Pdl: volano stracci
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 2 Settembre 2010
Che il governo non navighi in acque tranquille non è certo una notizia: dall’ormai celebre “faccia a faccia” consumatosi tra la seconda e la terza carica dello Stato con tanto di dito puntato al cuore del berlusconismo, quel culto del leader che tanto male ha fatto all’Italia, si procede a vista attenti ogni giorno a cogliere gli umori delle due fazioni interne alla maggioranza.
È in questo quadro che s’inserisce l’ennesima provocazione di Generazione Italia, l’associazione fondata dal finiano Italo Bocchino e che vede nel comitato nazionale tutto il gruppo di Futuro e Libertà, recentemente costituitosi in Parlamento.
Sul sito del think tank megafono del Presidente della Camera Fini campeggia il simbolo di una stella rossa a cinque punte con una falce e martello sovraimpressa sul simbolo del Pdl. Il titolo dell’articolo in home page è: “Gli squadristi della libertà preparano la contestazione a Fini”.
Giocando intelligentemente d’anticipo Bocchino, Granata e soci puntano a disinnescare la trappola pensata e tagliata su misura per minare la credibilità pubblica del loro comandante. E i toni sono adeguati alla gravità della situazione.
L’articolo attacca così: “Se mai servisse una conferma della deriva sinistrorsa/comunistoide del Pdl, ecco a voi l’ennesima conferma. Stamane riceviamo una telefonata: un nostro amico napoletano - si legge nell’articolo - ci informa che è stato contattato da un consigliere provinciale del Pdl che gli ha fatto una richiesta particolare. Choc, aggiungiamo noi.
‘Stiamo organizzando con la Brambilla una contestazione a Fini quando parlerà a Mirabello. Riesci a riempirmi un pullman? E’ tutto a spese del partito”. Si legge ancora nell’online: “Gli daranno anche il panino, in puro stile Cgil e magari anche un libretto rosso con tutte le istruzioni per contestare il nemico del popolo.
Siamo davvero arrivati a un punto bassissimo: il ministro del Turismo, invece di organizzare pullman di turisti stranieri alla volta della Provincia di Ferrara, nella magnifica Terra degli Estensi, perde tempo a organizzare pullman di squadristi della Libertà (?!?) per contestare la terza carica dello Stato. D’altronde, cosa potevamo attenderci da un ministro del Turismo che trascorre le proprie vacanze in Francia? Siamo alle comiche finali. E questa volta per davvero”.
Ovviamente scoppiata la bomba non poteva mancare l’immediata ed inutile smentita in pieno stile berlusconiano - dopotutto è pur sempre una sua pupilla - del Ministro Brambilla che ha dichiarato: “Simili meschini attacchi testimoniano solo la pochezza e la scarsità di contenuti politici di chi li compie” e aggiunge “ho già dato mandato ai miei legali di procedere nei confronti di chi ha formulato tali contenuti diffamatori e di chi eventualmente ne darà diffusione”.
La temperatura si alza e la controreplica non si fa attendere. A stretto giro arrivano le dichiarazioni del deputato Fabio Granata, che per essere sicuro di andare a segno rilascia alle agenzie un commento sulla norma in discussione del processo breve, la vera ossessione del Premier senza la quale rischierebbe di venire addirittura processato come un normale cittadino per i reati da lui commessi fuori dall’esercizio delle sue funzioni: “Sul processo breve non accetteremo mai una norma retroattiva che sarebbe un’amnistia mascherata che cancellerebbe migliaia e migliaia di procedimenti in corso”.
Questa la dura presa di posizione, ai microfoni di Cnr media, del deputato del Fli. “E’ un tema questo - ha aggiunto Granata - molto delicato, su cui vogliamo discutere e abbiamo il diritto di discutere. Abbiamo il diritto e il dovere di portare avanti le nostre idee. Lo abbiamo fatto con la creazione dei gruppi parlamentari e con Generazione Italia. Agosto ha segnato delle divisioni molto nette. Se tutto questo si trasformerà in un partito dipende dalla nostra volontà, certamente, ma anche da come si evolverà la situazione politica”.
In un’altra intervista radiofonica, a Radio Radicale questa volta, Granata offre poi agli ascoltatori una calendarizzazione dell’ormai prossima crisi di governo. Parlando del 16 di settembre, giorno in cui il collegio dei probiviri del Pdl dovrebbe discutere l’espulsione dello stesso Granata, di Briguglio e di Bocchino, dichiara: “Non siamo molto preoccupati della riunione dei probiviri, perché non riteniamo possibile che un grande partito possa mettere sotto processo qualcuno perché ha espresso delle opinioni. La questione vera è legata innanzitutto all’espulsione sostanziale di Gianfranco Fini dal partito che ha co-fondato. Quella è una questione dirimente, e poi c’è la nostra questione”.
Insomma il solido squallido teatrino della politica italiana con personaggi decotti privi di una vera credibilità politica da spendere per accreditarsi presso i cittadini.
Bandiere come quella della legalità, infatti, non possono essere sventolate da tutti. Specialmente da chi nei momenti decisivi è sempre stato assente, come dimostrano le quasi quaranta (!) leggi ad personam votate dai redenti finiani, ora riabilitati come difensori delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana. Tutto appare opaco, falso, immaginato e studiato per le esigenze televisive.
I media hanno infatti imposto alla politica del nostro paese non solo il linguaggio, lo stile, ma anche le regole e i modelli di organizzazione. Infine, come colpo di grazia, gli attori. Dai partiti di massa, ideologici, organizzati sul territorio, si è passati a partiti senza società, organizzati al centro e inesistenti in periferia.
Ma, soprattutto, personalizzati, influenzati dalle logiche della comunicazione e del marketing. Perché è questo che ciò fanno, è questo il loro lavoro: vendono idee, spacciano opinioni non certo perché ci credono, ma perché in un dato momento “tirano”.
Il tutto per strappare il voto di qualche cittadino, magari telespettatore e sicuramente dotato di scarsa memoria. Volano gli stracci e si scannano su tutto, si grida al tradimento salvo che poi non cambia mai nulla.
Come altrimenti spiegare, capire, descrivere, la struttura oligarchica della democrazia nel nostro paese in apparenza sempre uguale a se stesso, cioè apparentemente democratico?
Bersani: "Con B. la politica diventa fogna". Reazioni scandalizzate nel partito dell'amore
da www.ilfattoquotidiano.it - 2 Settembre 2010
La politica è una fogna per colpa di Berlusconi. Pierluigi Bersani esce dal torpore dei silenzi estivi e parte all’attacco del Cavaliere e del Pdl. ”Al di là delle denunce di un governo che si denuncia da solo, abbiamo visto in questo agosto terrificante come il secondo tempo del berlusconismo possa far regredire la politica alla fogna”, ha detto il segretario del Pd inaugurando la nuova sede del Pd a Firenze.
“Questo è il rischio che abbiamo davanti: un deterioramento ulteriore della politica, del tessuto civile e del senso civico, della fiducia, della speranza mentre il Paese sta scivolando ed è da tempo che scivola”. Dichiarazioni che hanno scatenato reazioni altrettanto colorite nel centrodestra.
A partire da Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera: “Bersani evidentemente parla con cognizione di causa. Infatti se c’è qualcuno che in questi anni ha trasformato la politica italiana in una fogna, quella è proprio l’opposizione”.
