sabato 25 settembre 2010

Elezioni in Venezuela: altro passo in avanti verso il Socialismo del XXI secolo?

Una serie di articoli in vista delle elezioni legislative in Venezuela previste per domani.

Un'ulteriore passo in avanti verso il Socialismo del XXI secolo promesso dal presidente Hugo Chavez?


Venezuela, elezioni atto sedicesimo
di Alessandro Grandi - Peacereporter - 24 Settembre 2010

Il 26 settembre giornata di elezioni parlamentari. Diciassette milioni di venezuelani sceglieranno i membri della nuova Assemblea, oggi controllata direttamente dal Psvu del presidente Hugo Chavez

Per la sedicesima volta dall'inizio della sua carriera presidenziale, iniziata nel lontano 1998, Hugo Chavez domenica 26 settembre affronterà nuovamente le urne.

Non si tratta di elezioni presidenziali, quelle son previste per il 2012, ma i diciassette milioni di elettori saranno chiamati a scegliere i membri del parlamento. Un momento di grande spessore politico e sociale per un Paese che nonostante tutto vive da anni a situazione politica stabile.

Fino a oggi il il partito di Chavez ha la maggioranza parlamentare (fatto non casuale visto che l'opposizione ha boicottato le ultime elezioni) e secondo i sondaggi delle ultime settimane potrebbe ottenerla anche nella tornata elettorale di domenica.

Il Psuv (Partito socialista unito del Venezuela, guidato dal Presidente), infatti, doverebbe riuscire ad attestarsi intorno al 52 percento dei voti, insieme ai suoi alleati Pcv (Partido comunista de Venezuela) e il Movimento Electoral del Pueblo. Una cifra che gli consentirebbe di arrivare a ottenere il doppio dei parlamentari rispetto alle opposizioni.

Gli sfidanti, riuniti nella Mesa de Unidad, gruppo che comprende Nuevo Tiempo, Primero Justicia, Ad, Copei, Podemos, Movimiento Voluntad Popular, La Causa, Mas, MovimentoRepubbblicano, Socialistas y Bolivarianos, Indipendentistas por la comunidad Nacional , hanno speranza di conquistare molti seggi, anche se per loro non sarà facile.

Nel 2005 l'opposizione, credendo di dare un colpo di coda alla campagna elettorale totalmente incentrata a denigrare e screditare l'attuale presidente, invitò tutti a non recarsi alle urne. Richiesta che l'elettorato chavista non accolse e che garantì così una vittoria schiacciante per Chavez.

Oggi, le cose potrebbero andare in modo diverso tanto che le opposizioni, un variegato gruppo di partiti e partitini trasversali fra loro, alcuni un tempo alleati del presidente, si sono uniti per combattere il Psuv. O quantomeno conquistare più poltrone possibili in parlamento.

Insomma, anche per le opposizioni, quelle di domenica potrebbero essere elezioni importanti. Per prima cosa darebbero la possibilità di tornare a pieno titolo sulla scena politica nazionale.

In secondo luogo è un'opportunità unica di creare equilibrio all'interno delle istituzioni del Paese per accendere il dibattito politico e cambiare radicalmente la dinamica della politica nazionale, ormai abituata "all'uomo solo al comando".

"Vogliamo cambiare la politica nazionale e creare un Paese di pace e tolleranza" dicono i candidati delle opposizioni, convinti di avere fra le mani il vero progetto di ristrutturazione del Paese. "Vogliamo una politica diversa. I nostri candidati renderanno questa nazione progressista e l'Assemblea trasparente" dice Stalin Gonzales, uno dei candidati.

Nella frenesia pre elettorale, inoltre, va ricordato che per evitare incidenti fra sostenitori di Chavez e oppositori, l'amministrazione venezuelana ha deciso di proibire da venerdì a mezzanotte alle 18 di lunedì il porto d'armi.

Non solo. Verrà proibita anche la somministrazione di bevande alcoliche. Da sempre, infatti, la popolazione venezuelana è incline al possesso e spesso all'uso delle armi.

I primi risultati sono previsti per lunedì pomeriggio alle ore 15 (ora del Venezuela). Solo in quel momento potremo sapere se la rivoluzione bolivariana potrà proseguire senza intoppi e condurre il paese verso il Socialismo del XXI secolo.


