martedì 28 settembre 2010

Sakineh-Lewis: disgustoso doppiopesismo


Oggi il procuratore generale iraniano Gholam-Hossein Mohseni-Ejei ha annunciato la condanna a morte di Sakineh Mohammadi Ashtani, la donna accusata di complicità nell’omicidio del marito e di adulterio.

Sakineh, secondo quanto scrive il Teheran Times, è stata condannata per la complicità nell'omicidio, ma non per l'adulterio, e sarà giustiziata per impiccagione.

Comunque il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehman-Parast, ha poi fatto sapere in mattinata che "le procedure legali non sono concluse, un verdetto sarà deciso quando saranno terminate", lasciando intendere come siano possibili ancora piccoli margini di manovra per evitarle il cappio al collo.

Margini che invece non ci sono stati per Teresa Lewis, giustiziata con iniezione letale la settimana scorsa negli Usa per ever commesso lo stesso crimine di cui è accusata Sakineh. Ma nessuno in Occidente ha mosso un dito nè ha lanciato petizioni per raccogliere firme contro l'esecuzione della sua condanna a morte.

Il solito noioso e disgustoso doppiopesismo che ha veramente nauseato.


La Sakineh di Teheran è viva. Quella della Virginia é morta.
di Pino Nicotri - www.pinonicotri.it - 24 Settembre 2010

La Sakineh di Teheran è viva. Quella della Virginia, l’handicappata Teresa Lewis, è stata invece uccisa questa notte. Nel vergognoso silenzio dei professionisti dei due pesi e due misure come Bernard Levy e Carla Bruni Sarkozy. Woody Allen: “La stampa racconta balle”. As usual

E dunque la Sakineh statunitense che risponde al nome di Teresa Lewis e di cui tutti ce ne siamo bellamente fregati, anzi strafregati, è stata puntualmente giustiziata. Ovvero uccisa legalmente.

Con una iniezione letale dopo averla legata come un Cristo donna a un lettino a forma di croce per poterle infilare il veleno nelle arterie. Ci sono giornali che pudicamente, o meglio ipocritamente, nascondo tutto sotto il tappeto di “un cocktail di barbiturici che le ha fermato il cuore”.

Insomma, un po’ come se fosse andata al bar e avesse bevuto un cockail sbagliato, o meglio: il cocktail della Giustizia… Made in Usa. Più esattamente, in Virginia.

Quando l’hanno uccisa in Europa erano le 3 di notte. Anche in Francia, e la signora Carla Bruni sposata Sarkozy se la dormiva beatamente come il figo filosofo maestrino di pensiero Bernard Levy, che si mobilita solo se c’è da dare addosso all’Iran. Che miserabili.

I fatti.

Alla pari della coetanea iraniana Sakineh, Teresa Lewis è stata condannata a morte per avere in qualche modo collaborato all’uccisione di suo marito Julian e del figliastro Charles, delitti compiuti nel 2002 allo scopo di incassare i soldi di una polizza di assicurazione, 250mila dollari, e fuggire con l’amante.

Intervistata in carcere dal Washington Post, Teresa ha ammesso le sue responsabilità ed espresso rimorso senza accampare scusanti: “Non ho premuto il grilletto quel giorno, però feci del male, lasciai che due persone fossero uccise. Questo lo so. Ho tradito due persone che amavo. Ma ho paura della morte, vorrei continuare a vivere”. Desiderio non esaudito: di continuare a vivere non gliel’hanno permesso.

Questa condanna a morte ha vari lati orribili, oltre a quello intrinseco di ogni condanna capitale. Il primo è che Teresa è una ritardata mentale, il suo quoziente di intelligenza è solo 72: vale a dire, appena due punti sopra l’incapacità di intendere e di volere.

Il secondo è che la sua domanda di grazia è stata respinta proprio perché per quei due miserabili punti: “Teresa Lewis non rientra nella definizione legale di una ritardata mentale”, ha seraficamente dichiarato il governatore Robert McDonnell.

La definizione legale scatta infatti a quota 70. Ma è il terzo lato orribile il più incredibile e orribile di tutti: mentre lei è stata condannata a morte, gli autori materiali del delitto - tali Shallenber e Fuller - sono stati invece condannati NON alla pena capitale, bensì all’ergastolo. Incredibile, ma vero. Orribile, ma vero.

A dire il vero di lato orribile ce n’è un altro: si tratta infatti di una sentenza chiaramente discriminatoria verso le donne. Gli esecutori materiali, coloro cioè che il grilletto lo hanno premuto, sono di sesso maschile, e pur avendo la responsabilità maggiore non sono stati condannati a morte, anche se pare che uno dei due si sia suicidato in carcere.

Il giudice Charles Strauss si è scagliato principalmente contro Sakineh, pardòn, Teresa, definendola “la testa del serpente” del duplice delitto. Come faccia un “serpente” con la testa da handicappato a subornare due uomini fino a renderli assassini è un bel mistero, ma mister Strauss non bada a queste quisquillie. Lui, da bravo yankee pronipote dei cow boy dalla pistola e dall’impiccagione facile, nonché inventori del linciaggio, è un vero macho e spara sentenze.

