sabato 24 aprile 2010

La Grecia s'incendia

La Grecia ieri ha ufficialmente chiesto l’attivazione del meccanismo di aiuti preparato dall’Eurozona e dal Fondo monetario internazionale.

Lo ha annunciato il premier greco George Papandreou, secondo cui la richiesta di aiuto "è una necessità nazionale", aggiungendo anche di aver già dato incarico al ministro delle finanze Giorgio Papaconstantinou di procedere per l'attivazione del meccanismo.

Il pacchetto di aiuti Ue-Fmi per Atene prevederebbe un prestito di 45 miliardi di euro a un tasso d'interesse del 5%.
30 miliardi sarebbero stanziati dall'eurozona, con l'Italia che dovrebbe contribuire per 5,4 miliardi di euro, il resto invece arriverebbe dal Fmi.

Questa pesante decisione arriva all'indomani delle nuove tensioni di mercato sui titoli di Stato greci, dovuti alla revisione in peggio di Eurostat dei dati sul deficit greco 2009 (rapporto deficit/Pil al 13,6% e rapporto debito/Pil al 115,1%) e di un declassamento del rating da parte di Moody’s.

L'Ue e il Fondo Monetario Internazionale hanno subito affermato che agiranno "in maniera rapida ed efficace" ma, anche se il portavoce del ministero delle Finanze tedesco ieri aveva annunciato che "la Germania mostrerà la sua solidarietà con la Grecia", il cancelliere Merkel ha messo invece il freno dicendo che gli aiuti "si possono stanziare solo se la stabilità complessiva dell'euro è minacciata e se Atene presenta un piano di risparmi credibile".

Alla Merkel ha risposto però Tremonti con un'efficace metafora "Se la casa del tuo vicino prende fuoco, anche se è una casa piccola e magari è colpa sua, non ti conviene fare finta di niente, ma ti conviene, se ce l'hai e noi ce l'abbiamo, dargli l'estintore perché sennò il fuoco arriva anche a casa tua".

"Fuoco" che potrebbe infatti estendersi presto anche all'Irlanda, a cui Eurostat ha rivisto al rialzo il rapporto deficit/Pil al 14,3% dalla stima precedente dell'11,7%.
E anche Portogallo e Spagna sono già nella lista d'attesa per un prossimo intervento dei "Vigili del fuoco", così come del resto pure l'Italia.

Comunque l'ammontare dell'aiuto che verrà concretamente fornito alla Grecia non è stato ancora deciso e la cifra potrebbe emergere dai negoziati con il Fondo Monetario Internazionale.
E' anche possibile poi che il prestito venga concesso in varie tranche, sulla base dei "progressi" fatti da Atene nel risanamento dei conti pubblici, sul modello di quanto avviene per i prestiti del Fmi.

Insomma si sta ancora prendendo tempo per decidere in extremis di che morte la Grecia deve morire, mentre la rabbia dei greci cresce di giorno in giorno.
Chi di fuoco colpisce, di fuoco perisce...


Grecia sull'orlo della rivolta sociale
di Ettore Livini - La Repubblica - 24 Aprile 2010

Il sindacato diffida dei "vampiri" del Fmi. Papandreou promette: "Agiremo con giustizia". I controlli del fisco sui più benestanti hanno evidenziato
redditi dichiarati sotto i 30mila euro. Le proteste contro i sacrifici imposti dal governo e contro le banche

La nuova odissea della Grecia, copyright del premier socialista George Papandreou, ha una rotta ad alto rischio. Con una destinazione chiara - Itaca è un rapporto deficit-Pil al 3% entro il 2013 - ma un percorso a ostacoli. Stretto tra la diffidenza dei partner Ue, spiazzati dal balletto un po' surreale sul buco in bilancio ellenico, e una situazione sociale ad alto rischio. Non solo per il futuro di Atene, dicono le Cassandre che qui conoscono molto bene, ma anche per quello dell'Europa.

Il problema - sintetizza nel suo colorato anglo-greco alla Totò il taxista Dimitris Poulos - è semplice: "Greece economy problem, car beautiful", dice ridacchiando sotto i baffi davanti ai Suv e alle superauto incolonnate nel traffico comenciniano di fronte all'Hilton e all'ambasciata Usa.

Il paese è in bolletta ma i greci - è il paradosso che non va giù ai tedeschi - non se la passano male: "L'economia in nero pesa per il 25,1% del Pil", ricordano con teutonica precisione all'università di Heidelberg. Le famiglie hanno una rete di protezione robusta (il loro debito è al 48% del patrimonio, ben al di sotto della media Ue).

