Il destino di una nazione
di Lucio Caracciolo - La Repubblica - 11 Aprile 2010
"Il campo da gioco di Dio". Così Norman Davies volle titolare i due volumi oxfordiani della sua "Storia della Polonia", lo standard in materia. Qualcosa di davvero soprannaturale sembra segnare il destino della nazione polacca, almeno dall'avvento di papa Karol Wojtyla in avanti. La tragedia consumata ieri mattina in un bosco nebbioso presso l'aeroporto russo di Smolensk è talmente carica di simbolismi da scuotere gli animi più disincantati.
Quattro coincidenze fanno pensare. Cominciamo dalla più palese. A bordo del reattore presidenziale di fabbricazione sovietica - cui Kaczynski pare fosse molto affezionato, tanto da ritardare l'avvicendamento con un jet più moderno - i più alti rappresentanti della Polonia stavano recandosi a commemorare i settant'anni dal massacro di Katyn.
Qui, a pochi chilometri da Smolensk, oltre 4 mila ufficiali polacchi furono trucidati nell'aprile 1940 dalla polizia segreta (Nkvd) di Stalin, in base a un ordine firmato dal dittatore e dal politburo del Partito comunista.
Altri 17 mila fra funzionari, guardie di frontiera e ufficiali dell'esercito polacco catturati dall'Armata Rossa fecero in quei giorni la stessa fine. L'obiettivo era liquidare l'élite di quello Stato che Molotov, il braccio destro di Stalin, aveva sdegnosamente classificato come "misera creazione del Trattato di Versailles".
Crimine negato dai sovietici fino alla coraggiosa ammissione di Gorbaciov, nell'aprile 1990. Crimine sul quale le autorità russe - Putin in testa - stentano tuttora ad articolare parole chiare e nette. Sicché Katyn resta oggetto di recriminazioni, sospetti e manipolazioni che tuttora minano le peculiari relazioni russo-polacche.
Legata a questa, la seconda impronta del destino: Smolensk è stata scelta ufficialmente due anni fa come una delle due sedi (l'altra è Varsavia) delle Case della storia polacco-russa. Monumenti volenterosi quanto improbabili che, sull'impulso del lavoro di un gruppo di storici, giornalisti e politici dei due paesi, dovrebbero marcare la conciliazione fra due opposte letture del passato comune.
E siccome a est di Berlino, fra le nazioni strette da secoli nella morsa russo-tedesca, la storia è sempre contemporanea e quasi mai condivisa, persino questa tragedia, frutto di un banale errore umano, risveglia memorie lacerate. Già Lech Walesa parla di "secondo disastro di Katyn", tracciando una parabola impropria ma suggestiva fra il massacro staliniano e l'incidente aereo di ieri.
In terzo luogo, i cabalisti non mancheranno di osservare che il sacrificio del "gemello" Kaczynski coincide con l'avvio della costruzione dell'ardito gasdotto sottomarino Nord Stream, che connetterà Vyborg, presso Pietroburgo. a Greifswald, nel Meclemburgo, per pompare direttamente gas russo verso la Germania, scavalcando le repubbliche baltiche e la Polonia.
A Varsavia l'hanno ribattezzato "gasdotto Molotov-Ribbentrop", ad echeggiare il patto tra Unione Sovietica e Terzo Reich che precedette di pochi giorni la doppia invasione della Polonia, prima tedesca e poi sovietica, nel settembre 1939.
Quarta beffa: a bordo dell'aereo presidenziale viaggiava il novantunenne Ryszard Kaczorowski, ultimo presidente del governo in esilio a Parigi e poi a Londra, che durante la seconda guerra mondiale tenne accesa la fiaccola dell'indipendenza. Quel governo della Seconda Repubblica cui Stalin impedì nel 1945 il ritorno nella Varsavia "liberata", ma che per molti polacchi, nei decenni del comunismo, rimase l'unico esecutivo legittimo.
Tanto che dopo aver vinto le elezioni presidenziali nel 1990, Walesa rifiutò di ricevere le insegne del potere dal generale Jaruzelski, convocando in sua vece lo stesso Kaczorowski. Il quale dichiarava contemporaneamente disciolto il "governo di Londra", quasi che la Repubblica satellite di Mosca, quella dei Gomulka e dei Gierek, non fosse mai esistita.
Sullo sfondo di queste curiose combinazioni del destino, varrà ricordare che nessuno più di Lech Kaczynski ha incarnato la versione schiettamente reazionaria e profondamente russofoba del nazionalismo polacco. Una visione della Polonia e del mondo piuttosto influente nelle élite e nell'opinione pubblica del paese che seppe dare la spallata decisiva all'impero sovietico.
