Il presidente russo Dmitri Medvedev, soddisfatto dell’incontro avuto con Sarkozy, ha annunciato la fine delle operazioni militari nelle regioni separatiste georgiane, Abkhazia e Ossezia del sud e ha posto due condizioni, a cominciare dal ritorno delle truppe di Tbilisi alle posizioni precedenti lo scoppio delle ostilità “Possiamo discutere la questione di una soluzione definitiva se sono rispettate due condizioni. La prima è che le truppe georgiane devono tornare alle posizioni iniziali ed essere parzialmente demilitarizzate. In secondo luogo, dobbiamo firmare un documento giuridicamente vincolante sul non uso della forza”, ribadendo poi che lo scopo dell'operazione bellica è ormai stato raggiunto. Ma nello stesso tempo il leader del Cremlino ha ordinato di “eliminare l'aggressore” in caso di ulteriori ostilità da parte delle forze georgiane.
Le truppe russe sono quindi ferme sulle loro posizioni, pronte ad intervenire in caso di una violazione della tregua, e i militari georgiani sono invece in fase di ritiro. Il vice capo dello stato maggiore russo, gen. Anatoli Nogovitsin, ha affermato che “Se la Georgia viola la tregua, la Russia sarà costretta a rispondere adeguatamente”.
Il presidente francese Sarkozy sulla cessazione delle ostilità in Georgia annunciata dal presidente russo poco prima del loro incontro al Cremlino ha dichiarato “Una buona notizia. È una novità che aspettavamo. È una buona novità. Ora bisogna realizzarlo in pratica. Dobbiamo tracciare una scaletta di azioni per tornare alle posizioni di partenza. La Russia deve mettere la sua potenza al servizio della pace”. Infine ha sottolineato che “E’ assolutamente normale che la Russia voglia difendere gli interessi dei suoi compatrioti nel suo paese e dei russofoni fuori dalla Russia”. Una frase che fa il paio con quella pronunciata ieri sul fatto che gli USA sono parte del conflitto.
Ma il presidente della Georgia Saakashvili, in collegamento da Tbilisi con la Cnn a Washington, aveva fatto sapere che “La Georgia non si arrenderà mai. Perchè noi combattiamo per la nostra libertà e il prezzo da pagare tornando indietro sarebbe troppo alto. Vorrebbe dire la perdita della libertà”. Gli ha risposto il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov che da Mosca ha detto “Se il presidente georgiano Mikhail Saakashvili se ne andasse sarebbe meglio”. Si vedra’ presto quali saranno le prossime mosse di Saakashvili quando saranno tornati in patria i 2000 soldati dall’Iraq, grazie al ponte aereo organizzato dagli USA.
Sempre in mattinata le forze armate dell'Abkhazia hanno lanciato una nuova offensiva contro le truppe georgiane attestate nell'alta gola di Kodori, una vallata che, a differenza della quasi totalità del territorio della Repubblica, rimane ancora sotto il controllo di Tbilisi.
L'Alto commissariato Onu per i rifugiati intanto comunica che le persone sfollate a causa del conflitto fra Georgia e Russia in Ossezia del Sud e Abkhazia sono almeno 100.000. Secondo le cifre fornite dai governi di Russia e Georgia - ha detto oggi l'Unhcr a Ginevra - circa 30.000 persone sono fuggite dall'Ossezia del Sud verso la repubblica russa dell'Ossezia del Nord, mentre più di altri 12.000 sfollati sono rimasti dentro l'Ossezia del Sud. Inoltre, circa 56.000 persone sono fuggite dalla città di Gori, in Georgia centrale vicino all'Ossezia del Sud.
Ma la notizia fondamentale e’ che l’UE ha deciso finalmente di giocare di sponda con la Russia, suo alleato strategico, per difendere i propri interessi nell’area che ormai contrastano sempre piu’ con quelli USA.