Stesse parole da parte dell capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto: ”La politica diventa una fogna quando c’è uno come Bersani che, essendo segretario del partito democratico, parla in questo modo”.
E ancora, il portavoce del Popolo della Libertà Daniele Capezzone: ”Oggi è una giornata nera per la democrazia italiana. Lo dico con dolore: quando Bersani si abbandona a un simile insulto (‘fognà) contro il partito votato dalla maggioranza degli elettori, non offende tanto e solo noi, ma proprio gli italiani”.
Potremmo andare avanti a lungo con reazioni e contro-reazioni. Invece ci limitiamo a ripubblicare un articolo del Fatto Quotidiano del 16 dicembre 2009, in cui Peter Gomez e Marco Travaglio ripercorrono l’infinita serie di insulti del premier e dei suoi dal 1994 ad oggi.
“COGLIONI, KAPO’ E MENTECATTI”, L’AMORE SECONDO B.
Il capogruppo dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ieri ha spiegato in Parlamento che dal 1994 è in corso in Italia “una campagna d’odio” contro Silvio Berlusconi. Fortunatamente il premier è intervenuto subito e dall’ospedale San Raffaele, dove è ricoverato dopo la vergognosa e ingiustificabile aggressione subita domenica sera, ha ricordato che “l’amore vince sull’odio”.
Lo dimostrano, tra l’altro, le centinaia di interventi suoi e di esponenti del centrodestra che negli ultimi 15 anni sono sempre stati improntati al buon senso e alla moderazione. Ecco dunque una necessariamente breve antologia delle migliori frasi di quello che potrebbe essere chiamato il Partito dell’Amore.
Il bon ton con gli avversari – “Veltroni è un coglione” (Berlusconi, 3/9/95). “Veltroni è un miserabile” (Berlusconi, 4/4/2000). “Giuliano Amato, l’utile idiota che siede a Palazzo Chigi” (Berlusconi, 21/4/2000). “Prodi? Un leader d’accatto (Berlusconi, 22/2/95).
“La Bindi e Prodi sono come i ladri di Pisa: litigano di giorno per rubare di notte” (Berlusconi, 29/9/96). “Prodi è la maschera dei comunisti” (Berlusconi, 22/5/2003). “Prodi è un gran bugiardo pericoloso per tutti noi” (Berlusconi, 21/10/2006).
“Prima delle elezioni ho potuto incontrare due sole volte in tv il mio avversario, e con soli due minuti e mezzo per rispondere alle domande del giornalista e alle stronzate che diceva Prodi”. (Berlusconi alla scuola di formazione politica di Forza Italia, 2 luglio 2007).
"Con Prodi a Palazzo Chigi è giusto dire: piove governo ladro” (Berlusconi, 10/4/2008). “Il centrosinistra? Mentecatti, miserabili alla canna del gas” (Berlusconi, 4/4/2000).
"Signor Schulz, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti. La suggerirò per il ruolo di kapò” (inaugurando la presidenza italiana dell’Unione europea e rispondendo a una domanda del capogruppo socialdemocratico, il tedesco Martin Schulz, sul conflitto d’interessi, 2 luglio 2003).
“Sono in politica perché il Bene prevalga sul Male. Se la sinistra andasse al governo l’esito sarebbe questo: miseria, terrore, morte. Così come avviene ovunque governi il comunismo (Berlusconi, 17/1/2005).
Il rispetto per gli elettori - “Lei ha una bella faccia da stronza!” (alla signora riminese Anna Galli, che lo contestava, 24/7/ 2003).
“Non credo che gli elettori siano così stupidi da affidarsi a gente come D’Alema e Fassino, a chi ha una complicità morale con chi ha fatto i più gravi crimini come il compagno Pol Pot” (Berlusconi, 14 dicembre 2005).
“Ho troppa stima dell’intelligenza degli italiani per pensare che ci siano in giro così tanti coglioni che possano votare facendo il proprio disinteresse” (discorso di Berlusconi davanti alla Confcommercio il 4/4/2006).
“Le nostre tre “I”: inglese, Internet, imprese. Quelle dell’Ulivo: insulto, insulto e insulto” (27/5/2004).
L’armonia con gli alleati Berlusconi – “Parliamo della par condicio: se non abbiamo vinto le elezioni, caro Follini, è colpa tua che non l’hai voluta abolire”. Follini: “Io trasecolo. Credevo che dovessimo parlare dei problemi della maggioranza e del governo”. Berlusconi: “Non far finta di non capire, la par condicio è fondamentale. Capisco che tu non te ne renda conto, visto che sei già molto presente sulle reti Rai e Mediaset”. Follini: “Sulle reti Mediaset ho avuto 42 secondi in un mese”. Berlusconi: “Non dire sciocchezze, la verità è che su Mediaset nessuno ti attacca mai”. Follini: “Ci mancherebbe pure che mi attacchino”. Berlusconi: “Se continui così, te ne accorgerai. Vedrai come ti tratteranno le mie tv”. Follini: “Voglio che sia chiaro a tutti che sono stato minacciato” (Discussione con l’Udc Marco Follini, secondo i quotidiani dell’11 luglio 2004).
La sacralità delle toghe – “I giudici sono matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana… Se fai quel mestiere, devi essere affetto da turbe psichiche” (Berlusconi, The Spectator, 10/9 2003).
“In tutti i settori ci possono essere corpi deviati. Io ho una grandissima stima per la magistratura, ma ci sono toghe che operano per fini politici. Sono come la banda della Uno bianca” (Berlusconi, dopo l’arresto del giudice Renato Squillante, 14/5/96. Ma il riferimento è per quelli che l’hanno arrestato).
“I Ds sono i mandanti delle toghe rosse. Noi non attacchiamo la magistratura, ma pochi giudici che si sono fatti braccio armato della sinistra per spianare a questa la conquista del potere” (Berlusconi, 1/12/99).
“I giudici di Mani Pulite vanno arrestati, sono un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira al sovvertimento dell’ordine democratico” (Vittorio Sgarbi, “Sgarbi quotidiani”, Canale5, 16/9/94).
“Gian Carlo Caselli è una vergogna della magistratura italiana, siamo ormai in pieno fascismo: si comporta come un colonnello greco, in modo dittatoriale, arbitrario, intollerante. I suoi atti giudiziari hanno portato alla morte” (Vittorio Sgarbi, 8/12/94).
“Nelle mie televisioni private non ci sono mai state trasmissioni con attacchi, perchè noi siamo liberali” (Berlusconi, 21/ 5/2006).
“Silvio Berlusconi, durante l’ufficio di presidenza del Pdl ancora in corso, secondo quanto riferito da alcuni partecipanti, ha parlato di una vera e propria persecuzione giudiziaria nei suoi confronti , che porta il paese sull’orlo della guerra civile” (Ansa, 29/11/09)
La fiducia nella democrazia – “Si è messo mano all’arma dei processi politici per eliminare l’opposizione democratica. Non siamo più una democrazia, ma un regime. Da oggi la nostra opposizione cessa di essere opposizione a un governo e diventa opposizione a un regime” (Berlusconi, dopo una condanna in primo grado tangenti, 8/8/98).
