Per ovvi motivi...
Il senso della crisi greca
di Pascal Franchet* - www.mondialisation.ca - 26 Marzo 2010Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Carlo Pappalardo
In queste ultime settimane si sono dette molte cose sulla crisi greca, dalle più disgustose [1] alle più confuse. Il risultato è una serie di argomenti buoni per ogni occasione. I media si sono fatti eco della versione ufficiale, riassumibile in cinque punti:
1) la Grecia ha imbrogliato per nascondere un debito pubblico "insostenibile",
2) come altri paesi della zona euro, la Grecia sta per sospendere i pagamenti,
3) l'Unione europea si rende conto della situazione, ma non può fare altro che incoraggiare il ricorso a misure rigorose e chiedere che il paese venga messo sotto tutela,
4) la Grecia deve adottare misure d'austerità che le permettano di ridurre il debito pubblico,
5) per i paesi sviluppati, uscire dalla crisi significa adottare piani d'austerità comuni.
È opportuno decodificare il messaggio, destinato in effetti a tutti i paesi nordeuropei
1) la Grecia ha imbrogliato per nascondere un debito pubblico "insostenibile"
È vero, ed è una prova che lo Stato è pervaso dalla corruzione e dall'abitudine ai piccoli arrangiamenti tra amici. Sembra accertato che, grazie a complessi meccanismi finanziari (swap e cambi) e a un prestito mascherato, la banca statunitense Goldman Sachs abbia permesso al governo greco di ridurre fittiziamente di oltre 2 miliardi di euro il proprio debito pubblico [2] e di entrare così nella zona euro.
Ed è chiaro che i governi al potere dopo il 2001 hanno chiuso gli occhi su questa falsificazione dei conti. Ma la Grecia non è sola, e altri paesi della zona euro hanno spregiudicatamente manipolato i conti.
Nel 1996 l'Italia ha ridotto artificialmente il suo deficit grazie a swap con la banca J.P.Morgan, e in seguito Berlusconi ha ceduto a una società finanziari i diritti di entrata ai musei nazionali in cambio di 10 miliardi di euro, rimborsando 1,5 miliardi all'anno per 10 anni. Dal suo canto, nel 2000 la Francia ha lanciato vari prestiti, inserendo in bilancio il rimborso degl'interessi alla fine dei 14 anni di durata.
Nel 2004, Goldman Sachs e Deutsche Bank hanno realizzato per conto della Germania un montaggio finanziario (Aries Vermoegensverwaltungs), grazie al quale il paese ha raccolto prestiti a un tasso nettamente superiore a quelli di mercato evitando di far apparire il debito nei conti pubblici [3].
Relativizzare il "pozzo senza fine" della Grecia
La Grecia avrebbe in effetti un deficit del 12,7% e non del 6%, come aveva annunciato il precedente governo, e un debito pubblico pari al 115%. Se facciamo il confronto con altri paesi non è il caso di strapparsi i capelli.
Nel 1993 il costo del debito rappresentava il 14% del PIL, oggigiorno solo il 6%! I conti dello stato greco sono ben lungi dall'equilibrio, ma sono meno degradati rispetto ad altri paesi nordeuropei. (Tabella 1 )
Commissione europea, Eurostat e agenzie di rating non possono dare lezioni alla Grecia!
Già nel 2001 la Commissione europea non poteva ignorare la scarsa affidabilità dei conti presentati dalla Grecia; sarebbe bastato gettare uno sguardo ai conti delle amministrazioni centrali del paese per conoscere con buona approssimazione il deficit permanente dello stato, osservare il moltiplicarsi degli acquisti di armi e il costo dei Giochi olimpici 2004 e confrontarne il costo alle disponibilità di bilancio e alle riserve della banca centrale greca per capire che il debito ufficiale (manipolato per poter entrare nella zona euro) non era certo quello dichiarato.
La Commissione non poteva ignorare la situazione reale, ma in effetti non voleva denunciarla; per motivi politici e geostrategici aveva bisogno d'integrare il paese nella zona euro.
Nel 2001, i più accesi sostenitori della Grecia sono stati la Francia (secondo fornitore di armi in ordine d'importanza) e la Germania; le banche dei due paesi possiedono oggi l'80% del debito ellenico.
Nemmeno Eurostat ha il diritto di dare lezioni!
Secondo Bloomberg, Eurostat era perfettamente al corrente dell'operazione. In nome di regole contabili molto "comode, l'istituto statistico dell'UE non tiene conto nel calcolo del debito pubblico i miliardi di euro offerti alle banche senza garanzie, nel quadro dei piani di salvataggio (decisione SEC del giugno 2009), e le sottoscrizioni lanciate dagli stati ("grandi prestiti" francesi, prestiti greci e portoghesi).
Ma i contribuenti (quelli che non possono profittare delle riduzioni fiscali accordate alle classi ricche) saranno obbligati a coprire, in un modo o nell'altro, le somme erogate.