E solo 5mila contribuenti su 11 milioni dichiarano più di 100mila euro. "Il fisco lo scorso anno ha provato a controllare a campione i 150 medici che abitano qua dietro, nelle case verso la collina di Kolonaki - racconta Helena Papadimitriou, studentessa di economia, al tavolino di un bar del quartier più "in" di Atene - Sa qual è stato il risultato? Che la metà di loro aveva un reddito inferiore ai 30mila euro e trenta ne guadagnavano meno di 10mila. Cifre ridicole, con cui da queste parti non ti paghi nemmeno il box per la macchina".

La sfida del governo di Papandreou è tutta qui. Oggi ci sono due Grecie. Quella degli evasori e dei corrotti (le Fakilaki, come qui chiamano le mazzette, valgono secondo la Brookings Institution 20 miliardi l'anno) e quella della gente normale.

Dipendenti pubblici (nei 5 anni del governo di centro-destra ne sono stati assunti 150mila), insegnanti, infermieri, impiegati e operai che alle elezioni dello scorso ottobre hanno messo in massa la croce sul simbolo del Pasok, il partito socialista di Papandreou. Convinti dalla sua promessa di far correre i loro stipendi più veloci dell'inflazione. E che ora si domandano se per caso non hanno sbagliato tutto.

La Grecia in effetti, sette mesi dopo il voto, sembra un altro paese. "Abbiamo ereditato una nave che stava affondando", ha detto il premier. I conti dello stato erano falsi. Il rapporto deficit-Pil è stato rivisto in sei mesi dal 3,9% al 13,6%. "E la povera gente è l'unica che sta pagando" sostiene Ilias Ilioupoulos, segretario generale di Adedy, il sindacato dei dipendenti statali. Gli stipendi del settore pubblico sono stati congelati, il turnover bloccato, gli straordinari (voce fondamentale nelle buste paga elleniche) sono stati pesantemente sforbiciati.

"E se arrivano i vampiri del Fondo Monetario, dovremo sputare altro sangue", urla Vassilis Papathanassiou, sindacalista comunista del Pame, agitando la sua bandiera rossa davanti alla Syntagma nel tardo pomeriggio di ieri. Messaggio chiaro: "Noi abbiamo dato, adesso fate pagare i ricchi".

"Mission", nel breve, quasi "impossible". Il rischio? Che il malcontento sociale ("questo è un paese che si infiamma facilmente", chiosa l'armatore Leonidas Polemis dal suo ufficio vista Pireo) faccia deragliare i buoni propositi di Papandreou e vanifichi il massiccio sforzo finanziario di Ue ed Fmi.

Il piano di stabilità firmato dal premier e dal suo ministro del tesoro George Papakonstantinou (entrambi di formazione anglosassone) ha provato a dare un segnale alzando dal 25% al 38% l'aliquota per i rendimenti oltre i 40mila dollari. Acqua fresca però per chi i propri redditi non li dichiara.

E allora? Papandreou non ha dubbi: "Se questa è un'Odissea, arriveremo a Itaca rispettando il senso di giustizia". I sondaggi per ora gli danno ragione. La maggioranza del paese, dicono, è ancora con lui. Le 10mila persone che hanno sfilato allo sciopero generale anti-governativo di giovedì scorso sono pochissime per gli oceanici standard delle manifestazioni sindacali di Atene.

Ma il tempo stringe. "Io l'altro giorno sono sceso in piazza- dice Nikos Coloumbis, una delle guide dell'Acropoli - Mi spiace per i turisti americani con cui avevo un impegno. Ma lavoro 10 ore al giorno per pochi euro mentre c'è chi anche in questa crisi ci sta facendo i soldi".

Il rischio di implosione sociale è alto: la disoccupazione salirà quest'anno all'11,3%, due punti in più del 2009, quella giovanile sfiora il 30%. Il Pil, dopo il -2% del 2009, scenderà anche nel 2010 per l'Fmi di un altro 2% .

E se persino l'Hellenic Postbank - banca a parziale controllo pubblico - compra credit default swap (è successo a fine anno scorso) per assicurarsi contro il rischio di un fallimento greco, i motivi di ottimismo sono proprio pochi.

"Cosa accadrà? Una volta avrei consigliato di chiedere lumi all'oracolo di Delfi, a qualche decina di chilometri da qua". scherza Dimitris Voloudakis, mentre sorseggia un Ouzo consolatorio al bar dell'hotel Grande Bretagne, picchettato qualche ore prima dai manifestanti del Pame. Il terzo millennio però non è più epoca da indovini mitologici.

