sabato 18 settembre 2010

Lega Nord: un partito come gli altri

Nel corso degli anni la Lega Nord ha via via consolidato ed esteso il suo bacino elettorale e di conseguenza le sue entrature nei gangli del potere. Da quello locale a quello nazionale.

Ma continua a dipingersi come il Nuovo, come chi è fuori e combatte gli intrallazzi tipici di ogni partito politico che raggiunge il potere.

E invece no, la Lega Nord si sta dimostrando uguale agli altri per nepotismo, corruzione e relazioni pericolose.

C'è soltanto arrivata dopo, ma ha imparato in fretta...


Mazzetta verde la trionferà
di Gianni Barbacetto - www.ilfattoquotidiano.it - 17 Settembre 2010

Soldi, abusi e truffe all'ombra della Lega Nord

Lega ladrona? I casi di malcostume e corruzione all’ombra del Carroccio si moltiplicano, tanto che un dirigente sempre abile ad annusare l’aria che tira, come il governatore del Veneto Luca Zaia, ha ammesso l’esistenza di una questione morale dentro la Lega.

“Non possiamo permetterci di essere criticati per i nostri comportamenti amministrativi”, ha dichiarato Zaia, “noi della Lega abbiamo il dovere d’essere doppiamente puliti rispetto agli altri, perché da noi i cittadini si aspettano il massimo del rigore”.

Invece proprio dal Veneto arrivano gli ultimi casi di pulizia non proprio perfetta. Il senatore della Lega Alberto Filippi, di Vicenza, è accusato dal faccendiere Andrea Ghiotto di avere un ruolo nella maxi evasione scoperta ad Arzignano, feudo padano e distretto della concia. Una brutta storia di tasse non pagate e di controlli aggirati: le indagini, in corso, diranno se anche a suon di mazzette.

A Verona, Gianluigi Soardi, presidente dell’azienda del trasporto pubblico cittadino Atv (ma anche sindaco leghista di Sommacampagna), si è dimesso dopo che la polizia giudiziaria è piombata nei suoi uffici e ha sequestrato documenti contabili da cui risulterebbero spese gonfiate e ingiustificate.

Camillo Gambin
, storico esponente del Carroccio ad Albaredo d’Adige (Verona), è agli arresti domiciliari per una brutta storia di falsi permessi di soggiorno rilasciati in cambio di denaro. Alessandro Costa, assessore alla sicurezza di Barbarano Vicentino, è indagato per sfruttamento della prostituzione: gestiva siti di annunci a luci rosse.

Nel vicino Friuli-Venezia Giulia, il presidente del consiglio regionale, Edouard Ballaman, si è dimesso dopo essere finito nel mirino della Corte dei conti per una settantina di viaggi in auto blu fatti più per piacere che per dovere.

In passato, Ballaman aveva realizzato uno scambio di favori incrociati con l’allora sottosegretario all’Interno (e tesoriere della Lega) Maurizio Balocchi: l’uno aveva assunto la compagna dell’altro, per aggirare la legge che vieta di assumere parenti nel medesimo ufficio. Aveva anche ottenuto l’assegnazione pilotata della concessione di una sala Bingo.

In principio fu Alessandro Patelli, “il pirla”, come fu definito da Umberto Bossi: l’ex tesoriere della Lega dovette ammettere nel 1993 di aver incassato 200 milioni di lire dalla Ferruzzi, causando a Umberto Bossi una condanna per finanziamento illecito.

Poi a foraggiare il Carroccio arrivò il banchiere della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, che nel 2004 non solo salvò la banchetta della Lega, Credieuronord, da un fallimento clamoroso, ma finanziò generosamente il partito di Bossi con oltre 10 milioni di euro, tra fidi e finanziamenti.

Con anche più d’una mazzetta, secondo quanto racconta Fiorani: una parte dei soldi consegnati dal banchiere di Lodi ad Aldo Brancher, parlamentare di Forza Italia e poi del Pdl, erano per Roberto Calderoli. “Ho consegnato a Brancher una busta con 200 mila euro… Quella sera Brancher doveva tenere un comizio a Lodi per le elezioni amministrative… Mi disse che doveva dividerla con Calderoli (poi archiviato, ndr) perché il ministro aveva bisogno di soldi per la sua attività politica”.

Non ha fatto una gran bella figura neppure Roberto Castelli, che da ministro della Giustizia, tra il 2001 e il 2006, è riuscito a meritarsi un’indagine per abuso d’ufficio per il suo piano di edilizia carceraria, affidato all’amico Giuseppe Magni; e una condanna della Corte dei Conti a rimborsare 33 mila euro, perché la consulenza era “irrazionale e illegittima”.