Anche se permane il grosso punto interrogativo su come Polonia, Estonia, Lituania e Lettonia si comporteranno, dopo la decisione dei rispettivi Presidenti di andare a Tbilisi in sostegno alla Georgia.
Caucaso, la Russia ferma le operazioni militari
di Luca Galassi – Peacereporter – 12 Agosto 2008
Il presidente russo Dmitri Medvedev ha annunciato la fine delle operazioni militari in Georgia. L'annuncio è arrivato pochi minuti fa, dopo i cinque giorni di guerra che hanno devastato l'Ossezia del Sud e parte della Georgia. Sul terreno rimangono un numero imprecisato di morti (decine secondo i georgiani, centinaia secondo i russi), centomila sfollati, città in macerie, e soprattuto la fine delle ambizioni georgiane per il reintegro territoriale delle due repubbliche secessioniste.
"Punizione". Mosca ha impartito una severa e per certi versi sproporzionata lezione al temerario Saakashvili, che venerdì scorso, con l'invasione della capitale sud-osseta Tshkinvali, ha innescato una reazione a catena le cui conseguenze si sono rivelate imprevedibili e nefaste. Dopo l'offensiva georgiana, la Russia ha mobilitato parte delle sue forze penetrando in Ossezia del sud e Abhkazia e bombardando le città georgiane di Sinaki, Gori, Poti e le strutture militari alla periferia di Tbilisi. Tskhinvali è stata riconquistata dai separatisti filo-russi. Le gole di Kodori, unica porzione di territorio abkhazo controllata dai georgiani, sono ora in mano degli abkhazi. L'annuncio di Medvedev è arrivato poco prima che il presidente francese Nicolas Sarkozy, a Mosca per colloqui in veste di presidente di turno dell'Unione Europea, consegnasse a Medvedev la bozza di una risoluzione che prevedesse l'immediata cessazione delle ostilità e il completo ritiro delle truppe georgiane. La sospensione delle operazioni è avvenuta, nelle parole del presidente russo 'per costringere Tbilisi alla pace'. "L'aggressore georgiano è stato punito", ha detto Medvedev, che ha tuttavia ordinato al ministero della Difesa di riprendere le operazioni nel caso la popolazione della repubblica separatista dell'Ossezia meridionale sia nuovamente vittima di violenze. Nella mattinata, un cameraman olandese è rimasto ucciso durante il bombardamento su Gori.
"Aggressione brutale". Il Consiglio di sicurezza Onu si era riunito stanotte per la quinta volta senza esito. Vitaly Churkin, ambasciatore russo alle Nazioni Unite, aveva bocciato la risoluzione elaborata dai Paesi occidentali perchè il testo "presentava gravi lacune", tra le quali l'assenza di un riferimento all'aggressione da parte di Tbilisi. Sono continuate per tutta la giornata di ieri le dichiarazioni di Bush, alleato di Sakaashvili e primo sponsor delle sue ambizioni per l'adesione alla Nato. La controffensiva russa è stata definita dal presidente statunitense "un'aggressione drammatica e brutale inaccettabile nel Ventunesimo secolo". Gli Stati Uniti avevano prestato il proprio supporto logistico per trasferire il contingente di duemila georgiani in Iraq a rinforzo delle unità in patria. Dal canto suo, Mosca ribatte alla accuse occidentali giustificando il blitz militare con la necessità di proteggere i suoi cittadini. La maggioranza dei sud-osseti ha infatti passaporto russo.
