martedì 7 settembre 2010

Sakineh: strumento della propaganda occidentale anti-iraniana

Aumentano ogni giorno le pressioni sull'Iran per liberare Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna condannata a morte per concorso in omicidio e adulterio.

E non bastano ai raccoglitori di firme sparsi nel pianeta e ai vari avvoltoi politici del globo le dichiarazioni del governo iraniano che continuano a confermare la sospensione della condanna a morte, decisa fin dal luglio scorso, e il riesame del caso da parte degli organi giudiziari iraniani.

Anche oggi il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehmanparast, ha precisato che "La situazione della signora Mohammadi-Ashtiani è ancora sotto esame. Il verdetto per adulterio è stato sospeso e viene attualmente riesaminato. Un nuovo procedimento per omicidio e complicità in omicidio è all'esame della giustizia".

Aggiungendo giustamente che "Il caso di una sospettata di omicidio non deve diventare una questione politica o di diritti umani [...] Alcuni dirigenti occidentali, inclusi i ministeri degli esteri di Francia e Italia, si sono inseriti nella vicenda ma purtroppo sulla base di informazioni sbagliate [...] Invece che supportare un sospettato di omicidio, l'attenzione (dell'Occidente, ndr) dovrebbe essere dedicata ai familiari delle sue vittime".

In contemporanea a questo ennesimo baraccone propagandistico dell'Occidente contro l'Iran, ieri l'Aiea - l'Agenzia internazionale per l'energia atomica - ha espresso in un rapporto le sue preoccupazioni su un possibile progetto iraniano per costruire un missile nucleare.
Quando si dice il caso...

Nel rapporto l'Aiea spiega che dallo scorso maggio la produzione totale di uranio a basso livello di arricchimento sarebbe cresciuta di circa il 15%, mentre invece sarebbe calato il numero delle centrifughe per l'arricchimento dell'uranio.

La manovra a tenaglia contro l'Iran prosegue incessantemente.


Santa Sakineh, martire delle corna
di Gianluca Freda - http://blogghete.blog.dada.net - 6 Settembre 2010

La vicenda di Sakineh non è soltanto un indicatore di tensione geopolitica, è qualcosa di più, è una fotografia di che cos'è diventato l'occidente, di come si è modificato. Questa storia di Sakineh, ci racconta poco sull'Iran, di cui grazie alla propaganda sappiamo poche cose e confuse, ma ci racconta molto invece, sul nostro occidente.

Per l'occidente Sakineh è molto più che una semplice poveraccia a cui risparmiare una morte crudele, ma è una martire, un'adepta, una santa, una ''convertita'' ai ''nostri valori'' che muore per essi...

una figura che se fosse trasportata in occidente avrebbe un'autorità morale superiore al Papa, che parlerebbe da un pulpito come un Papa, perchè secondo me al giorno d'oggi è fin troppo facile prendersela con il Papa, con la Chiesa, perchè la Chiesa è ormai morta: chi se la prende invece con i nuovi dogmi, con la nuova chiesa di cui Sakineh è martire?

Questa è la nuova religione, di cui le donne occidentali sono diventate sacerdotesse, che non si può criticare, che dev'essere accettata come dogma.

Una volta l'occidente si incazzava se venivano uccisi dei cristiani, per esempio nella rivolta dei boxer in Cina, la Cina è stata punita con una spedizione apposita per aver ammazzato dei missionari. Allora per avere le opinioni pubbliche dalla loro parte si diceva che bisognava andare a difendere i cristiani, oggi invece in difesa di chi va in guerra l'occidente?

Le femministe svolgono in sostanza la stessa funzione che allora era propria della chiesa cattolica, forniscono un collante ideologico in funzione del quale l'occidente si mobilita, rendendo accettabile e anzi irrinunciabile la guerra per le opinioni pubbliche.

Viene spontanea la domanda, se in occidente, nel frattempo, la religione non sia cambiata...

Ora infatti c'è la religione del sesso libero (ma solo per lei), delle corna (ma solo per lei), dell'intangibilità della Donna, la quale ha rubato la D maiuscola a Dio.