Aldo Fumagalli
, ex sindaco di Varese, è indagato (peculato e concussione) per un giro di false cooperative. Matteo Brigandì, ex assessore al Bilancio della Regione Piemonte, è stato processato per truffa, per falsi rimborsi alle zone alluvionate. Francesco Belsito, sottosegretario alla Semplificazione, esibisce una laurea fantasma, presa forse a Malta.

Monica Rizzi
, assessore allo Sport della Regione Lombardia, si proclama psicologa e psicoterapeuta senza avere la laurea e senza essere iscritta agli appositi ordini professionali, tanto che la procura di Milano sta indagando per abuso di titolo.

Cattive notizie anche dall’Emilia-Romagna, zona di più recente espansione del Carroccio. Il vicesindaco di Guastalla (Reggio Emilia), Marco Lusetti, a giugno è stato accusato di irregolarità nella gestione dell’Enci (Ente nazionale per la cinofilia) di cui era commissario ad acta: aveva ordinato bonifici a se stesso con soldi dell’ente per 187 mila euro (poi non incassati).

Il padre padrone della Lega emiliana, il parlamentare Angelo Alessandri, si è invece fatto pagare dal partito le multe (per un totale di 3 mila euro) per eccesso di velocità o per transito in corsie riservate.

Il capogruppo del Carroccio alla Regione Emilia-Romagna, Mauro Manfredini, e altri candidati del suo partito (Mirka Cocconcelli, Marco Mambelli) rischiano invece una maximulta (fino a 103 mila euro a tasta) per non aver consegnato, come prevede la legge, un resoconto preciso delle spese elettorali. Dov’è finito il partito che inveiva contro Roma ladrona?



Il borsino della 'ndrangheta tra voti, Lega e sanità
di Davide Milosa - www.ilfattoquotidiano.it - 17 Settembre 2010

Politica e affari. Ora anche sanità. Il borsino della ‘ndrangheta in Lombardia cresce. E ai già consolidati legami politici se ne aggiungono di nuovi. Quello della Lega nord è tra questi. Un brutto inciampo per Bobo Maroni, ministro padano che da mesi declama i successi del governo in fatto di lotta alla mafia.

Lui guarda lontano e non si accorge come dentro al suo partito qualcuno ha già stretto amicize con i boss che a Milano continuano a comandare anche dopo il maxi blitz del 13 luglio: 300 arresti tra Calabria e Lombardia.

La pietra dello scandalo si chiama Angelo Ciocca, in politica dal 1996. Alle ultime regionali ha sbancato la sua circoscrizione pavese. Quasi 19mila preferenze per arrivare in Regione. Una parabola esemplare se non fosse per i suoi rapporti con Giuseppe Neri, boss della ‘ndrangheta lombarda, ma anche avvocato, massone e amico di Carlo Antonio Chiriaco, presidente dell’Asl di Pavia e ras della sanità pubblica.

Entrambi sono finiti in carcere a luglio. Il tutto è annotato nella richiesta di custodia cautelare firmata dai magistrati del pool antimafia di Milano. Ciocca, va detto, non risulta indagato. Qui, però, non è in gioco la responsabilità penale, ma quella politica.

I rapporti con l’uomo delle cosche iniziano nel giugno 2009, quando “Neri – annotano i magistrati – ha assoluta necessità di far eleggere alle consultazioni elettorali di Pavia un proprio uomo, Rocco Del Prete, e a tal fine si rivolge a Ciocca”.

E che Del Prete sia persona vicina alla cosca non vi è dubbio. Sarà lui, infatti, a incontrare Giancarlo Abelli, deputato azzurro e fedelissimo di Berlusconi, per proporgli il piano politico del comitato d’affari messo in piedi dalla mafia calabrese.

Sulle comunali c’è però un problema: la Lega non vuole Del Prete. Neri, dunque, spinge su Ciocca perché faccia pressioni sul partito. La cosa sta molto a cuore al capobastone. Per questo manda suoi emissari a parlare con l’uomo del Carroccio.

“Mi ha detto – riferisce l’amico del boss dopo aver incontrato Ciocca -: non ti preoccupare che adesso noi rompiamo le palle ancora”. Neri è contento. “Se Angelo Ciocca vi dice in quel modo io non ho motivo di dubitare che loro romperanno le palle”.

E del resto il capo della ‘ndrangheta pavese con l’enfant prodige padano ha interessi comuni “avendolo coinvolto – scrivono i pm – in belle operazioni immobiliari”, tanto da volergli dare “a basso prezzo l’appartamentino di Medigliani”, a Pavia. Luogo dove, dopo Neri e Ciocca si incontrano di persona. All’appuntamento, però, si presentano anche i carabinieri che riprendono tutto.

Gli incroci tra Lega e ‘ndrangheta non riguardano però solo Ciocca. Due gli obiettivi sotto la lente della procura. Il primo è l’ospedale S. Paolo di Milano. Qui da sempre le nomine vengono proposte dai colonnelli leghisti e approvate formalmente da Formigoni.