Come si vede, i casi della Sakineh iraniana e della Sakineh statunitense di nome Teresa Lewis sono pressocché identici, ma il secondo è più grave. E’ più grave sia per l’handicap della Sakineh della Virginia sia per il fatto che a differenza della Sakineh iraniana è stata uccisa per davvero. Nella nostra beata indifferenza.

Non ha detto “bah” neppure l’eroica signora Carla Bruni in Sarkozy, che credo avrebbe fatto meglio a firmare prima di tutto contro la decisione di suo marito di spingere i rom a togliersi dai piedi della Francia. Per non parlare del filosofo fighetto Bernard Levy, l’organizzatore della campagna a favore della Sakineh di Teheran: per quella della Virginia ha preferito fottersene.

Embé, i due pesi e due misure mica sono pizza e fichi! Tanto meno lo sono la forsennata volontà di diffamare l’Iran in ogni modo per poter facilitare la sospirata invasione o almeno gli agognati bombardamenti “chirurgici”. La gente miserabile a volte è molto miserabile. Si parva licet, dove sono i Marco Tempesta che reclamano attenzione per TUTTI e comunque MAI per i casi disperati? Vallo a sapere. Dormono beati il sonno del giusto. O della ragione?

Non è la prima volta che negli Usa mandano a morte un handicappato e - se non ricordo male - perfino una persona che aveva commesso il delitto quando era minorenne. Ma neppure questo è bastato ai pii e virtuosi Carla Bruni e Bernard Levy per mobilitarsi o almeno interessarsi della povera disgraziata d’Oltreoceano. Su Carla Bruni non c’è molto da dire: scegliersi la causa umanitaria “giusta”, indovinata, aiuta la propria immagine, la promuove, provoca buona pubblicità.

Sul signorino Levy vale però la pena aggiungere qualche parola. Questo autentico fissato contro l’Iran è uno dei massimi teorici dell’impossibilità di usare con Teheran qualsiasi carota, qualsiasi deterrente che non sia la guerra o almeno una grandinata di bombe.

Ecco cosa ha dichiarato il fighetto parigino il 22 agosto del 2006 al Wall Street Journal, ovviamente glissando sul fatto che le armi atomiche le ha la sua amatissima Israele e non altri in Medio Oriente: “C’è una differenza radicale tra la Repubblica islamica dell’Iran e gli altri governi con armi nucleari. Questè differemza è dovuta alla visione apocalittica del mondo degli odierni governanti dell’Iran. Questa visione […] condiziona chiaramente la percezione e le linee politiche di Ahmadinejad.

La minaccia di una rappresaglia [nucleare] contro l’Iran è inefficace di fronte al complesso del suicidio e del martirio che affligge oggi parte del mondo islamico […]. In questo contesto, la reciproca distruzione assicurata, cioè il deterrente che ha funzionato così bene durante la Guerra Fredda non avrebbe alcun significato […]. Per gente che la pensa a quel modo non sarebbe un freno, ma al contrario un incentivo”.

Questa idiotissima tesi dell’aspirazione al suicidio atomico di buona parte dell’Islam, e comunque dell’Iran, è stata ripresa nello stesso periodo - guarda caso sempre nel 2006 - in Italia da Mario Pirani su Repubblica.

Pirani è un ottimo giornalista, ma è legittimo pensare che gli faccia velo l’avere partecipato alla guerra del ‘48 in Israele contro arabi e palestinesi. Inoltre, come ho già avuto modo di dire in precedenza, ha disinvoltamente confuso tra bombe atomiche, A, e bombe H, all’idrogeno, enormemente più potenti, pur di accreditare - già 4 anni fa! - l’idea che l’Iran punti perfino alle H. Ma ovviamente tacendo che, secondo vari autori ed esperti, ad avere la bombe H oltre alla atomiche è Israele!

Ho detto che si tratta di una tesi idiotissima, e aggiungo che è falsa in modo dimostrabile: finora infatti il regime iraniano, per quanto detestabile come tutti i regimi teocratici, ha mostrato una grandissima elasticità e capacità di compremessi e moderazione pur di NON offrire né agli Usa né a Israele la scusa buona per attaccarlo. Anche perché l’Iran porta ancora le ferite degli 8 anni di guerra scatenatagli contro dall’Iraq di Saddam, aizzato dall’Occidente, ed è in piena ricostruzione e rilancio. Meno propensi al suicidio di così…

Levy dunque mente. E, spiace dirlo, sulla sua scia sbaglia Pirani. Ma proseguiamo. Il fighetto di Parigi in quell’indecorosa e alluncinata intervista al Wall Steet Journal del 6 agosto 2006 arriva al ridicolo. Ha infatti anche affermato che per l’allora imminente 22 agosto di quell’anno, 2006, probabilmente Ahmadinejad tramava qualcosa di apocalittico. Perché? Perchè qual giorno il calendario musulmano celebra l’ascesa al cielo di Maometto sul suo celebre cavallo.