“La libertà non si può più conquistare in Parlamento, ma con uomini lanciati in una lotta di liberazione. Senza la devoluzione, da qui possono partire ordini di attacco dal Nord. Io sono certo di avere dieci milioni di lombardi e veneti pronti a lottare per la libertà” (Umberto Bossi al “parlamento padano”, presente Berlusconi, Ansa, 29/9/2007).
“Boicotteremo il Parlamento, abbandoneremo l’aula, se necessario daremo vita a una resistenza per riconquistare la libertà e la democrazia” (Berlusconi, 3/3/95).
“In Italia c’è uno Stato manifesto, costituito dal governo e dalla sua maggioranza in Parlamento, e c’è uno Stato parallelo: quello organizzato in forma di potere dalla sinistra nelle scuole e nelle università, nel giornalismo e nelle tv, nei sindacati e nella magistratura, nel Csm e nei Tar, fino alla Consulta. Se si consentirà a questo Stato occulto di unirsi allo Stato palese, avremo in Italia un regime vendicativo e giustizialista, mascherato di legalità e ostile a tutto ciò che è privato” (Berlusconi, 5/4/2005).
“Adesso diranno che offendo il Parlamento ma questa é la pura realtà: le assemblee pletoriche sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti”.(Berlusconi, 21/5/2009)
Il galateo istituzionale – “Il presidente Scalfaro è un serpente, un traditore, un golpista” (Berlusconi, La Stampa, 16/1/95).
“Altro che impeachment! Scalfaro andrebbe processato davanti all’Alta Corte per attentato alla Costituzione. E di noi due chi ha maneggiato fondi neri non sono certo io. D’altra parte, Scalfaro da magistrato ha fatto fucilare una persona invocandone contemporaneamente il perdono cristiano. Bè, l’uomo è questo! Ha instaurato un regime misto di monarchia e aristocrazia” (Berlusconi 18/1/95).
“Io non sono in contrasto con il capo dello Stato, non ne ho nessun motivo, anzi sono un suo sostenitore convinto. Ho con lui un rapporto molto cordiale” (Berlusconi, 28/2/95).
“Ma vaffanculo!” (Berlusconi, accompagnando l’insulto con un gesto della mano, mentre il presidente emerito Scalfaro denuncia in Senato il «servilismo» della politica estera del suo governo nei confronti degli Usa sull’Iraq, 27/9/2002).
“Italia vaffanculo” (Tre eurodeputati leghisti, commentando in aula a Strasburgo l’intevento del presidente Carlo Azeglio Ciampi, 5/7/05).
“Questi signori, che hanno vinto delle elezioni taroccate, hanno arrogantemente messo le mani sulle istituzioni: il presidente della Repubblica è uno di loro” (Berlusconi, riferendosi al presidente, Giorgio Napolitano, 21/10/06).
di Peter Gomez e Marco Travaglio, da “Il Fatto Quotidiano”, 16 dicembre 2009
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 1 Settembre 2010
Lui ci ha messo il folklore, altri i baciamano, altri ancora grida manzoniane. Ma cosa fosse più fuori luogo in questo variopinto menù che ha fatto da sfondo alla visita di Moammar Gheddafi a Roma, è difficile dirlo.
Chi invece da questa due giorni romana ha ottenuto quello che voleva, è stato certamente il leader libico. Che qualcuno ora definisce un satrapo, mentre anni addietro lo si definiva un pazzoide. Ma che, dal 1 settembre del 1969, governa ininterrottamente la Libia.
La visita ha definitivamente sancito lo sdoganamento libico nell'arena europea e, affinché il concetto sia ancor più chiaro, le proposte di accordi commerciali e politici avanzate dal Colonnello sono di rilievo tutt’altro che trascurabile.
Mettono fine alla politica italiana delle fumose concessioni e di qualche regalìa presentate in passato come risarcimenti per gli orrori dell’epoca coloniale. Risarcimenti che, pure, sarebbero dovuti; é bene leggere quanto ha scritto Del Boca sul genocidio italiano in Libia, se ci si vuole proprio vergognare di qualcosa.
Sul fronte degli affari, la Libia offre mercati, appalti e commesse per la modernizzazione del paese e, come in qualunque contesto, se le relazioni politiche e commerciali sono positive, più semplice sarà aggiudicarsi i lavori. D’altra parte, la stessa Libia partecipa ormai in forma contundente in alcuni grandi asset dell’economia e della finanza italiana, nonostante le proteste padane.
Dunque, per quanto la parata di padroncini e AD delle principali aziende italiane possa essere risultata poco bella a vedersi, essa è solo la versione mediatizzata e pubblica di quanto di solito avviene nei palazzi governativi esteri e, prima ancora, nelle rispettive ambasciate, che preparano modalità e contenuti delle missioni commerciali all’estero.
Che alcuni paesi europei abbiano storto la bocca e che gli stessi Stati Uniti non vedano di buon occhio il protagonismo italiano negli affari con Tripoli, non è una novità. Ci sono solo due possibili letture per interpretare il fenomeno: quella ingenua, che ritiene che la disapprovazione sia causata da autentico sdegno ideologico, politico o religioso, oppure quella un po’ più smaliziata e cinica, ma molto più verosimile, che inserisce i riferiti dissensi occidentali nella pura competizione sui mercati.
Giova ricordare, peraltro, che gli Usa che minacciavano l’Italia quando manteneva rapporti con Tripoli sotto embargo Onu, erano il paese che, insieme alla Francia, accumulava contratti commerciali con società libiche attraverso giochetti di scatole cinesi che, come d’incanto, trasformavano società statunitensi in società canadesi o lussemburghesi.
E gli stessi spagnoli, con la Repsol in particolare, non si lasciavano sfuggire lauti affari con la Libia mentre le sanzioni contro Tripoli venivano ulteriormente rinforzate anche con il voto di Madrid. Business is business, certo, ma predicare in un modo e razzolare nell’altro non assegna patenti di coerenza a chi lo fa e obbligo di condivisione per chi ascolta.
D’altra parte, ogni qualvolta la politica estera italiana ha assunto un’iniziativa che non sia la mera applicazione del dettato statunitense, si è sempre assistito a polemiche e scontri.
Da Mattei ad Andreotti, passando per la gestione del nostro contingente militare in Libano nei primi anni ’80 e al Craxi di Sigonella, da sempre l’Italia viene criticata aspramente appena tenta di intrecciare relazioni politiche, diplomatiche e commerciali con i paesi del Mediterraneo come espressioni di un’autonoma politica estera.
Così avvenne con la Libia quando Andreotti si recava sotto la tenda del Colonnello o con l’Iran, quando il governo Prodi inviò Dini per primo a Teheran.
E così avvenne (in forme meno sfacciate ma concretissime) quando il secondo Governo Prodi, su iniziativa di Massimo D’Alema, svolse una funzione straordinaria di mediazione sulla guerra in Libano.
Molti ricorderanno D’Alema sottobraccio con esponenti di Hezbollah e le polemiche che ne seguirono; molti, ma non tutti: tra i dimenticatori a tempo determinato ci sono molti adepti del predellino che allora criticavano l’ex Ministro degli Esteri per aver incontrato Hezbollah, e ora sono in fila indiana a cercarsi uno spazio per la foto con Gheddafi e Berlusconi.
Dunque ben vengano accordi per forniture e appalti in Libia. La condizione delle nostre imprese, soprattutto dal punto di vista dell'occupazione, non consente ironie o sottovalutazioni.