Fino a che punto fidarsi delle agenzie di rating?
C'è poco da fidarsi di istituzioni che davano il massimo punteggio a Lehman Brothers tre giorni prima che fallisse e una triplice A ai subprime! Eppure queste agenzie "cosi preveggenti" fanno il bello e il cattivo tempo nei mercati finanziari, anche in quelli non regolamentati (gli OTC, Over The Counter: ad esempio i mercati dei CDS, i Credits Default Swaps) e sono strettamente legate alle banche anglosassoni (in particolare Goldman Sachs e Citibank).
Le agenzie non usano sfere di cristallo ma dati forniti da chi emette il prestito analizzato o da chi lo distribuisce sui mercati. Nel caso di cui ci occupiamo, hanno abbassato la notazione dei prestiti dello stato greco solo dopo che il nuovo governo aveva loro fornito dati aggiornati.
2) Come altri paesi della zona euro, la Grecia sta per sospendere i pagamenti
Il messaggio ha soprattutto uno scopo: far aumentare i tassi d'interesse (premio di rischio), e dunque i profitti, dei prestatori (tra cui Goldman Sachs e gli hedge fund). Il prestito greco è stato così negoziato a 6,40%, il doppio di quello che un prestatore avrebbe potuto sperare.
E si noti che al momento dell'asta le richieste sono state il triplo di quanto previsto inizialmente [4] . Una bella smentita per un paese considerato "sul punto di sospendere i pagamenti".
L'ideologia dominante tende a confrontare la situazione del bilancio statale con quello di una famiglia o di un'azienda, il che non ha alcun senso. uno stato, a differenza di una famiglia o di un'azienda, può sempre aumentare le entrate grazie a nuove tasse.
Si tratta di una differenza fondamentale che rende assurdo un paragone del genere. Lo stato americano esiste da 221 anni, e sta aumentando il suo debito dal 1837, cioè da 173 anni di seguito [5].
Il secondo obiettivo del ragionamento è quello di preparare l'opinione pubblica ad accettare una cura a base di regressione sociale e austerità. Il governo ellenico ha efficaci strumenti per procedere a una radicale riforma della fiscalità, abolire i regali fiscali e sociali fatti alle classi ricche e alle società, imporre tasse sui capitali e i redditi; in poche parole, per aumentare le sue entrate e ripianare il deficit di bilancio.
Si tratta di una scelta squisitamente politica che il PASOK (il partito socialista locale) preferisce non fare perché è fondamentalmente d'accordo con i principi del neoliberalismo: il mondo greco è e deve restare un'economia di mercato neoliberale!
Le politiche pubbliche adottate da oramai molti anni dai successivi governi ellenici hanno aumentato il deficit pubblico e la massa del debito pubblico. L'ingresso nella zona euro (2001) non ha fatto che ampliare il fenomeno (cfr. tabelle 2, 3 e 4 ).
3) L'Unione europea si rende conto della situazione, ma non può fare altro che incoraggiare il ricorso a misure rigorose e chiedere che il paese venga messo sotto tutela
La Banca centrale europea (BCE) non ha il diritto di concedere prestiti agli Stati membri!
Nel 2008/2009, la Banca centrale europea ha concesso prestiti massicci alle banche private per salvarle dal fallimento, ma non è autorizzata a intervenire a favore dei poteri pubblici degli Stati membri. È il colmo!
L'articolo 123 del Trattato di Lisbona interdice alla BCE e alle banche centrali degli Stati membri la concessione "di scoperti di conto o di altre facilitazioni creditizie a ...amministrazioni statali, altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri così come l'acquisto diretto di titoli di debito... ".
Dunque, nessuna acquisizione "diretta" (non aiuti di stato) , ma prestiti preferenziali alle banche, che concedono in garanzia... titoli obbligazionari degli Stati (tra cui la Grecia).
Che bel meccanismo ipocrita, quello previsto dal Trattato di Lisbona!
Nemmeno la Banca europea per gl'investimenti, il cui comportamento immorale verso i paesi in via di sviluppo è ben noto [6], può finanziare il deficit greco. In teoria è così, ma in realtà finanzia investimenti molto discutibili che approfondiscono il deficit e aumentano il debito pubblico, come ad esempio i Giochi olimpici 2004, il cui costo totale è ancora ignoto (lo si stima tra i 20 e i 30 miliardi di euro).
4) La Grecia deve adottare misure d'austerità che le permettano di ridurre il debito pubblico
Ecco dove vogliono arrivare i responsabili del capitalismo economico e finanziario! Prendendo come scusa un debito pubblico considerato "insostenibile", il governo impone alla popolazione, in nome del risanamento finanziario, una cura di austerità senza precedenti: niente misure di rilancio, congelamento dei salari dei funzionari nel 2010, riduzione del 10% dei premi e del 30% delle ore supplementari nella funzione pubblica, del 10% delle spese pubbliche (tra l'altro 100 milioni di euro per l'insegnamento), riduzione delle spese sanitarie, prolungamento di 2 anni dell'età di pensionamento che arriva così a 63 anni), blocco delle assunzioni, riduzione dei CTD nella funzione pubblica, aumento delle tasse sui carburanti, il tabacco e i gsm, aumento di 2 punti dell'IVA...
