lunedì 18 agosto 2008

La Georgia isolata dall'UE

Lo Stato maggiore delle forze russe ha annunciato oggi l’inizio del ritiro delle truppe dalle Georgia, in linea con quanto promesso ieri dal presidente Medvedev. Ma secondo l’edizione online del New York Times, i russi stanno schierando nell’Ossezia del Sud basi di lancio per missili a corto raggio SS-21, in grado di raggiungere la maggior parte del territorio georgiano, compresa la capitale Tbilisi.

E sempre oggi Medvedev ha dichiarato che “Chiunque proverà ad aggredirci e a uccidere i nostri cittadini riceverà una risposta schiacciante. La Russia avrà truppe sufficienti per rispondere a qualsiasi aggressione”. Parole che ogni Capo di Stato, responsabile della sicurezza dei propri concittadini, sottoscriverebbe in toto.

Intanto il rappresentante permanente russo presso la NATO Dmitri Rogozin ha definito "inaccettabili" le dichiarazioni del segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, su un uso sproporzionato della forza da parte della Russia in Georgia. Rogozin in un'intervista al quotidiano ufficiale «Rossiskaia Gazeta» ha dichiarato che “Mosca intende rivedere le sue relazioni con la Nato a causa di quelle dichiarazioni poco serie, tanto più da parte di un'organizzazione che ha usato la forza in modo assolutamente sproporzionato contro la popolazione civile, soprattutto nel quadro del conflitto del 1999 in Iugoslavia”.
Un ragionamento che non fa una grinza.

Mentre la televisione russa Vesti-24 ha annunciato che Eduard Kokoity, il leader dell’Ossezia del Sud, ha sciolto il governo e proclamato lo stato d'emergenza nella regione ''Ho firmato tre decreti: uno per le dimissioni del governo, un altro per la proclamazione dello stato d'emergenza in Ossezia del Sud e il terzo per la creazione di un comitato d'emergenza per la gestione delle conseguenze dell'aggressione georgiana''. Kokoity ha poi ribadito che non intende ospitare osservatori straneri nel territorio sudosseto, ma anzi vuole chiedere a Mosca di installare in zona una base militare permanente.

Intanto Saakashvili ha deciso di cambiare linguaggio e toni. In un appello televisivo alla nazione ha affermato che “Dopo il ritiro delle truppe russe dalla Georgia, dovremo pensare seriamente alla ricerca di una forma di rapporto fra i due Paesi, perchè i nostri popoli non si sono voltati le spalle per sempre. Bisogna iniziare a riflettere per evitare un divorzio definitivo con Mosca”.

Finalmente ha capito che deve dialogare con i russi, visto che l’esercito georgiano ha subito una pesante sconfitta e la Georgia non ha ricevuto dall’Occidente il sostegno sperato.


Tbilisi: «Anche Israele ci ha tradito»
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 17 Agosto 2008

Temur Yakobashvili è il cittadino israeliano che in Georgia è diventato ministro per la reintegrazione territoriale, ossia con il compito di riprendere le provincie separatiste filo-russe. E’ quello che il giorno dell’attacco georgiano, parlando alla radio dell’armata israeliana, disse che «Israele deve essere fiero della preparazione che ha dato alle nostre truppe».

Ora che Saakashvili è stato costretto a firmare il cessate-il fuoco dettato da Sarkozy (i media avevano detto che l’aveva firmato per primo, ma non era vero), Yakobashvili ha cambiato registro: «Israele ci ha tradito come gli europei e gli Stati Uniti». Secondo lui, «le truppe NATO dovevano difendere le infrastrutture vitali georgiane»; invece persino Israele «ha fatto come volevano i russi. Ha aiutato i terroristi. Non so cosa abbia ottenuto in cambio, io vedo che Hezbollah continua a ricevere armi russe, e tante» (1).

«Israele deve proteggere gli interessi che ha qui», ha continuato Yakob: «Ci sono molti uomini d’affari israeliani che hanno investito denaro, e un Paese deve proteggere gli investimenti dei suoi cittadini». Ha aggiunto che loro, i georgiani, avevano avvertito Washington che i russi si preparavano a contrattaccare, «ma ci hanno detto che i georgiani stavano di nuovo esagerando».

La tendenza ad esagerare perdura, percjhé Yakobashvili ha proclamato che le truppe di Tbilisi avevano «distrutto la 58ma armata russa» e abbattuto 17 aerei e tre elicotteri. Ma poi la meravigliosa armata georgiana ha dovuto ritirarsi, «perchè la Russia ha dispiegato 30 mila uomini e migliaia di carri armati. Il nostro non è un popolo suicida». Oggi a Gori, ha aggiunto, «è in corso un progrom cosacco contro la popolazione locale (i giornalisti sul posto smentiscono, ndr). Come ebreo, questo mi dà i brividi».

Se non altro, queste recriminazioni dimostrano che il regime georgiano sta cominciando a sentirsi in difficoltà, e teme di pagare per i suoi errori. «Abbandonato» dal cosiddetto Occidente e «tradito» persino da Israele, Saakashvili teme di non sopravvivere politicamente.

Probabilmente, giorno dopo giorno, anche gli altri Paesi dell’Est che hanno fidato negli Stati Uniti, mettendosi al loro servizio per regolare i loro vecchi conti con Mosca, trarranno le conseguenze di questi «tradimenti».

Se il potente Occidente non è intervenuto a salvare la Georgia, interverrà per salvare Polonia e Ucraina? Un generale russo ha appena comunicato alla Polonia, corsa ad accettare i missili antimissile americani sul suo territorio, che è diventata un bersaglio atomico. Conviene? Gli americani si batteranno nella guerra nucleare per salvare Varsavia, loro che non hanno salvato Tbilisi?