Certo, la kermesse delle fanciulle in ascolto (arruolate per 80 Euro al giorno) degli inviti all’islamizzazione non sono spettacolo consueto; ma qui, appunto, siamo nel folklore di un copione ad uso e consumo dell’ego del Rais libico. Peraltro, andrebbe ricordato a chi teme un'improbabile islamizzazione via Tripoli, che proprio Gheddafi detiene il record dell’impiccagione dei fondamentalisti islamici.
La Libia, infatti, nel corso degli anni ha stabilito una regola chiara: la religione si occupi delle anime, che il governo si preoccupa della cosa pubblica; quando l’integralismo religioso ha cercato una via per fare politica, la risposta é stata durissima.
E’ semmai proprio sul terreno dei diritti umani che la guardia non può essere abbassata. E qui ci si riferisce alla politica repressiva verso i flussi migratori che spostano colonne di disperati dall’Africa verso l’Europa. Senza tanti infingimenti, Gheddafi ha ricordato che il problema è del vecchio Continente, non il suo.
E che quindi, se si vuole che la Libia svolga un ruolo da secondino dell’immensa prigione di miseria che si muove tra i due continenti, si sappia che non è disposta a farlo gratis. Del resto - afferma Tripoli - le politiche di governo dei flussi migratori di Italia, Francia, Spagna, non prevedono forse il respingimento alle frontiere?
Su questo, allora, sarebbe bene esser chiari. Quello che fa la Libia è indegno di un paese civile, è insopportabile per chiunque non abbia cuore e mente offuscati. La repressione nei confronti di migliaia di esseri umani che cercano con ogni mezzo di arrivare in Europa è al di fuori e contro qualunque norma internazionale. I suoi campi di detenzione somigliano maledettamente a dei lager.
Ma Gheddafi agisce per proprio conto o per conto dei governi europei che glielo chiedono? Beh, difficile avere dubbi in proposito. Se si vuole dunque scegliere un terreno di relazione franca e diretta con Tripoli, la questione della gestione dell’immigrazione nel rispetto dei principi più elementari dei diritti umani non può risultare una variabile secondaria nel rapporto tra Roma (e l’Europa in generale) e la Libia.
Siamo abbastanza certi, però di non aver colto né nei colloqui governativi, né tanto meno in quelli d’affari, il benché minimo cenno al riguardo. Sarebbe invece il caso di proporre - e non solo con la Libia - una clausola etica e sociale sui diritti umani come precondizione per ogni qual si voglia rapporto bilaterale.
Anche solo per non fare la figura barbina di chi impone a Cuba una ridicola “posizione comune Ue” per l’arresto di qualche decina di mercenari, mentre consente invece a Pechino e a Tripoli, all’Indonesia e a tanti altri dittatorelli in Africa, di firmare contratti con mani sporche di sangue.
Il colonnello in maschera
di Franco Cardini - www.europaquotidiano.it - 31 Agosto 2010
L’Italia è governata da un cavaliere, com’è noto. I cavalieri cavalcano: per farlo, hanno bisogno di cavalli. Quelli arabi sono senza dubbio i migliori. Ed ecco che, nel migliore stile alla Buffalo Bill (anche William Frederick Cody era colonnello…), arriva a Roma il Premiato Circo Gheddafi, con le sue torme di nobili equini, il suo balletto di bellezze guerriere – un altro genere che dovrebbe interessare alquanto il nostro premier, com’è noto infaticabile amatore – e il suo corredo di tende beduine, di uniformi da domatore di leoni e di esotici kaftan.
Muammar Gheddafi era un giovane e interessante uomo politico un quarantennio fa, quando era uno snello ed elegante colonnello dell’armata libica che, ad appena ventisette anni divenne reis del suo paese, dopo aver rovesciato re Idris I e instaurato una repubblica ispirata ai principi del “socialismo arabo” di Gamal Abdel Nasser.
Erano i tempi in cui il sogno della Repubblica araba unita, per quanto già naufragato, suscitava ancora entusiasmi e speranze. Da allora, il colonnello libico è passato di “rivoluzione” in “rivoluzione”: e le ha provate tutte.
Prima quella socialista e panaraba, poi quella “verde” ispirata all’integrismo islamico, infine quella “panafricana” della quale a lungo si è autoproclamato leader quasi all’insaputa e comunque nell’indifferenza degli altri paesi del continente nero.
Infine, dopo un ulteriore periodo d’incertezze punteggiato da rivendicazioni anticolonialiste nei confronti dell’Italia e da sparate antiamericane e antisraeliane, egli sembra giunto a un’ulteriore fase del suo pensiero e della sua prassi: l’accettazione piena del suo ruolo di statistaimprenditore di un paese grande produttore di petrolio e di supporto della politica mediterranea del pool americoatlantistico- europeista.
Non a caso, e molto significativamente, la voce politica e culturale più interessante della famiglia Gheddafi, quella della figlia, è stata da qualche tempo messa a tacere: e sì che, al tempo dell’aggressione all’Afghanistan e poi all’Iraq, era stata proprio lei a dire alcune cose tra le più indipendenti e intelligenti di tutto il panorama politico internazionale.
Gheddafi appare oggi, dal nostro punto di vista, quello che è: un “uomo di sponda” dell’affarismo berlusconiano, che si spinge perfino all’avventura criptofiloiraniana e alla russofilia strisciante, giustificate sempre dal nostro “interesse nazionale” (che poi sarebbe quello di alcune imprese italiane il cui business ha ben scarsa ricaduta sul benessere del paese).
Ma al riguardo sembra davvero discutibile il malumore di chi, exalleato del Cavaliere, mirerebbe ora – fra l’altro – a sostituirlo come uomo di fiducia del governo americano e sentinella fedele dell’atlantismo e della politica d’Israele, e per questo accuserebbe Berlusconi di “filoarabismo”.
In palio, c’è l’incipiente rinnovamento della politica europea nei confronti del Mediterraneo, piuttosto velleitariamente avviato mesi fa da Sarkozy e che ha a suo tempo, come si ricorderà, irritato Angela Merkel che se n’è sentita esclusa.
Dinanzi a questi problemi, seri e reali al di là delle mascherate di Gheddafi e dell’istrionismo di Berlusconi, le chiacchiere del colonnello- capocomico sulle escort convertite all’Islam e sulla futura islamizzazione del continente europeo sono serie come le sue uniformi militari e i suoi travestimenti da Ali Babà.
Che poi esse comportino rinnovate grida d’allarme contro il “pericolo musulmano” da parte di chi sta preparandosi a raccogliere ulteriori consensi elettorali agitando i soliti spauracchi xenofobi, è un altro discorso. Le mascherate beduine del Colonnello valgono quelle padane di Pontida.
L'autunno del nucleare italiano
di Alessandro Iacuelli - Altrenotizie - 26 Agosto 2010
A rivelarlo, durante il meeting dei popoli di Comunione e Liberazione a Rimini, è stato il sottosegretario Stefano Saglia: il decreto per la strategia nucleare, previsto per ottobre, conterrà "garanzie per le aziende", cioè indennizzi per chi investe, nel caso in cui, per un cambio di governo o "qualsiasi altro intoppo", il progetto si arresti. "Valuteremo in che modo impedire che i costi non riconducibili a inadempienze delle imprese si scarichino sulle imprese", ha dichiarato il sottosegretario.