Così come prima si veneravano coloro che rischiavano la vita per Cristo, oggi si venera chi rischia la vita per fare le corna. Questa, rendiamocene conto, E' LA NUOVA RELIGIONE.

Perchè qui non si chiede soltanto pietà per un'adultera, qui le si vuole costruire un monumento, dedicarle un dipinto, un'opera d'arte, un po' come una volta si faceva per i santi... santa Sakineh martire delle corna...

ma immaginate che cosa succederebbe se questa venisse in occidente, il tappetino rosso che le stenderebbero...

i soldi che prenderebbe facendo libri, immaginate gli applausi scroscianti mentre viene intervistata a ''Che tempo che fa'' da Fazio, manco fosse Gandhi...come se tradire e ammazzare il marito fosse un atto meritorio...

qui non si chiede pietà, qui ci si indigna, non solo come se lei fosse innocente, ma come se addirittura fosse una figura esemplare che ha fatto una cosa per cui andrebbe premiata.

Io capisco che si faccia così per un prigioniero politico, ma questa è in carcere per adulterio e omicidio colposo...

evidentemente si dà a questi atti un valore politico, una donna che tradisce e uccide il marito ha evidentemente aderito ai nostri valori, un'assassina, un'adultera viene vista come una femminista, prova in più di come le femministe considerino realmente sé stesse, COME DELLE ADULTERE ASSASSINE.

Questi sono i danni del femminismo, perchè noi siamo diventati l'Islam all'incontrario, dove viene chiesta in tv la castrazione fisica degli stupratori, ma ci si indigna per la legge del taglione islamico, solo se ovviamente ne fanno spese le donne, dove se l'uomo è tradito deve pure tirare fuori i soldi per mantenere lei e il suo amante... che una donna invece di ricevere soldi per questo debba ricevere pietre è una bestemmia inaccettabile...

ma tu prova a fare questi ragionamenti in televisione...verrai lapidato mediaticamente dalle nostre ayatollah. Eccoci nel nostro, di regime, mentre ci chiedono di mobilitarci per abbattere quello altrui, che nemmeno conosciamo.

Aggiungo soltanto che anche la storia delle lapidazioni in Iran è una bufala. Per quanto la lapidazione sia formalmente prevista dai codici, l’Iran ha posto fin dal 2002 una moratoria su questo tipo di pena capitale, tant’è vero che – come perfino i nostri media ogni tanto sono costretti ad ammettere, tra una lacrimevole sbrodolata e l’altra sui “diritti delle donne in Iran” – la pena cui Sakineh sarebbe condannata in caso di verdetto di colpevolezza per concorso in omicidio (non per semplice adulterio, come favoleggiato dai nostri giornali) sarebbe l’impiccagione, non la lapidazione.

Tutte le notizie di lapidazioni in Iran dopo il 2002 vengono da fonti occidentali e non sono mai state confermate (e anzi sono state ripetutamente smentite) dalle autorità iraniane. Inoltre, nel 2008 è stato presentato al Parlamento iraniano un progetto di legge che chiede di eliminare anche formalmente la menzione della lapidazione dai codici penali. La revisione del sistema penale iraniano, in corso dal giugno 2009, mira, tra le molte altre cose, anche a questo obiettivo.

Paesi in cui la lapidazione è effettivamente praticata sono l’Afghanistan e l’Arabia Saudita (che prevede per le adultere anche la pubblica decapitazione), ma raramente vengono citati dalle cronache, trattandosi di “protettorati” o di alleati degli Stati Uniti. Anche Israele non scherza: qui potete vedere (se ve la sentite) le immagini della lapidazione di una donna palestinese ad opera di alcuni soldati dell’esercito israeliano.

En passant, ricordo anche che negli Stati Uniti, in Virginia, sta per essere giustiziata Teresa Lewis, per crimini non troppo dissimili da quelli di Sakineh (anche lei aveva organizzato l’omicidio del marito, insieme a quello del figliastro). Curiosamente, i giornali occidentali non hanno dedicato alla sua vicenda neppure un millesimo dello spazio dedicato a Sakineh, niente petizioni pubbliche, niente accorate rimostranze contro la disumanità del sistema penale americano. I riflettori della propaganda, evidentemente, non sono programmati per accendersi sulla barbarie dei dominanti.