Al S. Paolo, nel luglio scorso, si è suicidato Pasquale Libri, calabrese, dirigente nel settore appalti, indagato dalla Dda. Il secondo è il Pio Albergo Trivulzio dove avrebbe lavorato un’impresa legata alle cosche reggine grazie alla mediazione di un politico del Carroccio.


Carrocciopoli
di Tommaso Labate - www.ilriformista.it - 16 Settembre 2010

Cinque fanciulle padane assunte alla Provincia su 700 domande

Si iscrissero in settecento, si presentarono in duecentoquaranta, andarono avanti in trentotto. Ma i posti, ahiloro, erano solo otto. Da settecento a otto. Tra questi vinsero cinque fanciulle con un pedigree “padano” a dir poco granitico, che ora aspettano solo di prendere possesso della loro seggiola.

C’è la figliola del candidato leghista alle regionali, la nipote dell’assessore provinciale leghista, la moglie del vicesindaco leghista del capoluogo e ben due beneficiarie di contratto ad personam presso lo stesso assessorato provinciale retto dal medesimo esponente politico. Leghista, ovviamente.

Messa così, sembrerebbe la storia di un’edizione qualsiasi di Miss Padania. In realtà si tratta di un concorso pubblico per otto posti da impiegato presso la Provincia di Brescia. Altro che “semplice” Parentopoli. Qui pare di stare a Carrocciopoli, dove la Vittoria sembra farsi schiava solo davanti ai nipotini di Alberto da Giussano.

La storia di questo concorso pubblico - ricostruita e denunciata punto per punto su internet dal gruppo di cittadini Tempo Moderno (il cui referente è l’avvocato Lorenzo Cinquepalmi, dirigente del Psi di Brescia) - inizia nel dicembre 2008.

Quando la Provincia di Brescia, all’epoca presieduta dal pidiellino Alberto Cavalli, pubblica il bando «per la copertura di numero 8 posti di istruttore amministrativo, Categoria C – a tempo pieno e indeterminato». Impiegati di concetto, tanto per capirci. Con tanto di contratto blindato e stipendio garantito dalla collettività.

Le candidature avanzate dopo la pubblicazione del bando sono oltre settecento. Un posto al sole della pubblica amministrazione, di questi tempi, fa gola a tutti. Alla prova scritta si presentano in duecentoquaranta.

Pare complicato, il primo round. Soprattutto perché, sul punto, il bando lascia spazio a più interpretazioni. «La prova scritta», si legge, «potrà consistere nella stesura di un elaborato o nella soluzione di appositi tests (proprio così: tests, ndr) a risposta chiusa su scelta multipla e/o in una serie di quesiti ai quali dovrà essere data una risposta sintetica».

C’è qualche «e/o» di troppo, forse. Ma d’altronde, quale amministrazione pubblica può elaborare un bando di concorso con tutti i crismi della chiarezza?

Per i risultati della prima prova basta attendere fino al 28 ottobre 2009. Quando la graduatoria dei trentotto ammessi all’orale viene pubblicata dal sito internet della Provincia di Brescia (http://www3.provincia.brescia.it/rassegna/doc/27638813.pdf).

Che, nel frattempo, ha cambiato presidente. Al posto del pidiellino Cavalli, che ha completato anche il secondo mandato, è arrivato un cavallo di razza del Carroccio: il sottosegretario all’Economia Daniele Molgora. Uno degli autori, insieme a Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, del testo della legge sul federalismo fiscale.

Dei trentotto ammessi all’orale, sussurrano le tante malelingue che si annidano tra i tantissimi “trombati”, ci sono troppi concorrenti «vicini» alla Lega. Tutti con punteggi altissimi. Troppi? Vicini alla Lega? E in che senso «vicini»?

Sembra il solito chiacchiericcio che anima ogni post-concorso pubblico che si rispetti, in cui chi resta fuori punta l’indice contro chi è finito dentro. E poi, come scriveva il commediografo Terenzio centosessant’anni prima che nascesse Cristo, «non c’è nulla che le male lingue non possono peggiorare».

Ma è sufficiente aspettare fino ai risultati della prova orale, e quindi fino alla proclamazione degli otto vincitori del concorso pubblico della Provincia di Brescia, per ricadere nella tentazione andreottiana di pensar male. E, quindi, di far peccato.

La graduatoria definitiva viene pubblicata il 4 febbraio 2010 ed è facilmente consultabile su internet (http://www3.provincia.brescia.it/rassegna/doc/84246875.pdf).

Il primo posto utile lo conquista l’ottava in classifica. Si chiama Sara Grumi ed è figlia di Guido, candidato alle ultime regionali con la Lega Nord nonché assessore del Comune di Gavardo.