Come i Balcani? Dopo che le operazioni di soccorso umanitario saranno state portate a termine, e dopo che la conta dei morti fornirà il reale bilancio di una guerra sconsiderata, le fazioni avverse e tutta la comunità internazionale avranno di fronte agli occhi una situazione che avrà sensibili ripercussioni sul panorama geopolitico europeo. Le implicazioni a lungo termine coinvolgeranno, oltre alla Russia e al Caucaso, l'Unione Europea e soprattuto gli Stati Uniti. Nel suo piccolo, lo scenario caucasico rievoca in parte una storia già vista nei Balcani. Come la Serbia, la Georgia potrebbe dover rinunciare alla sua tanto invocata 'integrità territoriale', considerato che il ritorno allo status quo è ormai impensabile dopo lo scellerato attacco a Tskhinvali. L'Abkhazia ha esteso il suo controllo all'intera repubblica, cacciando i georgiani e, alla stregua del Montenegro, ha oggi migliori carte da giocare per un'eventuare rivendicazione di indipendenza, se non di annessione alla Federazione russa. Infine, Mosca, il cui presidente si è ormai eretto a garante - con la forza - della stabilità del Caucaso, ha il pretesto per indicare in Saakashvili un sanguinario criminale (Putin ha parlato ieri di pulizia etnica e genocidio nei confronti della popolazione sud-osseta), fare pressioni affinchè si dimetta, se non addirittura incriminarlo, allo stesso modo in cui l'Occidente portò Milosevic alla sbarra della Corte penale internazionale.
Dietro l’Ossezia lo scontro tra USA e Russia
di Carlo Benedetti – Altrenotizie – 12 Agosto 2008
L’Ossezia del Sud vive la guerra. Ha chiesto l’indipendenza e sta ricevendo dure risposte fatte di pallottole, razzi, bombardamenti, distruzioni, lutti.
Tutto accompagnato da una tragica pulizia etnica che rafforza, nello stesso tempo, quella tesi secondo la quale la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi.
Un seguito, quindi, del procedimento amministrativo attuato dagli stati e dai governi.
Ed è proprio per questo che il conflitto attuale - che sconvolge la geopolitica del Caucaso - deve essere “letto” in chiave prettamente politica, perchè in gioco c’è non solo e non tanto la piccola e tormentata Ossezia, quanto l’intera società civile del mondo.
Perchè il teatro delle attuali operazioni militari (che le tv presentano negli aspetti più sanguinosi) non riguarda solo i governi di Tskhivali (Ossezia del Sud) e di Tbilissi (Georgia), ma chiama direttamente in causa potenze mondiali come la Russia e gli Stati Uniti.
E questo dal momento in cui la realpolitik obbliga a considerare che quanto avviene nel Caucaso è il risultato di un grande gioco che coinvolge direttamente Mosca e Washington. In questo contesto è d’obbligo esaminare la realtà del paese georgiano che è, praticamente, il centro di una vicenda - politica, diplomatica ed economica - che caratterizza uno spazio geografico di ordine strategico.
La Georgia, infatti, dopo essere stata una delle repubbliche sovietiche dove il livello di vita era più alto - se confrontato con altre realtà dell’Unione - si è ritrovata, con il crollo dell’Urss, a vivere con i suoi cinque milioni di abitanti il disfacimento totale del tessuto economico. E di conseguenza è diventata sempre più preda di gruppi politico-mafiosi.
Nello stesso tempo - proprio come reazione al vecchio sistema sovietico e alla diretta dipendenza di Mosca - si è andata sviluppando nel paese una vera e propria opposizione al rapporto con la Russia e con il Cremlino. Sentimenti nazionalisti hanno preso il sopravvento e Tbilissi, nello stesso tempo, ha preso in considerazione il completo distacco dalla egemonia e dall’amicizia (tradizionale) con Mosca.
E qui sono entrati nel gioco gli americani. I quali, in primo luogo, hanno considerato gli aspetti del valore strategico della Georgia. E precisamente il fatto che il paese ha una costa di oltre 300 chilometri sul mar Nero (un mare dove la marina militare russa ha le sue basi più importanti) ed è separata dalla Russia da una catena montagnosa di oltre 700 chilometri.
E non meno importanti - sempre per gli strateghi americani - i confini con la Turchia e l’Armenia. Ma a focalizzare l’attenzione americana sono stati e sono i valori della geoeconomia locale. La Georgia vista, quindi, come punto di transito dei maggiori oleodotti e gasdotti.