Questi ripensamenti indeboliranno fortemente le ambizioni espansionistiche geopolitiche di Washington nell’ex area di influenza sovietica.Un primo segno di questo indebolimento è già in atto: mentre gli USA si sono ritirati dall’esercitazione navale «Furkus 2008», programmata prima del conflitto georgiano, perchè vi partecipava anche la Russia, la Francia vi sta prendendo parte (l’esercitazione è cominciata il 15 agosto e durerà fino al 23; qui la notizia).
Un’esercitazione russo-francese senza gli USA! Interessante precedente.

Qualche ripensamento su questo nuovo smacco dell’espansionismo di Bush sta avvenendo anche in USA. Patrick Buchanan, il giornalista che è stato candidato presidenziale conservatore, ha giudicato in questo modo l’accusa di Bush, secondo cui la risposta russa è stata «sproporzionata»: «Ma noi non abbiamo autorizzato Israele a bombardare il Libano per 35 giorni in risposta ad una scaramuccia di frontiera in cui erano stati catturati due soldati israeliani? Questo non è stato molto più ‘sproporzionato’? La Russia ha invaso un Paese sovrano, ha lamentato Bush. Ma gli USA non hanno bombardato la Serbia per 78 giorni e non l’hanno invasa per obbligarla a cedere il Kossovo, su cui la Serbia aveva pretese storiche più giustificate di quelle della Georgia sull’Abkhazia e il Sud-Ossezia, popoli etnicamente separati dai georgiani? Non è stupefacente l’ipocrisia dell’Occidente?» (2).

Mosca, scrive Buchanan, «ha ritirato l’Armata Rossa dall’Europa, ha chiuso le sue basi a Cuba, ha disciolto ‘l’impero del male’ e lasciato che l’Unione Sovietica si frazionasse in 15 Stati, ed ha cercato l’alleanza e l’amicizia degli Stati Uniti. E noi, cosa abbiamo fatto? Trafficanti americani in combutta con mascalzoni moscoviti hanno saccheggiato la nazione russa. Rompendo una promessa fatta a Gorbaciov, abbiamo esteso la nostra alleanza militare in Est Europa, fino alla porta della Russia. Sei Paesi del Patto di Varsavia e tre ex-repubbliche dell’URSS sono oggi membri della NATO».

Bush e Cheney spingono per portare nella NATO anche Ucraina e Georgia, rincara Buchanan. Ciò significa che «saremo obbligati ad entrare in guerra con la Russia per difendere la città di nascita di Stalin (Gori) e la sovranità (ucraina) sulla Crimea e Sebastopoli, tradizionale sede della flotta russa del Mar Nero».

Immaginate se fosse accaduto l’inverso, suggerisce ai suoi lettori. Se fosse stata Mosca a inglobare l’Europa occidentale nel Patto di Varsavia. Se, per di più «avesse stabilito basi in Messico e Panama, piazzato missili e radar a Cuba, e si fosse unita alla Cina a costruire oleodotti per trasferire il greggio venezuelano e messicano nel Pacifico per imbarcarlo verso i porti asiatici. Se ci fossero consiglieri russi e cinesi ad addestrare gli eserciti latino-americani, come noi facciamo nelle repubbliche ex-sovietiche: Come avremmo reagito?».

Una lezione di geopolitica molto ragionevole. E le voci critiche contro la politica russo-asiatica di Bush si infittiscono, naturalmernte non sui media italiani, ma su quelli del fidato alleato britannico (3). Mentre le truppe russe restano ancora sul territorio «sovrano» della Georgia (con calma, stanno meticolosamente distruggendo o impadronendosi di tutto l’armamento), le vociferazioni minacciose della Casa Bianca e dei suoi neocon non fanno che antagonizzare Mosca, senza alcuna efficacia nella realtà.

«La Russia sta perdendo la guerra di propaganda», si consola la BBC: ma appunto, tutto ciò che si dice e si dirà nei prosismi giorni (l’UNHCR, che sta soccorrendo solo i profughi georgiani e non ha mandato uno spillo ai sud-osseti, sta già raccogliendo le accuse di «atrocità» russe, come oro colato, dalla bocca dei georgiani fuggiti) non è altro che propaganda.L’espansionismo americano ha subito una battuta d’arresto nel mondo reale. La stessa BBC deve ammettere che «c’è una certa simpatia per la posizione russa in Europa».

Una frattura intra-europea: ecco un altro risultato dell’avventurismo e unilateralismo di Bush. Salvo una catastrofica «october surprise» che mantenga al potere Bush indefinitamente, il prossimo presidente dovrà riparare molti e gravissimi danni, nel mondo reale.

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1) Anshel Pfeffer, «Georgia minister: Israel has sold us out», Haaretz, 15 agosto 2008.
2) Pat Buchanan, «Blowback from bear-baiting». AntiWar.com, 15 agosto 2008.
3) Si veda per esempio Andrew Alexander, il più autorevole columnist del Daily Mail « Nato is pushing Russia into a new Cold War», 14 agosto 2008. Fatto significativo, questo giudizio appare sull’edizione on-line, non su quella stampata del giornale britannico. William Pfaff ha echeggiato le stesse critiche. Si veda anche, sulla stessa linea critica degli USA, Richard Bennet, analista strategico dell’AFI Research britannico (AFI sta per «American and Foreign Intelligence»), su Asia Times: «The bear is back», l’orso russo è tornato, su Asia Times del 16 agosto.