E l'UE chiede di più, ed esige riforme strutturali che toccano l'insieme delle amministrazioni, la liberalizzazione del mercato interno, la flessibilità lavorativa, la riforma radicale delle pensioni e del sistema sanitario...
Per dirla tutta, secondo le previsioni della Deutsche Bank il popolo greco deve attendersi a beve termine un tasso di disoccupazione di almeno il 15% e una riduzione del PIL del 7,5%.
Eppure esistono alternative di bilancio interne!
Il risparmio che si spera di ottenere con il piano d'austerità ammonta a circa 5 miliardi di euro. Ma esistono varie alternative! Ad esempio, con 9.642 miliardi di dollari (nel 2006) [7] la percentuale del PIL destinata alle spese militari è la più alta tra i paesi dell'UE.
Nel 2008 il paese era al primo posto in Europa, con il 2,8% del PIL destinato all'acquisto di armi (e la cifra non include tutte le spese militari [8]); si tratta di un peso considerevole per il bilancio statale che va ad esclusivo vantaggio delle industrie belliche statunitensi ed europee.
Inoltre la flotta commerciale greca, al primo posto al mondo con oltre 4000 navi, sottrae ogni anno allo stato circa 6 miliardi d'euro in IVA, grazie a una serie di vantaggiosi meccanismi finanziari.
La maggioranza delle grandi società ha trasferito gli attivi in società off-shore cipriote (dove il tasso d'imposizione fiscale è del 10%). La chiesa greco ortodossa è esentata dal pagamento delle imposte, anche se è tra i maggiori proprietari immobiliari del paese.
Le banche hanno ricevuto 28 miliardi di euro di fondi pubblici nel quadro del piano di salvataggio, senza alcuna contropartita, e adesso speculano impunemente contro il debito pubblico.
Esistono dunque i mezzi per agire in modo diverso, mezzi che richiederebbero una riforma totale del sistema fiscale; il governo PASOK, al servizio dei capitalisti, ha però scelto di lasciare le cose come sono e far pagare ai poveri per restare nella zona euro, peraltro fonte di deregolamentazione e perdita di sovranità nazionale, in nome della "concorrenza libera e non falsata".
5) Per i paesi sviluppati, uscire dalla crisi significa adottare piani d'austerità comuni.
In tutti i paesi sviluppati governo e media ripetono lo stesso messaggio: in Portogallo, dove il governo ha lanciato un vasto programma di privatizzazione dei servizi pubblici, in Spagna, invischiata nella crisi immobiliare e con un tasso di disoccupazione che sfiora il 20%, in Irlanda, il cui deficit di bilancio si avvicina a quello greco, in Italia, che un debito pubblico pari al 127% del PIL vanta il primato in Europa, o ancora nel Regno Unito, il cui deficit supera oramai il 14,5%.
E anche gli altri paesi devono aspettarsi di subire la stessa sorte. I progetti di riforma dei regimi pensionistici, dei sistemi sanitari e dei regimi di protezione sociale sono già all'opera un poco dappertutto.
Una cosa è sicura: i fondi pubblici, che le grandi banche hanno ottenuto a tassi esigui dalla Banca centrale europea, non andranno alle famiglie o alle imprese; nel 2009, i crediti sono crollati dappertutto in Europa.
I soldi vanno e continueranno ad andare alla speculazione del "rischio sovrano", il debito pubblico. Oggi la Grecia; domani il Portogallo, la Spagna, l'Italia, l'Irlanda; dopodomani il Belgio e la Francia... La zona euro è a pezzi e mostra il suo vero volto: un sistema costruito per le economie più ricche a spesa di quelle più povere.
Conclusioni provvisorie e sei proposte
L’Unione europea ha fallito sul piano politico: con una moneta comune ma una concorrenza fiscale e sociale tra gli Stati membri, con un mercato comune senza meccanismi di trasferimento delle risorse dai ricchi verso i poveri, con un dogma neoliberalista che schiaccia i popoli, è incapace di dare una risposta alla crisi che imperversa.
La gente comincia invece a organizzare una risposta e si mobilita. I due massicci scioperi generali e ravvicinati in Grecia, le manifestazioni oceaniche nella maggior parte delle grandi città, il rifiuto (al 93%) degl'irlandesi di pagare i debiti privati previsti dalla legge Icesave [9], le impressionanti manifestazioni in Portogallo, e quelle del 23 marzo in Francia che marcano l'inizio di un 3° giro sociale: l'opposizione alza la testa in Europa e diffonde il rifiuto dei salariati, dei pensionati e dei poveri di pagare il conto della crisi.