Motivo per cui secondo l’imbecillità in malafede del monsieur parisienne quella poteva essere la data migliore, la più appropriata per Ahmadinejad per scatenare - udite udite!!! - la fine apocalittica di Israele e se necessario del mondo! Roba da ricovero immediato alla neuro dell’aspirante ma fallito profeta biblico di Parigi. Mestatore da strapazzo, ma riverito maestrino del pensiero (agitato, affabulatorio e ipercinetico quanto il nostro filosofo fighetto politicamente inconcludente Massimo Cacciari, ma tralasciamo).

Levy dovrebbe semmai prendersela con quella parte di rabbinato fanatico e con gli altrettanto fanatici fondamentalisti cristiani degli Usa che - come a volte ricorda Noam Chomsky, ebreo contrario al sionismo - sognano per davvero l’Armageddon, detto anche Apocalisse o Fine del Mondo, e cercano pure di favorirlo: i primi non so bene per quale motivo religioso, i secondi perché con l’Apocalisse tornerebbe finalmente Gesù Cristo sulla terra e instaurerebbe finalemente il regno dei cieli…. C’è bisogno di commenti? Non credo.

La conclusione però è che qualunque cosa dica monsieur Levy non gli si può credere, stando la sua cantonata galattica dell’agosto 2006, per non parlare delle altre. Vedasi il continuo battere e ribattere non solo suo, ma di tutti un po’, sulle “bombe atomiche iraniane”. Che non solo non esistono, ma l’Iran, come ha dichiarato anche Ahmadinejad all’Onu ieri, non ha nessuna intenzione di produrre. Ovviamente l’Iran chiede che se ne privino anche gli altri, compresa Israele.

Purtroppo però Levy non lo hanno ricoverato al manicomio. E così ha potuto continuare a straparlare, seminando altro veleno contro l’Iran, gli arabi e l’islam, e lanciando la bufala della “lapidazione” di Sakineh, quella iraniana, perché colpevole di adulterio quando invece è stata condannata a morte sì, ma per concorso in omicidio:reato piuttosto grave, come dimostra il caso della sua omologa della Virginia. O no?

A me risulta che in Iran la lapidazione non esiste più da anni, però sospendo il giudizio in attesa di notizie più certe: purtroppo infatti i miei contatti in Iran pare siano svaporati o privati del telefono o hanno cambiato numero. I rifugiati politici che vivono a Roma mi hanno detto che la lapidazione esiste, ce ne sono 12 in attesa e una sarebbe stata eseguita un anno fa vicino Teheran, ma dei rifugiati politici non sempre c’è da fidarsi.

Non voglio pensare che abbia mentito perfino Amnesty International, ma è un fatto che sulla motivazione della condanna a morte ha mentito. Ecco infatti cosa si legge sul suo sito all’URL http://www.amnesty.it/pena_di_morte_Iran_lapidazione_adulterio : ” Sakineh Mohammadi Ashtiani è stata condannata nel maggio 2006 per aver avuto una “relazione illecita” con due uomini ed è stata sottoposta a 99 frustate, come disposto dalla sentenza. Successivamente è stata condannata alla lapidazione per “adulterio durante il matrimonio” “. Come si vede, anche Amnesty il concorso in omicidio lo nasconde sfacciatamente!

Dell’Iran ancora un paio di anni fa si diceva e si scriveva ovunque la gigantesca frottola e calunnia che per poter eseguire le condanne a morte di donne minorenni o nubili, e perciò ufficialmente vergini, quelle disgraziate venivano date in pasto a carcerieri perché le stuprassero, in modo da poterle giustiziare perché la legge vieta l’esecuzione capitale di vergini.

A che bassezze spinge l’odio e la volontà belluina di aggredire un Paese “nemico”. Lo stupro delle vergini condannate a morte, la “bomba atomica iraniana”, la volontà dell’Iran di “distrugere a tutti i costi Israele”… e via mentendo e ingannando.

Ecco perché questa storia della lapidazione nell’Iran di oggi è da prendere con beneficio di inventario. In un regime teocratico non si può purtroppo eslcudere nulla, perché sono da sempre i regimi delle peggiori nefandezze, vedasi l’intera storia dello Stato pontificio. Però prima di accettare versioni sicuramente non disinteressate è bene dubitare. E informarsi.

Ripeto, a scanso di equivoci: ho firmato e ho proposto ai lettori di questo blog di firmare l’appello a favore della Sakineh di Teheran, perché sono contro qualunque tipo di pena di morte, comprese quelle per impiccagione usate in Iran e quelle di vario tipo usate negli Stati Uniti.

Che, forse il nostro fighettone di Parigi non lo sa, sono il Paese che - in brutta compagnia con l’Iran, la Cina e l’Arabia Saudita - ha una Giustizia che le condanne morte più le usa e le abusa. Levy in tema di lapidazioni si dia da fare contro il nostro alleato politico militare Arabia Saudita, che ancora le imbastisce, per giunta in piazza. Magari getti nella spazzatura la bibbia almeno nelle parti in cui alla lapidazione si applaude.