Tutto questo messo insieme ha portato sempre più gli Usa a considerare Tbilissi come un punto di forza per la penetrazione americana nel territorio dell’ex Unione Sovietica e, quindi, della Russia. In tal senso non è azzardato affermare che la Georgia è diventata un polo di attrazione per gli americani.
E in questo l’opera di penetrazione soft - nei corridoi del potere di Tbilissi - è stata affidata ad un personaggio come il miliardario Soros, uomo della Cia, noto per aver finanziato una gran massa di ONG per provocare, in vari paesi, guerre civili e movimenti sociali approfittando dello sbando delle istituzioni e dei poteri.
Ed è quello che è avvenuto anche in Georgia con la decomposizione del vecchio apparato di Stato sovietico e con la corsa della nomenklatura per impadronirsi delle risorse nazionali.
E così anche nel Caucaso è arrivata l’ondata americana con quella cosiddetta “rivoluzione di velluto”, gestita di fatto direttamente dagli Stati Uniti per mezzo di “esperti” e politici.
Il primo obiettivo della Casa Bianca, del Pentagono e della Cia è stato quello di raggiungere il “tempio” delle forze armate georgiane con un primo passo: quello attuato nel marzo 1994 quando Tbilissi si unì alla “Parthnership for Peace”. Una azione alla quale seguì, nell’ottobre 2004, l’aggancio alla Nato con tutte le relative conseguenze politiche e militari.
Sul fronte della gestione politica dell’intera operazione di penetrazione in Georgia gli americani hanno poi trovato l’uomo ideale. Messo da parte quello Scevardnadze - che era egregiamente servito per l’opera di distruzione dell’Urss - l’intelligence d’oltreoceano si è rivolta a Saakasvili.
Il personaggio - nato nel 1967 - è di origine georgiana, ma di formazione statunitense. E’ un fedele della Casa Bianca, del Pentagono e della Cia. Giurista quanto a studi è divenuto a poco a poco un agente dell’influenza Usa in Georgia e nel Caucaso.
E’ lui che, su comando di Washington, attua la politica di americanizzazione dell’intera regione. La sua carriera è stata programmata e finanziata dallo stesso Soros. Ed anche vari consiglieri della presidenza di Tbilissi hanno studiato negli Stati Uniti grazie a un programma di scambi universitari creato e gestito dalla fondazione privata di Soros.
E non c’è solo questo: il governo americano, da parte sua, ha raddoppiato gli aiuti economici bilaterali alla Georgia dopo la “rivoluzione”. Finanziamenti annuali che raggiungono oggi la cifra di 185 milioni di dollari.
Inoltre la Casa Bianca è coinvolta in un programma di formazione delle forze speciali dell'esercito georgiano nel quadro della cosiddetta lotta contro il terrorismo islamico nella regione e con la collaborazione di Israele.
Gli Stati Uniti hanno anche stanziato delle somme per pagare le fatture energetiche della Georgia all'indomani della “rivoluzione” del novembre 2003. È quindi evidente il ruolo di Soros che ha in Georgia i propri interessi finanziari e che ha lavorato a stretto contatto della CIA per favorire l'acquisizione del controllo su questa regione da parte degli Stati Uniti, soprattutto nel settore dell'energia.
Ed ecco che mentre si delinea sempre più questo scenario, l’Ossezia del Sud torna ad agitare la bandiera dell’indipendenza. Mosca non reagisce immediatamente perchè - tutto sommato - vede anche di buon occhio il fatto che all’interno della Georgia (non più “nazione amica”) nascano movimenti di opposizione e di destabilizzazione. La Russia, di conseguenza, accentua il valore della sua regione di confine, l’Ossezia del Nord.
Ma in questo preciso momento scatta la reazione georgiana. Ed è guerra. Le truppe di Saakasvili, ignorando che ormai l’Ossezia del Sud è autonoma ed ha sue istituzioni repubblicane (pur essendo ancora una realtà “georgiana”), scelgono la strada militare.Seguono massacri e bombardamenti contro una popolazione che è a stragrande maggioranza russa o che ha un passaporto russo in tasca.