La posta in gioco a Caracas
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 24 Settembre 2010

Le elezioni legislative venezuelane di domenica prossima rappresentano un banco di prova importante per il paese caraibico. L’elemento di maggiore novità è rappresentato dal ritorno alla competizione elettorale dell’opposizione (MUD), che nella precedente tornata aveva deciso di non partecipare.

La scusa, allora, era quella di non avere le garanzie sufficienti sul piano della regolarità della consultazione, ma la verità era un’altra: divisi e incapaci di capitalizzare politicamente le contraddizioni del paese, a fronte di risultati più che positivi sul terreno delle conquiste sociali ad opera del governo, non erano riusciti a trovare una figura all’altezza della sfida con il Presidente Chavez.

E, sapendo di combattere una competizione già persa in partenza, decisero di utilizzare anche la scadenza istituzionale per tentare di gettare ulteriore discredito internazionale sul governo bolivariano.

Del resto, il golpe frustrato del 2002, i sabotaggi petroliferi e la propaganda folle, insieme alla mancanza di una figura leaderistica, non avevano reso l’opposizione un investimento credibile persino per i contrari al chavismo.

La sigla che hanno scelto i nemici della rivoluzione (MUD - Mesa Unitaria Democratica) potrà anche evocare una sorta di unità, ma il fatto è che l’opposizione, lungi dall’essere percepita come un’alternativa politica, continuava - e in parte continua ancora - ad essere identificata come una masnada di personaggi dal dubbio passato e dall’incerto futuro, a fronte dei chiari interessi privati del presente.

Oggi, pur in assenza di significative variazioni, tanto in termini di spazi politici come di garanzie della correttezza nelle operazioni di voto (c'erano entrambi anche allora), la stessa opposizione che diceva di non usufruire di spazi e garanzie torna a sottoporsi al verdetto delle urne, confidando in un risultato che, quale che sia, certifichi la sua esistenza in vita e giustifichi il proseguimento di aiuti e prebende che l’Amministrazione Obama assegna generosamente.

In questo senso, anche una sconfitta che non avesse i termini della disfatta, tornerebbe utile per rilanciare la questua e la querula che, insieme alla diffamazione ed alla cospirazione, sono gli elementi fondamentali dell’attività politica e propagandistica antigovernativa. La decisione di rientrare nel gioco elettorale, del resto, è stata presa a Washington.

L’Amministrazione Obama non è quella Bush e le operazioni di destabilizzazione del Venezuela possono essere incrementate solo giocando di sponda con un’opposizione formale che possa essere indicata internazionalmente come interlocuzione. Dunque, l’opposizione deve dimostrare di esistere.

Perché se si vuole che i finanziamenti illegali continuino a pervenire via Ned e Usaid, se si vuole insistere con la propaganda squallida travestita da informazione via CNN e Fox, se si vogliono incrementare le azioni di destabilizzazione terroristica via Miami e, si si pensa di voler aumentare la pressione militare tramite la IV Flotta e l’utilizzo dell’apparato militare colombiano, è necessario che il paese di Simon Bolivar appaia diviso in due, con un governo “nemico” ed una opposizione “amica”.

In assenza del primo, per gli Usa non ci sarebbe modo di giustificare l’ingerenza attiva, in assenza della seconda l’intervento apparirebbe solo un attacco esterno finalizzato alla propria volontà di dominio politico e saccheggio energetico, risultando per ciò immotivabile ed immotivato; comunque difficile da gestire politicamente, soprattutto a livello continentale.

Poi, come è ovvio, la Casa Bianca non nasconde i suoi interessi. Dover dipendere da Chavez per il 23% del suo consumo energetico non aiuta la serenità statunitense e, non a caso, il progetto al quale si lavora incessantemente negli ultimi anni, è quello di tornare a gestire le riserve energetiche di Messico, Venezuela, Ecuador e Bolivia a parziale garanzia di fronte all’instabilità del quadro mediorientale e del Golfo Persico.

Perché questo accada, va fermato il processo politico indipendentista latinoamericano e, per questo, in primo luogo Chavez, che ne è soggetto centrale sotto il profilo economico e politico.

Ma entriamo nel merito tecnico della consultazione. Si vota per eleggere la nuova Asamblea Nacional (Parlamento). Sono 165 i seggi a disposizione, dei quali 110 vengono eletti nominalmente, 52 sono indicati direttamente dai partiti che partecipano al voto e 3 sono la rappresentanza indigena.

