura di Milano, dove confluiranno nell’inchiesta su Ruby, la ragazza che racconta di aver partecipato ad alcune feste di Berlusconi ad Arcore.

I racconti delle due giovani – la cubista sentita a Palermo e Ruby, che ieri ha compiuto diciott’anni – si confermano in molti punti. Entrambe descrivono le cene, i riti sessuali, i tuffi in piscina. In più, la cubista aggiunge il particolare delle droghe leggere che giravano tra le ragazze.

Un particolare inedito, che contraddice altre dichiarazioni di ragazze presenti alle feste, le quali descrivono invece ai giornalisti un Berlusconi molto attento a non far entrare droghe nelle sue residenze.

Adesso toccherà a Ilda Boccassini, procuratore aggiunto a Milano, gestire insieme al pm Antonio Sangermano anche i materiali investigativi arrivati dalla Sicilia. L’indagine milanese era decollata l’estate scorsa, dopo alcuni mesi di un’inchiesta sottotraccia su un giro di prostituzione d’alto bordo.

Gli investigatori si erano già imbattuti in una certa Karima El Mahroug (il vero nome di Ruby) e stavano cercando di decifrare il ruolo di Lele Mora e di Nicole Minetti, la ballerina di “Colorado Cafè” che si è rapidamente trasformata in igienista dentale del presidente del Consiglio e ancor più rapidamente in consigliera regionale della Lombardia.

Nel luglio 2010, gli investigatori si concentrano su un fatto successo due mesi prima, quando Ruby era stata fermata con un’accusa di furto e portata in questura a Milano. È la ormai famosa notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, quando la ragazza viene affidata – dopo due telefonate di Berlusconi e contro la disposizione del magistrato dei minori – proprio a Nicole Minetti e alla escort brasiliana Michelle, che ospita Ruby nel suo appartamento milanese sui Navigli.

Michelle ha dichiarato al Corriere della sera di essere stata lei ad avvertire Berlusconi del fermo di Ruby, sostenendo di aver avuto da anni in agenda il numero privato del presidente del Consiglio, da usare in caso di “emergenze”.

Poi Ruby, minorenne, è stata più volte sentita dal procuratore aggiunto di Milano Pietro Forno. Intanto, Berlusconi veniva informato in diretta delle mosse della procura di Milano e faceva avviare le contromosse per tentare di disinnescare le indagini.

Il caso ha voluto che dall’altro capo d’Italia, in Sicilia, i magistrati palermitani Teresa Principato, Geri Ferrara e Marcello Viola s’imbattessero in un traffico di droga in cui era coinvolta una trentenne di Parma, Perla Genovesi, attivista di Forza Italia e assistente parlamentare di un senatore Pdl della Lombardia, Enrico Pianetta.

Perla è in contatto con un boss di Cosa nostra della provincia di Trapani, Paolo Messina, considerato uno di coloro che proteggono la latitanza del superboss Matteo Messina Denaro. La donna ha rapporti anche con Vito Faugiana, di Castelvetrano, militante del Nuovo Psi. Messina commercia droga. Faugiana si occupa di gestire la clientela che acquista la coca.

Perla fa il corriere: trasporta droga dalla Spagna all’Italia e la distribuisce in Sicilia, in Emilia-Romagna, in Lombardia. Alle elezioni regionali del 2005, con Vito Faugiana tenta l’avventura politica, presentando il Nuovo Psi in Emilia e finanziando la campagna elettorale con i soldi del traffico di droga. Dalle urne esce un flop, ma Perla diventa assistente del senatore Pianetta.

È in contatto con il deputato Ignazio La Russa, con la coordinatrice Pdl dell’Emilia-Romagna Isabella Bertolini, con Sandro Bondi. Chiama anche villa San Martino, la residenza di Arcore di Silvio Berlusconi.

Nel 2007 cominciano i guai. Viene fermata a un posto di blocco in compagnia di Faugiana e gli agenti le trovano della cocaina in macchina. Evita l’arresto soltanto perché è incinta. Non lo eviterà però tre anni dopo, quando nel luglio 2010 viene condotta in carcere. A questo punto decide di parlare.