Basta e avanza la Goldman Sach (Cassandra che ha dimostrato di saper fiutare dove tira il vento anche da questi parti): "I soldi di Bruxelles e del fondo non basteranno - ha vaticinato la banca Usa - Magari non sarà subito, ma Atene dovrà ristrutturare il suo debito chiedendo uno sconto ai creditori".

Le tragedie in effetti sono capolavori in più atti. Oggi, in Grecia, siamo al primo. Il rischio, se Goldman ha visto giusto, è che in camerino a prepararsi per il seguito ci siano il Portogallo, l'Irlanda, la Spagna, l'Italia e - forse - persino l'euro.

La Germania - se (e non è detto) vuole davvero il lieto fine - farà bene a ragionare senza troppi calcoli di convenienza al prossimo capitolo del copione.



Keitel: "I dubbi di Berlino? Bisogna intervenire in fretta"
di Marika De Feo - Il Corriere della Sera - 24 Aprile 2010

Il leader degli imprenditori "Tornare al marco sarebbe assurdo"

Gli aiuti ad Atene? «Ora dobbiamo preoccuparci di portare a termine la questione della Grecia in modo ragionevole. E soprattutto, che non sorga il dilemma di una seconda Grecia», risponde risoluto Hans-Peter Keitel, sessantaduenne presidente della potente associazione degli industriali tedeschi Bdi (omologa di Confindustria).

Sottolineando, in linea con il ministro alle Finanze Schäuble, che per gli aiuti si tratta «di una transazione che passa esclusivamente attraverso il mercato dei capitali, e non attinge al denaro dei contribuenti», come teme invece parte dell'opinione pubblica in Germania.

Non teme che crolli l'euro?
«No. Del resto, anche la cancelliera ha indicato che la stabilità dell'euro ha la massima priorità».

Eppure economisti esperti di fronte alla crisi hanno auspicato il ritorno al marco. È realistico?

«È assurdo. Non si torna più indietro alle vecchie monete».

Dopo la Francia, anche l'Fmi ha criticato gli ampi surplus commerciali tedeschi. Che ne pensa?
«Le esportazioni sono il risultato delle opportunità colte nel mondo da un infinito numero di imprenditori. Non sono in grado di decidere, che adesso, per favore, si deve far calare l'export. Tuttavia abbiamo una zona-euro, e in Europa dobbiamo puntare di più sulla partnership, spronando ad esempio gli investimenti diretti: italiani in Germania e tedeschi in Italia, che potrebbero creare posti di lavoro».

L'Europa beneficerebbe di più consumo dei tedeschi?
«Non penso che un consumo maggiore sia la ricetta giusta. Anche durante la crisi il consumo tedesco ha mantenuto una stabilità straordinaria, maggiore di quella in altri Paesi, grazie agli ingenti sostegni del sistema sociale».

La Germania cresce più del previsto?
«Per il 2010 gli istituti economici prevedono una crescita dell'1,5%, ma si potrebbe crescere anche del 2%. Comunque non torneremo più al punto in cui ci trovavamo prima della crisi. Forse i dati potranno essere simili, nel 2012-13. Ma il mondo sarà cambiato: usciremo dalla crisi con una crescita strutturalmente diversa, e condizioni diverse».

Ha già parlato con la presidente di Confindustria Marcegaglia a proposito di possibili cooperazioni?
«Gli incontri con Emma sono molto frequenti e su molti temi Bdi e Confindustria si intendono a occhi chiusi. Per questo cercheremo di spronare il dialogo fra i nostri imprenditori. Gli affari nell'impiantistica vanno già molto bene e vedo più necessità di una maggior cooperazione nelle infrastrutture, ad esempio nella comunicazione, o sui possibili incentivi alla ricerca e all'approccio nella politica climatica e energetica. E poi dovremmo parlare apertamente anche del traffico aereo, per esempio di Lufthansa e di Milano».

Non è stata la Germania che ha posto il veto su temi internazionali importanti, come per gli aiuti alla Grecia?
«Penso che per il caso della Grecia la Ue debba stare attenta a non gettare a mare le regole che si è autoimposta. Non dobbiamo continuare a gestire aiuti per situazioni di emergenza, bensì risolvere i problemi in tempo. Non vedo la questione come un veto, perché la cancelliera si impegna ad applicare, non ad infrangere, la legislazione europea, come nel caso della clausola anti-salvataggi di Maastricht».