Prostitute
di Andrea Marcon - www.movimentozero.org - 7 Settembre 2010

Povera Carla Bruni. Il passaggio da fotomodella coccodè a first lady si poteva anche accettare, del resto da un personaggio tutta immagine-niente sostanza come Sarkozy ci si può aspettare simili scelte in materia di donne. Ma che queste ex veline, non appena conoscono i fasti della celebrità politica, si ergano anche a paladine dei diritti delle donne e passino dal trombare al tromboneggiare è veramente un’abitudine insopportabile.

E se una Carfagna fino ad oggi l’ha passata liscia, Carla Bruni (per questo, appunto, “povera”) pare sia stata pesantemente attaccata da un quotidiano iraniano per il suo appello contro la lapidazione dell’adultera Sakineh.

Se volessi fare il “politically correct” dovrei subito precisare che, per carità, noi non siamo favorevoli alla lapidazione e neppure alla condanna delle adultere, che i diritti delle donne vanno rispettati, che la discriminazione nei loro confronti è odiosa e bla bla bla.

Mi/vi risparmio questi preamboli perché, sinceramente, di Sakineh non me ne frega niente, come non frega niente a Carla Bruni e a tutti gli altri milioni di ipocriti o idioti che hanno sostenuto l’appello contro la sua lapidazione. Non può esistere un reale interesse o un vero dolore nei confronti di una persona che non si conosce minimamente, lontana migliaia di chilometri e goccia nel mare delle infinite morti e ingiustizie che affliggono il nostro pianeta.

La battaglia e l’interesse, tuttalpiù, sarebbero contro la pena di morte o la difesa dei diritti delle donne e la firma di un appello, preferibilmente su Facebook, il modo migliore e più facile per sentirsi autore di una buona azione. Poi magari il proprio vicino di casa picchia la moglie a sangue tutti i giorni ma non ce ne frega niente.

E, allora, se il nocciolo della questione non è la persona Sakineh ma quello che rappresenta, possiamo tranquillamente affermare che la presunta (perché sappiamo tutti l’attendibilità di certe traduzioni) accusa di “prostituta” rivolta a Carla Bruni da parte del giornale iraniano è da criticare solo perché pecca in difetto: prostituta (intellettualmente, il che è infinitamente peggio che fisicamente) non è solo Carla Bruni ma anche ciascuno di coloro (e sono decine di migliaia, potenzialmente milioni) che sostengono questa battaglia per salvare la giovane iraniana.

E’ infatti evidente che si tratta dell’ennesimo, penoso e vergognoso pretesto per attaccare l’Iran e preparare il terreno mediatico a quell’attacco militare che USA e Israele pianificano da anni. Lo spauracchio nucleare, la demonizzazione in chiave nazista di Ahmadinejad, le inverosimili accuse di brogli in occasione delle elezioni di quest’ultimo e il conseguente ipocrita sdegno per l’ingigantita repressione degli oppositori al “regime” evidentemente non sono bastate, ci voleva anche il pietoso caso umano dell’innocente da salvare dai barbari.

E gli appelli per tutte le adultere condannate alla lapidazione in Arabia Saudita? Ah già, non si possono salvare tutti, meglio lasciar stare gli amici dell’Occidente.

Qualcuno obietterà: non tutti i sostenitori dell’appello per Sakineh sono prostitute intellettuali, la maggior parte sono persone in buonafede ingannate dalla propaganda di regime (quello vero, il nostro). Probabile, ma non li giustifico. Invece di scrivere stronzate su face book usino internet per informarsi. Oppure tornino ai propri affari, se sono donne magari spendano il loro tempo a tradire i mariti. In Iran, possibilmente.



La strumentalizzazione occidentale
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 7 Settembre 2010

La mobilitazione internazionale a favore di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per adulterio e complicità nell'omicidio del marito (i due fatti, se le accuse sono veritiere, sono, con tutta evidenza, collegati), sarebbe totalmente condivisibile se fosse stata centrata esclusivamente sulla modalità dell'esecuzione: la lapidazione.