Quel che manca, oltre al superamento della compartimentazione delle manifestazioni, è una proposta che leghi la risposta sociale e quelle politica. I movimenti sociali hanno bisogno di proporre elementi di programma alternativi per rispondere alla crisi del sistema, difendendo e allargando i diritti collettivi contro la logica della valorizzazione del capitale.
Il punto centrale sottolineato da queste "crisi-pretesto" sul debito pubblico al Nord concerne una diversa ripartizione delle ricchezze, e a tal fine bisogno agire su due fronti: aumentare i salari con prelievi sui dividendi e operare una riforma fiscale di grande portata.
Un aumento dei salari ridurrebbe l'indebitamento delle famiglie e aprirebbe nuovi sbocchi alla produzione di beni e servizi.
Bisogna anche ridurre radicalmente i tempi di lavoro a parità di salario, e procedere a reclutamenti supplementari. In tal modo si rimedierebbe al problema della disoccupazione, a quello del finanziamento dell'assistenza sociale e alla scarsità di attività ludiche per chi lavora.
Una riforma fiscale armonizzata a livello europeo permetterebbe di annullare i numerosi rifugi fiscali, ristabilire una fiscalità progressiva per tutti i redditi (imposte sui redditi e sulle società), di ridurre o sopprimere le imposte indirette, che colpiscono soprattutto i più poveri (IVA e tasse sui prodotti petroliferi), di creare un'imposta eccezionale sui redditi finanziari e sui patrimoni dei creditori, senza dimenticare la tassazione degli altri redditi da capitale e immobiliari.
Una politica di bilancio sana dovrebbe anche annullare le numerose esenzioni al pagamento degli oneri sociali concesse alle aziende e aumentare i contributi dei datori di lavoro, garantendo in questo modo lo sviluppo della protezione sociale per tutti e un corretto livello delle pensioni.
Per finire, il sistema finanziario ha ben dimostrato la sua nocività sociale. Bisogna espropriare le banche e gli altri organismi finanziari, trasferirli nell'area pubblica e farle controllare dai cittadini, procedendo anche a un audit del debito pubblico per valutarne la legittimità (cosa è stato finanziato?).
Cominciamo un dibattito sulle proposte per stabilire una lista di rivendicazioni.
*Pascal Franchet - vicepresidente del CADTM (Francia)
Note:
[1] Buone parole cariche di razzismo, come il titolo di Le Monde del 6 febbraio 2010: "La cattiva Grecia" mette l'euro sotto tensione o l'acronimo, inventato da The Economist, PIGS (maiali, in inglese) per riferirsi a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. [2] "Con la complicità di Godman Sachs, ha abbellito la presentazione dei conti, ed è questo che le si rimprovera. Eppure si tratta di una manovra marginale. Le transazioni del 2001 incriminate avrebbero ridotto il debito greco di 2.367 miliardi di euro, facendolo passare da 105,3% al 103,7% del PIL" http://www.irefeurope.org/content/le-masque-grec [3] http://www.lexpansion.com/Services/imprimer.asp?idc=226849&pg=0 [4] Comunicato dell'AFP del 4 marzo 2010 [5] "Smettiamolo di paragonare il bilancio del governo con quello delle famiglie", di Randall Wray, http://contreinfo.info/article.php3?id_article=2976 [6] Sul sito Amici della terra: http://www.amisdelaterre.org/-Banque-europeenne-d-investissement.html [7] Spese militari globali: www.julg7.com [8] Fonte NATO: http://www.nato.int/docu/pr/2009/p09-009.pdf [9] Cfr. Olivier Bonfond, Jérôme Duval, Damien Millet « Ouf ! les Islandais ont dit massivement ‘non’ » http://www.cadtm.org/Ouf-les-Islandais-ont-dit |
La Grecia potrebbe essere buttata fuori dall'Unione Europea?
Annie Lowrey - www.foreignpolicy.com - 23 Marzo 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Sophie Bloom
Sventurata Grecia. Quest’anno dovrà raccogliere 67 miliardi di dollari per ripagare i creditori e poi dovrà pure gestire una disastrosa montagna di debito pubblico e governativo. Il Paese ellenico affronta la bancarotta e l’Unione Europea, guidata da Francia e Germania, ha cominciato a negoziare un piano di salvataggio.
Ma certe proteste dei greci contro le misure di austerity hanno fatto sì che alcuni giornalisti proponessero soluzioni più creative, come una “euro-holiday” durante la quale la Grecia svaluterebbe la sua moneta e, di conseguenza, stimolerebbe le sue esportazioni; un’uscita dall’Unione Europea economica e monetaria; o una ancora più inverosimile espulsione dall’Unione Europea. Ma l’Europa può davvero buttare fuori la Grecia?
In una parola: no. I trattati comunitari non offrono alcun meccanismo per espellere uno Stato membro. Infatti, le norme dell’Ue sono, nella loro essenza, integrative e uniformanti, “concilianti” piuttosto che “punitive”. Perciò esse non offrono, letteralmente, nessuna opzione per espellere un Paese, a prescindere da quanto lo desiderino altri Stati membri.