E racconta, oltre a quel che sa dei traffici di droga, anche dei festini targati Pdl. Un giro di “banchetti orgiastici” a base di sesso e droga, organizzati da Paolo Messina nelle ville di esponenti del Popolo della libertà nella Sicilia occidentale. Ma accenna anche a feste simili che avvengono al Nord.

Dice di aver presentato Nadia Macrì, sua amica, una cubista ventottenne, a Renato Brunetta, parlamentare Pdl che in seguito diventa ministro della Funzione pubblica. Perla riferisce che la ragazza le ha poi raccontato di essersi inserita nel giro grande, quello delle feste di Berlusconi, di aver partecipato a party notturni nelle sue residenze a Roma, a Milano e in Costa Smeralda. “Sono entrata nel giro delle feste del presidente”, le avrebbe confidato la ragazza.

I racconti di Nadia sono stati resi ai pm palermitani ai primi di ottobre, confermando le dichiarazioni di Genovese. Ma ha anche aggiunto dettagli sulle feste col premier, particolari che combaciano con quelli di Ruby e, in più, ha aggiunto la presenza della droga leggera a disposizione delle ospiti, per prepararsi alla gran serata.

Macrì ha riferito di aver incontrato “due o tre volte” Silvio Berlusconi tra il 2009 e il 2010. In due occasioni avrebbe avuto con lui rapporti sessuali a pagamento, pagati ogni volta con cinque mila euro contenuti in una busta. Gli incontri erotici sono entrambi avvenuti dopo alcune feste a cui avrebbero partecipato decine di persone, “tra politici, avvocati, notai…”.

In questo “giro delle feste del presidente” Macrì ci è entrata dopo avere conosciuto Renato Brunetta nel 2006. Lunedì il ministro della Funzione pubblica, raggiunto al telefono dal Fatto quotidiano, spiegava di aver visto la ragazza una volta sola, durante un convegno a Roma, e di averle fornito consigli legali. “Mi è stata presentata da Perla Genovese e, disperata, mi ha chiesto consigli perché aveva paura che le togliessero il figlio. Le ho suggerito i nomi di alcuni avvocati che potevano aiutarla e poi non ho rivisto più né lei né la Genovese”.

Eppure la ragazza ha lanciato pesanti accuse anche nei confronti di Brunetta. In cambio di rapporti sessuali pagati con 300 euro e alcuni gioielli, il politico la segnalò all’avvocato Carlo Taormina affinché la assistesse nella causa civile.

Taormina però non seguì mai personalmente la causa e per questo Macrì si è detta delusa. In serata il ministro Brunetta ha ribadito di aver incontrato la ragazza in una sola occasione “, priva di qualsiasi altro risvolto, tantomeno volgare o squallido”, aggiungendo che “per i suoi problemi gli indicai l’avvocato Taormina. Non l’ho più rivista nè sentita e non so a quali risultati sia o meno approdata l’assistenza del legale”.

L’escort ha riferito di aver conosciuto Lele Mora in discoteca, e tramite lui sarebbe arrivata a Fede. Ha raccontato di essere andata a trovare il giornalista al Tg4, che poi l’ha introdotta a Berlusconi. La ricostruzione di questi passaggi è sembrata lacunosa ai magistrati.
L’escort ha anche parlato di un secondo tramite col premier, un politico emiliano conosciuto come cliente, “un pezzo grosso” a cui chiese se poteva presentarla al presidente del Consiglio.

Dopo qualche tempo la giovane donna avrebbe ricevuto una telefonata di Berlusconi. Ma c’è anche un ‘public relation‘ milanese, di cui la ragazza non ha fornito dettagli. Ha solo parlato di una persona incontrata per la strada, che l’avrebbe notata e invitata a partecipare alle feste.

Il sospetto dei pm palermitani è che la testimone voglia coprire qualcuno. Ricostruendo i party ai quali avrebbe partecipato, Macrì ha parlato di venti ragazze per volta aggiungendo che si sarebbe consumata “erba”.