E magari rifletta anche sull’orribile armamentario dei vari tipi di pena di morte negli amati Stati Uniti: frittura sulla sedia elettrica, soffocamente nella camera a gas, crocifissione al lettino con le iniezioni mortali e, usata di recente anche se rarissima, riduzione a colabrodo con la fucilazione. L’Iran e la Cina hanno meno fantasia: il primo impicca, il secondo fucila. Non gasano né crocifiggono né arrostiscono i condannati.

Ho firmato per la Sakineh di Teheran. Ma sono stato ingannato e defraudato perché nessuno ha detto che c’era una Sakineh in Virginia, Teresa Lewis, per la quale valeva pure la pena firmare un appello perché fosse lasciata vivere. Ho così scoperto una cosa che onostante la mia età ed esperienza non avevano ancora capito: a volte i benefattori hanno in realtà la coscienza e almeno una mano lorde di sangue.

Preferisco non commentare il nuovo schiaffo di Israele sferrato in queste ore all’Onu in faccia ad Obama con la ridicola scusa dell’”importante festa religiosa”. Mi limito a ripetere che la famosa minaccia di “distruzione di Israele” attribuita nell’autunno 2005 ad Ahmadinejad - e da allora incollatagli addosso per giustificare l’ingiustificabile, compreso i bassi deliri levyani - è una balla.

Lo ha già chiarito lo stesso Ahmadinejad più volte, anche in tv a New York nel programma di Larry King. Non è certo un caso che Ahmadinejad, per me comunque indigesto al pari di un Avigdor Lieberman, abbia cordiali rapporti con non piccole fette di rabbinato, a partire dai Naturei Karta.

Anche a voler tralasciare Ahmadinejad, che potrebbe avere mentito a Larry King, c’è da dire che il docente Juan Cole, dell’Università del Michigan, è tra gli studiosi che hanno già messo in chiaro come il leader iraniano sia rimasto vittima di una cattiva traduzione: NON ha mai parlato della necessità di “cancellare Israele”, ma si è invece limitato a ripetere in lingua farsi un concetto già espresso a suo tempo da Khomeini: vale a dire, che spesso Paesi potenti “svaniscono dalla pagina della Storia”. “Come l’Unione sovietica e la stessa monarchia iraniana”, ha aggiunto Ahmadinejd nel suo discorso “stranamente” travisato e stravolto.

Dov’è la minaccia di “distruzione”, per giunta nucleare, nel dire che “Israele svanirà dalla pagina della Storia come l’Unione Sovietica e la monarchia iraniana”? Oltretutto, si noti bene, questi due regimi, quello sovietico e quello dello scià, sono “svaniti” senza neppure sparare un colpo!

Non una bomba atomica, si noti altrettanto bene, bensì neppure una bombetta a mano o una fucilata. Grosso modo, e a occhio e croce, è la fine che farà il castrismo a Cuba: svanirà forse perfino prima dello svanire all’altro mondo dei fratelli Castro. Svanirà pacificamente, almeno si spera.

Senza dimenticare che a volerlo fare sparire nel sangue sono stati non l’Iran, ma gli Usa. Esattamente come hanno fatto con le democrazie locali in Cile, in Argentina, in Congo, in Indonesia e altrove. Lo hanno fatto anche in Iran, assieme al lacché inglese, quando vi hanno organizzato il colpo di Stato che uccise la neonata democrazia iraniana strangolando il governo democraticamente eletto di Mossadeq.

Questi sono i fatti e questa è la Storia. Non le puttanate dei vari Levy e altri furbi “umanitari”. Ambé, certo: poi c’è papa Ratzinger che a Londra rifila balle su “Hitler ateo”, quando invece era cattolico e il cocco di papa Pio XII oltre che dell’intera gerachia della Chiesa tedesca, e ci sono milioni di “credenti” (alle balle) che ci credono onde liberararsi dei sensi di colpa e delle code di paglia lunghe mille chilometri.

E che anche a Londra, come già a New York e in Australia, oltre che in Vaticano-Italia, rifila la balla della “scarsa vigilanza” della Chiesa sulla pedofilia di troppo suoi preti e vaste masse di “credenti” (alle balle) se la bevono di corsa perché, as usual, certe verità non potranno mai ammetterle.

Il buon papocchio tedesco, volontario della Gioventù Hitleriana fino alla bella età di anni 16, è assecondato da tutti i mass media nel suo continuo nascondere che a dare l’ordine, per iscritto, di tacere alle autorità civili qualunque notizia sui preti pedofili è stato lui, in tandem con Tarcisio Bertone, oggi segretario di Stato del Vaticano cioè Numero Due dopo il Numero Uno papa Ratzinger.

L’anno infatti firmato loro, nel giugno 2001, quello sciagurato ordine ai vescovi di tutto il mondo, in qualità rispettivamente di capo e vice capo della Congregazione per la dottrina della fede (l’ex orripilante Sant’Uffizio).

E se non fosse stato per lo stop imposto da George W. Bush a un tribunale del Texas l’ottimo papa Ratzinger per quell’ordine scritto sarebbe stato processato e sicuramente condannato dai giudici che si occupavano di uno dei tanti casi di stupro di preti ai danni di minori.