Anche se la Grecia invadesse la Francia – e ci vorrebbe un evento del genere perché Bruxelles contemplasse la possibilità dell’espulsione – , la Commissione Europea, l’organismo composto da ministri che promuove nuove misure comunitarie, dovrebbe elaborare una nuova legislazione per consentirla.
Detto questo, la Grecia potrebbe scegliere di ritirarsi dall’Unione Europea. Prima della ratifica del Trattato di Lisbona, che è entrato in vigore il 1 dicembre 2009, non c’era nessun chiaro percorso per l’uscita di uno Stato membro.
Ma la revisione dell’ articolo 50 , o “clausola di ritiro volontario”, stabilisce che, per lasciare l’Ue, la Grecia dovrebbe informare il Consiglio Europeo che ha intenzione di ritirarsi, spiegando perché essa non è più in grado di rispettare i suoi obblighi, ottenere l’approvazione di una maggioranza qualificata dei membri del Consiglio Europeo e negoziare l’accordo di ritiro con il consenso del Parlamento Europeo.
Il processo sembra lineare, ma con tutta probabilità sarebbe tutt’altro che semplice. Poniamo che la Grecia scelga di procedere all’uscita per riassumere il controllo della sua politica monetaria e facilitare la crisi finanziaria.
Gli altri Stati membri, per esempio la Germania, obbietterebbero sicuramente con diverse ragioni e si rivolgerebbero alle corti europee per risolvere le loro preoccupazioni (tra le quali spiccherebbe l’impatto dell’uscita della Grecia sulla stabilità dell’euro). Risolvere tali dispute costerebbe milioni di dollari in spese legali e mesi, se non anni. Inoltre non è chiaro che cosa accadrebbe se la maggioranza dei Paesi rifiutasse la richiesta di uscita della Grecia.
Per quanto riguarda la proposta dell’“euro-holiday” o dell’uscita dall’Unione Europea Economica e Monetaria, ovvero dall’area dell’euro, non esiste un modo per la Grecia di sbarazzarsi dell’euro senza sbarazzarsi anche dell’adesione all’Ue, secondo il trattato ratificato.
Se la Grecia dovesse decidere di lasciare l’Ue e fosse in grado di ottenere il consenso di Bruxelles, i Greci potrebbero ipoteticamente continuare ad usare l’euro, naturalmente, nello stesso modo in cui un turista può pagare in dollari o in euro a Baghdad o in Cina. Ma il Paese dovrebbe interrompere i legami con la BCE e istituire la sua moneta.
I trucchi di Wall Street
di Martin Khor* - www.rebelion.org - 27 Marzo 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marisa Cruzca
L’uso di mezzi finanziari cosidetti “innovativi” volti a nascondere la precaria situazione finanziaria di una impresa o Paese sono stati evidenziati di recente, illustrando come la manipolazione delle contabilità abbia contribuito alla crisi finanziaria globale.
La scorsa settimana un rapporto commissionato dal governo degli Stati Uniti, sul crollo della banca Lehman Brothers, ha rivelato l’uso fatto da questa società di uno strumento, chiamato Repo 105, per nascondere circa 50.000 milioni di dollari di attivi in liquidi. Fu così che, pochi mesi prima del suo fallimento, la banca “truccò” la sua situazione finanziaria, facendola passare come sana.
La caduta della Lehman nel Settembre 2008 quasi innescò un effetto domino di fallimenti bancari che avrebbe provocato un collasso finanziario globale. Ciò fu evitato col disperato intervento delle autorità statunitensi che fecero si che il Congresso degli Usa approvasse piani di salvataggio, su vasta scala nazionale.
Quindici giorni fa si è scoperto che la banca di investimenti Godman Sachs ha fatto uso di un altro mezzo, derivato dal noto Swap (scambio di monete), per assistere il governo della Grecia nel nascondere il suo disavanzo fiscale, che era salito sopra il livello consentito dalla disciplina dell’Unione Europea per restare nella zona euro.
La Grecia affronta ora una grave crisi economica che minaccia lo stato dell’euro, e in questi momenti, alte cariche europee stanno lavorando per poterla riscattare. Goldman Sachs fu già criticata dal cancelliere tedesco Angela Merkel per il suo ruolo nella tragedia greca. Anche gli Stati Uniti, da parte sua, hanno aperto una investigazione sul caso.
Questi due ultimi casi mostrano come i giganti finanziari di Wall Street hanno avuto piena libertà di inventare e utilizzare strumenti finanziari eufemisticamente descritti come “innovativi”, ma in realtà quello che fanno è speculare, ricavando utili abnormi per le imprese coinvolte, o comunque manipolando e nascondendo situazioni fallimentari.