La donna si è spinta nelle sue rivelazioni sostenendo che al termine delle feste, Berlusconi si sarebbe appartato con le ragazze, e in qualche caso con più di una per ciascuna sera.

Adesso le dichiarazioni di Perla e quelle ancor più scottanti, di Nadia arriveranno sul tavolo di Ilda Boccassini, ad appesantire i fascicoli che coinvolgono Lele Mora, già in passato descritto come manager con un entourage non privo di relazioni pericolose con ambienti della criminalità organizzata. La diciottenne Ruby, nei primi giorni della sua maggiore età, ne vedrà delle belle.



Caso Ruby, decisive le intercettazioni. E adesso B. le vuole cancellare definitivamente
di Davide Milosa - www.ilfattoquotidiano.it - 2 Novembre 2010

Le telefonate non potranno essere usate come prova mé dall'accusa né dalla difesa. Questo il progetto del Cavaliere per arginare la frana che sta travolgendo il suo governo

Lui proprio non le sopporta. Vorrebbe cancellarle. Il chiodo è fisso da anni ormai. Nessun segreto. In fondo, Silvio Berlusconi vive le intercettazioni come il peggiore dei mali possibili. Oggi più di ieri.

Con il caso Ruby Rubacuori che pesa come un macigno sul su governo. Ma non solo. Anche sulla propria immagine personale ormai al tracollo tra bunga bunga e festini hard conditi con qualche bustina di droga.

E allora, eccolo, ospite all’inaugurazione della fiera milanese sul Ciclo e Motociclo, sciorinare un proposito dopo l’altro. Via libera a brogliacci e tabulati telefonici solo per terrorismo, criminalità organizzata, pedofilia e omicidio. Niente droga, naturalmente. E naturalmente, nisba prostituzione.

Ci mancherebbe. Un caso? Mica tanto. Sono proprio le intercettazioni il piatto forte dell’ultimo pasticcio che dalla Questura rimbalza in procura, dove l’affaire Ruby s’impasta con una corposa inchiesta su un giro di escort.

Inchiesta vecchia maniera, si dice. Che parte da informatori, scende in strada con servizi di appostamento e trova conferma in sala d’ascolto. I telefoni subito scottano. Nessuno pensa a essere intercettato.

E quindi si parla. Si commenta. Una frase dopo l’altra, una battuta dopo l’altra. Il quadro si compone. Gli investigatori annotano. Compilano informative. Inviano carte in procura. Ecco come si forma il reato. Che da giorni suona così: favoreggiamento alla prostituzione.

Sul registro degli indagati ci finiscono Lele Mora, Emilio Fede, e la consigliera regionale Nicole Minetti. Tutti fedelissimi di B. Che ora inizia ad aver paura. Lui, per adesso, resta fuori da ipotesi d’accusa. Ma poco importa. Altre, e forse molto più gravi, sono le sue responsabilità

Imprudenze smascherate proprio dalle intercettazioni. Quegli stessi brogliacci che hanno dato vita alle ultime inchieste su mafia e corruzione in Italia e in Lombardia. E che rimbobamo da tempo sui giornali.

Già, perché, da sempre, si inizia a intercettare non per il reato di associazione mafiosa, ma magari, appunto, per traffico di droga o guarda caso per prostituzione o ancora più banalmente per reati finanziari come fatturazioni false e simili.

Ma il Cavaliere non si ferma. Indossa la maschera più seria che conosce e inzia a menar colpi. Sotto ancora con le intercettazioni. Che, dice B., non potranno essere usate come prova né dall’accusa né dalla difesa.

Allora perché intercettare? Giusto. Ma con una nota a margine. Per il premier le intercettazioni possono valere ma solo se preventive. Arte in cui sono maestri i servizi segreti. Gli stessi che in ultimo devono rendere conto a chi? Ma sì proprio a lui, Silvio Berlusconi.

Controllo totale, dunque. E bavaglio collettivo. All’indice, manco a farlo apposto, i giornalisti. Per i quali, il Cavaliere immagina un fermo da 3 a 30 giorni da parte del loro quotidiano se solo si azzardano a rendere noto ai cittadini il contenuto delle telefonate.

