lunedì 26 aprile 2010

I compiti a casa della Grecia...

Torniamo ancora sulla pesante crisi economica greca.

La Germania oggi ha ulteriormente frenato sugli aiuti che l'Ue potrebbe concedere al governo di Atene. Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha infatti dichiarato "Prima faccia i compiti a casa, poi avrà gli aiuti".

E se i greci invece non avessero più intenzione di studiare?...


Berlino può dire "no" alla Grecia
di Danilo Taino - Il Corriere della Sera - 26 Aprile 2010

Venti gelidi sul piano di aiuti finanziari alla Grecia. Dalla Germania prima di tutto ma anche dalla Francia. E, addirittura, una prudenza finora non vista, dalla Commissione Ue. Ieri, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, considerato il componente più europeista del governo, ha affermato senza esitazioni la linea dura con Atene.

Al contrario di quanto nella maggior parte delle capitali europee e soprattutto a Bruxelles si sostiene da giorni, ha detto che il piano di aiuti da 30 miliardi dell’Unione europea non è per nulla stato deciso e non è scontato. «Il fatto che né la Ue né il governo tedesco abbiano preso una decisione significa che la risposta (alla richiesta greca di erogazione dei fondi, ndr) può essere positiva così come negativa ». Tutto dipende, ha aggiunto, da come Atene saprà rispettare il suo piano di austerità finanziaria.

Una posizione che tiene aperta una scelta che nei giorni scorsi l’Ue insisteva a sostenere fosse già chiusa e definita, con i termini del pacchetto di aiuti stabiliti. Anche da Bruxelles, invece, un portavoce della Commissione ieri ha voluto confermare che la Germania può, se lo vuole, bloccare il piano.

Niente è scritto, insomma. A conferma, da Parigi la ministra dell’Economia Christine Lagarde ha suonato una musica altrettanto dura. «Nel caso di un default dei pagamenti— ha sostenuto—metteremo immediatamente il pedale sul freno».

L’irrigidimento di Germania e Francia è in buona parte dovuto ai dubbi che—dopo che venerdì scorso Atene ha chiesto l’attivazione della procedura dalla Ue e dal Fondo monetario —stanno emergendo sull’adeguatezza del pacchetto previsto, in tutto 45 miliardi: probabilmente non sarebbe sufficiente a evitare una catastrofe finanziaria.

Ieri, in Germania circolavano cifre che parlavano di un’esigenza di 90 miliardi entro il 2011 e di 270 miliardi in cinque anni per evitare che la Grecia dichiari default o passi a una ristrutturazione del debito, cioè decida di ripagare i creditori in una percentuale minore — negoziata o imposta — di quella dovuta.

Aiutando la Grecia, insomma, i governi europei affrontano un rischio superiore a quello immaginato fino a pochi giorni fa e questo è politicamente difficile da fare passare nelle opinioni pubbliche. La Germania, in particolare, terrà una tornata elettorale molto importante il 9 maggio nel Nord Reno Westfalia, un’elezione nella quale il prestito alla Grecia, osteggiato dalla maggioranza dei tedeschi, è un forte tema politico.

Il governo di Angela Merkel, dunque, fa la faccia aggressiva anche per non perdere consensi. La stessa cancelliera aveva tre giorni fa sostenuto posizioni simili a quelle di Schäuble. E ieri il ministro degli Esteri Guido Westerwelle ha detto che la Germania non farà «alcun assegno in bianco alla Grecia», cioè non sborserà nulla se non avrà garanzie che il denaro prestato non sarà rimborsato in toto.

Nella linea dura tedesca, però, c’è anche molto di più di una preoccupazione elettorale. Innanzitutto, fonti del parlamento di Berlino sostengono che i consiglieri legali del governo sono preoccupati dal fatto che i rendimenti dei titoli di Stato decennali greci la settimana scorsa siano saliti quasi al 9%: molto sopra il 5% al quale gli aiuti europei alla Grecia dovrebbero essere emessi.

È difficile — dicono gli esperti — sostenere che una differenza di quasi il 4% a favore di Atene rispetto ai tassi di mercato non sia da considerare salvataggio, cioè qualcosa di vietato dal Trattato di Maastricht. Se la situazione dovesse permanere, dunque, i ricorsi alla Corte costituzionale tedesca per bloccare gli aiuti ad Atene perché contrari a Mastricht — già annunciati — a v r e b b e r o qualche buona chance.