Nemmeno due anni fa, mentre fra Georgia e Russia tuonavano i cannoni d'agosto, Kaczynski capeggiò un non improvvisato "gruppo dei cinque" - con Ucraina, Lettonia, Estonia e Lituania - che smarcandosi dagli equilibrismi di Sarkozy e della Vecchia Europa si schierò a fianco di Saakashvili nella sua breve avventura contro la Russia "imperialista" e "revisionista".
Per l'occasione, il presidente polacco proclamò l'"inizio della lotta" contro Mosca, quasi si augurasse che l'incendio caucasico fosse il prodromo della resa dei conti finale con l'orso russo.
Negli ultimi tempi, i sempre tormentati rapporti polacco-russi hanno segnato qualche miglioramento, di atmosfera e di sostanza. Merito soprattutto del pragmatico premier Donald Tusk, che Kaczynski non poteva soffrire.
Quando fra poche settimane i polacchi sceglieranno il successore del presidente caduto nel rogo di Smolensk, sapremo se questo incidente senza precedenti - mai tanta parte dell'élite di un paese era scomparsa d'un colpo - marcherà non solo una devastante tragedia umana, ma anche il tramonto di una certa idea della Polonia.
I sospetti mai sopiti verso Mosca e il passato di una nazione-vittima
di Sergio Romano - Il Corriere della Sera - 11 Aprile 2010
L'idea della macchinazione è profondamente radicata. Chi crede ai complotti penserà al caso Sikorski
Il corpo del generale Wladyslaw Sikorski, primo ministro del governo polacco in esilio durante la Seconda guerra mondiale, riposa nella cattedrale di Cracovia. Ma il suo scheletro è stato riesumato un anno e mezzo fa nell’ambito di una ennesima indagine sulle cause della sua morte. Non sarei sorpreso se gli stessi dubbi e le stesse ipotesi accompagnassero le indagini sull’incidente aereo di Smolensk, la morte del presidente Lech Kaczynski, e la decapitazione dello Stato polacco.
Chi crede ai complotti troverà fra i due avvenimenti alcune interessanti analogie. Sikorski aveva avuto una parte considerevole nella politica polacca fra le due guerre: primo ministro e ministro della Difesa all’inizio degli anni Venti dopo la restaurazione della Polonia, rivale di Józef Pilsudski e esule a Parigi dopo il colpo di Stato del maresciallo nel 1926, nuovamente in campo verso la fine degli anni Trenta e capo del governo ombra che gli esuli polacchi avevano creato a Londra dopo la disfatta e la spartizione del Paese fra tedeschi e sovietici nel 1939.
Nei mesi che seguirono l’invasione hitleriana dell’Urss, Sikorski, in omaggio alla nuova alleanza fra la Russia e gli Alleati, aveva ricucito i rapporti diplomatici con Stalin. Ma nell’aprile del 1943, con una mossa che era stata motivo di fastidio e imbarazzo per il governo sovietico, aveva chiesto a Mosca di aprire una indagine sulla morte dei 22.000 ufficiali polacchi di cui i tedeschi, qualche mese prima, avevano rinvenuto i cadaveri fra gli alberi della foresta di Katyn nei pressi della città di Smolensk e non lontano dal luogo in cui l’aereo di Lech Kaczynski è precipitato nelle scorse ore.
Pochi mesi dopo, in luglio, Sikorski era a Gibilterra con sua figlia Zofia e un gruppo di ufficiali polacchi in attesa di un aereo che lo avrebbe riportato a Londra. Pilotato da un ufficiale ceco, il Liberator decollò il 4 luglio, ma rimase in cielo pochi secondi prima di inabissarsi nella baia della colonia britannica. Fra i cadaveri riemersi dalle acque non vi era, misteriosamente, quello di Zofia.
Esplose immediatamente la ridda dei sospetti. Un semplice incidente o una riuscita operazione di sabotaggio? Un omicidio mirato progettato dai sovietici, ansiosi di creare per la Polonia del dopoguerra un governo comunista? Un’operazione dei servizi britannici, desiderosi di eliminare l’uomo che stava guastando in quel momento le relazioni con Mosca?
Vi fu addirittura, molti anni dopo, una interpretazione ancora più fantasiosa e affascinante. Apparve quando un giornalista scoprì che il direttore della sezione dell’MI6 (l’intelligence del Regno Unito) nella zona di Gibilterra era Kim Philby, uno dei «Cambridge Five», i cinque brillanti intellettuali che negli anni Trenta erano passati al servizio dell’Nkvd, vale a dire dell’organizzazione responsabile dei 22.000 cadaveri rinvenuti nelle foreste di Katyn.
Con questi precedenti, non è difficile immaginare quali e quante ipotesi verranno formulate nei prossimi giorni sull’incidente dell’aereo di Kaczynski. Il Tupolev del presidente polacco era diretto a Smolensk per la celebrazione del settantesimo anniversario del massacro di Katyn.