Se fosse così, tutti i pazienti passati per le mani del macellaio Pier Paolo Brega Massone, chirugo della clinica Santa Rita, mai avrebbero saputo il perché di quelle operazioni folli e improvvise, di quei tumori che nascevano senza preavviso, di quei malanni che nonostante la sala operatoria proseguivano.

Nel frattempo lui raccontava: “Io pescavo dappertutto, da Lodi, dove tiravo fuori le mammelle, poi ho cominciato a pescare anche i polmoni… dall’Oltre Po pavese, da Pavia, da Milano”. Parole che incastrano e derubricano il tutto a una condanna per 15 anni. Eppure, il Cavaliere palleggia parole in serenità. Dice e conclude: “I giornali vi imbrogliano”.


“Stupidità”, “abuso di potere”, “casini”. Da Libero e il Giornale rasoiate e ironia su B.
di Simone Ceriotti - www.ilfattoquotidiano.it - 2 Novembre 2010

“Stupidità sconcertante”, “abuso di potere”, “casini autoprocurati e non complotti”. Insomma, “il Cavaliere si dia una calmata”. Firmato Belpietro, Veneziani, Facci, Feltri. L’emorragia di consensi e la solitudine sempre più marcata di Silvio Berlusconi è tutta qui, nelle parole scritte oggi da giornalisti e opinionisti storicamente pronti a difendere il Capo e a contrattaccare con tutte le armi.

Oggi, invece, non è andata così: è tutto un susseguirsi di critiche. E le prime pagine di oggi di Libero e Il Giornale spiegano addirittura meglio delle inchieste giornalistiche e giudiziarie il guaio politico in cui si è cacciato il premier.

Gli schiaffi più forti arrivano da Libero, con Filippo Facci che, nella sua rubrica in prima pagina, non usa giri di parole: “Non si può campare pensando sempre che gli altri sono peggio, che i giudici sono comunisti e che Fini è un traditore: anche se ci fosse del vero in tutto quanto. Non si può passar la vita a difendere il privato di Berlusconi se poi Berlusconi non fa niente per difendere dal suo privato noi”.

L’opinionista di Libero non si limita a prendere le distanze dal premier sull’ormai famosa notte del 27 maggio (“Se di notte il premier non telefona a Obama ma a Nicole Minetti, e se la liberazione di una cubista marocchina è divenuta la missione più rilevante della nostra politica estera, la colpa non è mia”), ma tira in ballo con un’ironia velenosa anche l’assenza di dirigenti di peso nel Pdl: “Se dietro Berlusconi non c’è un partito ma c’è solo lui, oltre a una serie di soldatini imbarazzanti, la colpa forse è addirittura sua”.

Stupisce anche il tono tutt’altro che accomodante con cui il direttore Maurizio Belpietro tenta la difesa d’ufficio del premier, sostenendo la tesi che “il reato di abuso di ufficio non esiste nel codice penale del nostro Paese”, quindi Berlusconi non è perseguibile (“Esisteva fino a qualche anno fa l’abuso d’ufficio”, continua Belpietro, “ma per fare un piacere a Prodi è stato modificato”).

La sostanza politica dell’articolo è, però, ben chiara. E durissima nelle parole scelte: “La stupidità sconcertante – scrive Belpietro – con cui, la sera del 27 maggio, il presidente del Consiglio si è infilato nel pasticcio di Ruby, è una questione che peserà sulla sua immagine e sul suo consenso”.

Non è abbastanza chiaro? Ecco un passaggio ancora più diretto: “Per come la vediamo noi, a differenza delle volte scorse, il Cavaliere è messo male e rischia davvero di lasciarci le penne”.

Se Libero usa parole pesanti, allineandosi nell’analisi ai tanto odiati quotidiani “di sinistra”, il Giornale di via Negri non è da meno. E affronta il problema, pur sempre in chiave difensiva, ma senza risparmiare critiche.