Ognuno dei 24 Stati che compongono la nazione, sceglie la combinazione dei deputati eletti nominalmente, nominati dai partiti e, in quota parte, della rappresentanza indigena. Vincere le elezioni significa però avere una maggioranza di 110 deputati, dal momento che secondo Costituzione, le leggi di maggiore importanza devono essere votate dai due terzi del Parlamento

L’obiettivo non dichiarato degli oppositori è, appunto, quota 56. Proprio per il consenso parlamentare di cui il Presidente ha bisogno per governare, infatti, se l’opposizione riuscisse ad avere almeno 56 deputati si profilerebbe uno schieramento parlamentare che non potrebbe non incidere sul cammino di Chavez da ora fino alle presidenziali del 2012.

Se l’opposizione raggiungesse quota 56, obbligherebbe infatti Miraflores a negoziare su tutto. Si darebbe luogo, in questi prossimi due anni, ad una presidenza “zoppa”, che vedrebbe retrocedere i progetti di ulteriore crescita sociale e di lotta alle disuguaglianze e che si rifletterebbe, inevitabilmente, in un robusto stop per il processo bolivariano.

I diversi sondaggi indicano incertezza se sono realizzati dagli istituti statunitensi, ma ciò che sembra possibile è un notevole grado di astensione. Analisti e inchieste convergono su un’affluenza al voto di 10 milioni di venezuelani sui 17 milioni aventi diritto. Difficile dire chi pagherebbe il prezzo più alto di questa assenza dal voto, ma non ci sono indicazioni di una possibile affermazione dell’opposizione.

Perché oltre che sull’idea di sovranità nazionale, sul piano politico lo scontro è davvero su due diverse priorità. L’opposizione rivendica libertà di stampa (senza dire che possiede la stragrande maggioranza di ciò che si pubblica, si vede e si ascolta nei diversi media: più di seicento radio e 40 emittenti televisive) pluralismo (ma sono diversi i partitini che la compongono) e sicurezza nelle strade (e qui, effettivamente, il problema c’è). Un programma disegnato su misura della media e grande borghesia venezuelana.

All’opposto, il governo parla di inclusione sociale e partecipazione popolare alla politica, di utilizzo dei proventi petroliferi per rafforzare il welfare, di programmi sociali di crescita per i settori più poveri della popolazione. Progetti che, in qualche modo, sono stati realizzati in questi undici anni, dimostrando coerenza tra parole e fatti.

A sostenerlo ci sono numeri numeri difficili da contestare: alimentazione e salute in primo luogo, garantita al 75% della popolazione; stroncato l’analfabetismo, istruzione superiore all’83 per cento della popolazione (dietro a Cuba ma davanti ad Argentina, Cile ed Uruguay) e quinta a livello mondiale, preceduta solo da Francia, Inghilterra, Spagna, Giappone e Cina.

Mai, nella storia del Venezuela, le classi disagiate hanno avuto sostegno economico, inclusione sociale e ruolo politico come con la presidenza di Hugo Chavez.

Questo non elimina i ritardi e le inefficienze governative: inefficienza e corruzione della pubblica amministrazione, violenza e insicurezza per le strade, cattiva gestione delle risorse alimentari, non sono certo dettagli.

Ma non è detto che, pure rilevanti, siano decisivi nel sostenere i sogni del MUD, che forte dell’appoggio delle gerarchie ecclesiali, delle Ong europee (olandesi e spagnole in particolare) e dell’apparato finanziario e mediatico statunitense, continuano in buona parte del paese ad apparire come un’ammucchiata rissosa e competitiva al suo interno.

Se queste elezioni si configureranno come l’ennesima vittoria elettorale del socialismo bolivariano o l’inizio della rimonta elettorale dell’opposizione, saranno i numeri a dirlo. Un successo dell’opposizione imporrebbe certamente al Presidente Chavez una virata significativa su alcuni aspetti legati al modo di governare le contraddizioni del paese.

Ma una sua eventuale dodicesima vittoria elettorale in undici anni di bolivarismo, taciterebbe tutti. Anche i corvi che volano da Miami a Caracas sarebbero costretti, silenti, al volo di ritorno.


Chavez vuole una pausa dall'ingerenza degli Usa? Si può biasimare?
di Mike Whitney - www.informationclearinghouse.info - 19 Settembre 2010
Traduzione per www.comendonchisciotte.org a cura di Ettore Mario Berni

La maggior parte della gente sa che l'Iran, la Russia e il Venezuela hanno vaste riserve di petrolio. E sa anche che Hugo Chavez, Vladimir Putin e Mahmoud Ahmadinejad sono sulla "lista dei nemici" di Washington.