Kaczynski era certamente poco amato a Mosca. Aveva sostenuto le rivoluzioni colorate e anti-russe dell’Ucraina e della Georgia. Aveva entusiasticamente accordato agli americani il permesso di costruire una base antimissilistica in territorio polacco. Era andato in Georgia per dare man forte al presidente Mickeil Saakashvili dopo la guerra con la Russia dell’estate 2008. Ed era con il presidente georgiano quando un aereo, durante la sua visita, aveva preso di mira il loro convoglio.
Chi scrive non crede ai complotti e alla loro importanza determinante nelle tragedie della storia. Ma non è necessario essere «complottisti» per riconoscere che questi sospetti sono profondamente radicati nella tradizione e nella memoria della nazione polacca e rappresentano quindi un problema politico.
Vista da Varsavia la storia del Paese, dal Settecento alla guerra fredda, è un lungo rosario di vessazioni e ingiustizie. Fu più volte aggredito e alla fine smembrato dai suoi potenti vicini, Austria, Prussia e Russia.
Gli esuli delle sue grandi rivolte cercarono rifugio nelle capitali delle democrazie europee e combatterono valorosamente nei loro eserciti, ma ottennero soltanto un sostegnomorale. Lo Stato rinato nel 1918 fu nuovamente smembrato da Russia e Germania nel 1939.
Quando la resistenza polacca insorse contro i tedeschi nel 1944, l’Armata Rossa attese sulle sponde della Vistola che la Wehrmacht completasse la «purga» della sua classe dirigente, così meticolosamente iniziata dall’Nkvd nella foresta di Katyn. Dopo l’avvento del comunismo i polacchi furono, con gli ungheresi, tra i primi a scendere in piazza per chiedere libertà. Lo fecero coraggiosamente nel 1953, nel 1956, nel 1980.
Il «cattivo», in questa rappresentazione della storia nazionale, è certamente la Russia, zarista o comunista. Ma ai polacchi non spiace ricordare che alla cordiale simpatia delle democrazie occidentali non ha corrisposto, se non occasionalmente, un aiuto concreto.
Quando il Paese fu aggredito, nel 1939, gli Alleati dichiararono guerra alla Germania ma non all’Urss. Quando l’Urss s’impadronì del Paese, stettero a guardare. Quando gli operai di Danzica dettero vita a un nuovo movimento politico, l’aiuto venne soprattutto dal Papa.
Qualcuno potrebbe osservare che la vittima può spesso compiacersi del proprio stato, cancellare la memoria dei propri trascorsi e dimenticare che nessun Paese è interamente innocente. Anche la Polonia è stata un impero e ha aggredito, conquistato, sottomesso. Quando i russi riconquistarono la loro libertà nel 1612, il nemico contro il quale dovettero prendere le armi era la Polonia, allora padrona di Mosca.
Quando la Russia bolscevica stava nascendo, il suo primo e più agguerrito nemico fu la Polonia, decisa a riconquistare le terre ucraine e bielorusse che avevano fatto parte del suo impero due secoli prima. Dopo il ritorno alla libertà, alla fine della guerra fredda, la sua politica ucraina e georgiana è stata spesso, agli occhi di Mosca, invasiva e imprudente.
Nella storia vi è quindi un’abbondante materia per reciproche accuse e recriminazioni. Se ne saranno consapevoli, i russi e i polacchi, nei prossimi giorni, eviteranno di ripetere gli errori del passato avanzando sospetti e assumendo posizioni che nuocerebbero, in definitiva, a entrambi.
La maledizione di Katyn
di Giuseppe Zaccagni - Altrenotizie - 10 Aprile 2010
Alle lacrime per i massacri di Katyn del 1940 si aggiunge ora la tragedia del Tu154 number one della presidenza di Varsavia che precipita - proprio nel giorno del ricordo della strage - nella terra di Smolensk, già bagnata dal sangue di quegli 11mila ufficiali polacchi uccisi dalla polizia segreta sovietica Nkvd. A bordo del "Tupolev" c'era l'intera delegazione ufficiale che doveva prendere parte alle cerimonie di Katyn.
Perché in questo disastro, che per la Polonia non ha precedenti, muoiono il Presidente Lech Kaczynski (e sua moglie Maria), il Governatore della Banca centrale, Slawomir Skrzypek, il Capo di Stato Maggiore, Franciszek Gagor, il capo dell'Istituto per la memoria nazionale, Janusz Kurtyka, il capo dell'Ufficio per la sicurezza nazionale Aleksandr Szczyglo, il capo della cancelleria presidenziale Wladyslaw Stasiak, il Segretario di Stato alla presidenza, Pawel Wypych e il Sottosegretario Mariusz Handzlik.