Sotto al titolo “Un’altra escort, che barba”, il foglio diretto da Alessandro Sallusti pubblica un doppio editoriale: “Le mi perplessità sul premier” di Marcello Veneziani e “Le mie perplessità sugli altri” di Vittorio Feltri. Nel primo, l’intelletturale di destra si interroga: “Ma si può far cadere un governo sul bunga bunga?”

La risposta è sostanzialmente no, ma il commento sulla condotta di Berlusconi è comunque durissimo: “E’ brutto che un presidente del Consiglio frequenti una ragazza di 17 anni e che la frequenti magari negli stessi luoghi in cui incontra leader politici e uomini di Stato”.

Non è tutto, perché Veneziani attacca il premier proprio sulle parole usate nell’autodifesa: “Non si può chiamare aiuto umanitario il sostegno a un’escort alle prese con la polizia. Questo è anche un abuso di potere”.

E ancora: “Avremmo voluto un profilo più rigoroso, uno stile di vita più sobrio ed un senso dello Stato, della Nazione e una sensibilità storica e culturale che non vediamo”. Di tutt’altro tenore l’articolo di Vittorio Feltri, che se la prende con i perbenisti e con gli “argomenti da Inquisizione” usati dall’opposizione, ma chiude con un avvertimento: “D’accordo che la sinistra specula. D’accordo che vi è un palese accanimento giudiziario contro di lui, ma il Cavaliere si dia una calmata. Non si può andare avanti così, che barba”.

Ancora più esplicita la chiusura di Feltri: “Berlusconi si persuada: le idee correnti sono pericolose perché vengono dal popolo, e lui è solo al popolo che deve i voti. In politica occorre adattarsi al sentimento comune, anche se non lo si condivide”.

Previsioni catastrofiche per il governo anche da parte de Il Tempo, quotidiano romano che esprime posizioni vicinissime alla maggioranza. Il direttore Mario Sechi sceglie il titolo “Sta per arrivare il botto”.

E traccia una road map in sette punti che parte con “Silvio Berlusconi che sarà indagato alla procura di Milano per la vicenda della telefonata in questura” e, passando per Fli e la Lega che spingono verso la crisi, arriva a Napolitano che apre un giro di consultazioni con tutte le forze politiche. “Ordinate i popcorn e state incollati alla poltrona, nel Palazzo sta per saltare tutto”.


Prova su marciapiede
di Marco Travaglio - www.ilfattoquotidiano.it - 2 Novembre 2010

Il capo del governo chiama la questura, ordina di violare la legge e fornisce le menzogne necessarie per farlo. La questura obbedisce, ma c’è un problema: il magistrato.

Niente paura: si racconta qualche menzogna anche a lui e alla fine gli ordini del capo del governo diventano legge. Anche se la legge dice il contrario. Anche se i poliziotti dovrebbero essere i “tutori della legge”.

È la prova di laboratorio della “riforma della giustizia” berlusconiana, quella sperimentata la sera del 27 maggio sulla linea telefonica tra Palazzo Grazioli e la Questura di Milano.

In ciò che è accaduto quella notte intorno a “Ruby” c’è tutta la democrazia ad personam che B. tenta da 16 anni di trasferire nella Costituzione e, nell’attesa, ha trasformato in prassi consolidata.

In passato non c’era bisogno di tanta fatica: bastava corrompere politici, finanzieri, magistrati, testimoni e il gioco era fatto. Ma che fare se il poliziotto e il magistrato non si fanno comprare o non c’è tempo per corromperli?

Si racconta che Ruby è la nipote di Mubarak (falso; ma, anche se fosse vero, la ragazza non avrebbe diritto ad alcun trattamento particolare), insomma si rischia l’incidente diplomatico con l’Egitto (falso); e che l’igienista dentale-consigliera regionale Nicole Minetti la prenderà con sé (falso, la scaricherà in casa di una escort brasiliana).

Questo però non basta al pm dei minori, che raccomanda di tenere la ragazza in questura fino all’avvenuta identificazione o, in alternativa, di affidarla a una comunità protetta: allora si racconta al magistrato che è stata identificata (falso) e che non c’è posto in nessuna comunità protetta (falso, ce n’erano ben quattro disponibili, ma nessuna è stata chiamata, così come non è stato interpellato l’apposito ufficio comunale).