Che pena vedere Bertone, l’impresentabile complice dell’ordine planetario “Salvate il prete pedofilo”, affianco al nostro presidente della Repubblica per festeggiare la breccia di Porta Pia e la presa di Roma.

Il Vaticano avrebbe dovuto avere almeno il buon gusto e la decenza di mandare a quella cerimonia, la prima con un prelato in sua rappresentanza ufficiale, qualcun altro, ma NON il cardinal Dentone, pardòn, Bertone, coprotettore del clero pedofilo.
Povera Italia.

Deve essere vero che il papa ha inviato felice il suo pur impresentabile segretario di Stato perché è ormai chiaro come la breccia di Porta Pia non sia servita tanto all’Italia per dilagare a Roma e nello Stato Pontificio quanto invece al Vaticano per dilagare in Italia…

E che pena vedere i giornali intossicati dai veleni e dalle grasse corruzioni berluscone abboccare come gonzi all’amo del “clamoroso documento” dello Stato caraibico di S. Lucia, che avrebbe dovuto dimostrare come il famoso appartamento di Montecarlo è stata un rapina di Gianfanco Fini pro domo mulieris.

Ai mascalzoni strapagati, già rei di assassinio professionale ai danni di Dino Boffo, sono sfuggite sia le grossolanità del “documento” (anche un orbo vede che manca il numero di protocollo) sia la memoria del “conte Igor”.

Vale a dire, non si ricordano più neppure della delinquenziale truffa che alcuni membri berluscon-finiani della commissione parlamentare Telecom Serbia ordirono con un rottame umano per diffamare in un sol colpo sia Massimo D’Alema che Romano Prodi accusandoli, con prove false, di avere lucrato una marea di miliardi con la (s)vendita di Telecom Serbia. Il “conte Igor”, il “supertestimone” mitomane e/o comprato, è finito in galera, i commissari felloni invece no, sono pure stati rieletti.

E i giornalisti sensibili al soldo berluscone, velocissimi a dare credito al “conte Igor” e alle sue miserabili panzane, hanno pure fatto carriera, vedi Belpietro, autore di una memorabile porcata televisiva, pardòn, autore di un memorabile servizio televisivo pro domine berluscone sulla frottola Telecom Serbia.

Non a caso oggi l’ottimo Belpietro è in prima fila nel “riferire obiettivamente la notizia” del documento caraibico. Anche se invece di essere una notizia è una cagata.
Essì, povera Italia. Con un giornalismo sempre più ossequioso. Ormai quasi da carta igienica.

A proposito di Carla Bruni e frottole spaziali: pochi giorni fa il regista Woody Allen, altro ebreo sideralmente lontano dal sionismo, in una intervista ha raccontato d’essere rimasto sbalordito quando ha letto sui giornali che la breve scena da lui affidata alla Bruni la si è dovuta ripetere ben 14 volte e che il presidente francese Sarkozy è piombato sul set infuriato e un po’ bevuto facendo scenate a dritta e a manca.

“Tutte balle”, ha in pratica sintetizzato Woody. Che ha concluso: “Mi chiedo se ci raccontano balle così inventate di sana pianta anche riguardo la guerra in Afganistan”. Beh, sull’Iraq ci sono le prove che ce le hanno raccontate.

Le raccontarono anche nel corso della guerra di Bush padre & C all’Iraq provocata dall’invasione del Quwait (autorizzata preventivamente dall’ambasciatrice Usa a Bagdad, con una trappola mortale per l’Iraq in attesa di quella mortale anche per Saddam con la seconda guerra all’Iraq). Per stimolare lo sdegno contro gli iracheni, la stampa mondiale scrisse che a Quwait City i soldati avevano rubato e portato via perfino le incubatrici dell’ospedale per bambini.

Poi però è saltato fuori che era una balla colossale, addirittura quell’ospedale non era neppure dotato di nessuna incubatrice. Lo ha dimostrato, tra varie altre balle smascherate, una tesi di laurea che qualche anno fa è stata premiata dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia.

Che però si è ben guardato dal cacciare dalla professione Carlo Rossella, il direttore di Panorama che - per “aiutare” il capo del governo italiano, che guarda caso era anche il suo editore e datore di lavoro Berlusconi, a far contento Bush Junior - avvalorò con uno “scoop sensazionale” la balla dell’uranio del Niger “venduto all’Iraq per le bombe atomiche di Saddam”.

Ecco perché quando si tratta di certe accuse contro “i soliti noti” da parte dei “soliti ignoti” è meglio andar cauti. Chiedendo magari anche come mai sulla Sakineh della Virginia si tace, come del resto si tace sulle adultere lapidate sì, ma in Arabia Saudita. Con i soliti due pesi e due misure della nostra vergognosa, gigantesca e non disinterresata ipocrisia.

La Sakineh della Virginia è stata uccisa. Quella di Teheran continua a vivere, almeno per ora. Dovremmo sprofondare dalla vergogna.