Allora, perché è così difficile per loro unire i puntini? Non riescono a vedere che i media demonizzano solo i leader che ostacolano l'agenda aziendale? Se la maggiore esportazione dell'Iran fossero i pistacchi (invece del petrolio), nessuno in America avrebbe mai sentito parlare di Ahmadinejad.

Invece, ogni volta che il povero ragazzo fa il minimo sbaglio, il suo volto schizza sulle prime pagine dei giornali degli Stati Uniti.

Chavez non ha le corna più di quanto Ahmadinejad non abbia una coda puntuta. È solo propaganda inventata dai media.

A Israele prudono le mani per uno scontro con l’Iran da un decennio. Tutti lo sanno. Inoltre, “il signor Rossi” pensa sempre che l’Iran è l'“uomo nero”, e che i mullah stanno segretamente costruendo bombe atomiche in modo da entrare in guerra con un Paese che ha oltre 200 armi nucleari. Questo è ridicolo, l’Iran non è suicida.

Naturalmente, qualora il caso venisse presentato in questo modo la gente vedrebbe quanto sia davvero demenziale. Invece, dopo una mezz’ora dà un’occhiata alla tv e ascolta le stesse bugie ancora e poi di nuovo e comincia a pensare che ci sia qualcosa di vero.

Edward L. Bernays è riuscito a capirlo molto tempo fa. Nel suo libro "Propaganda" Bernays ha sostenuto che le élite necessitano di gestire le percezioni del pubblico per tenere le masse sotto controllo. Ecco l’incipit del libro:

“La manipolazione cosciente e intelligente delle opinioni e delle abitudini comuni delle masse costituisce un importante elemento nella società democratica. Coloro che manovrano questo meccanismo invisibile della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere dominante del nostro Paese.
Noi siamo governati, le nostre menti sono modellate, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite in gran parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Si tratta di un risultato logico del modo in cui è organizzata la nostra società democratica." ( Edward Bernays. Propaganda Liveright, 1928; Ig Publishing, 2004 )

Avrete capito che le menzogne sono il metodo. Bernays credeva che il “consenso costruito” fosse un sistema di controllo del comportamento migliore della violenza. È facile vedere come le sue teorie col tempo si siano evolute in una industria completa, le pubbliche relazioni.

La propaganda affoga la verità, è così che funziona. È un modo di saturare tutto indiscriminatamente con la stessa menzogna più e più volte. È un bombardamento ideologico a tappeto. La gente sa questo, ma non può resistere. Alla fine, il pensiero- seme attecchisce e cresce avviluppando i suoi tentacoli intorno alla corteccia cerebrale, lasciando la sua vittima borbottare le stesse mendaci parole senza senso trasmesse solo una mezz'ora prima al telegiornale della sera.

Il volto della democrazia moderna è in gran parte costituito dalle pubbliche relazioni. Molti dubitano che il presidente Obama abbia, e Bush a suo tempo abbia avuto, affatto alcun potere reale. Un pivello senatore da due anni con un’esperienza nell’organizzazione di comunità davvero sarebbe stato scelto per decidere il destino del più grande impero del mondo?

Un uomo con gli evidenti limiti di Bush potrebbe veramente essere uno cui far tirare le leve sulle questioni della guerra e della pace? È dubbio, ma la farsa continua per mantenere l'illusione della "democrazia". Il potere reale opera dietro una tenda. Il resto sono pubbliche relazioni.

Insomma, cosa sappiamo veramente sull’Iran che non siano solo montatura di PR e bugie?

Quello che sappiamo è che gli atteggiamenti dell’Iran non minacciano gli USA o Israele. Per niente. L’agenzia di sorveglianza atomica, la IAEA, ha ripetutamente detto che non esiste “prova” che l’Iran abbia un programma per armi nucleari o che abbia dirottato del suo uranio a basso arricchimento per attività illecite.

L’Iran sta semplicemente perseguendo l’uso pacifico dell’energia nucleare per sviluppare centrali elettriche che sono esplicitamente approvate ai sensi del NPT (trattato di non proliferazione nucleare). In altre parole, l'Iran da parte sua ha tenuto fede al contratto, mentre gli antagonisti (Israele e Stati Uniti) non lo hanno fatto.