Sarebbe un disastro politico per Berlino, ma anche per la Ue. Oltre a questo, la cancelliera e gran parte dei ministri continuano a pensare che la crisi abbia aperto una falla nella struttura di governo dell’euro che non sarà affatto chiusa da versamenti nelle casse di Atene.

Dieci anni dopo la nascita della moneta unica, constatano che l’architettura posta in essere permette che nella zona euro si creino divergenze economiche e finanziarie destinate a creare crisi fatali.

Quella della Grecia sarebbe solo la prima. Meglio affrontare la situazione subito, a costo di sacrificare Atene — dicono molti suoi alleati — che lasciare che la falla si allarghi e diventi ingestibile. Anche questa una strada rischiosa. Ma non più di tutte le altre, pensano a Berlino. E più seria.


Grecia. Anatomia di una crisi

di Margherita Dean - Peacereporter - 26 Aprile 2010

Petros Papakonstantinou, giornalista di "Kathimerinì", spiega le radici della crisi nel Paese

Qui, ad Atene, non riesco mai ad arrivare puntuale ad un appuntamento: o sono in ritardo, causa traffico, o sono in anticipo, sempre causa traffico che, oggi, è inferiore alle mie aspettative. Ho appuntamento al Falero, vicino al Pireo, negli uffici del giornale ‘'Kathimerinì'', testata storica di alto profilo.

L'intero palazzo, che ospita anche la rete televisiva e l'emittente radiofonica del gruppo editoriale, è circondato da cancelli massicci, mentre l'entrata al cortile è ben custodita dalle guardie; una volta entrata, devo lasciare un documento di riconoscimento, prima di essere indirizzata al quarto piano.

Petros Papakonstantinou, è lui che devo incontrare, giornalista di ‘'Kathimerinì'', scrittore, membro del partito extra-parlamentare Antarsya, di cui era candidato alle ultime elezioni europee, mi viene incontro sorridente. Mi offre un caffè, nella mensa, e ci sediamo a parlare. Della crisi greca, ovviamente, ora che tutto ha subito un'accelerazione mozza fiato. Fiato già corto per gli astanti cittadini greci o per chi, in Grecia, vive e lavora.

Se dovessimo raccontare la storia dell'economia greca, in poche parole, come la racconteremmo? Come faremmo a far capire che la Grecia non è uno stereotipo turistico e neanche archeologico?

Negli stereotipi, come nei miti, un po' di verità c'è sempre ma, ovviamente, sarebbe sbagliato generalizzare e semplificare. Io porrei, come capolinea, la fine della seconda guerra mondiale e della guerra civile che seguì (fino al 1949). Fu nei due decenni successivi, che l'economia greca conobbe una crescita esponenziale, soprattutto grazie allo sviluppo dell'industria pesante. Cantieri navali, acciaierie, lavorazione del cotone, per esempio; a ciò si accompagnò un ingente flusso di immigrazione interna, quello verso Atene e l'Attica.

In simili condizioni, può apparire paradossale come non si siano create sacche di disagio urbano come quello delle bidons-villes. Nonostante l'assenza di un qualsiasi stato sociale, fu l'istruzione, che era di buon livello, popolare, nel senso di agibile a tutti, a cosituire l'elemento che permise di mantenere una qualche dignità. Ai rimanenti bisogni, sopperiva l'assenza dello stato stesso, per cui si poteva costruire, per esempio, dove e come si voleva.

Poi venne il '74 e l'invasione di Cipro. Il fantasma turco andava esorcizzato e l'allora Cee pareva la soluzione politica migliore (la Grecia entra a far parte della Cee il primo gennaio del 1981), secondo l'assioma per cui difficilmente la Turchia avrebbe attaccato un paese membro. Sarebbe sbagliato stupirsi, come sarebbe sbagliato sottovalutare il problema: i rapporti tesi con la Turchia hanno spinto la Grecia a fare molte scelte affrettate, credo.

La Grecia era impreparata allora, come lo fu dopo, quando entrò nell'Eurozona, nel 1998. Ricordati che solo nel 1996, c'era stata la crisi di Imia, quando l'ipotesi di una guerra con la Turchia si avvicinò molto di nuovo. L'allora governo doveva riscattare il proprio onore e l'Euro fu un ottimo strumento a tal fine.