Allora io dico liberiamo anche l'omicida di Treviso
di Massimo Fini - www.ilfattoquotidiano.it - 21 Settembre 2010

LA PROVOCAZIONE SU SAKINEH

Io propongo un appello e una mobilitazione internazionale per Laura “subito libera”. Chi è costei?

È Laura De Nardo, la donna di 61 anni di Conegliano (Treviso) che è stata sbattuta in galera perché accusata di aver tradito il marito e poi di averlo fatto accoppare da un paio di suoi amanti.

Che differenza c’è con Sakineh, l’iraniana per la quale tutto il mondo occidentale s’è mobilitato, che dopo aver tradito il marito è accusata di averlo fatto accoppare dal proprio amante?

Certo, la De Nardo ha confessato alla polizia, mentre, per quel che ne sappiamo, Sakineh solo alla tv iraniana. Inoltre, la De Nardo rischia solo l’ergastolo mentre il rischio è che Sakineh sia condannata alla lapidazione, che è una pena ripugnante. Ma buona parte della mobilitazione occidentale non chiedeva semplicemente che all’iraniana fosse risparmiata una punizione così arcaica e inccettabile, voleva Sakineh “subito libera”.

Davanti a una gigantografia della bella Sakineh che, per iniziativa del governo italiano, campeggia da giorni davanti all'ingresso di Palazzo Chigi (pretendo che la stessa iniziativa sia presa per la 61enne De Nardo, che a differenza di Sakineh è vecchia e per nulla attraente, non potendo nemmeno immaginare che le femministe italiane, che tanto si sono battute per l'iraniana, facciano dei distinguo di questo genere), il ministro degli Esteri Frattini e quello per le Pari opportunità Carfagna hanno dichiarato: “Finché Sakineh non sarà salva e libera il suo volto ci guarderà dal Palazzo del governo italiano”.

Nelle molte manifestazioni che si sono svolte si inneggiava alla libertà di Sakineh. E nello stesso appello di Bernard Henri Lévy, che ha dato inizio alla campagna, se ne pretendeva la scarcerazione immediata.

Ma da questo punto di vista Laura e Sakineh sono sullo stesso piano: non sono due perseguitate politiche, ma detenute comuni accusate entrambe dello stesso reato, l'uxoricidio.

Dice: ma non ci si può fidare dei tribunali iraniani.

E perché mai ci si dovrebbe fidare di quelli italiani, quando sono 15 anni che il presidente del Consiglio, tanto certo dell'iniquità della nostra giustizia da pretendere di esservi sottratto per legge, va dicendo che “i giudici sono dei pazzi antropologici” e afferma che la Magistratura in Italia “è il cancro della democrazia”, concetti ribaditi in un recente convegno internazionale ad altissimo livello, cui partecipavano coreani, giapponesi, americani, canadesi, australiani, neozelandesi oltre che rappresentanti dei Paesi europei, sputtanando così l’Italia del diritto, e l’Italia tout court, davanti al mondo intero?

Quindi Laura De Nardo “subito libera”. E sono certo che Bernard Henri Lévy, difensore professionale dei “diritti umani” in ogni parte del globo, non si sottrarrà al dovere morale di firmare questo appello.


Addio alla Sakineh americana

di Roberto Zavaglia - www.lineaquotidiano.it - 26 Settembre 2010

E se un giorno Ahmadinejad intimasse al governo italiano di sospendere la pena dell’ergastolo per Rosa e Olindo, i coniugi assassini di Erba, poiché la loro vita è sotto la responsabilità della Repubblica islamica iraniana?

E’ un’ipotesi assurda, ma è quello che ha fatto Sarkozy nei confronti di Teheran a proposito della condanna a morte di Sakineh. In entrambi i casi siamo di fronte a crimini “comuni”, con almeno un elemento di somiglianza.

Anche i legali di Rosa e Olindo, come quelli della donna iraniana, sostengono che la confessione dei loro assistiti è stata estorta dagli inquirenti.

Nessuno si stupisce che Sarkozy pretenda di far valere la sovranità francese in Iran, perché si parte dall’implicito presupposto che i “nostri” sistemi giudiziari garantiscono ogni diritto, mentre quelli degli “altri” sono semplici imposture per nascondere la sopraffazione, essendo in vigore fra popoli ancora semibarbari.

Qualche giorno fa, però, i lettori dei giornali hanno scoperto che c’è una Sakineh anche nella “più grande democrazia del mondo”.

Si chiama Teresa Lewis ed è stata condannata a morte e giustiziata per lo stesso identico crimine di Sakineh: concorso nell’omicidio del marito, materialmente eseguito dal suo amante. Chi ha difeso la Lewis sostiene, come nel caso dell’iraniana, che la sentenza capitale è ingiusta perché il tribunale non ha tenuto conto degli elementi a sua discolpa.

In particolare, la Corte d’Appello non ha accettato le dichiarazioni con cui l’assassino, poi suicidatosi in carcere, ha confessato di essere stato l’ideatore del delitto e di avere coinvolto la sua amante grazie al dominio psicologico che esercitava su di lei.