Tra le 95 vittime anche numerosi deputati del partito del presidente - Pis (Diritto e Giustizia, conservatore) - e varie personalità storiche, come l'ultimo presidente del governo polacco in esilio a Londra, Ryszard Kaczorowski. E' un’ecatombe: scompare gran parte della attuale classe dirigente polacca.
Mosca organizza intanto una commissione d’inchiesta guidata dal premier Putin. E si sa già che la zona di Smolensk - al momento del disastro - era avvolta da una fitta coltre di nebbia e che dalla torre di controllo erano partiti segnali di allarme proponendo ai piloti del TU154 di modificare la rotta andando ad atterrare a Minsk. Ma questo non è avvenuto.
Intanto il governo di Varsavia rende noto che dopo la morte del presidente verranno indette elezioni anticipate e che per il momento a svolgere le funzioni presidenziali sarà Bronislaw Komorowski, attuale portavoce della Camera Bassa del Parlamento.
E di conseguenza la Polonia si troverà a voltare pagina.
La tragedia attuale, come detto, si è svolta sullo scenario dei giorni scorsi quando Mosca e Varsavia avevano ritrovato significativi punti di contatto. Perchè, proprio sulla questione delle "Fosse di Katyn", la Russia - con una dura requisitoria geopolitica - aveva riconosciuto le sue colpe sulla strage operata nel 1940 dall'Armata Rossa durante la seconda guerra mondiale. Un crimine che Mosca aveva attribuito per decenni ai nazisti e che ora è tornato alla luce con tutta la realtà dei documenti e delle testimonianze. Con la Storia che si è ripresa la sua verità.
A siglare lo storico momento di riconciliazione è stato Putin il quale cercando una via d'uscita diplomatica e coesistenziale ha incontrato, appunto nei giorni scorsi, il collega polacco Donald Tusk.
In quell’occasione sono stati rievocati i terribili momenti di quei "fatti di Katyn". E cioé il massacro avvenuto in quella foresta durante la II Guerra mondiale, con l'esecuzione di massa, da parte dei sovietici, di soldati polacchi detenuti del campo di prigionia di Kozielsk vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da Smolensk.
Era l'anno 1940 quando le truppe sovietiche arrestarono 18.000 ufficiali dell'esercito, 230.000 soldati e 12.000 ufficiali di polizia. Tutti i graduati vennero portati in campi di concentramento su espresso ordine di Stalin: 11.000 di loro vennero uccisi con un colpo alla nuca e seppelliti in fosse comuni nella foresta vicino a Katyn. I tedeschi scoprirono le fosse nell'aprile del 1943, ma i russi "risposero" accusando proprio i tedeschi. Per poi far scendere una cortina di silenzio su tutta la vicenda, sfumando a poco a poco le testimonianze storiche.
Solo nel 1990 Mosca ammise la sua responsabilità. Ed ora Putin a Katyn non ha nascosto gli orrori commessi dal regime staliniano ai danni dei polacchi, ma nello stesso tempo ha proposto a modello l'attuale collaborazione Russia–Germania che, pur conservando la memoria del passato, sa guardare in avanti. Un'occasione storica, quindi, un’azione di grande diplomazia per stabilire un clima di distensione nel mondo slavo.
Proprio nei giorni scorsi Putin ha dichiarato alla stampa polacca che è un dovere morale comune chinare la testa davanti ai caduti, davanti al coraggio e alla tenacia dei soldati di paesi diversi, che hanno combattuto e distrutto il nazismo. Poi, con una rivisitazione storica di significativo livello, ha parlato di pagine tragiche relative a storie comuni, ma ha anche avvertito che è quanto mai dannoso e irresponsabile speculare sulla memoria, sezionare la storia per cercarvi motivi per reciproche accuse e pretese. E ha denunciato colpe di politici e storici che hanno cercato di riscrivere la storia in funzione delle necessità dell'immediata congiuntura politica.
Quando sono stati posti sull'altare degli eroi i collaboratori dei nazisti e sono stati posti sullo stesso piano vittime e carnefici, liberatori e occupanti. L'affondo di Putin ha poi toccato Stalin, accusato di aver cancellato - grazie alla sua censura - nomi e fatti che non andavano a genio al Cremlino.
Putin ha anche affrontato la questione della "amoralità" del patto Molotov-Ribbentrop, ricordando però che proprio un anno prima Francia ed Inghilterra avevano sottoscritto a Monaco quel noto accordo con Hitler che aveva distrutto ogni speranza di formare un fronte comune di lotta contro il fascismo.
Ora la tragedia delle ultime ore riporta di grande attualità tutto il complesso stato delle relazioni tra Mosca e Varsavia. Ma é chiaro che da oggi i due paesi saranno più vicini, uniti in un lutto comune.