La lapidazione infatti va oltre la pena di morte, è una tortura. Una tortura, se si può dir così, a fuoco lento (le pietre non devono essere né troppo grosse, così da uccidere all'istante la condannata, né troppo piccole da non farle male).

Ora, un uomo, in determinati e precisi casi, può essere lecitamente ucciso ma mai torturato o umiliato, tant'è che la tortura, almeno formalmente, non è legittimata in nessuno Stato del mondo nemmeno in tempo di guerra (anche se gli americani l'hanno usata a piene mani a Guantanamo – con l'ipocrito escamotage che era fuori del territorio degli Stati Uniti – e nel modo più sadico, ignobile e schifoso a Abu Ghraib dove è venuto a galla tutto il marciume morale della cosiddetta “cultura superiore”).

Ma la mobilitazione internazionale, per meglio dire: occidentale, non contesta solo la lapidazione, ma anche la pena capitale inflitta alla donna e anzi la vuole “subito libera”.

Davanti a una immagine di Sakineh che, per iniziativa del governo italiano, campeggia da tre giorni all'ingresso di Palazzo Chigi il ministro degli Esteri Franco Frattini e quello delle Pari opportunità Mara Carfagna hanno dichiarato “Finché Sakineh non sarà salva o libera il suo volto ci guarderà dal palazzo del governo italiano”.

Ora, la pena di morte è in vigore anche in Paesi considerati campioni della civiltà, come gli Stati Uniti, e nessuno Stato lascerebbe a piede libero un assassino. Quanto all'adulterio è considerato un reato meritevole della pena capitale non solo in Iran ma in molti altri Paesi islamici che hanno una cultura e una morale diversissime dalle nostre soprattutto per quel che riguarda la famiglia.

La domanda è questa: le sentenze di un Tribunale iraniano su fatti che quel Paese considera reati gravi sono ancora sentenze di uno Stato sovrano o devono essere sottoposte ai Tribunali popolari dell'Occidente?

E può Sarkozy dichiarare che Sakineh “è sotto la protezione della Francia”? Allora sia coerente e dichiari formalmente guerra all'Iran in nome dei principi in cui dice di credere, invece di continuare a farci cospicui affari (la Francia è il secondo partner commerciale europeo dell'Iran, dopo l'Italia).

Questo il quadro di principio. Ma dietro i principi ci sono le persone in carne e ossa. In questo caso una giovane donna di 42 anni che rischia da un momento all'altro di essere giustiziata. È l'eterno conflitto fra pietas umana e la legge (dura lex sed lex dicevano i Romani), fra Antigone che, contro la legge, seppellisce il fratello Polinice in terra consacrata e il re Creonte che quella legge deve far rispettare e la condanna a morte. È l'eterno dilemma fra Libertà e Autorità così profondamente scandagliato da Dostoevskij nell'apologo de Il Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov.

L'Iran non ha alcun obbligo giuridico di fornire all'Occidente le prove che la sentenza del suo Tribunale è giusta, anche perché qui non ci troviamo di fronte a un oppositore politico ma a una persona accusata di reati comuni e non si vede quale interesse avrebbe mai la giustizia iraniana ad accanirsi arbitrariamente su di essa.

Ma l'Iran è però un grande, colto e civile Paese, molto più civile di quanto lo facciano gli occidentali, e dovrebbe avere la sensibilità, anche politica, di capire che su un caso che è comunque sotto gli occhi di tutto il mondo ha l'obbligo morale di dare sulla reale colpevolezza di Sakineh informazioni maggiori e più trasparenti di quante ne abbia date finora, senza per questo sentirsi diminuito nella propria sovranità, anche se sappiamo benissimo che questa vicenda viene strumentalizzata in funzione della tambureggiante campagna contro Teheran di Stati Uniti e Israele.

Perché, a questo punto, un'esecuzione al buio sarebbe altrettanto inaccettabile di quella liberazione al buio che vorrebbero il ministro Frattini e Bernard-Henri Lévy.