Perchè la Germania abbandona la Grecia ma salva l'Italia?
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 23 Aprile 2010

La correzione sui mercati c’è stata, come previsto. E non è da considerarsi un qualcosa di meramente tecnico, stando alla sopravalutazione dell’indice Dow Jones che richiedeva un ritracciamento dei corsi di almeno il 10-15%.

È la crisi globale del debito, quello europeo e Usa in testa ma anche giapponese, ad aver affossato molti listini. E tutti i titoli del comparto bancario. Ieri poi i dati Eurostat hanno inferto una coltellata mortale alla Grecia e ai suoi conti, rivedendo al rialzo di un punto percentuale il dato del deficit di budget del 2009 al 13,6% rispetto al Pil: Atene è tecnicamente fallita e a qualcuno ora potrebbe venire la tentazione di non accanirsi terapeuticamente attivando il piano misto Ue-Fmi, stante la necessità di un default controllato ellenico gestito unicamente dal Fondo Monetario Internazionale.

Come anticipato, le banche greche hanno perso mediamente il 4,4% in Borsa ma anche quelle europee, tra cui Santander, Bbva, Deutsche Bank, Societe Generale e BNP Paribas hanno registrato cali tra il 2,5 e il 3,3%: l’esposizione verso le obbligazioni cominciano a pesare. E molto. In soldoni, nel 2009 il deficit/pil della Grecia non è stato del 12,9% ma del 13,6% ed Eurostat, oltretutto, ha espresso «una riserva anche su tale cifra a causa delle incertezze sul surplus dei fondi della sicurezza sociale, sulla classificazione di alcune entità pubbliche e sulla registrazione di operazioni swap». Ciò «può portare a una revisione fra lo 0,3% e lo 0,5% nel 2009». Revisione, indicano fonti Ue, che sarà probabilmente al rialzo.

Nemmeno a dirlo, l’euro è sceso sotto quota 1,34 dollarie a metà seduta di contrattazione i tassi sui bond ellenici a 10 anni, che si muovono nella direzione opposta al prezzo, hanno superato l’8,5%, stabilendo un nuovo massimo dall’ingresso della Grecia nell’area della moneta unica. Insomma, guai grossi in vista visto che lo spread è schizzato a 600 punti base, il massimo dal 1998 e il rendimento del titolo di Stato con scadenza biennale è salito oltre il 10%, esattamente al 10,9%.

E tanto più che quasi in contemporanea con il dato di Eurostat, Fitch ha abbassato il rating della Grecia dal livello di A2 al livello di A3: le soglie del baratro, in termini spicci e i mercati reagiranno male. Molto male. Le ultime rilevazioni sui cds per assicurarsi dal government debt default dei cosiddetti Pigs, inoltre, parlano chiaro: la Grecia è schizzata a 488 punti base da 367, la Spagna a 159 da 129, il Portogallo da 232 da 160 e l’Italia a 132 da 127. E cosa ci dicono queste cifre?

Due cose, che un default di tenuta valutaria è possibile, l’Europa non reggerebbe il collasso di uno Stato membro restando così com’è strutturata ora, ovvero a una sola velocità. Secondo, l’Italia non è di fatto nel mirino degli speculatori internazionali visto che nonostante le mille magagne dei nostri debiti il dato è salito solo di 5 punti base dal 9 aprile, quasi un tendenziale rispetto agli altri partner Pigs.

I mercati ci amano? No, i partner europei ci temono. Ovvero, temono che un possibile effetto a catena innescato dalla crisi greca metta l’Italia nella condizione di poter chiedere una sorta di peg verso la moneta unica e si vada a riprendere la leva della svalutazione, chiave che ci farebbe diventare i killer giants mondiali dell’export. La Germania non lo può e non lo vuole accettare, l’Italia resti il parente povero ai margini ma non mettiamola di fronte a un altro 1992 - con le debite proporzioni e, in questo caso, l’assenza della lira da assaltare - altrimenti potrebbe usare la sua arma migliore per reagire. L’Italietta, per ora, può stare tranquilla.

Il problema è che non sono tranquilli al Fondo Monetario Internazionale, visto che nel loro ultimo World Economic Outlook i suoi analisti hanno parlato a chiare lettere di «rischio di contagio greco sull’intera eurozona». Non è solo ilsussidiario.net - nella fattispecie il sottoscritto - a vedere nero, quindi. «Nel breve termine, il rischio maggiore - scrivono gli analisti - è che, se non tranquillizzate in qualche modo, le preoccupazioni dei mercati rispetto alla solvibilità e alla liquidità sovrana della Grecia possa trasformarsi in una spirale e in una contagiosa crisi di debito sovrano».