Se si pensa che l'economia greca dell'ultimo decennio si basa solo sull'attività bancaria e finanziaria, sulla marina commerciale, sul turismo e, in parte, sull'edilizia, tutti rami in crisi, si comprende come la Grecia, già impreparata nel 1981, lo era anche nel 1998. Come poteva e come ha potuto una piccola economia, resistere sotto lo stesso tetto, economico e monetario, con la Germania?

Possibile che gli allora governi non vedessero una verità così semplice e al tempo così pericolosa?

Credo che i fattori siano stati due: una valutazione sbagliata, un poco onirica, circa il futuro dell'Ue ed una previsione, altrettanto insensata, circa le reali capacità dell'economia nazionale.

Si parlava di Federazione, infatti, pareva che il progetto per una Costituzione europea avrebbe gettato le basi per una distribuzione federale della ricchezza. Per la Grecia sarebbe stato un vero regalo del destino, quello per cui uno Stato povero avrebbe avuto diritto a parte del surplus tedesco. Fu con la guerra in Iraq, che tutti si resero conto che l'Europa unita era una chimera morta sotto il peso degli interessi nazionali degli Stati membri.

Se a questo si aggiunge una valutazione ottimista, circa l'ascesa economica della Grecia, arrestatasi solo nel 2008, è facile capire come ci si possa essere ‘'dimenticati'' di non essere stati altro che un granello nel deserto del capitalismo globalizzato.

Veniamo al settembre del 2009, quando l'allora Primo Ministro, Kostas Karamanlìs, indisse le elezioni anticipate. Sapeva di perdere? Vedeva arrivare il ciclone e decise di abbandonare la nave?

Non sono sicuro che fosse certo della sconfitta ma certo non ne immaginava la portata. D'altra parte, dopo la vittoria seguita di poche settimane agli incendi devastanti del 2007, era portato a credere troppo nelle proprie forze. Quanto ai problemi dell'economia, pur sapendo che le cose andavano male, non poteva prevedere lo sfacelo che sarebbe venuto, nessuno poteva prevederlo.

Il nuovo governo, ha sbagliato, ha parlato troppo?

Sì, ha parlato troppo o meglio, doveva tacere. Ghiorgos Papandreou ha fatto l'errore che fanno tutti i politici vincitori: volendo giustificare le promesse pre-elettorali che non avrebbe mantenuto, ha subito reso pubblico il vero deficit greco. In pochi minuti le percentuali si raddoppiarono, per bocca di un governo troppo spesso immemore del fatto che, ad ascoltare, non c'era solo il corpo elettorale ma anche i mercati internazionali. Se uno ha una ferita aperta, non va a nuotare in un mare pieno di pescecani sensibili al sangue fresco. Se ne sta in disparte, si cura alla meno peggio e, intanto, riflette sul da farsi.

Cosa fare, allora? Il governo greco presenta come una vittoria la nascita di un meccanismo di salvataggio misto, Fondo monetario e UE: un'altra via non era pensabile?

Innanzi tutto credo che, del meccanismo di salvataggio, saremo costretti a far uso in brevissimo tempo, fors'anche a giorni; pure oggi gli interessi dei prestiti noi concessi sono tali da far impallidire un usuraio. Sarà poi il turno del Portogallo, spinto in quella direzione dagli artefici stessi del meccanismo, tanto per isolare la cosiddetta ‘'infezione''. In questo quadro, presente il Fondo monetario ed impossibile la svalutazione della moneta, credo che la de inflazione sia la sola strada rimasta alla Grecia. Tagli del 20% ai prezzi, ai salari, a tutto. Si prospetta una recessione molto lunga, accompagnata da un serpente che si mangia la coda: se il meccanismo del capitalismo, nella sua forma odierna, è quello per cui la produzione trova lavoro a costo sempre più basso, il commercio si alimenta ed è tenuto in vita attraverso il credito ma è chiaro che, in tal modo, il debito continuerà a crescere.

Un'altra via era possibile, sì, un'alleanza fra Portogallo, Spagna, Italia, Francia e Grecia: si trattava di denunciare quella ‘'camicia di forza'', il Patto di Stabilità, quella verità perenne, l'undicesimo comandamento, uguale per tutti, eterno ed indifferente ai mutamenti. L'alleanza avrebbe dichiarato la temporanea non applicazione dei sacri dettami, fino al persistere della crisi finanziaria ed economica.

Altrimenti?