Tentativi dei democratici statunitensi di approvare una legge restrittiva nella regolamentazione di queste attività finanziarie ha trovato una forte ed ostacolante resistenza da parte dei repubblicani.
Nel frattempo, i leader politici della Francia e della Germania, cercano ancora una volta di ottenere che il Gruppo dei 20 disciplini la speculazione finanziaria tramite controlli sulle istituzioni quali gli hedge fund, i derivati e i CDS (coperture del tasso di interesse a credito con rischio).
Tuttavia trovano una forte opposizione negli Stati Uniti e nel Regno Unito che sono i centri dei fondi hedge e delle attività speculative.
Il rapporto di 2000 pagine su Lehman, fornito dal avvocato Anton Valukas, commissionato da un tribunale fallimentare degli Stati Uniti, apporta prove contro il principale dirigente e manager finanziario della banca, per violazione di doveri fiduciari, e contro la società di revisioni Ernst & Young per esercizio abusivo.
La banca aveva adoperato transazioni “Repo 105” (vendita di utili con patto di riacquisto entro un termine), operazione qualificata “trucco contabile” per mantenere attivi 50.000 milioni fuori bilancio e quindi ridisegnare una immagine fuorviante in tempi di resoconti e pubblicazioni finanziarie trimestrali, durante il culmine della crisi del 2008.
Il Financial Times spiegò che in una transazione normale di “repo”, una banca trasferisce beni utili a una controparte come garanzia reale al posto dei contanti. La banca si impegna a restituire il bene utile più gli interessi e torna a prendere la garanzia dopo un certo periodo di tempo più o meno determinato. Il bene utile rimane nel saldo attivo o bilancio della banca e questa si assume la responsabilità per il denaro in contanti da restituire.
Il Repo 105 che è stato utilizzato per ridurre l’incentivo presentato dalla banca è una operazione molto simile ad un repo normale, tranne che per il fatto che la banca si è impegnata per utili pari al 105% del denaro ricevuto dalla controparte.
L’ operazione viene descritta anche come una “vendita” e gli utili sono fuori bilancio, mentre il ricavo ricevuto è utilizzato per regolare le passività, riducendo così l’effetto leva nei momenti critici, come quando soffia vento di resoconti finanziari.
La relazione conclude che Lehman si avvalse di Repo 105 al fine di manipolare l’equilibrio e dare un specchio per le allodole.
Le rivelazioni causarono astio persino a Wall Street, secondo quanto dichiarato dal Financial Times, concludendo che la relazione in oggetto mette in “cattiva luce” anche l’interno della stessa Wall Street o quanto meno alcuni in seno ad essa, che hanno raccolto per sé consistenti guadagni e occultamento delle perdite, durante il boom che precedette la crisi.
Per quel che riguarda l’affaire Goldman-Grecia, il New York Times del 24 Febbraio scrive che la Federal Reserve degli Stati Uniti esaminava le manovre finanziarie messe a punto da Goldman Sachs e di altre grandi banche per aiutare la Grecia a mascherare il suo crescente indebitamento nell’ ultimo decennio.
Come spiegato dal New York Times, nel 2001 Goldman Sachs aiutò il governo ellenico a prendere in prestito, in maniera del tutto discreta, miliardi di dollari sotto forma di swap (cambio di valute) che sostanzialmente trasformò un prestito in un commercio di valuta che, secondo le regole europee, non ha bisogno di essere reso pubblico.
Nel 2005 Goldman vendette lo swap alla Banca Nazionale della Grecia, prima di riorganizzarlo in un soggetto giuridico britannico chiamato Titlos, nel 2008.
Queste transazioni, comprese operazioni finanziarie simili utilizzate da altri paesi europei, hanno provocato un gran tumulto nel continente, cosi come dure critiche espresse dalla Merkel e altri leader.
Ciò nonostante Goldman difende lo scambio di monete della Grecia. Gerald Corrigan, presidente della Goldman Sachs Bank USA, ha dichiarato che è del tutto compatibile con le norme vigenti al momento.
Il ministro greco delle Finanze, George Papapconstantinou ha insistito, la scorsa settimana, sul fatto che il suo Paese non era l’unico che aveva usato nel 2001 le disposizioni finanziarie previste. Egli ha aggiunto che, poiché sono diventate illegali, la Grecia non le ha più messe in atto.
*Martin Khor, fondatore del “Third World Network”, è direttore esecutivo di South Centre, un’organizzazione dei Paesi in via di sviluppo con sede a Ginevra.
Grecia: il letto di procuste
C'è un’alternativa alla cura da cavallo: la nazionalizzazione del default
di Moreno Pasquinelli - http://sollevazione.blogspot.com - 23 Febbraio 2010
Diceva Noam Chomsky che ove un albero cadesse nella foresta ma non venisse ripreso dalle TV, è come se non fosse caduto. Ha dell’incredibile l’eccesso di zelo delle televisioni italiane (quelle che davvero plasmano il senso comune) verso Berlusconi e la sua direttiva dell’ottimismo coatto.