Chissà se anche al Fmi amano i catastrofismi, come qualche mio detrattore mi fa notare. Sicuramente li amano alla Bundesbank, dove il grande capo Alex Weber - guarda caso l’uomo che la Germania vorrebbe imporre come governatore della Bce silurando Mario Draghi - ha detto a chiare lettere che «il sistema finanziario è ancora molto fragile e quindi facilmente soggetto a rischi di contagio dagli effetti molto significativi. Un possibile default greco sarebbe un colpo economico durissimo per altre nazioni nell’unione monetaria».

A Francoforte si mettono le mani avanti. Anche perché la data del possibile evento-dinamo della crisi si avvicina a grandi passi: entro il 19 maggio, infatti, la Grecia deve rifinanziare 68 miliardi di euro. E, stando al capo economista europeo di Unicredit, Marco Annunziata, «o si attiva subito il piano Ue-Fmi oppure il tempo sta davvero per scadere». Anche perché più passano i giorni, più il piano sembra un bluff o insufficiente - quale in effetti è - e più gli investitori si spaventano: e se il mercato ha paura, scappa.

A quel punto i cds greci andranno a livelli islandesi, gli spread sui bond alle stelle e il paese a gambe all’aria, insieme alla tenuta dell’euro verso il dollaro. Anche perché i detentori di bond sono allarmati da quanto riportato dai media greci, ovvero il fatto che alcuni dirigenti economici del governo greco stiano discutendo della ristrutturazione del debito con tecnici del Fmi, ponendo sul piatto una varia gamma di opzioni tra cui l’allungamento delle maturities dei bond stessi.

Peccato che, stando agli esperti, una simile scelta farebbe di fatto scattare la clausola di default sui contratti cds: la perdita netta per i detentori di bond sarebbe tra il 30 e il 50%. Altra opzione è quella della cosiddetta formula “Brady bond” utilizzata in America Latina dal marzo del 1989 - prese il nome dall’allora segretario al Tesoro Usa, Nicholas Brady - che vedeva paesi di quell’area, soliti emettere bond denominati in dollari, convertire questi titoli in un più ampio menù di bonds per rifinanziare il debito che li aveva portati al default.

Strada percorribile per la crisi greca? Difficile dirlo, sicuramente non facile con il timore che vige oggi sui mercati, con i segnali di debolezza e disunione dimostrati dall’Ue nella gestione della crisi e soprattutto con quella data di maggio tremendamente vicina a fronte di un piano, insufficiente ma che potrebbe mettere una toppa salvavita al canotto greco - e all’intera area euro, sicuramente ai Pigs dove la “i” sta per Irlanda e non Italia - se attivato in tempi rapidi. Ovvero, giorni, non potendo parlare di ore.

Ce la farà l’Unione? Oppure in Germania, come si vocifera, stanno già pensando al post-default greco se come pare la Bundesbank starebbe lavorando a una sorta di exit strategy valutaria per evitare il contagio di quella che nel documento viene testualmente denominata «la Lehman Brothers dell’unione monetaria europea»? Chissà, i mercati ci diranno il loro parere. Noi ci teniamo il nostro. Guai seri in vista.


Grecia: l'affondo del Fondo
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 22 Aprile 2010

Lo si potrebbe definire il diario di un tracollo: quanto sta accadendo in questi giorni in Grecia pare infatti confermare gli scenari peggiori circa la possibilità per il governo di rifinanziare il proprio debito. Il mercato dei titoli di Stato della Grecia, molto semplicemente, non esiste più. I grossi investitori che vogliono vendere non trovano nessuno che voglia acquistare. E nessuno compra, nonostante la nuova manovra lacrime e sangue annunciata recentemente dal governo.

L’attuale situazione è il frutto di un accordo a livello europeo dissennato, che trasferisce ricchezza da Atene a Berlino e non viceversa. È il risultato di una politica europea dei paesi periferici (Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia) che scompare di fronte alle obiezioni della Germania, vera potenza dominante all’interno dell’eurozona, a conferma che l’Unione Economica Monetaria altro non è se non una maschera a difesa degli interessi tedeschi.

Le affermazioni perentorie della Cancelliera tedesca Angela Merkel sulla necessità che alle inefficienze di un governo in campo economico debba seguire anche, se non soprattutto, una sanzione politica, sembrano infatti piegare anche Nicolas Sarkozy, indebolito dalle recenti elezioni regionali, dai sondaggi che lo descrivono in perenne calo di popolarità e, non ultimo, da inutili gossip.