Trattasi senz’altro di ragazza particolarmente preparata visto che, nel suo palmares, c’è già un contratto di collaborazione con le istituzioni. Anche in questo caso - strano ma vero - con l’amministrazione provinciale bresciana.

Tolti i candidati al settimo, al quarto e al secondo posto della graduatoria, le altri cinque caselle da impiegato provinciale finiscono tutte ad altrettante signore o signorine di “simpatie” leghiste.

Al sesto posto c’è Katia Peli. Che non è mica una semplice omonima dell’assessore provinciale leghista alla Pubblica Istruzione Aristide Peli. No, è proprio la nipote. E, non a caso, gli fa anche da segretaria, con tanto di contratto a tempo determinato.

Ma quando la lettura della classifica arriva alla quinta posizione, ecco che si sente la mancanza dell’antico e glorioso rullo di tamburi. Infatti, tra le vincitrici del concorso c’è anche la signora Silvia Raineri, capogruppo della Lega nel consiglio comunale di Concesio nonché moglie - come evidenza il dossier del gruppo Tempo Moderno - nientemeno che del vicesindaco di Brescia Fabio Rolfi. Leghista lui, leghista lei. Numero due del Comune lui, vincitrice di concorso alla Provincia lei. Sembra un film di Lina Wertmuller, in verità è puro reality.

E arriviamo alla cima della graduatoria. Alle più brave, insomma. Si chiamano Cristina Vitali e Anna Ponzoni, rispettivamente la prima e la terza classificata. E qui la “coincidenza” ha dell’incredibile.

Ai primi posti di un concorso a cui hanno partecipato in duecentoquaranta finiscono due persone che non solo lavorano già in Provincia. Ma che addirittura sono impiegate presso il medesimo assessorato.

La signora Vitali e la signora Ponzoni, oltre a condividere senz’altro la grande preparazione culturale che ha consentito loro di arrivare al top della graduatoria, hanno entrambe un contratto ad personam con l’assessorato alle Attività produttive, attualmente guidato dal leghista Giorgio Bontempi. Non c’è che dire: il diavolo della Lega non solo fa ottime pentole, ma è addirittura un maestro nel realizzare i coperchi.

La figlia del candidato alle regionali, la nipote dell’assessore provinciale, la moglie del vicesindaco e due collaboratrici ad personam di un altro assessore provinciale. Tutte vicine a uomini del Carroccio. E tutte, rigorosamente, vincitrici di concorso pubblico. Sei donne per sei posti di impiegato. Che stanno lì, alla Provincia di Brescia, in attesa di essere occupati.


La prova scritta salva la leghista
di Tommaso Labate - www.ilriformista.it - 17 Settembre 2010

Carrocciopoli. L'inchiesta del Riformista sul concorso vinto dalle "Fab Five" verdi a Brescia.

«Carrocciopoli? Tutto falso», dice Umberto Bossi citando gli scandali leghisti. E la figlia del candidato alle regionali, la nipote dell’assessore provinciale, la moglie del vicesindaco del capoluogo e due collaboratrici «ad personam» di un altro assessore?

Le fantastiche cinque vincitrici del concorso pubblico per «numero 8 posti di istruttore amministrativo», bandito dalla Provincia di Brescia nel dicembre 2008 e arrivato a conclusione nel febbraio di quest’anno, non hanno in comune soltanto le strettissime frequentazioni leghiste o il bagaglio culturale che ha consentito loro di sbaragliare la concorrenza di centinaia di cittadini. No.

Il pacchetto di mischia - rosa per genere, verde per passione politica - in attesa di prendere possesso del posto sicuro continua a collezionare altri incarichi e contratti. Retribuiti dalla collettività, ovviamente.

E le analogie tra le protagoniste di questa storia non finiscono qui. Perché le fab five della Lega bresciana hanno dimostrato tutte una spiccata propensione per la prova scritta, ma si sono rivelate meno preparate all'orale. È l’ennesima “stranezza” del concorsone per otto seggiole sicure al sole della Provincia. Carrocciopoli, atto secondo.

Il riassunto della puntata precedente, pubblicata ieri su queste pagine, manca a questo punto di due soli dettagli. Nomi e cognomi. Sara Grumi, figlia del candidato leghista alle ultime regionali Guido; Katia Peli, nipote dell'assessore provinciale leghista Aristide; Silvia Raineri, moglie del vicesindaco leghista di Brescia Fabio Rolfi; più Cristina Vitali e Anna Ponzoni, entrambe collaboratrici del leghista Giorgio Bontempi, altro assessore provinciale.

Sono cinque delle otto vincitrici di un concorso a cui si erano iscritti in settecento, di cui duecentoquaranta hanno effettivamente preso parte alla prova scritta.