Secondo le perizie psichiatriche, la 41enne statunitense ha un quoziente di intelligenza bassissimo, ma il giudice non si è fatto alcun problema a condannare alla pena capitale quella che è da considerarsi una disabile mentale.

L’opinione pubblica internazionale ha avuto conoscenza di questo caso solo perché il presidente iraniano Ahmadinejad, negli Usa per partecipare all’Assemblea generale dell’Onu, ne ha parlato in un discorso pubblico, per sottolineare il diverso standard occidentale sui diritti dell’uomo: indignazione collettiva per Sakineh, disinteresse totale per la Lewis.

Nei media si è subito alzato un coro che nega ogni possibile paragone. Pierluigi Battista, per esempio, sulla prima pagina del Corriere della Sera di giovedì, ha parlato di “sfrontatezza” di Ahmadinejad. Secondo il molto liberale editorialista, “la pena di morte rappresenta un orrore, sempre”, ma in Iran lo è molto di più.

A inorridire Battista è il sistema della lapidazione, che disgusta profondamente anche noi, ma sul quale torneremo più avanti. L’impossibilità di raffrontare le due identiche condanne sarebbe rappresentato dal fatto che in Iran, anche per i reati comuni, manca ogni garanzia giudiziaria, la tortura è pratica quotidiana, gli avvocati sono imbavagliati e, insomma, è inesistente “ogni parvenza di Stato di diritto”.

Dall’esame di quali atti giudiziari Battista tragga questa sua convinzione non è dato di sapere, ma ovviamente nessuno gli chiederà mai di dimostrare le sue drastiche osservazioni.

Il suo sillogismo è il seguente: il sistema politico iraniano non è di tipo liberale, i non liberali sono dei bruti, l’Iran è un posto brutale. Dall’apparato giuridico, fino a, immaginiamo, la produzione agricola o l’edilizia popolare tutto è nequizia.

Sul caso Sakineh è difficile avere notizie certe, per quanto ci si sforzi a cercarle. La stessa “Amnesty International” ha dichiarato di non conoscere gli atti giudiziari. Per la grande stampa occidentale si tratta di una condanna comminata per un semplice adulterio. Navigando fra i siti di “controinformazione” non si riesce a chiarire tutti i dubbi.

Quello che siamo riusciti a capire, collazionando una serie di fonti diverse e con il beneficio di inventario, è che la condanna a morte è stata inflitta per il concorso nell’omicidio del marito e non per il solo adulterio.

Della lapidazione, che giustamente preoccupa Battista, non ci dovrebbe essere pericolo perché l’Iran ha rinnovato, nel 2008, la moratoria già stabilità sei anni prima nei confronti di questo genere di esecuzione, mentre in Parlamento è depositato un progetto di legge per la sua abolizione.

Almeno secondo le fonti ufficiali, non esistono, negli ultimi anni, casi di lapidazione, che era in voga ai tempi del filo occidentale Reza Pahlevi ed è tuttora applicata dall’altrettanto filo occidentale Arabia Saudita, senza che Battista e il suo giornale se ne diano grande pena.

Sul capo di Sakineh (voglia Iddio che l’informazione sia vera) non pende “da un momento all’altro” l’esecuzione in modo arbitrario, perché il suo caso sarebbe tuttora all’esame della Cassazione, dopo i due primi gradi di giudizio.

Il quadro che ragionevolmente ci si può fare è semplicemente quello di una persona la quale è stata condannata, con prove che nessuno in Occidente è in grado di valutare, a causa di un reato per il quale in Iran, come in diverse decine di altri Stati, è prevista la pena di morte.

L’enorme eco suscitata dalla vicenda è frutto della campagna organizzata dal giro del solito Bernard Henry Lévy che, da sempre, è alla ricerca di crimini dei nemici dell’Occidente, con i quali commuovere l’opinione pubblica e dare una lucidata da coraggioso difensore dei diritti umani alla sua immagine di attempato playboy zazzeruto, con l’eterna camicia bianca sbottonata fino all’ombelico.

La strumentalizzazione del dramma di Sakineh, più in piccolo, ripropone quella della frase di Ahmadinejad sulla “cancellazione dalla mappa di Israele”, gabellata per un proposito genocida, quando invece si trattava di un auspicio, legittimo come era quello sul crollo del comunismo in Russia, della fine dell’identità sionista dello Stato, con l’instaurazione di pari diritti per arabi ed ebrei.

Con ciò non esprimiamo alcuna fede nella perfezione del sistema giuridico iraniano, il quale sarà pieno di difetti come altri, e ammettiamo che, se accusati di qualche crimine, preferiremmo essere giudicati a Londra (a New York no, a meno di possedere una fortuna per pagare avvocati di grido in grado di farci assolvere pure se colpevoli) piuttosto che a Teheran. Non ci sembra che, però, tutte le eventuali storture dipendano dal “dispotismo” della Repubblica Islamica.