I paesi interessati avrebbero minacciato di chiedere la ri-negoziazione del debito. Avrebbero dichiarato il loro rifiuto a pagare interessi così alti. La Francia era pronta a dare il suo appoggio ad una strategia del genere ma credo che al governo greco non sia neanche passato di mente. Ghiorgos Papandreou ha fatto un altro grave errore: ha voluto ricattare la Germania con lo spauracchio della presenza, nel cortile mediterraneo dell'Euro, del Fondo monetario internazionale ed ha talmente insistito che la Germania non ha fatto altro che indicare la via più veloce per varcare l'Atlantico.

Se, e mi pare di capire che non sia più un'ipotesi, si attiva il meccanismo misto, per cui lo Stato greco redigerà la prossima finanziaria in compagnia dei propri creditori europei e del Fondo, come reagirà la società greca? Fino a che punto è consapevole della gravità della situazione?

Temo che l'esplosione sociale sia prossima, anche se non so che forma prenderà e se prenderà forma. Non so, in sostanza, se ci sarà un involucro ideologico entro il quale contenere il disagio che si va accumulando. Eppure sono certo che i greci si sono resi perfettamente conto della gravità della situazione e lo scoppio del malessere è inevitabile.

La stanchezza è la peggiore nemica della pazienza, penso, mentre stringo la mano a Petros Papakonstantinou. Salutandolo mi sento sconsolata, credo di dovermi rassegnare all'idea di una traversata nel guscio di una noce, mentre l'oceano è in tempesta, come dicono qui, in Grecia.


Atene, la grande fuga dei capitali

di Roberto Giovannini - La Stampa - 26 Aprile 2010

Le due facce della crisi: la classe media tira la cinghia, corsa dei più ricchi per comprare casa a Londra

Ci mancavano gli ispettori del Fondo Monetario Internazionale. Il primo ministro greco George Papandreou ha un bel cercare di sopire e quietare, ma qualunque cittadino ellenico sa benissimo che chiedere l'aiuto del Fmi è come invitare in casa propria un affermato jettatore portadisgrazie.

Ecco così che una popolazione già stanca depressa e scioccata da un cataclisma finanziario di cui nessuno ha ben capito la genesi e di cui nessuno si aspettava le catastrofiche proporzioni, si aspetta che prima o poi arrivi il peggio.

Anche perché le ricette «made in Fmi» gira che ti rigira sono note: licenziamenti nel settore pubblico, altri giri di vite sulle pensioni e il magro Stato sociale, aumenti delle imposte, e tutte le più spaventose e temibili «riforme strutturali».

C’è chi reagisce con la paura, e chi – come vedremo – imboscando i capitali in tutta fretta, come stanno facendo i molti greci ricchi o solo benestanti, che approfittano dei weekend per andare a Londra ad acquistare case per metterle al sicuro da tagli e controlli fiscali che per ora non esistono. In questa calda giornata di primavera, la sterminata capitale appare semideserta e sonnolenta.

Domani, martedì, è prevista l’ennesima manifestazione di protesta del sindacato dei dipendenti pubblici, l'Adedy. Presumibilmente il corteo sarà condito da scontri e tafferugli a cura della nutrita pattuglia di militanti dei movimenti.

Sia l'Adedy che la meno battagliera organizzazione del settore privato Gsee sono di ispirazione socialista; ma hanno già proclamato scioperi generali, e proprio ieri hanno di nuovo messo in guardia il governo Papandreou contro misure che potrebbero causare una «esplosione sociale».

Per adesso, di questa esplosione non si avverte traccia, nemmeno sotterranea: lo stato d’animo che prevale tra la gente normale è lo shock. E la paura per un futuro che non promette nulla di buono.

Anche perché la crisi e i tagli hanno cominciato già a mordere, e proprio tra i dipendenti dello sterminato settore pubblico e le loro famiglie. La signora Evangelia Papoulis la racconta così. «Mio marito Kostas è insegnante di tecnica in un liceo, io lavoro come free lance in una società che gestisce progetti di formazione con i fondi europei. Mio marito aveva uno stipendio di 1.300-1.400 euro, e con il taglio di alcuni bonus e della tredicesima quest’anno perderà circa 2.000 euro. La mia azienda invece è bloccata: si è ridotto l'orario di lavoro e le remunerazioni del 20%, ma io ci ho rimesso di più. A fine anno prenderò 15.000 anziché 30.000 euro».