Una campagna “d'autore” a favore di Sakineh Ashtiani.... o contro l'Iran?
di Lorenzo Borrè - www.ariannaeditrice.it - 7 Settembre 2010

Sono contrario, da sempre, alla pena di morte e mi fa orrore la sola idea della lapidazione, ma non ho firmato e non firmerò la campagna d'autore promossa da Bernard Henry Levy per la liberazione di Sakineh Ashtiani, né firmerò gli appelli lanciati da altri bei nomi del mondo artistico e intellettuale (molti dei quali già sottoscrittori, come il maitre a pensèr franco-tunisino, dell'appello salvacondotto per il regista Roman Polanski).


La contrarietà alla pena capitale (in ogni sua forma: dalla meno violenta a quella più efferata) non fuga infatti perplessità e dubbi, che invece sembrano non sfiorare le decine di migliaia di persone che hanno sottoscritto l'appello dando per certo che la condanna della donna azera sia il frutto di un processo farsa, basato su un'istruttoria condotta sul modello di quella descritta da Alessandro Manzoni nella “Storia della Colonna Infame”.


Ecco: io non so in base a quali dirette, concrete conoscenze del caso giudiziario, i sottoscrittori dell'appello possano affermare con sicurezza quanto in esso si sostiene e cioè che non vi siano prove della colpevolezza della Ashtiani e che la confessione di colpevolezza sia stata estorta con la tortura, e che quindi la Ashtiani debba essere liberata.


Mi sembra però che la campagna si stia trasformando, se già non lo era in partenza, più in un battage propagandistico contro l'Iran che in un appello a favore della donna azera.


L'impressione è che le notizie sul “caso Sakineh”, o meglio le “novità” sulle finte esecuzioni e su angherie simili, siano immesse nel circuito mediatico senza alcun vaglio critico; da ultimo quella relativa alle novantanove frustate che sarebbero state inferte alla donna per la pubblicazione di una sua foto senza velo islamico (foto che invece raffigurava un'altra persona; pare una dissidente iraniana) sul London Times.


La notizia è già stata smentita dall'ex avvocato della Ashtiani, il quale ha affermato che la pena non sarebbe stata ancora eseguita.


La smentita ha un qualcosa di pleonastico, ma dimostra la consistenza delle fonti su cui si fonda la campagna: chi ha avuto modo di vedere la foto pubblicata dal London Times può facilmente accorgersi che la donna rappresentata dalla foto del giornale inglese raffigura una donna dai lineamenti assai diversi da quelli della Ashtiani.


Immagino pertanto che anche il più miope degli aguzzini fosse in grado di rendersi conto che si trattava di due donne diverse e che pertanto non vi era alcun motivo (ancorchè abominevole) per punire la Ashtiani per una foto di un'altra donna.


Sembra però che gran parte dell'opinione pubblica sia refrattaria a qualsiasi considerazione critica e ciò grazie alla acquisita permeabilità rispetto a qualsiasi notizia negativa che riguardi, in generale, l'Iran, considerato (immotivatamente) uno Stato retrogrado e primitivo.


Una falsa immagine che ha consentito di accreditare, in un primo momento, la versione secondo cui la donna azera era stata condannata alla lapidazione solo perchè ritenuta colpevole di adulterio, anzichè -come poi ci hanno consentito di apprendere- di concorso in omicidio.


Se la questione non riguarda più la lapidazione per adulterio, ma la pena di morte per omicidio, il dramma personale di Sakineh Ashtiani assume carattere universale per via della non accettabilità della pena di morte come sanzione.


Questione che però riguarda, oltre all'Iran, altri 49 Paesi che applicano "ordinariamente" la pena di morte (e altri 48 Paesi i cui ordinamenti la prevedono); ma riguarda soprattutto le anonime migliaia di uomini e donne , i cui volti non vedremo mai appesi sui muri di qualsivoglia municipio o ministero, nonostante qualcuno di loro sia (statisticamente) innocente.


E a favore dei quali, nessuno escluso o esclusa, lancio il mio personalissimo, e soprattutto modesto, appello affinchè tutti gli Stati aderiscano alla moratoria contro la pena capitale.