Ce ne sarebbe abbastanza per far saltare il questore e il capo di gabinetto, ma il ministro Maroni ripete a pappagallo che “è stata seguita la normale procedura” (falso) ed è “tutto regolare” (falso).

Per coprire le menzogne del premier e della questura
, deve mentire pure il ministro dell’Interno, subito coperto dal suo leader Bossi, che è pure ministro (Riforme istituzionali) e se ne esce con un incredibile: “Berlusconi non doveva telefonare in questura: doveva chiamare Maroni o me”.

Sintesi spettacolare della concezione proprietaria della democrazia che accomuna il governo della “sicurezza” e della “tolleranza zero” contro l’immigrazione e la criminalità: caro Silvio, se devi salvare un’amica minorenne fermata per furto dalle grinfie di polizia e magistratura (che notoriamente accolgono le minorenni fermate per furto col rituale del bunga bunga), non sporcarti le mani, ci pensiamo io e Maroni che a Milano facciamo il bello e il cattivo tempo. Una pennellata di federalismo sulla Casta del privilegio: la devolution dell’impunità.

Chi ancora sobbalza o inorridisce dinanzi a simili spettacoli conservi un po’ di sdegno per il futuro. Ciò che è avvenuto in quella calda notte di fine maggio è quanto ci riserva il futuro se chi può – Napolitano o Fini o tutti e due (tralasciamo volutamente Schifani, la carica dello Stato rimasta, perché ci vien da ridere) – non si affretta a liberarci dal nano. E se dunque la controriforma della giustizia entrerà nella Costituzione.

Secondo il progetto Alfano (cioè Berlusconi), il pm non potrà più disporre della polizia giudiziaria, che risponderà in esclusiva al governo; le procure dovranno attendere pazientemente che gli agenti portino sul loro tavolo questa o quella notizia di reato, opportunamente filtrata dal governo stesso, si capisce; ogni anno sarà il Guardasigilli, cioè il governo, a indicare le “priorità” dei reati da perseguire (quelli dei nemici del governo) e da tralasciare (quelli dei membri e degli amici del governo).

Dunque, non capiterà più che un poliziotto zelante segnali alla Procura di Milano quel che è avvenuto quella notte in Questura. Vi piace il presepe? È il futuro che ci riserva questo governo. Il caso Ruby ne è la prova su strada. Anzi, su marciapiede.


Una repubblica da peep-show
di Andrea Pomella - www.ilfattoquotidiano.it - 2 Novembre 2010

Succede come in un’orgia per iniziati. A un certo punto della notte gli ospiti, senza darlo a vedere, si accostano alle uscite, nascondono le mani sporche di peccato, indossano frettolosamente i lunghi cappotti sui corpi ancora nudi, si lanciano occhiate d’intesa. Qualcuno ha avuto la soffiata: la polizia sta per arrivare.

Eppure, apparentemente, tutto continua come se niente fosse, il padrone di casa, accecato della lussuria, corre di stanza in stanza, di copula in copula, il suo desiderio sfrenato ormai gli impedisce ogni idea razionale.

Ma la casa comincia a svuotarsi, qualcuno si addolcisce la bocca con un cioccolatino prima di eclissarsi nella notte, perfino i camerieri si tengono pronti a sfilarsi la divisa, a mollare sul primo tavolo i vassoi ricolmi di bicchieri e di bottiglie di champagne, a rinunciare alla paga della sera pur di non avere grane.

È più o meno questa l’aria che si respira in casa Pdl, adesso che anche i giornali del padrone, i suoi inservienti, i suoi garzoni, i suoi lacchè mandano segnali di insofferenza, rompono il muro di cemento che ha difeso il forte da ogni attacco.

Non so ancora se siamo di fronte all’ultimo atto di una commedia tragica (o di una tragedia comica, fate voi), quella che negli ultimi vent’anni ha polverizzato ogni residuo di serietà in questo paese.