La seconda seconda puntata dell'inchiesta del Riformista parte proprio da qui. Dalla prova scritta.

Quando il gruppo di cittadini Tempo Moderno (coordinato dall'avvocato Lorenzo Cinquepalmi, dirigente del Psi bresciano) ha denunciato le troppe “coincidenze” del concorso, al quotidiano on-line bresciapoint.it è arrivata la segnalazione di tale “Emiliano”: «Io a questo concorso ho partecipato, studiando per più di un anno.

Il meccanismo dello scritto era perverso. Ed era matematicamente impossibile prendere 30 (il massimo dei voti, ndr)». Basta dire, prosegue testualmente la denuncia di “Emiliano”, «che erano le consuete domande a risposta multipla. Ma con la difficoltà in più che tra le opzioni ci poteva essere un numero indefinito di risposte giuste. Per ciascuna risposta esatta un punto, per ciascuna sbagliata uno in meno».

Adesso è impossibile risalire a “Emiliano” per verificare l'esattezza della sua testimonianza. E poi, a rigor di logica, è ovvio che una prova del genere - per quanto difficilissima - si può anche superare col massimo dei voti.

Ma seguendo la traccia del “concorrente ignoto”, ecco che spunta fuori l'ennesima stranezza. Chi sono i candidati del concorso che riescono a superare i test staccando, e non di poco, l'agguerrita concorrenza dell'esercito dei duecentoquaranta?

Proprio loro, le “leghiste”. Tanto per capirci, l'ultimo dei trentotto ammessi all'orale passa con il punteggio di 21. La signora Raineri, la moglie del vicesindaco di Brescia, riesce invece a fare en plein: 30. Bravura e fortuna, insomma. Perché totalizzare il massimo era difficile come centrare il «100» nella vecchia e gloriosa ruota di Iva Zanicchi a Ok, il prezzo è giusto.

Leggermente meno brava, o forse solo meno fortunata, è Cristina Vitali, la collaboratrice dell'assessore Bontempi. Per lei un bel 28,67. Sara Grumi, la figlia del leghista Guido, arriva a 28. Katia Peli, nipote dell'assessore Aristide, si ferma a 27. Stesso punteggio di Anna Ponzoni, l'altra collaboratrice dell'assessore Bontempi.

Alla prova delle crocette dei test, insomma, il verde della Lega trionfa. Basta considerare, tanto per rimanere nel recinto degli ammessi all'orale, che la maggior parte degli altri candidati prendono voti che vanno dal 21 al 23.

È a questo punto della storia che il demone del Sospetto s'insinua nelle menti delle, chiamiamole così, “malelingue”. Quando il 28 ottobre 2009 viene pubblicata la graduatoria degli scritti, Diego Peli, capogruppo del Pd in consiglio provinciale (è solo un omonimo del Peli leghista, ndr), solleva la questione. Troppo brave, le candidate vicine ai big della Lega bresciana. Troppo.

La denuncia del pd Peli almeno un effetto lo produce. La prova orale, infatti, si svolge davanti a numerosi testimoni. Uno dirà, le fab five sono state brave allo scritto, supereranno brillantemente anche l'orale, no? Invece no.

Forse per colpa dello stress, forse per l'emozione, sta di fatto che le candidate leghiste che avevano trionfato allo scritto, di fronte alla commissione stentano. La Grumi (28 allo scritto) s'attesta su un mediocre 22. Addirittura la Raineri (30 allo scritto) sfiora il tracollo: 21. La Peli riesce a raggiungere quota 24 mentre leggermente meglio fa il ticket di collaboratrici ad personam Vitali-Ponzoni: 25.

Ma a pagare il prezzo più alto all'orale è un personaggio finora rimasto ai margini della vicenda. Si chiama Margherita Febbrari. E, nel suo curriculum, vanta collaborazioni sia col quotidiano La Padania sia con il deputato nazionale leghista Davide Caparini, già membro della Commissione di Vigilanza sulla Rai.

La Febbrari, nota a Brescia per aver ottenuto dal Comune un incarico di consulenza in materia di sicurezza urbana, non ripete all'orale (21) l'exploit dello scritto (28). E, al contrario delle altre cinque fanciulle di cui sopra, che riescono comunque ad accaparrarsi il posto sicuro di impiegate in Provincia, rimane fuori dalla porta. Per un soffio. Ne passavano otto, lei arriva decima.

«Numero otto posti di istruttore amministrativo - Categoria C - a tempo pieno e indeterminato». Posti sicuri da impiegati di concetto alla Provincia di Brescia. Che però sono in attesa di essere occupati dai vincitori. Perché sono già impegnate, al momento, le cinque vincitrici leghiste.