Giovedì scorso, all'apice della crisi, il primo ministro greco George Papandreu ha chiamato il suo collega spagnolo Josè Luis Zapatero per convincerlo a chiamare il Presidente francese. Insieme hanno poi convinto la Merkel a mandare il direttore generale del ministero dell'economia tedesco ad un incontro "tecnico" a Bruxelles. Da quell'incontro è uscito fuori un pessimo accordo: tassi troppo alti per essere considerati dai mercati un aiuto e nessuna garanzia di pagamento ai detentori di Bond greci a più lunga scadenza.

In questa cornice, martedì 13 aprile la Grecia poteva collocare solo 1,2 miliardi di titoli a brevissima scadenza, ossia a sei mesi, massimo un anno, dalla data dell'emissione; titoli per lo più sottoscritti da banche greche. L’idea pare dunque quella di lavare i panni sporchi in casa, ma i numeri del deficit greco e la scarsa solidità patrimoniale del suo sistema bancario escludono che questa possa essere una soluzione per evitare il default.

Il mercato ha punito il pasticcio, riportando il rendimento dei titoli greci con scadenza 2012 al 6,5%. Una situazione - per l’appunto - da paese prossimo al crack finanziario. Stando così le cose, la Grecia non può pensare che una nuova emissione a lunga scadenza possa essere sottoscritta dagli investitori. Il rischio sarebbe quello di mandare deserta la vendita all’asta dei titoli, cristallizzando la totale mancanza di credibilità nelle istituzioni elleniche.

La data salvifica pare essere quella del 10 maggio quando, passate le elezioni regionali tedesche, Angela Merkel potrebbe convincersi a elargizioni maggiori verso i partner europei più deboli. Ma l'ortodossia economica tedesca vuole che tutti paesi facciano i conti con i propri eccessi di spesa e di debito e, se necessario procedano ad una cura da cavallo per calmare i mercati.

I popoli del nord Europa, infatti, non sopportano di doversi far carico delle inefficienti capacità tecniche e gestionali del c.d. ClubMed, degli stati cioè rappresentativi del sud dell’Europa. La vicenda viene percepita dai tedeschi come paradigmatica: s’interpreta infatti come una chiusura ideologica il netto rifiuto tedesco al salvataggio dell’economia ellenica.

Numeri alla mano, la crisi della Grecia potrebbe essere risolta molto rapidamente, rappresentando il Pil greco neanche l’1% dell’intero Pil europeo. Tuttavia passano i giorni e la situazione non accenna a migliorare, perché le posizioni politiche rimangono le medesime.

Manca una vera volontà da parte di Francia e Germania di salvare la Grecia, essendo la situazione contingente letta con una chiave interpretativa culturale prima che economica. Semplicemente non si ritiene ammissibile che la cicala scialacquatrice trovi conforto alla mensa della parsimoniosa formica. E questo anche se dalla morte della cicala potrebbe derivare un forte pregiudizio per la stessa sopravvivenza della formica.

L'ombra della Grecia offusca infatti il futuro dell’intera ripresa europea. A lanciare l'allarme è il Fondo Monetario Internazionale secondo cui "l'Europa sta uscendo dalla recessione più lentamente di altre regioni" e ci sono "varie forze che frenano la ripresa". Tra queste, una di rilievo è la Grecia. La "sfida chiave" sarà dunque quella di prevedere "piani di consolidamento credibili".

Nell'ultima bozza del World Economic Outlook, si legge che nel Vecchio Continente le prospettive di ripresa variano considerevolmente da paese a paese. "Un sostanziale stimolo macroeconomico ha sostenuto la ripresa nei paesi avanzati dell'Europa, anche se la domanda privata non si è ancora solidificata. Al tempo stesso, ampi squilibri di bilancio minacciano la ripresa in alcuni paesi più piccoli, con potenziali effetti dannosi per il resto della regione". "Certamente - mette in guardia il Fmi - i timori per la solvibilità del debito sovrano e per la liquidità della Grecia (e per i possibili effetti di contagio in altri paesi vulnerabili dell'area euro) hanno minacciato la normalizzazione dei mercati finanziari".