So che, presto o tardi che sia, ci troveremo a dover fronteggiare lo spettacolo desolante delle macerie, il lezzo degli avanzi, la casa in cui gli ori della menzogna al crepuscolo rilucevano come in un sogno, e che invece, con la luce sinistra del sole mattutino, dopo l’orgia, dopo la verità, apparirà in tutta la sua miseria e in tutto il suo squallore.

È il sesso, ancora una volta, il punto di caduta del cavaliere. E stavolta non per una banale questione di reati contro la moralità pubblica e il buon costume, ma perché la mercificazione dei corpi attuata dal potere, dal suo potere – prima quello mediatico poi quello simbolico del super-uomo di razza italica – attraverso decenni di contraffazione culturale, ha trasformato il sesso in un’illecita presa di distanza dall’umanità, e l’Italia intera in quel luogo di confine dove si può consumare sesso voyeuristico a basso costo, in parole povere in una repubblica da peep-show.

Lo aveva capito Pasolini (di cui proprio in questi giorni ricorrono i trentacinque anni dalla morte) che nella sua opera più controversa, Salò o le 120 giornate di Sodoma, fa pronunciare al Duca una frase che non stonerebbe in bocca all’inquilino di Palazzo Grazioli mentre passa in rassegna le sue reginette di bellezza: Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità. Nessuno sulla Terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo voi siete già morte!”.

Niente di più terribile, niente di più vero.


La fine di B., lo stracotto

di Giulietto Chiesa - Megachip - 2 Novembre 2010

Silvio Berlusconi è finito. Lo si capisce ormai da molti segnali, tutti infausti per lui.

L'ultima faccenduola, di Ruby, la minorenne, ha fatto tracimare il vaso. Famiglia Cristiana ha lanciato uno sferzante anatema. Cioè il mondo cattolico di base (anche se non ancora le gerarchie) lo ha scaricato.

La signora Marcegaglia ha chiesto il ritorno alla "dignità delle istituzioni". Il che significa che anche il sindacato dei padroni ne ha piene le scatole di questa situazione incresciosa.

Gianfranco Fini si è lasciato scappare addirittura la parola "ostruzionismo". E se un presidente di una Camera diventa sostenitore del filibustering vuol dire che il "dolo" (pardon il "lodo") proprio non glielo regalerà.

Perfino Galli della Loggia scrive parole di fuoco sul Corriere della Sera contro Berlusconi in persona

Sappiamo già che Washington non lo ama e non l'ha mai amato, salvo che ai tempi di Bush Junior. Dell'Europa non ne parliamo. Gli restano solo Putin e Bossi, ma non gli basteranno.

Dunque, Berlusconi è stracotto. Può solo bruciare, appunto come lo stracotto rimasto troppo a lungo nel forno. Tuttavia non si dimetterà. Quindi produrrà ancora guai, nel senso di un degrado istituzionale, fino allo sfascio. E forse peggio, in modi che sarà difficile prevedere, comunque pericolosi per la democrazia, oltre che per la decenza.

Il problema è il dopo. Che non lascia sperare quasi nulla di buono. Perchè la macelleria sociale, che Berlusconi non ha voluto portare a fondo (per demagogia, e incapacità, ma anche perchè il consenso popolare è già franato), sarà compito dei successori.

E chi sono i successori? Quello che si delinea "dopo", voto anticipato o non anticipato, è un governo centrista, imperniato su Gianfranco Fini, con la partecipazione del PD di Bersani e dell'UDC di Casini. Bella compagnia non c'è che dire.

L'unica cosa decente è che si tornerà alla decenza (in senso stretto) e al rispetto delle regole formali della vita democratica.

il resto sarà, in politica interna ed economico-sociale, l'indecenza della ripetizione ossessiva del mantra della "crescita" del PIL, delle ricette marchiate Marchionne.

E, in politica estera, la fedeltà alla Nato, e la prosecuzione della guerra in Afghanistan. Cioè la totale subalternità alle scelte di Washington.


P.S. Con questa frase sui gay, Berlusconi ha già mandato il primo messaggio ai suoi elettori...