In pratica, vista la "svolta" dei finiani e visto il rischio di elezioni, il governo Berlusconi deve darsi da fare per evitare che gli industriali impegnati nella corsa al nucleare perdano qualche soldo, che gli indennizzeremo noi, tanto per cambiare.
Non c'è solo questo nell'intervento di Saglia a Rimini, ma anche qualcosa di concreto circa l'immediato futuro del programma nucleare: "A gennaio 2011, quando arriveranno le prime domande per la costruzione delle centrali nucleari, si conosceranno anche i siti, almeno i primi due, dove saranno realizzate".
Ci sarà da aspettarsi una grossa fase di scontro tra gli enti locali, regioni e comuni, che magari sono anche d'accordo con la realizzazione di centrali nucleari, purché "non sul nostro territorio", e a poco serve la rassicurazione di Saglia: "il percorso con i territori deve essere di condivisione e non di impostazione militaresca".
Serve a poco perché l'imposizione delle infrastrutture ai territori è già stata praticata dalle forze politiche che fanno parte del governo attualmente in carica e la maggiore sperimentazione fu a proposito della TAV in Val di Susa, usata come vero e proprio laboratorio di sgombero dei blocchi della popolazione. Analogamente, è in corso in questo momento un altro laboratorio di sperimentazione: quello del controllo e della militarizzazione del territorio circostante gli impianti.
Il laboratorio in questione è la Campania, dove tutti gli impianti dedicati allo smaltimento dei rifiuti urbani, dai siti di stoccaggio fino all'inceneritore di Acerra, sono guardati a vista da militari, con frequenti controlli perimetrali e con il fermo immediato di chiunque si avvicini. Una sperimentazione perfetta, un'occasione di "allenamento" eccezionale per quando poi tutto questo sarà trasferito alla filiera nucleare italiana.
Abbastanza scontato il plauso del sistema industriale italiano, soprattutto quando il Governo giura che potrà avvalersi dei poteri sostitutivi. Per l'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, non si può continuare a pensare che "uno sviluppo ordinato e sostenibile sia possibile senza ricorrere a tecnologie che in maniera infondata vengono considerate in maniera invasive, non corrette, nocive".
E "nell'interesse generale del Paese" è necessario che il progetto venga sostenuto "da un governo centralmente molto forte" che tracci linee guida solide a lungo termine. "Immaginate cosa accadrebbe se un cambio di governo fermasse il progetto dopo che e' stato avviato?", si chiede Conti, e aggiunge a margine anche altre informazioni, magari con un occhio alle quotazioni in borsa dei titoli dell'azienda che guida.
Infatti Conti ha anche parlato del previsto collocamento sul mercato di una quota della società del gruppo per le energie rinnovabili, Enel Green Power, destinata alla quotazione in Borsa e ad un eventuale "private placement". "Andiamo avanti con l'obiettivo di chiudere la cosa entro ottobre - ha dichiarato - vogliamo raccogliere almeno 3 miliardi, questo è l'obiettivo, non abbiamo mai detto quale è la percentuale da cedere".
Anche per il presidente del consiglio di gestione di A2A, Giuliano Zuccoli, "non é più tempo per guerre ideologiche": il Paese non può rinunciare anche al nucleare in un mix di fonti. "Bisogna spiegare ai cittadini le cose come stanno, così potranno farsi una loro idea consapevole". E la scelta dei siti, aggiunge Zuccoli, sarà "il momento nodale, il punto critico, un passaggio importante: lo deve fare il Governo, non le amministrazioni locali".
Secondo Greenpeace Italia, le dichiarazioni fatte a Rimini dal sottosegretario Saglia "smascherano definitivamente i trucchi del Governo sul nucleare. Significa che il governo Berlusconi non solo ha intenzione di decidere la costruzione di nuove centrali nonostante il parere contrario delle Regioni e della popolazione, ma vuole anche blindare questa scelta per il futuro, pur di regalare soldi ai suoi amici.
Insomma, il nucleare, comunque vada, lo pagheranno in bolletta gli italiani. Queste bollette, salate a causa della follia nuclearista del governo, Greenpeace le ha già preparate e distribuite ai cittadini italiani.
E che i costi saranno stellari è sicuro, perché il reattore francese Epr, decantato come la terza generazione del nucleare, è in realtà un prototipo del quale non è chiaro nemmeno il progetto: addirittura, i ritardi nei due cantieri esistenti (nessun Epr è mai entrato in funzione a oggi) hanno affossato i bilanci di Areva (l'impresa produttrice) e costretto Edf (l'Enel francese) a chiedere un aumento delle bollette. Puntualmente ottenuto.
Senza farci false illusioni, le parole di Saglia sono abbastanza preoccupanti; sembra di sentire le parole di un governo di un Paese del Terzo Mondo che, per attirare imprese straniere a costruire centrali nucleari, assicura che i danni e i risarcimenti di eventuali gravi incidenti di percorso se li accollerà tutti lo Stato. Un incentivo assolutamente interessante per gli investimenti - e, purtroppo, le speculazioni - nella sicurezza delle centrali. Svanisce ogni concetto di responsabilità e di rischio di impresa.
Anche a tale proposito, Greenpeace sottolinea che "il nucleare si conferma come una pericolosa perdita di tempo, costosa e rischiosa. Un trucco per regalare soldi all'ennesima lobby, sottrarre investimenti a una rivoluzione energetica in cui l'Italia può essere protagonista (con un salto tecnologico ed occupazionale di prim'ordine) e rendere il nostro Paese sempre più dipendente dall'estero per le fonti energetiche: i brevetti sul nucleare sono tutti francesi, mentre l'uranio delle miniere di Areva ammazza la gente in Niger".
Ma forse è troppo tardi, perché il Governo è partito lancia in resta ed ora non lo ferma più nessuno, a parte una tornata elettorale che improbabilmente lo rovesci. Secondo quanto dichiarato dal Sottosegretario allo Sviluppo, Stefano Saglia, entro Gennaio 2011 sapremo dove verranno costruite le prime due centrali nucleari italiane, ma è lampante che una tale decisione non può essere presa nei pochi mesi che ci separano dal nuovo anno.
Pertanto, per forza di cose, quei due siti sono già stati scelti, ma per ora nessun rappresentante di Governo ha il coraggio di rivelarne i nomi per non far alzare i cori di proteste, proprio ora che c'è il rischio di tornare alle urne. Sarebbero di certo un gran numero di voti persi, nel caso in cui si andasse alle elezioni prima della fine dell'anno.
Ma l'Italia è anche il Paese delle indiscrezioni e delle voci di corridoio: così sono in molti ad essere pronti a giurare che quei due siti sono due di quelli dove dove erano presenti le vecchie centrali ormai dismesse; ma Saglia ha annunciato che le bocche rimarranno cucite fino al nuovo anno. Ad ottobre, poi, il Consiglio dei Ministri redigerà un "decreto per la strategia nucleare", le cui anticipazioni fanno già venire i brividi.
Infatti, quei "poteri sostitutivi" accennati dal sottosegretario e applauditi dall'industria, altro non sono che quelli militari, mandando l’esercito a presidiare i siti per scoraggiare le proteste dei cittadini che non vogliono il nucleare sul loro territorio. Ma, se fosse vero, come Berlusconi continua a dire da mesi, che gli italiani vogliono il ritorno al nucleare, non avrebbe senso ricorrere all’esercito, alieno in un Paese normale e civile.