Come si legge anche nel dossier di Tempo Moderno, la Raineri, moglie del vicesindaco Rolfi, è lei stessa «capogruppo leghista alla Circoscrizione Nord del Comune di Brescia, coordinatrice della commissione sicurezza civica e bilancio nonché capogruppo sempre della Lega nel consiglio comunale di Concesio (Bs)». Una e trina, insomma.

La Grumi, invece, ha un incarico di collaborazione coordinata e continuativa «per la progettazione e l'implementazione di un sistema coordinato per la gestione delle attività interne, della durata di 24 mesi», stipulato dall'«Area Innovazione e Territorio-Settore Informatica e Telematica», indovinate un po', della Provincia di Brescia. Compenso? 54mila euro lordi, a cominciare dal 12 dicembre 2008.

Katia Peli collabora con lo zio Aristide, assessore. Nell'ultimo rinnovo del suo contratto, anno 2009, si legge testualmente che «le funzioni cui la Sig.ra Katia Peli verrà preposta dall'Assessore alle Attività Socio-Assistenziali e Famiglia, Sig. Aristide Peli, hanno particolare carattere di complessità e delicatezza».

Rimangono Vitali e Ponzoni, le altre due vincitrici “leghiste” del concorso della Provincia. I loro nomi figurano in una delibera - allacciate le cinture - di «conferimento incarico di collaborazione coordinata e continuativa di supporto all'espletamento delle azioni previste dai progetti “Valcanonica, Valcavallina e Sebino” e “Crisi aziendali”». Della Provincia di Brescia, naturalmente.


Romaladrona? La Lega "sciupona" tra tripli incarichi, spese pazze, auto blu
di Mario Ajello - www.ilmessaggero.it - 14 Settembre 2010

L’ultima della Lega è che vogliono istituire, dal prossimo anno, il Giro della Padania. Perchè il Giro d’Italia ladrona e fellona non li rappresenta più, e dunque meglio lanciare verso il traguardo della nuova secessione ciclistica le «biciclette verdi», magari spinte da alitate di merlot, dopate con iniezioni di luganighe ogm e lucidate con l’«acqua sacra» del Po.

Chi arriverà primo al Tour de Padanie (i francesi lo chiameranno così, invidiandolo da subito) diventerà ministro dello Sport, in uno di quei dicasteri che il Nord vuole sloggiare dalla «suburra romana» e piazzare forse in un fienile di qualche alpeggio?

Tutta quest’ansia leghista di marcare le distanze dall’Italia e soprattutto dalla sua Capitale - dove sono apparsi in questi settimana manifesti con su scritto: «Nun je da’ retta, Roma, che t’hanno cojonato». Firmato: «Lega ladrona» - stride tuttavia rispetto alle recenti abitudini del partito di Bossi e del Trota. Che il quirita Giulio Andreotti potrebbe riassumere correggendo il suo celebre motto: «Il potere logora chi ce l’ha».

E logora ancora di più chi ce l’ha in dosi doppie, triple o quadruple - dosi da cavallo lumbard - rispetto al normale. Roma è proprio «sciupona», visto che permette a tutti, ma ai leghisti in particolare, di stare seduti contemporaneamente su varie poltrone.

Il recordman dei ”triplincarichisti” è proprio un leghista: Daniele Molgora, deputato. sottosegretario e presidente della provincia di Brescia. Ma la legge non dice che chi sta al governo non può avere altri incarichi pubblici, se non quelli in enti culturali, assistenziali, religiosi, università e fiere?

Dirà pure così, ma tra i ”plurinacarichisti” d’ogni partito e d’ogni provenienza regionale i parlamentari del Carroccio svettano felici e gioiosi in cima a ogni classifica. Roberto Simonelli è presidente della Provincia di Biella. Gianpaolo Vallardi, sindaco di Chiarano. Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella (Padova).

Alberto Filippi, consigliere comunale di Vicenza. Giacomo Chiappori, sindaco di Villa Faraldi (Imperia). Sandro Mazzatorta, sindaco di Chiari (Brescia). Claudio D’Amico, sindaco di Cassina de’ Pecchi (Milano). Giovanna Negro, sindaco di Arcole (Verona) e via così enumerando nomi a grappolo e a raffica e non basterebbe lo spazio d’un articolo di giornale (si veda allora il libro di Sergio Rizzo: «La cricca», Rizzoli), per citarli tutti (una ventina).

Soltanto la generosità di ”Romaladrona” consente agli esponenti del Carroccio di vivere in questa doppia dimensione comoda, fra territorio e palcoscenico nazionale sul quale, in certi casi, si marca visita.

E sempre questa magnanimità, mal ripagata, può essere facilmente rilevata scorrendo la classifica dei giornali politici che ricevono soldi pubblici. Il Dipartimento per l’editoria della presidenza del consiglio ha elargito in sedici anni finanziamenti per un totale di 598 milioni di euro.