Allora, l’Iran dovrebbe crollare e consentire le angherie di USA e Israele o dovrebbe combattere per i suoi diritti entro i termini del trattato?

USA e Israele sanno di non avere nessun appiglio cui appoggiarsi. Sanno anche che l’Iran ha giocato secondo le regole. È per questo che hanno messo insieme questa ridicola campagna denigratoria contro Ahmadinejad.

Ecco perché non abbiamo mai letto niente su "obblighi del trattato" o "rispetto" nei media, solo accuse false che Ahmadinejad è un fanatico religioso, o che Ahmadinejad è un antisemita, o che Ahmadinejad vuole “cancellare” Israele o qualche altra sciocchezza simile.

È tutto un tentativo di distogliere l'attenzione dal fatto che l'Iran è seduto su un oceano di petrolio e che Israele vuole espandere il suo potere regionale. Il resto è propaganda.

Lo stesso vale per Chavez. Chavez è stato il primo leader del mondo ad offrire di inviare cibo, medicine e medici per le vittime di Katrina. Ma nessuno ne ha sentito parlare, perché ciò non è stato riportato dai media americani. Bush ha rifiutato l'offerta di Chavez perché aveva altre idee in mente per la gente di New Orleans.

Ha voluto mettere alla prova le sue teorie naziste sulla legge marziale tagliando i rifornimenti vitali e con l’emissione di ordini "sparare per uccidere" su chiunque fosse sospettato di saccheggio.

Volle ammassare con la minaccia delle armi migliaia di poveri di colore che avevano perso le loro case nel Superdome, dove avrebbero vissuto quasi una settimana in condizioni squallide da campo di prigionia, completamente tagliati fuori dal mondo esterno.

La gente avrebbe sofferto altrettanto se ad essere in carica fosse stato Chavez? Non ci scommettete.

La vita è notevolmente migliorata per i comuni lavoratori sotto Chavez. "La Commissione dell'ONU per l'America latina ed i Caraibi (CEPAL) ha trovato che il Venezuela aveva ridotto le disuguaglianze più di qualsiasi altro paese dell'America Latina dal 2002-2008, per finire con la distribuzione del reddito più equa nella regione." ("The Venezuelan Economy", Mark Weisbrot, counterpunch.org )

Washington odia Chavez perché ha un innalzato il tenore di vita dei poveri e perché non si piegherà alle grandi multinazionali. Ecco perché è messo alla gogna dai media, perché il suo modello socialista di democrazia non è in linea con lo stile schiaccia-e-afferra del capitalismo americano.

Chavez ha promulgato la riforma agraria e quella dell'industria del petrolio, ha migliorato l'istruzione e fornito assistenza sanitaria universale. Ha introdotto la formazione professionale, i sussidi alle ragazze madri, i programmi di prevenzione della tossicodipendenza, e l'assistenza per il recupero dei tossicodipendenti.

Le politiche di Chavez hanno ridotto l'ignoranza, la povertà e l’ingiustizia. L'elenco potrebbe continuare all'infinito. I Venezuelani sono più impegnati nel processo politico come non mai. Questo spaventa Washington. Le elite americane non vogliono persone ben informate che partecipano al processo politico.

Essi ritengono che il compito dovrebbe essere lasciato ai politici venali scelti dai capi delle grandi imprese e dai criminali in cappello a cilindro detti banchieri (banksters in slang americano, dalla fusione di banker e gangster. ndt). È per questo che Chavez deve andarsene. Ha dato alla gente la speranza di una vita migliore.

La visione sociale di Chavez è in contrasto con quella prevalente in America di tipo imprenditoriale che permette agli speculatori di Wall Street di far saltare il sistema finanziario senza timore di rappresaglia, che permette alle grandi compagnie petrolifere di spogliare intere regioni del paese senza esserne ritenute responsabili, e che permette ai politici bugiardi trascinare la nazione in una guerra con l'impunità assoluta. Chavez non condivide tale visione, né Ahmadinejad o Putin.

Tutti e tre i leader non vorrebbero altro che avere una pausa dall’incessante ingerenza e bellicosità americana. Essi non odiano l'America e non sono nostri nemici. Ma vorrebbero un attimo di respiro da colpi di stato, contagio finanziario, rapimenti, elezioni rubate, propaganda e uccisioni senza fine. Si possono biasimare?