Riassumendo: il Governo ha tutta l'intenzione di accelerare i tempi del ritorno al nucleare, magari prima di cadere rovinosamente per qualche sgambetto parlamentare. Come già firmato e protocollato per progetti come il Ponte sullo Stretto, anche in questo caso se non se fa più niente gli investitori saranno indennizzati con soldi pubblici, che verosimilmente faranno impennare le bollette elettriche degli italiani.
Eppure, se si guarda agli ultimi sondaggi che attestano ad oltre il 60% la percentuale di popolazione contraria al ritorno al nucleare, qualcuno dovrebbe pur spiegare a questi signori che, nonostante la disinformazione e la campagna mediatica (che è appena al principio), gli italiani non vogliono il nucleare. Ma queste saranno le tematiche del prossimo autunno.
Dalla Terra santa a Sakineh. L'impero della deformazione mediatica
di Pino Nicotri - www.pinonicotri.it - 2 Settembre 2010
1) - Ovviamente speriamo che Obama ce la faccia a spingere, anzi a costringere - perché se non li costringe non otterrà nulla - Abu Mazen e Netanyahu a stipulare una pace degna di tale nome, capace di evitare altre tempeste, e sempre più grandi, in Medio Oriente. Che nasca uno Stato palestinese è di fatto ormai pressocché impossibile, mancano i presupposti innanzitutto territoriali.
E Israele ha ripetuto fino alla noia che non permetterà comunque mai che l’eventuale Stato palestinese possa esercitare i diritti tipici di ogni Stato che sia tale e non una caricatura, dalle forze armate al controllo dei confini e dello spazio aereo.
Per giunta Netayahu ha già detto che NON intende fermare i furti di terra palestinese chiamati colonie, che NON intende permettere che Gerusalemme diventi la capitale anche dello Stato palestinese e che Israele deve essere riconosciuto come “lo Stato degli ebrei”. La stessa pretesa che aveva il Sud Africa di essere riconosciuto come “lo Stato dei bianchi”, con quali risultati s’è visto.
Una volta riconosciuto Israele come lo Stato degli ebrei, l’indecente ministro degli Esteri Lieberman è pronto a “trasferire” all’estero - cioè a deportare - i quattro milioni di esseri umani tra palestinesi cittadini israeliani e palestinesi cittadini non israeliani.
Del resto l’ancor più indecente rabbino Yosef Ovadia, capo del partito “religioso” ultraortodosso Shas, che non è folklore ma fa parte del governo Netanyahu, ha pubblicamente invocato l’intervento di “Dio che li colpisca con le sue piaghe” (come quelle bibliche d’Egitto….) perché uccida Abu Mazen e tutti i palestinesi.
Notizia, questa di Yosef Ovadia, relegata nelle pagine interne da tutta la stampa italiana. La stessa stampa che - mentendo grossolanamente come ai bei tempi delle “atomiche di Saddam” - sbatte in prima pagina le (inesistenti) “minacce dell’Iran” contro Carla Bruni che “deve morire”.
Mi chiedo cosa sarebbe successo se ad augurare la morte di tutti gli israeliani non palestinesi fosse stato un membro dell’Autorità Nazionale Palestinese. Sarebbe cascato giù il cielo! Invece, trattandosi di palestinesi, siamo pur sempre maestri di cinismo da “italiani bravissima gente”.
Fermo restando che l’Iran NON ha minacciato di morte Carla Bruni neppure da lontano. E’ stato solo un giornale di destra a scrivere che “meriterebbe la morte”, cosa ben diversa dal dire che “deve morire”, e il ministero degli Esteri - cioè lo Stato iraniano! - ha condannato la sparata di quel giornale. Insomma, la nostra stampa, con quella di sinistra in testa, ha mentito spudoratamente capovolgendo la realtà.
Del resto la realtà è stata taroccata anche riguardo la condanna a morte “per lapidazione” dell’iraniana Sakineh “colpevole di adulterio”. Ho firmato anch’io l’appello contro la condanna, e ho inviato i lettori del blog a fare altrettanto, anche se mi risulta - e l’ho scritto dopo il mio viaggio in Iran - che la lapidazione è semmai praticata in Arabia Saudita, nostra alleata politica e militare, ma non in Iran.
Sta di fatto però che Sakineh NON è stata condannata a morte solo perché ha fatto le corna al marito, ma perché secondo i giudici è stata complice del suo amante nell’ucciderlo.
Mi pare ci sia tra le due cosa una differenza enorme, fermo restando il fatto che sono contrario alla pena di morte. Però lo sono anche riguardo le condanne a morte nell’Arabia Saudita e negli Usa, dove si mandano alla sedia elettrica o alla camera a gas anche handicappati mentali e colpevoli di reati compiuti quando erano ancora minorenni.
In tal caso però, non trattandosi di dare addosso all’Iran, in modo da spingere in qualche modo alla guerra anche contro quello Stato, o si fa finta di niente o ci si sdegna molto meno. Beh, se non è ipocrisia e disonestà questa…
2) Mi chiedo come mai per sapere che nell’esercito israeliano “il corpo degli ufficiali è composto in misura crescente da sionisti religiosi favorevoli al movimento dei coloni” si debba aspettare di poter leggere un articolo di Thomas Friedman in ottava pagina di Repubblica. Oppure bisogna leggere giornali israeliani come Haaretz.
Come mai i nostri vari Guido Olimpio, Lorenzo Cremonesi, Antonio Ferrari, Francesco Battistini, ecc., cioè il fior fiore degli inviati e dei corrispondenti che si occupano di Israele, Usa e Medio Oriente, di una tale preoccupante realtà non parlano mai, tenendola di fatto nascosta?
Dico realtà drammatica perché Friedman nel suo articolo su Repubblica del 2 settembre fa capire con chiarezza che l’esercito israeliano difficilmente ubbidirebbe all’eventuale ordine di sgomberare qualche decina di migliaia di coloni.
Senza dimenticare che Rabin è stato assassinato da un fanatico cresciuto alla scuola del rabbinato oltranzista e protetto non è chiaro da quale servizio segreto o altro ganglio delle forze armate del suo Paese.
3) Gheddafi è venuto a Roma e ha fatto il suo numero. Trovo assurdo, e razzista, che dal Corriere della Sera a Repubblica siano state date per giorni le prime pagine alle sue innocue cazzate, per giunta relegando - ripeto - le gravi porcate del rabbino Ovadia nelle pagine interne come se fossero solo folclore e non la base delle stragi come quelle di Gaza e la causa del continuo furto di terra a danno dei palestinesi.
Tanto per cambiare, Gheddafi nei suoi fervorini alle comparse arruolate per farlo contento NON ha mai minacciato l’Europa né di farla diventare africana né che deve diventare islamica. Ha solo detto cose addirittura banali, come possibili conseguenze dell’ingresso della Turchia nella Comunità Europea e del flusso di immigrati africani se non si riesce a fermarlo.