Incassi dimezzati, per Evangelia. Significa dover stare attenti a tutto: «Pensare bene – dice – prima di andare al ristorante o al cinema, se fare acquisti, se mandare i nostri figli a fare attività nel doposcuola. E non voglio pensare al rischio che Kostas possa perdere il posto».

Per adesso la vasta maggioranza dei greci si ispira alla politica della famiglia Papoulis, che pure fa parte di una classe media che di norma non ha problemi: occhio a come si spende ogni giorno e taglio degli «sprechi». Per fortuna quasi tutti hanno la casa di proprietà, e quasi tutti gli abitanti di Atene e Salonicco hanno una casina anche modesta in campagna o al villaggio di origine delle loro famiglie (Evangelia, nel Peloponneso).

In vacanza insomma ci si andrà; magari, tagliando sulla durata del soggiorno. Discorso diverso è per i tantissimi giovani superprecari e magari superlaureati della cosiddetta «Generazione 700 euro». Per loro questo Paese non offre alcuna prospettiva.

E discorso diverso è quello che riguarda i ricchi. Se ne sono accorti i media britannici: da qualche settimana c’è un costante flusso di cittadini greci che sbarcano a Londra per fare shopping di case ville e immobili.

Tutta gente che paga in contanti, dicono gli operatori del «real estate», che comprano senza battere ciglio e nemmeno trattare proprietà da un milione e mezzo di sterline nei quartieri eleganti di Regent’s Park, Mayfair e Marylebone. A volte senza nemmeno visitarle. E che puntino a imboscare capitali lo si capisce anche dal fatto che tanti intestano le nuove case ai loro figlioli.

E così, i capitali dell’élite ellenica migrano per evitare di contribuire al salvataggio dell’economia della Grecia: soltanto nei mesi di gennaio e febbraio sono partiti fuori dall’Ellade dagli 8 ai 10 miliardi di euro, secondo i dati della Banca centrale di Grecia. In direzione Svizzera, Lussemburgo e soprattutto verso la discretissima Cipro.

Soldi di professionisti, avvocati, medici, grandi commercianti, ma anche di opulenti armatori, da sempre refrattari al fisco: le compagnie navali (tutte di proprietà di singoli facoltosi individui) non pagano imposte d’impresa, e nella maggior parte dei casi hanno sede legale e fiscale fuori dalla Grecia. In tutto il Paese ci sono solo sei contribuenti che hanno dichiarato più di un milione di euro. Sei.


La panzana di Tremonti

da http://sollevazione.blogspot.com - 25 Aprile 2010

Come stanno davvero le cose col debito pubblico ?

Milioni di telespettatori hanno potuto ascoltare ieri le dichiarazioni di Tremonti dal vertice in casa Fmi a Washington. Siamo così venuti a sapere una cosa strabiliante, che l'Italia, in quanto a debito pubblico «NON È PIU' LA PECORA NERA», poiché le tabelle del Fondo Monetario Internazionale ci vedrebbero «...messi a fianco della Germania e molto meglio di tanti altri grandi Paesi, Stati Uniti compresi». La qual cosa «.. come governo Berlusconi ci riempie di orgoglio».

«I dati ci dicono che dobbiamo fare almeno come i tedeschi e magari un po' di più, ma sicuramente le manovre che andranno fatte dagli altri Paesi sono molto più grandi e più pesanti per la gente di quelle che dovremmo fare anche noi i prossimi anni. Alla fine quello che conta sono i numeri», ha concluso Tremonti.

I numeri, appunto. Tutto sta a vedere di quali numeri stiamo parlando. Le tabelle citate da Tremonti non sono altro che delle proiezioni, in base alle quali il Fmi prevede la possibilità che il rapporto debito/pil italiano possa, entro il 2030, attestarsi al 60%, ma a condizione di ... "forti aggiustamenti strutturali".

Per cui, la notizia è una non-notizia, anzi un falso, come quello del Tg1 di Minzolini che spacciò la prescrizione per Berlusconi come... assoluzione. Il 2030 è lontano, anzi lontanissimo, e che l'Italia possa dimezzare il suo debito non dipende solo da una serie di "aggiustamenti strutturali", eufemismo per dire tagli sostanziali alla spesa sociale, ma dall'andamento dell'economia reale, non solo italiana, ma mondiale (ovvero dal fatto che il sistema esca dallo stato di depressione).