Scendono in campo le forze armate “regionali” di Tskhivali. Ma la Georgia è di molto più forte. E sono massacri. La Russia cerca di contenere la situazione richiamando i dettati più elementari della diplomazia. Ma nello stesso tempo è chiamata (anche dalla sua opinione pubblica interna) a difendere gli ossetini.
Putin parla di “genocidio” e da Mosca arriva anche la richiesta di creare un Tribunale Internazionale per portare alla sbarra i “georgiani criminali che hanno ucciso i russi, gli ossetini, i membri della missione di pace”.
E sempre Putin aggiunge: “La Georgia ha commesso un crimine contro il suo stesso popolo, ha inferto un colpo mortale alla propria integrità territoriale e causato un danno tremendo allo stato. Date le circostanze è difficile immaginare come adesso l'Ossezia del Sud potrà essere convinta a diventare parte della Georgia, considerato che l'attacco georgiano, che è stato un crimine contro il popolo osseto, ha causato molte vittime tra la popolazione civile e una catastrofe umanitaria”.
Oltre alle dichiarazioni che hanno per ora un carattere diplomatico c’è il fatto che è in atto - nel Caucaso - una operazione globale di destabilizzazione. Con la Georgia che può essere considerata come un pezzo dell'ingranaggio americano messo in campo contro l'Iran: si è quindi in presenza di un meccanismo “occidentale” che punta allo smantellamento della stessa Russia.
Ed è questa anche una catena di polveriere che comprende la Cecenia, il Daghestan e l'enclave armena del Nagorno-Karabach in territorio azero. Tutto avviene mentre si stanno moltiplicando le aggressioni della Turchia contro i curdi. E questo rientra anche nel contesto del disegno americano contro l'Iran per non parlare dell’Iraq.
Ma è anche noto l’altro aspetto. Appunto quello geoeconomico. Perchè dietro questi conflitti - che vengono presentati come “etnici” - c'è in effetti il grande gioco per il controllo dei gasdotti e degli oleodotti.
È il gas del Turkmenistan e sono le riserve petrolifere dell'Azerbaigian. Gli americani mostrano le loro preoccupazioni per le risorse energetiche del Mar Caspio. E forse pensano anche di spostare le loro basi militari dall'Europa Occidentale a quella Orientale e all'Asia Centrale.
Tutto viene presentato ufficialmente nel contesto della lotta contro il terrorismo ma l’obiettivo statunitense consiste nell’installare delle nuove basi in Georgia o in Azerbaigian. La Georgia è, quindi, il vero fulcro strategico del Caucaso, perché è il solo paese ad avere un accesso al mare aperto e che confina per un lungo tratto con il Caucaso russo.
Ma bisogna ora considerare che il vero obiettivo della guerra scatenata da Saakasvili è un altro. Perchè questo georgiano che gli Usa hanno nominato come Quisling del Caucaso sta lavorando per una guerra “made in Usa”, a tutto campo, contro la Russia. E la stampa di Mosca scrive: “I georgiani come i nazisti” e ribadisce che il mondo civile deve chiamare in giudizio i responsabili del genocidio ossetino.
Nello stesso tempo i media attaccano gli Usa che “soffiano sul fuoco”. E alla tv un autorevolissimo esponente del mondo culturale russo - lo storico Andrej Sacharov (un omonimo dello scienziato) - parla a lungo del ruolo nefasto ed aggressivo degli Usa. La tensione cresce con i russi che passano all’attacco anche sul piano dell’informazione. Una nuova tappa dell’escalation nel confronto tra Mosca e Washington.