Scusate, ma non sono queste le stesse cose che scriveva ululando Oriana Fallaci? E che più o meno scrive anche Fiamma Nierenstein per quanto riguarda il “pericolo islamico” invasivo dell’Europa? Come mai se le dice Gheddafi in un contesto da avanspettacolo ci si scatena al grido di “Mamma, li turchi!”, mentre se le scrivono fanatiche come Fallaci e Nierenstein o le dice qualche decerebrato “padano” vengono invece applaudite in massa al grido di “Dalli al musulmano!”?.
Senza contare che Gheddafi le sue cazzate le ha dette al chiuso, in una riunione privata, in puro stile berlusconiano, non si trattava cioè di un proclama, e a farle diventare pubbliche è stata la stampa che ha trovato il modo di infilare nostre giornaliste nel circo Barnum gheddafiano.
Gheddafi è un dittatore? Di certo è meno mascalzone dei reali sauditi, che invece ci coccoliamo e con i quali facciamo affari a partire dal comprare il loro petrolio.
L’indecoroso tormentone razzista da “italiani brava gente e sempre vittime” scatenato contro Gheddafi ha anche un altro piccolo difetto: nessuno parla degli oltre 4.000 patrioti resistenti libici deportati da noi italiani alle isole Tremiti e lasciati crepare in massa nel periodo delle nostre “gloriose” guerre coloniali. Sappiamo solo parlare degli italiani cacciati via dalla Libia di Gheddafi “dopo avere fatto ai libici tanto bene”.
4) Qualche settimana fa l’impagabile ministro della Pubblica (d)Istruzione Mariastella Gelmini è stata intervistata sul caso dei tre operai che la Fiat a Melfi non ha voluto far rientrare al lavoro nonostante la sentenza del magistrato ne avesse ordinato il reintegro. Non vedo che c’entri la Pubblica istruzione con un simile caso, ma tralasciamo. Il fatto è che la Gelmini ha dichiarato che sì “le sentenze vanno rispettate, ma vanno rispettate anche le aziende”. E’ chiaro il concetto?
L’ipocrisia filopadronale della signora Gelmini è tale che non si vergogna a sostenere quella che per giunta è una falsa eguaglianza, falsa perché la Fiat le sentenze di riassunzione NON le ha mai rispettate, come ci ha tenuto a ricordare con orgoglio un suo avvocato.
Tradotto in italiano, abbiamo un ministro della Pubblica istruzione per il quale le aziende sono dei totem, dei feticci da adorare a schiena prona. Feticci che delle sentenze e dei diritti dei lavoratori possono anche tranquillamente pulirsi il sedere per decenni.
Con lo Stato italiano che nonostante un tale affronto ha continuato a foraggiare la Fiat con gagliarde regalie di danaro pubblico! Poi ci si lamenta di Berlusconi e dell’indecente legge che premia la sua Mondadori castigando il fisco dello Stato italiano. Fiat docet.
5) E a proposito di Berlusconi: è davvero indecente come ormai sia chiaro anche ai ciechi che s’è installato al governo qualche manigoldo che, ingannando gli elettori, s’è fatto eleggere per evitare di dover rendere conto alla Giustizia delle proprie azioni pregresse.
E non solo di quelle pregresse… La sinistra ha la gravissima responsabilità, tra l’altro, di avere chiuso gli occhi davanti al mega conflitto di interessi del Chiavaliere, interessi che sono una piovra aggrappata al vascello Italia e decisa a non mollare a costo di colare a picco il vascello.
Ma il conflitto di interessi non è solo l’immensa ricchezza del satrapo Chiavaliere, la sua tossica concentrazione di mass media, con cui imbottisce la testa degli italiani di segatura svuotandola dal cervello, e il suo fare concorrenza allo Stato con le proprie aziende, vedi il caso Mediaset-Rai.
Il conflitto di interessi da tagliare consiste anche nell’indecente portare in parlamento i propri cavalli avvocati, Previti prima, Taormina dopo, Ghedini&C oggi, e nel prostituire i ministri della Giustizia fino a farne dei mezzani che curano gli sconci interessi privati consistenti nel fuggire alla Giustizia a parte del Chiavaliere che ne ha fatte più di Bertoldo.
6) Ho sostenuto più volte che le azioni politiche di Berlusconi possono somigliare per certi versi al reato di Alto Tradimento, tradimento soprattutto della realtà. Il fatto è che il Chiavaliere sta davvero sovvertendo le istituzioni facendo finta di essere un democratico e di appellarsi alla democrazia, al popolo che lo ha eletto.
Non basta inventarsi la novità di scrivere sulla scheda elettorale il nome Silvio Berlusconi o Clemente Mastella o Ciccillo Percoco per poter pretendere che questa trovata pubblicitaria abbia la meglio sulle regole scritte nella Costituzione e debba quindi prevalere su tutto e su tutti.
Se in ipotesi si scoprisse che Berlusconi ha accoppato qualcuno, potrebbe forse continuare a ragliare che essendo stato “eletto dal popolo” non lo si può processare né toccare in alcun modo? Certo che no! Se lo facesse, bene farebbe il presidente della Repubblica a convocarlo al Quirinale e a farlo uscire su una autombulanza come fece il re con Mussolini ormai schiacciato dai sanguinosi fallimenti.
Sì, certo, il Chiavaliere - che si sappia - non ha accoppato o fatto accoppare nessuno. Però attenzione: i reati per i quali è atteso in ben tre processi, più quelli commessi in passato con Previti come ha scritto la Cassazione, sono comunque reati gravissimi. Sanno molto di omicidio della legalità.
Fermo restando il fatto che un capo di govenro che da anni ormai accusa la magistratura del suo Paese di ordire complotti contro di lui somiglia a un cialtrone, che non può certo governare un Paese civile.
E voglio ricordare che il fuoco preventivo contro la magistratura il Chiavaliere ha cominciato a farlo sferrare sulle sue televisioni da Vittorio Sgarbi quando anziché “scendere in politica” si limitava a leccare gli stivali di Bettino Craxi e ad essere Sua Emittenza.
6 bis) - Curioso questo Marcello Dell’Utri. Va in giro a spacciare per autentici quelli che lui chiama “i diari di Mussolini”, utili solo a rendere umano e vittima perfino il Truce, come veniva chiamato il Duce (embé, italiani brava gente e sempre vittime…).
Ma le prove che Dell’Utri esibisce per giurare sull’autenticità dei diari sono autoreferenziali e soggettive ben più delle prove che i vari Spatuzza e Ciancimino portano in tribunale per sostenere che lui è un mafioso e il Chiavaliare il suo puparo o viceversa. Come la mettiamo? Due pesi e due misure? Sì, certo, un conto sono le sentenze di un tribunale, un altro conto è il resto.
In questo caso però il resto è la Storia. E gabbare la Storia con sentenze sotto forma di diari patacca è ben più grave che emettere sentenze sbagliate in un tribunale. Non vorremmo che gli uomini di mano del Chiavaliere dopo avere, con Previti, corrotto magistrati per comprare sentenze patacca, arrivassero anche a corrompere la Storia per comprare altre sentenze patacca.
Come fa una persona intelligente come il senatore (!!!) Dell’Utri a non capire che se si accetta il metodo delle sue prove per l’autenticità dei diari di Mussolini poi ne consegue che si debba accettare anche il metodo delle prove che i vari Spatuzza, Ciancimino&C adducono sulla mafiosità sua e di qualche suo amicone di Arcore?