Intanto le cose stanno come indica la tabella sopra, elaborata da dati Eurostat, che cioè l'Italia, assieme agli altri "Pigs", tra cui il regno Unito, sta messa male, ed anzi rischia di essere travolta da un eventuale contagio del probabile crack greco.

Il Trattato di Maastricht sarà rivisto. Entro l'anno una task-force Ue-Bce

di Elena Polidori - La Repubblica - 26 Aprile 2010

Ci vuole più rigore. E così, di fronte all'entità della crisi greca e alle resistenze tedesche, tra i top official di Eurolandia, si comincia a parlare di una revisione del Trattato di Maastricht e quindi del Patto di stabilità.

Entro l'anno, in seno alla Commissione europea, verrà costituita una apposita task- force, formata dagli esperti di ciascun paese, della Ue e della stessa Bce, per studiare come rendere più restrittivi i criteri di rigore che già vincolano tra loro i bilanci dei paesi Ue, ovvero il rapporto di deficit e debito col Pil.

L'obiettivo, in ultima analisi, è un surplus per chi è ha un superdebito. Al tempo stesso gli europei intendono dotarsi di un meccanismo di risoluzione delle crisi, oggi inesistente. E per finire vogliono che Eurostat, l'organismo statistico della Ue, sia in grado di poter effettuare "audit" veri e diretti per meglio verificare il quadro contabile dei paesi, così da evitare brutte sorprese come è accaduto nel caso di Atene.

Secondo quel che si apprende, per fare tutto questo occorre appunto riprendere in mano il Trattato di Maastricht del 1992 e quindi il Patto di Stabilità. In quel patto ci sono due parametri che i paesi dell'euro sono chiamati a rispettare. Il primo stabilisce che il rapporto deficit-Pil deve essere del 3%: chi sfora, è colpito da una procedura d'infrazione e deve rientrare.

Il secondo parametro riguarda il rapporto debito-Pil che deve "tendere" - e su quest'espressione ci fu nelle discussioni preparatorie dell'epoca una dura battaglia del ministro Guido Carli - al livello del 60%, con un ritmo adeguato. Ebbene, in questi anni, Eurolandia ha guardato soprattutto al primo dei due parametri, lasciando più in disparte il secondo.

Ora che la crisi finanziaria ha fatto dilatare il debito di tutti e che il caso greco costringe i partner a mettere sul piatto un fiume di miliardi, s'è deciso che questa "voce" deve avere in futuro più peso. Già all'ultimo vertice Ecofin di Madrid era filtrato questo messaggio, che per un paese indebitato come l'Italia significa in prospettiva grandi sacrifici.

Adesso però, proprio per via della vicenda greca, si vogliono stringere i tempi. Di nuovo ieri la Germania, attraverso il ministro degli esteri Westerwelle, ha fatto sapere che il suo paese "non farà alcun assegno in bianco alla Grecia". E la collega francese Lagarde, che pure pagherà per il salvataggio, ha ribadito che Atene "non ha mantenuto i suoi impegni in seno alla zona euro", presentando "dei conti sbagliati".

Ed ecco il punto: tutelarsi da chi ha i bilanci in disordine e presenta conti fasulli. Naturalmente la task force sa benissimo che non si riduce il moloch del debito con la bacchetta magica e che un'operazione del genere richiede anni di rigore. E dunque, secondo gli orientamenti allo studio, l'idea è di rendere ancora più stringente il primo dei due parametri.

Volendo riassumere, il motto del domani suona così: più alto è il debito, più basso deve essere il deficit o addirittura ci deve essere un surplus di bilancio. Sul piano più tecnico, questa colossale operazione di risanamento potrebbe passare attraverso un aggiustamento del bilancio primario, al netto degli interessi e del ciclo: qualche esercizio è già stato fatto dallo studioso dell'Fmi, Carlo Cottarelli ed è finito nella tabellina che il ministro Giulio Tremonti ha mostrato l'altro giorno in tv.

Ma la lezione greca dice anche che, per fare piani di austerity credibili, ci vogliono statistiche sicure, non più basate solo su quello che i governi riferiscono. Di qui il rafforzamento di Eurostat.

E poiché se i conti saltano, bisogna salvare chi è in difficoltà, meglio se con le sole forze europee, ecco che Eurolandia punta a dotarsi di un meccanismo di gestione delle crisi, capace di affrontare l'emergenza ma anche di accompagnare il paese in crisi verso la normalità.