A chi sono andati? In testa alla lista c’è l’«Unità», ma subito dopo ecco «La Padania». Finanziata dalla ”suburra romana” contro la quale lancia ogni giorno fuoco e fiamme e da cui si vorrebbe fare traslocare i Palazzi che contano e che dovrebbero simboleggiare il ”magna magna” continuamente denunciato dai nordisti. I fustigatori dell’Urbe hanno ricevuto per il loro giornale 50 milioni.

Prendi i soldi e scappa? Chi non ha assolutamente intenzione di togliere le tende è la vice-presidente del Senato, la sindacalista leghista Rosi Mauro, la quale più che al servizio delle istituzioni è stata adibita alle cure personali di Bossi e infatti la chiamano: «la Badante». A volerla in quel delicatissimo ruolo, che lascia poco tempo per la carica a Palazzo Madama, è stata Manuela Marrone.

Ossia la moglie di Bossi, alla quale l’Urbe - in tempi di tagli terribili - ha regalato 800mila euro per la scuola «Bosina» di Varese, l’istituto padano e padanista, dove s’insegnano filastrocche locali e tante materie folk, da lei fondata e a cui tiene tantissimo. Quasi quanto ai riccioli del figliolo Trota.

I leghisti, del resto, danno amore e hanno bisogno d’amore. Sennò, non si spiegherebbe la vicenda piemontese. Che è all’insegna di quel «familismo amorale» - categoria che i sociologi coniarono per il Mezzogiorno clientelare - diventato tenero e insieme resistente collante per il Carroccio del nord-ovest.

Stiamo parlando dell’infornata di parenti che la Lega ha organizzato nella Giunta regionale a Torino. La figlia del capogruppo leghista lavora col governatore leghista. La moglie dell’assessore all’Ambiente lavora alla segreteria dell’assessore ai Trasporti.

Il capogruppo dei «Pensionati con Cota», Michele Giovine, al centro dell’indagine penale sulle firme false per la presentazione della sua lista alle ultime elezioni su cui pende l’annullamento per presunti imbrogli nello schieramento dei vincitori, ha alle dirette dipendenze sua sorella Sabrina.

Mentre Cota e il suo braccio destro, l’assessore allo Sviluppo economico, Massimo Giordano, intrattengono uno scambio coerente con lo slogan del nuovo governo locale («Dove c’è la Regione Piemonte, c’è casa»).

Ovvero hanno preso una coppia e se la sono divisa da bravi amici: Giuseppe Cortese è il responsabile dell’ufficio comunicazione di Cota e sua moglie, Isabella Arnoldi, è la responsabile dell’ufficio comunicazione di Giordano.

E così via, perchè se a un partito manca il cuore che cosa resta? I padanisti il cuore ce l’hanno così grande che, per aggirare la legge che vieta di assumere i propri parenti, è stato escogitato lo «scambio delle compagne».

L’ex presidente del consiglio regionale friulano Edouard Ballaman prese in ufficio la signora Laura Pace, compagna del compagno di partito ed ex sottosegretario agli Interni, Maurizio Balocchi, e Balocchi prese come collaboratrice Tiziana Vivian, alla quale Ballaman era legato prima di fidanzarsi e poi sposarsi con l’attuale compagna.

Quella con cui, dopo aver lanciato lo slogan «I potenti devono viaggiare in utilitaria», ha troppo a lungo scorrazzato in autoblù (è andato a prendere la nonna di lei, lo zio della fidanzata poi moglie e altri giri così).

Ballaman s’è accorto che stava esagerando e ha fatto il bel gesto di rinunciare alla macchinona (ma in cambio s’è fatto dare 3.200 euro di risarcimento per questo atto francescano) e infine è stato pizzicato per i suoi abusi e costretto alle dimissioni poche settimane fa da presidente del consiglio regionale friulano.

Spostandosi di poco, in Veneto, ecco la Provincia leghista di Treviso che si regala spot tv da 200mila euro. O i lampadari da novemiladuecentoquaranta euro del pubblico erario comprati per la sede della Provincia a Venezia.

Con la seguente motivazione, da parte della presidentessa Francesca Zaccariotto: «Mica potevamo mettere un neon!». Proprio le province sono il punto debole dei crociati in lotta contro Roma Sprecona. «Non posso abolirle, perchè la Lega scatena la rivoluzione», si lamenta Berlusconi.

Ed è proprio così. A dispetto del fatto che, nelle Province, il debito ha raggiunto quota 11,5 miliardi (200 euro a cittadino), correndo più in fretta - ma non quanto l’onorevole leghista Alessandri, il super-velocista da autoblù che prende multe a ripetizione ma non le vuole pagare perchè «i miei sono spostamenti istituzionali» - del debito dei Comuni.

Se il niet all’abolizione delle Province già ci costa quanto mezza manovra finanziaria di Tremonti, anche i ministri del Carroccio risultano piuttosto onerosi.