Io sto con gli ultras
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 2 Settembre 2010
Siamo stufi, arcistufi, di questo Stato di polizia. Che non è quello delle intercettazioni telefoniche, come pretende Berlusconi che ha la coscienza sporchissima, che sono perfettamente legittime quando autorizzate dalla Magistratura, ma quello dove le libertà più elementari sono osteggiate, conculcate, vietate, proibite, scomunicate, tranne quella economica anche quando passa sul massacro della popolazione (è “la libera intrapresa” a creare la disoccupazione, oh yes, ma questo ve lo spiegherò in un’altra occasione) e, ovviamente, quelle del Cavaliere che può corrompere testimoni in giudizio, pagare mazzette ai finanzieri, consumare colossali evasioni fiscali, avere decine di società “off shore”, precostituirsi “fondi neri” impunemente perché, attraverso i suoi scherani, si fa cucire leggi su misura che lo tengono fuori dai processi.
Non bastassero già le leggi nazionali, dove sono sempre più feroci i limiti imposti al consumo di alcol, al fumo, non solo a tutela dei soggetti passivi ma anche di quelli attivi, alla prostituzione (da strada naturalmente, quella delle escort e soprattutto dei loro importanti clienti è immune), ora, dopo un altro demenziale decreto del ministro Maroni, ci si sono messi anche i sindaci, in particolare leghisti, ma non solo, a imporre i divieti più grotteschi e assurdi.
A Verona è proibito sbocconcellare un panino in strada, consumare alcol fuori dai bar, bagnarsi nelle fontane, girare a torso nudo (il Mullah Omar era più permissivo). A Vicenza ci sono multe salatissime (500 euro) “per camper e roulotte che trasformano la sosta in un bivacco”.
A Novara sono vietate le passeggiate notturne nei parchi se si è più di due (durante il fascismo ci volevano almeno cinque persone per considerarle “radunata sediziosa”). A Eraclea (Sicilia) è proibito ai bambini costruire castelli di sabbia in riva al mare.
A Firenze, a Venezia, a Trento e in altre città è vietato chiedere l’elemosina, cosa che non si era mai vista prima (nemmeno nei “secoli bui” del Medioevo, anzi, tantomeno nel Medioevo in cui si riteneva che il mendico, come il matto, avesse, per dei suoi misteriosi canali, un rapporto privilegiato con Dio) in nessuna società del mondo, eccezion fatta per l’Unione Sovietica.
Adesso, sempre per iniziativa del solerte Maroni, è arrivata anche la “tessera del tifoso”.
È intollerabile che uno per andare a vedere una partita di calcio debba chiedere la patente alla società. Una schedatura mascherata, socialmente razzista perché imposta solo ai tifosi che vanno nel “settore ospiti”, cioè dietro le porte e nelle curve, mentre chi può pagarsi i “distinti” non subisce questa gogna.
In realtà questa misura illiberale va nel segno di una tendenza in atto da molti anni: eliminare via via il calcio da stadio a favore di quello televisivo e degli affari di Sky, Mediaset e compagnia cantante (con corollario di moviola, labiali, giocatori scoperti in flagranti e sacrosante bestemmie – robb de matt – e, da quest’anno, anche la profanazione del tempio sacro dello spogliatoio).
Ma chi conosce anche solo un poco il “frubal”, come lo chiamava Gioann Brera ai tempi belli in cui tutte queste stronzate non esistevano, sa che fra il calcio visto allo stadio e quello visto in casa, in pantofole, fra una telefonata e l’altra e magari sbaciucchiandosi con la fidanzata (orrore degli orrori, il calcio è un rito che vuole una concentrazione esclusiva, non sono mai andato allo stadio con una ragazza e fra Naomi e Ruud Van Nistelrooy – doppietta allo Shalke 04 per inciso – non ho dubbi) non corre alcuna parentela.
Per vivere davvero la partita, per capirla, bisogna essere allo stadio, vedere tutto il campo (ci sono centrocampisti che, se guardi la partita in Tv, sembrano aver giocato male perché han toccato pochi palloni e invece hanno giocato benissimo, di posizione) e non solo quello che garba al cameraman.
Dal 1983 – introduzione del terzo straniero – il calcio da stadio ha perso il 40% degli spettatori. Quest’anno gli abbonamenti sono ulteriormente crollati del 20%. Molti tifosi hanno solidarizzato con gli ultras in rivolta e non l’hanno rinnovato.
E poi ci sono le ragioni, così efficacemente spiegate da Roberto Stracca in un servizio sul Corriere (26/8) e che hanno tutte la stessa origine: scoraggiare la gente dall’andare allo stadio. “Anche chi non è ultrà – scrive Stracca – e non ha mai pensato di esserlo, dopo biglietti nominali, necessità di un documento per un bambino di 8 anni, odissee fantozziane nella burocrazia più ottusa per una partita di pallone, non ne ha potuto più e ha finito per dire addio allo stadio e aderire alla sempre più ricca offerta televisiva”.
Maroni, contestato violentemente da 500 ultras bergamaschi alla Festa della Lega ad Alzano Lombardo, ha detto: “Dicono di essere dei tifosi, ma non lo sono. Sono dei violenti”. E invece gli ultras sono gli ultimi, veri, amanti del calcio.
Qualche anno fa, in una domenica canicolare e patibolare di giugno, i demonizzatissimi ultras in rappresentanza di 78 società, di A, di B, di C e delle serie minori, diedero vita a Porta Romana, a Milano, davanti alla sede della Figc, a una civilissima manifestazione al grido di “Ridateci il calcio di una volta!” (cioè: numeri dall’uno all’undici, arbitro in giacchetta nera, pochi stranieri, riscoperta dei vivai e, soprattutto, basta con l’enfiagione economica che ha distrutto tutti i valori mitici, rituali, simbolici, identitari, che ne hanno fatto la fortuna per un secolo, a favore del business e che finirà, prima o poi, per farlo scoppiare come la rana di Esopo).
La notizia – mi pareva una notizia – passò sotto silenzio. Persino la Gazzetta dello Sport dedicò all’avvenimento un box di poche righe. Non bisognava disturbare il manovratore. Cioè gli affari.
Due parole sulla “violenza” Ad Alzano Maroni ha detto anche: “Io con i violenti non parlo”. E allora il primo cui non dovrebbe rivolgere la parola è Umberto Bossi, il suo Capo.
L’ineffabile Maroni si è dimenticato che il leader del Carroccio, agli albori della Lega, dichiarò: “Ho trecentomila leghisti pronti a estrarre la pistola dalla fondina” (in realtà quelli, dalla fondina, possono estrarre al massimo il loro cellulare), e in seguito: “andremo a prendere i fascisti uno a uno, casa per casa”, e ancora, a proposito dei magistrati, “bastano delle pallottole e una pallottola costa solo 300 lire”, e di recente ha anfanato di fucili e altre armi se non gli concedevano non mi ricordo che cosa, parole che dette da un esponente del Governo, sono ben più gravi delle quattro macchine date alle fiamme durante la contestazione di Bergamo.
Io sto con gli ultras. Anche quelli violenti di Bergamo. Perché mi paiono gli unici ad aver voglia ed energia di rivolta in un Paese in cui i cittadini si fan passare sopra ogni sorta di abusi, di soprusi e di autentiche violenze sempre chinando la testa. Sudditi. Nient’altro che sudditi.