I mercati temono infatti, secondo il Fmi, che i problemi d’insolvenza di Atene si traducano in una vera e propria crisi del debito sovrano, che porterebbe a casi di contagio. Proprio per questo "sarà molto importante che le autorità greche ristabiliscano la credibilità della loro politica fiscale e che le autorità europee assicurino che la paura per la situazione greca non porti a un'instabilità finanziaria o a ripercussioni significative sui bilanci e sulle banche in Europa". La ripresa, secondo il Fmi, sarà dunque "graduale e diseguale" tra i paesi di Eurolandia.

Se non intervengono investimenti politici, investimenti cioè assolutamente impensabili perché fuori da una logica strettamente economica, la Grecia non riuscirà rifinanziare il suo debito sui mercati e utilizzerà la linea di credito messa a disposizione dall'Europa molto presto. A quel punto chi detiene i Bond greci non resterà che sperare che i debiti pregressi vengano pagati, anche se magari in un futuro lontano.

Ma il mercato ha già scelto le sue prossime vittime: Portogallo e Spagna. Il rendimento dei Bond a due anni di Lisbona sono al 1% sull’Euribor; Madrid invece iniziò ad avvertire il pericolo da quando le grandi banche e gli Hedge Funds americani hanno iniziato a vendere allo scoperto i titoli spagnoli.

Le banche private spagnole continuano a comprare titoli del governo di Madrid controbilanciando l'offerta, ma questa strategia non potrà durare in eterno. L'articolo apparso il 15 aprile sul Sole24ore, che indicava la Spagna come prossima vittima dell’insicurezza dei mercati ha poi convinto molti gestori di fondi italiani a non acquistare.

Si attende dunque un segnale dalla Germania, dall'Europa o da entrambe, che rassicuri sul fatto che la situazione sia migliore di come la dipingono gli economisti più accreditati e i giornali di settore. La gestione della finanza europea appare sempre più un deserto senza leader in cui ognuno tira acqua al proprio mulino non capendo che il fiume rischia di prosciugarsi.

Delle due l’una: o l’Europa saprà costruire un coerente e credibile governo politico della propria economia o, se lo scenario futuro è quello di un’Eurozona che cresce di un misero 1% per i prossimi dieci anni, a causa di una vera e propria crisi del debito sovrano, l’intero progetto politico di una Comunità Europea federale, iniziato con la firma dei trattati di Roma il 25 marzo del 1957, rischia di collassare.


Cosa ci insegna la crisi della Grecia?
di Paul Krugman - www.nytimes.com - 9 Aprile 2010
Traduzione a cura di Anna Bissanti per www.repubblica.it

La crisi debitoria greca si avvicina al punto di non ritorno. Mentre paiono sfumare definitivamente le prospettive di un piano di salvataggio - in buona parte per la caparbia inflessibilità della Germania - gli investitori sempre più nervosi hanno portato i tassi di interesse sui bond del governo greco alle stelle, facendo aumentare sensibilmente i costi di finanziamento del Paese.

Tutto ciò farà sprofondare ancor più nei debiti la Grecia, minandone ulteriormente la fiducia. A questo punto è proprio difficile immaginare in che modo questa nazione riuscirà a tirarsi fuori dalla funesta spirale dell' inadempienza. Si tratta di un evento tragico, e naturalmente il resto di noi deve poterne trarre un valido insegnamento. Ma da che punto di vista, precisamente?

È vero, la Grecia paga in questi termini il prezzo della sua irresponsabilità fiscale degli anni passati. È anche vero, però, che questa non è tutta la verità. Il disastro greco illustra altrettanto bene l' enorme pericolo costituito da una politica monetaria deflazionaria. E c' è solo da augurarsi che i policy maker americani facciano davvero tesoro di questa lezione.

L' aspetto fondamentale che è necessario tenere bene a mente in relazione all' attuale situazione della Grecia è che essa non è semplicemente imputabile a un eccessivo indebitamento. Il debito pubblico greco, con il suo 113 per cento del Pil, è indubbiamente alto, ma altri Paesi hanno già avuto a che fare con simili livelli di indebitamento senza con ciò precipitare in una crisi.

Per esempio, nel 1946 gli Stati Uniti - appena usciti dalla Seconda guerra mondiale - avevano un debito federale pari al 122 per cento del loro Pil. Gli investitori, nondimeno, rimasero tranquilli, e a ragione: nel decennio successivo il rapporto tra indebitamento Usa e Pil fu quasi dimezzato, alleggerendo tutte le preoccupazioni che la gente aveva potuto nutrire circa le nostre effettive capacità di riuscire a restituire quanto dovevamo. Nei decenni seguenti in rapporto al Pil l' indebitamento continuò a diminuire, toccando un minimo storico nel 1981 con il 33 per cento.