Giancarlo Galan, il berlusconiano ora titolare del dicastero dell’Agricoltura, ha fatto i conti in tasca al suo predecessore Zaia, attuale governatore veneto. Risultato? «Sono al corrente - scrive Galan in un suo dossier - del fatto che, per l’insieme delle iniziative di comunicazione, al ministero che ora dirigo c’è un bilancio non inferiore ai 50 milioni di euro l’anno. Che servono ad alimentare parassitismi comunicativi e banalità insensate».

Non sarebbe il caso a questo punto, invece di sacramentare contro il «centralismo» da suburra e di succhiare dalle mammelle della Lupa come tanti Romolo e Remo mascherati di verde, che al posto del «Va pensiero» i leghisti intonassero «Grazie Romaaaaa».



Scandali in salsa padana. La Lega diventa ladrona?
di Gianni Del Vecchio - www.europaquotidiano.it - 17 Settembre 2010

Se tre indizi bastano per fare una prova, figuriamoci quattro. L’estate 2010 ci restituisce una Lega Nord dall’immagine molto diversa da quella linda e pinta che si è faticosamente costruita negli ultimi dieci anni. Quattro casi, diversi fra loro, mostrano come il Carroccio ormai sia un partito come tutti gli altri, che deve fare i conti con gli effetti nefasti della seduzione del potere.

Dai concorsi pubblici truccati per far vincere le proprie militanti alla parentopoli in puro stile democristiano, dall’auto blu per andare in vacanza con la fidanzata alle foto compromettenti con i boss della ’ndrangheta.

Con gli uomini di Bossi che non possono neanche nascondersi dietro il logoro stereotipo degli integri padani che vengono corrotti dagli ammaliatori palazzi romani. Tutti questi casi sono capitati nel profondo Nord.

Vediamoli uno per uno, a cominciare dall’ultimo in ordine di tempo. Ieri Tommaso Labate sul Riformista ha ben spiegato la vicenda di un concorso per otto impiegati di concetto per la Provincia di Brescia.

Tutto comincia a fine dicembre 2008: le candidature sono oltre settecento, ma alla prima prova, quella scritta, si presentano in 240. A fine ottobre del 2009 escono le graduatorie, che vedono 38 ammessi al passo successivo, la prova orale.

Di questi, l’anno dopo, otto vengono decretati vincitori. Qui però comincia il bello: la provincia è in mano al leghista Daniele Molgora nonché sottosegretario all’Economia; e sono leghisti ben cinque vincitori su otto. O meglio leghiste.

C’è la figlia di un candidato alle ultime regionali, la nipote di un assessore provinciale all’istruzione, la moglie del vicesindaco di Brescia e due collaboratrici dell’assessore provinciale alle attività produttive. Non c’è che dire: un pokerissimo verde per i leghisti bresciani.

Lo scandalo arriva poco dopo lo scoppio di una vicenda abbastanza simile in Piemonte, ossia la parentopoli che ha visto protagonista l’emergente Roberto Cota. Alla sua corte, ad esempio, lavora la figlia del capogruppo della Lega in consiglio regionale Mario Carossa, così come assieme al braccio destro del governatore, l’assessore Mario Giordano, lavora la moglie del responsabile comunicazione dello stesso Cota.

Un andazzo che alla regione si replica anche per gli altri partiti: tantissimi i casi nel Pdl, anche se alla fine il virus contagia anche i micropartiti della maggioranza come quello dei Pensionati e dei Verdi-Verdi.

Quando non c’è da sistemare un parente, ai leghisti piace scorazzare in auto blu. È il caso di Edouard Ballaman, presidente del consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, costretto alle dimissioni perché amava utilizzare la propria auto di servizio per fini personali. Come le vacanze a Caorle assieme alla moglie oppure le corse da e per l’aeroporto in occasione del viaggio di nozze.

In tutto si tratterebbe di una settantina di escursioni a carico dei contribuenti in poco più di un anno e mezzo, dal maggio 2008 al marzo di quest’anno.

Non si è invece dimesso da consigliere regionale il giovane leghista Angelo Ciocca, che anzi ha potuto godere del perdono di Bossi in persona che non ha voluto «buttarlo fuori», per usare le sue stesse parole. Nonostante quello di Ciocca sia il caso più imbarazzante per il Carroccio. A luglio il consigliere pavese è finito nell’indagine dei magistrati milanesi sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta al Nord.

Sebbene ancora formalmente non indagato, Ciocca viene fotografato mentre incontra il boss Pino Neri: gli inquirenti ipotizzano che l’oggetto dell’incontro fosse la vendita a Ciocca di un appartamento a un prezzo vantaggioso in cambio dell’interessamento a far eleggere un proprio candidato.