Esse stanno operando una vera e propria censura sugli sviluppi della situazione in Grecia. Questo paese è sull’orlo di un collasso che rischia di scatenare un effetto domino su tutta Eurolandia e di trascinare nel vortice l’Italia anzitutto. Per di più la Grecia è attraversata dal più potente movimento di scioperi degli ultimi decenni.
Meglio non parlarne affatto, non solo per non spaventare chi c’ha i quattrini e rischia di perdere tutto, ma per evitare che quelli che già ora non hanno più quasi niente si mettano in testa la strana idea di seguire l’esempio dei loro omologhi greci.
Vedremo se questa congiura del silenzio reggerà alla prova del fuoco di domani, 24 febbraio, quando il paese sarà completamente paralizzato da quello che sarà senz’altro il più potente sciopero generale dalla caduta dei Colonnelli.
Un complotto ai danni della Grecia?
Che negli ultimi anni la grande speculazione finanziaria abbia messo sotto attacco la Grecia e speculato vendendo e ricomprando i suoi titoli di stato, non pare ci sia alcun dubbio. Per smascherare “il complotto” ne stanno addirittura occupando i servizi segreti greci, spagnoli e anche francesi.
Scopriranno l’acqua calda, quello che anche un broker-mezza-tacca sa bene. Sul banco degli imputati anzitutto quattro fondi d’investimento: tre americani e un inglese (Moore Capital, Fidelity International, Paulson & Co e Brevan Howard (il maggior gestore di hedge funds d’Europa).
Un primo report degli 007 greci afferma: «I quattro fondi hanno assunto posizioni corte sul debito greco vendendo massicciamente e quotidianamente i nostri bond a dicembre per poi ricomprarli una volta scese le quotazioni. Approfittando del clima sfavorevole all’economia del nostro paese e di rapporti che mettevano in dubbio la capacità di Atene di far fronte ai suoi debiti, questi fondi hanno incassato elevati utili.» (Dal quotidiano greco To Vima del 19 febbraio).
Anche il ministro dell’economia francese, Christine Lagarde conferma: “Ci sono difficoltà nella zona euro perché la Grecia è sott’attacco” (Le Monde del 20 febbraio).
Anche barbe finte spagnole, il CNI (che avrebbe addirittura costituito un dipartimento ad hoc), sta indagando sulla “cospiracion”.
Si cerca di capire chi si sia arricchito quando le voci della insolvenza spagnola hanno fatto schizzare i prezzi dei Cds dagli 83 dollari del primo dicembre ai 166 dollari attuali. (El Pais del 20 febbraio).
Non è escluso che a speculare sul rischio di default della Spagna essi peschino, non solo i soliti vampiri anglosassoni, ma pure qualche porcellino iberico. Gli affari, si sa, sono affari.
La Bibbia del capitalismo transnazionale, il Wall Street Journal ha risposto per le rime a queste notizie di indagine: “Parlare di una cospirazione... spaventa gli investitori più di qualsiasi editoriale critico”.
Da parte nostra non possiamo che aggiungere una banalità: che il capitalismo si fonda sulla caccia al massimo profitto, e che per ottenere il massimo bottino non si fa scrupoli di sorta. Si può ben affondare un paese se questo fa fare quattrini, tanti, maledetti e subito.
La deregulation dei mercati finanziari (globalizzazione) avviata con gli anni ‘80-’90, ha trasformato la vecchia caccia al massimo profitto in un vero e proprio aggiotaggio, in un risico criminale legalizzato, ove ai grandi possessori di denaro è stato consentito di agire come una vera e propria delinquenza organizzata.
Chi possiede il debito pubblico greco ?
Avevamo già segnalato, ma vale la pena tornarci su, che sono due gli indici che la grande finanza considera come primi comandamenti per giudicare lo stato di salute delle casse e delle sorti di un paese: lo Spread e i Cds. Il differenziale (Spread) tra i titoli di Stato greci e quelli tedeschi (Bund) è diventato enorme.
É passato dal 5% di fine novembre al 6,5% di questi giorni. Mentre i Credit default swap quinquennali, (le assicurazioni sui titoli di stato che coprono il rischio di insolvenza), sono praticamente raddoppiati in tutti i paesi.
I Cds sul rischio di default della Grecia sono praticamente i più alti dell’Occidente (3,7% sull’ammontare del debito detenuto dall’investitore contro, ad esempio, lo 0,5% della Germania).
Questi due indici sono in verità alias o “indici ombra”, agganciati, almeno in teoria, ai loro fondamentali: il rapporto deficit-Pil (la differenza calcolata nell’arco di un anno d’esercizio tra i costi della amministrazione statale e le entrate derivanti dalle imposte dirette e indirette versate da imprese e singoli cittadini), e l’ammontare del debito pubblico —ancora una volta rispetto al Pil— che si dimostra così il bronzeo paradigma del turbo-capitalismo. Diciamo in teoria poiché l’alta finanza c’ha figli e figliastri e non considera tutti allo stesso modo.