Come fece il governo degli Stati Uniti a ripagare i propri debiti contratti in tempo di guerra? In realtà non lo fece. Alla fine del 1946 il governo federale era indebitato per 271 miliardi di dollari. Alla fine del 1956 tale cifra era salita di poco, arrivando a 274 miliardi di dollari. Il rapporto indebitamento/Pil diminuì non perché fosse sceso il primo, ma perché fu il secondo ad aumentare, arrivando quasi a raddoppiare in dollari nel corso di un solo decennio.

L' aumento del Pil in dollari fu dovuto in misura pressoché uguale alla crescita economica e all' inflazione, e al fatto che sia il Pil reale sia i livelli dei prezzi in genere salirono tra il 1946 e il 1956 del 40 per cento circa.

Purtroppo, la Grecia non può aspettarsi niente di simile. Perché? A causa dell' euro. Fino a tempi relativamente recenti, essere membro della zona euro sembrava vantaggioso per la Grecia, in quanto le garantiva prestiti a basso prezzo e sostanziosi afflussi di capitale.

Ma gli afflussi di capitale hanno portato anche all' inflazione e quando la musica si è fermata, la Grecia si è ritrovata con spese e costi non più in linea con quelli delle economie più forti dell' Europa. Col passare del tempo, i prezzi in Grecia dovranno pur scendere e ciò significa che, a differenza dell' America del Dopoguerra - dove l' inflazione dissolse parte del suo debito - la Grecia vedrà il proprio debito impennarsi a causa della deflazione.

Ma c' è di più: la deflazione è un processo doloroso, che invariabilmente impone uno scotto alla crescita e all' occupazione. E di conseguenza la Grecia non si libererà del suo indebitamento. Anzi, dovrà occuparsene nel bel mezzo di un' economia che nel migliore dei casi sarà stagnante.

Di conseguenza, l' unico modo che la Grecia ha a disposizione per attenuare il proprio problema debitorio è con drastici tagli alla spesa pubblica e con ingenti aumenti fiscali, provvedimenti che aggraveranno automaticamente il tasso di disoccupazione. Non stupisce affatto, quindi, che i mercati dei bond stiano perdendo fiducia e spingendo la situazione sull' orlo dell' abisso.

Che fare? La speranza era che gli altri Paesi europei giungessero a un' intesa, a garanzia del debito greco in cambio di un solenne impegno a una rigorosa e severa austerità fiscale. Tale strategia avrebbe anche potuto dare i suoi frutti, ma senza il sostegno della Germania questa intesa non si raggiungerà.

La Grecia potrebbe alleggerire parte dei propri problemi abbandonando l' euro e procedendo a una svalutazione. Ma è davvero difficile capire come ciò sia attuabile senza innescare una situazione catastrofica per il suo sistema bancario. In realtà, i correntisti più preoccupati hanno già iniziato a prelevare il contante che possono dalle banche greche. Non c' è una risposta positiva a questo interrogativi. Di fatto, non ce n' è una che non sia terribile.

Quale dunque l' insegnamento che l' America deve tener caro? Sicuramente, dovremmo essere responsabili dal punto di vista fiscale. Quello che ciò significa, comunque, è che dobbiamo occuparci delle grandi problematiche a lungo termine, innanzitutto delle spese sanitarie, e non ostentare chissà che o fare i taccagni per le spese a breve termine finalizzate ad aiutare un' economia depressa. Altrettanto importante, in ogni caso, è tenerci alla larga dalla deflazione, ma anche da un' inflazione eccessivamente bassa. A differenza della Grecia, non siamo legati a nessun altro per la nostra valuta.

Come il Giappone ha dimostrato, però, anche i Paesi che hanno una propria valuta possono restare impantanati in una trappola deflazionaria. Dell' attuale situazione statunitense a preoccuparmi più di ogni altra cosa è il chiasso sempre più crescente che fanno i falchi dell' inflazione, che vorrebbero che la Fed alzasse i tassi (e il governo federale si ritirasse dal piano di stimoli), anche se soltanto da poco l' occupazione ha iniziato appena appena a riprendersi.

Se i falchi dell' inflazione avranno la meglio, renderanno perpetua la disoccupazione di massa. Ma non è tutto: il debito pubblico americano sarà gestibile soltanto se alla fine torneremo a una crescita vigorosa e a un' inflazione moderata. Se prevarranno invece i gufi della stretta monetaria, ciò non accadrà. E a quel punto si apriranno le scommesse.