Campagne mediatiche: Dopo la Cina tocca alla Russia
di Giuseppe Iannello – Megachip – 12 Agosto 2008
Dopo la Cina è volta della Russia. Le campagne mediatiche non lasciano spazi ad incertezze o dubbi. Il nemico deve essere identificato e il torto deve essere tutto dalla sua parte. Gli incidenti di Lhasa del marzo scorso non sono stati mai chiariti, ma poco importa, quello che importa è che il Tibet deve essere libero, pertanto il governo cinese è l'unico responsabile degli incidenti che sono stati e che saranno.
Gli assalti alla fiaccola olimpica durante il percorso sono quindi giustificati e comprovano da soli da parte di chi sta il torto: è la Cina che se li è voluti. Ed anche se la cerimonia d'apertura delle Olimpiadi è stata bella e senza incidenti di nessun genere, bisogna ricordare al telespettatore che se la sta godendo, seduto comodamente sul divano di casa, che ciò che vede è bello solo “artisticamente” e che non bisogna dimenticare che la Cina non rispetta questo e quell'altro: tutto ciò ad un intervallo strettissimo, mediamente di pochi minuti, perché essendo le immagini di tutt'altra natura, il commento/spot audio deve essere martellante per essere efficace.
Contemporaneamente all'epilogo della campagna preolimpica, aveva inizio quella contro il nemico ritrovato: la Russia. Anche RAI News 24 seguiva in diretta l'inaugurazione da Pechino e la intramezzava con le notizie proveniente dall'Ossetia, le news scorrevoli a fondo schermo lasciavano pochi spazi di interpretazione all'utente: i russi erano intervenuti in Georgia e colpivano obiettivi in territorio georgiano; più o meno quello che si leggeva negli altri network internazionali. I giornalisti però, per aumentare il clima convulso della diretta, leggevano i comunicati stampa che gli arrivano quasi in tempo reale, senza distinguere ancora tra quelli di fonte russa e quelli di fonte georgiana. Insomma nessun filtro apparente, anche se ripeto i titoli delle news italiane erano “europeamente” conformi – tanto per fare un esempio a quelle della BBC.
Col passare delle ore è andato scomparendo il nucleo essenziale degli eventi: l'attacco annunciato in diretta TV dell'esercito georgiano contro l'Ossetia del Sud. E l'attenzione si è spostata unicamente sulle azioni da parte russa. Nei telegiornali il filtro è stato perfezionato da servizi di appoggio a quelli provenienti dai corrispondenti, fino a giungere al capovolgimento esatto della notizia che ha trovato emblematica attuazione nell'intervista di Gianni Riotta al TG1 della sera del 9 agosto: infatti alla domanda sul perché secondo lui tutto questo fosse successo proprio nel primo giorno delle Olimpiadi, ha risposto che Putin ha voluto dare in tal modo un segnale mondo. E' stato sufficiente sostituire un cognome quello di Saakahsvili con quello di Putin e il gioco era stato compiuto: l'assalto militare in pompa magna della truppe georgiane era scomparso; o meglio l'assalto c'era stato ed era ovviamente russo.
Ma la campagna ha trovato la sua apoteosi nel TG3 delle 19.00 del 10 agosto. Lo spazio dedicato al conflitto tra Russia e Georgia è enorme, più di un quarto d'ora. Questa volta non si tratta solo di servizi di informazione su quanto sta succedendo, si dà ampio spazio anche ai commenti, alle impressioni della gente - che guarda caso sono tutti georgiani: il picchetto attorno al palazzo di vetro ed una manifestazione svoltasi a Roma.
A questa addirittura si dedica un ampio servizio con moltissime interviste ai partecipanti (che non si capisce quanti siano), che inneggiano contro i russi: il genere di servizio è quello utilizzato per le grandi manifestazioni di protesta predisposte ed annunciate da giorni: ma qui i tempi di “reazione”- fatto/manifestazione/attenzione dei grandi media - sono stati veramente stupefacenti. Perfino Huxley e Orwell ne rimarrebbero stupefatti. La realtà come al solito supera la fantasia.