Il Regno Unito (che ha un rapporto deficit-Pil pari quasi a quello greco) e il Giappone (che ha il debito pubblico di gran lunga più alto del mondo) non sono messi sul banco degli accusati e non sono fatto oggetto di attacchi speculativi devastanti.
Sospettiamo che la vera ragione non attenga solo ai “fondamentali” della macchina produttiva (che il Regno Unito infatti non possiede), quanto piuttosto al fatto che questi due paesi sono veri-stati-nazione, forti di una loro sovranità politica e monetaria e dunque in grado di proteggere le loro economie.
Tornando alla Grecia. Com’è noto, questo paese ha il debito più alto d’Europa (124,9% sul Pil) nonché il rapporto deficit -Pil più alto (12,7%). Di qui l’allarme sul rischio di default della Grecia.
Preoccupati sono anzitutto i creditori della Grecia, ovvero coloro che possiedono i suoi titoli di Stato.
Se infatti questo paese dichiarasse l’insolvenza o annullasse il debito, non sarebbero i cittadini greci a lasciarci le penne, ma i creditori stranieri. Un dato è eclatante: il debito pubblico greco è per il 73% in mano a creditori stranieri.
E vediamoli dunque chi sono questi creditori. Anzitutto francesi e tedeschi, soprattutto fondi pensione. Ecco spiegato l’arcano per cui Parigi e Berlino sono in prima fila nel fare pressioni sulla Bce e su Papandreu. «Nello scenario peggiore possono scegliere se far cadere la Grecia (e quindi condannare a pagare il debito i loro concittadini nati subito dopo la seconda guerra, oppure salvarla, trasferendo i costi del salvataggio sulle loro generazioni future.» (La Stampa del 21 febbraio).
E’ evidente che Francia e Germania vogliono evitare come la peste sia la prima che la seconda strada. Preferiscono la terza: che i greci si tirino fuori dagli impicci da soli, che il governo applichi la cura da cavallo e reprima con fermezza la eventuale rivolta popolare.
Ma c’è un rischio nel caso il governo Papandreu cada e le masse popolari abbiano la meglio: l’effetto domino, non solo sugli altri PIGS, ma sulle grandi banche e fondi d’investimento francesi e tedeschi e a catena su tutta Eurolandia. Così in questi giorni, si fa un gran parlare di un piano da 25 miliardi di Euro per soccorrere la Grecia.
E’ un fatto che un piano simile violerebbe i trattati europei e richiede che la Bce chiuda, non un occhio soltanto, ma entrambi. Staremo a vedere. Va da sé che l’eventuale piano da 25 miliardi sarebbe condizionato, appunto, all’inasprimento delle misure draconiane già adottate da Atene, ovvero a sacrifici inauditi per il popolo greco
Un’altra via d’uscita: la nazionalizzazione del default
Se un’azienda debitrice fallisce ci rimette quella creditrice che ha prestato denaro, fatta salva la facoltà di quest’ultima di fare rivalsa pignorando i suoi beni. Ma come fare rivalsa contro uno stato nazionale sovrano?
Fare rivalsa sulla Grecia, ormai espropriata in larga parte della sua sovranità nazionale, politica e monetaria, sarebbe in effetti un gioco da ragazzi.
Ma che accadrebbe se la Grecia decidesse d’un botto d’uscire dall’Euro e dall’Unione? Se decidesse unilateralmente di nazionalizzare e pilotare il default, ripristinando la sua moneta e svalutandola decisamente? O addirittura annullando il debito?
Accadrebbe che i creditori sarebbero gabbati, che l’economia greca, pur restando nel quadro del capitalismo, riprenderebbe a camminare e ad esportare, attirerebbe non solo una gran massa di turisti, probabilmente anche di investimenti stranieri a causa del vantaggio rappresentato dal differenziale di cambio e dai bassi costi di produzione. Accadrebbe, questo è quel che più conta per milioni di greci, che eviterebbero la cura da cavallo.
Alternativa che non sta né in cielo né in terra? Via d’uscita giacobina? Sentiamo cosa dice Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 18 febbraio:
«Se l’economia non riprende, per stabilizzare il debito serve una correzione dei conti pubblici enorme: circa 14 punti di Pil, al di là di ciò che qualunque governo possa fare.
Se invece la Grecia crescesse al 3% l’aggiustamento necessario sarebbe severo, ma non impossibile: circa 6 punti. Ma come fa la Grecia a ricominciare a crescere?
Un modo c’è: uscire dall’Euro, svalutare del 50% e diventare il luogo più a buon mercato in cui andare in vacanza nel mediterraneo. Certo, la svalutazione raddoppierebbe il debito, che è tutto in Euro, ma sarebbe giocoforza non ripagarlo. E’ ciò che ha fatto l’Argentina, con risultati non disprezzabili».