Chi ricorda il film “Fuga di mezzanotte” non ha nessuna voglia di provare di persona se i giudici e i secondini della pur laica e democratica Turchia sono davvero così fetenti come li si rappresentava…

Con o senza lapidazione, la pena capitale di Stato è già una tortura: anni interi passati ad aspettare nella cella della morte che la burocrazia faccia il suo corso; notti infinite in cui si alternano speranza e disperazione. Le campagne propagandistiche a senso unico rendono più difficile lottare contro questa barbarie e, demonizzando il “nemico”, preparano il terreno ad altre Abu Ghraib.


Good-bye USA-KINEH

di Gabriele Adinolfi - www.noreporter.org - 24 Settembre 2010

Qui la civiltà; i barbari stanno fuori

Teresa Lewis è morta in Virginia, lo Stato guida di quel sud che fu “liberato” un secolo e mezzo fa dagli apostoli del progresso.
E' morta di notte perché nei civilizzatissimi States non si ha più l'abitudine di offrire al condannato l'ultima alba.

E' stata giustiziata perchè, accusata di aver avuto una qualche complicità nell'uccisione del marito, fu riconosciuta colpevole, esattamente come l'iraniana Sakineh e malgrado i suoi ritardi psichici lasciassero adito a più di un dubbio. La mobilitazione per salvare la Lewis non ha avuto paragone con quella ancora in atto per la detenuta iraniana.

L'Occidente si scandalizza per l'orribile pena cui quest'ultima è destinata: la lapidazione.
E' giusto inorridire per la lapidazione.

La Lewis invece è stata eliminata pulitamente. L'hanno soppressa con un'iniezione letale.
Detta così potrebbe lasciar pensare ad una sorta di sonnifero per cui uno si addormenta e non si sveglia più.

Invece si tratta di ben altro fenomeno. Il composto iniettato nelle vene, quello che porta all'annunciato “arresto cardiaco” produce un progressivo irrigidimento delle membra, dei muscoli, l'atrofia dei polmoni, fino ad un senso insopportabile di soffocamento. Un'agonia ignobile e interminabile.

Non ha l'aspetto barbaro delle pietre scagliate su di una persona sepolta fino al collo, ma non è pratica migliore.

Negli Usa, nel paradiso democratico, nella nazione guida del fondamentalismo biblico in salsa liberal, c'è di peggio. Si può venire fritti a fuoco lento su di una sedia elettrica, oppure soppressi in un'agonia di ore nella camera a gas. Un modo di morire così lungo e complesso che dovrebbe indurre a riflettere. Oppure si può semplicemente venire impiccati. Un sistema rapido, secco: con l'osso del collo che si spezza di colpo? Non proprio.

Basti pensare che i boia di Norimberga si attrezzarono per far durare ogni agonia più di tre quarti d'ora. E, non contenti, fecero le botole così strette che le vittime si contusero e si ferirono in sopraggiunta.

Solo ogni tanto c'è un po' dignità umana nelle esecuzioni americane – che comunque avvengono solitamente dopo quindici o vent'anni di galera – ed è nei pochi casi in cui il condannato viene fucilato.

Questo almeno è un modo pulito, l'unico che non mette in evidenza innanzitutto e solo la perversione subumana del carnefice veterotestamentario.

Tutto questo non è però oggetto d'indignazione pubblica. Gli Usa sono gli Usa, il mondo di Hollywood e della Cnn, il mondo dei telefilms, quello dei Buoni. Quando si tratta di loro, al massimo ci si mobilita per “sensibilizzarli”.

Per inorridirsi no. Per quello abbiamo il mostro, quello che dobbiamo tenere lontano dalle nostre case e che a questo scopo ci fa acclamare ed amare le stelle le strisce del Grande Fratello.

Salvo poi, sulla falsa riga delle demagogie di Fini e Vendola, invitarlo in casa nostra fino ad offrirgli la nazionalità. Secondo l'ultima bestemmia internazionalista che confonde il sangue, il suolo, i Lari e la cultura con il codice fiscale e la partita Iva.

Noi, politicamente corretti e quotidianamente idioti, non dobbiamo pensare ma soltanto reagire emotivamente a comando, e possiamo inorridire solo per ciò che è ufficialmente barbaro.
E nemmeno sempre per quello. Bisogna che l'oggetto di violenza del barbaro sia una categoria che fa lobby: le donne, i gay, o gli animali (quelli per interposta persona ovviamente).

Perché il mondo liberal è così. Non soltanto si è stratificato su di una serie di orrori quotidiani che Attila non avrebbe neppure osato immaginare, non soltanto è ingiusto, sperequativo e liberticida come nemmeno il più fantasioso Polpot avrebbe osato sognare, ma concede la possibilità di lamentarsi per le libertà, per le dignità delle minoranze, vere o presunte che siano.

Le libertà e le dignità, cavalli di battaglia delle generazioni della nevrosi postsessantottina, hanno ucciso, nella pluralità indifferenziata, la libertà, la dignità.

E non c'è più alcuna possibilità di difesa per chiunque sia un cittadino comune. Il quale può solo indignarsi per Sakineh e mugugnare un po' per la Lewis, ma non potrà impedire di essere sepolto sotto i detriti del progresso.