Qui di seguito ulteriori aggiornamenti e commenti sul conflitto tra Georgia e Russia.
Tbilisi firma il piano di pace dell'Unione Europea
di Luca Galassi – Peacereporter – 13 Agosto 2008
Dopo Mosca, anche Tbilisi ha accettato il piano di pace in sei punti presentato da Sarkozy, presidente di turno dell'Unione Europea, che in una conferenza stampa ha fatto un annuncio congiunto con il presidente georgiano Michail Saakashvili esponendo le condizioni dell'accordo. Il piano prevede il non ricorso alla forza; la cessazione immediata di tutte le ostilità; il libero accesso agli aiuti umanitari; il ritorno delle forze armate georgiane alle postazioni permanenti (caserme); il ritiro delle forze russe alle posizioni precedenti al conflitto. Le forze di interposizione russe prendono misure supplementari di sicurezza e verrà lanciato un dibattito internazionale sul futuro status di Ossezia del Sud e Abkhazia, e ulteriori strumenti per garantire stabilità e sicurezza. L'Unione Europea si pone come mediatore privilegiato nel contenzioso tra le parti.
Centinaia di migliaia di sfollati. L'annuncio è arrivato dopo cinque giorni di guerra che hanno devastato l'Ossezia del Sud e parte della Georgia. Sul terreno rimangono un numero imprecisato di morti (decine secondo i georgiani, centinaia secondo i russi), centomila sfollati, città in macerie, e soprattuto la fine delle ambizioni georgiane per il reintegro territoriale delle due repubbliche secessioniste. Il presidente georgiano Michail Saakashvili, in un discorso tenuto ieri a Tbilisi di fronte a migliaia di persone, aveva annunciato il ritiro dalla Comunità degli stati indipendenti (la Csi, composta dalle ex repubbliche sovietiche esclusi gli Stati baltici).
"Punizione". Mosca ha impartito una severa e per certi versi sproporzionata lezione al temerario Saakashvili, che venerdì scorso, con l'invasione della capitale sud-osseta Tshkinvali, ha innescato una reazione a catena le cui conseguenze si sono rivelate imprevedibili e nefaste. Dopo l'offensiva georgiana, la Russia ha mobilitato parte delle sue forze penetrando in Ossezia del sud e Abhkazia e bombardando le città georgiane di Sinaki, Gori, Poti e le strutture militari alla periferia di Tbilisi. Tskhinvali è stata riconquistata dai separatisti filo-russi. Le gole di Kodori, unica porzione di territorio abkhazo controllata dai georgiani, sono ora in mano degli abkhazi. La sospensione di ieri delle operazioni militari russe è avvenuta, nelle parole del presidente russo Medvedev 'per costringere Tbilisi alla pace'. "L'aggressore georgiano è stato punito", ha detto il presidente russo, che ha tuttavia ordinato al ministero della Difesa di riprendere le operazioni nel caso la popolazione della repubblica separatista dell'Ossezia meridionale sia nuovamente vittima di violenze. Ieri, un cameraman olandese è rimasto ucciso durante il bombardamento su Gori. Si aggiunge ai due giornalisti, uno georgiano e uno russo, uccisi tre giorni fa a Tshkinvali.
"Aggressione brutale". Durante uno scambio di battute al Consiglio di sicurezza Onu, riunitosi ieri notte per la quinta volta senza esito, Vitaly Churkin, ambasciatore russo alle Nazioni Unite, aveva bocciato la risoluzione elaborata dai Paesi occidentali perchè il testo "presentava gravi lacune", tra le quali l'assenza di un riferimento all'aggressione da parte di Tbilisi. Sono continuate per tutta la giornata di ieri le dichiarazioni di Bush, alleato di Sakaashvili e primo sponsor delle sue ambizioni per l'adesione alla Nato. La controffensiva russa è stata definita dal presidente statunitense "un'aggressione drammatica e brutale inaccettabile nel Ventunesimo secolo". Gli Stati Uniti avevano prestato il proprio supporto logistico per trasferire il contingente di duemila georgiani in Iraq a rinforzo delle unità in patria. Anche il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, precisando che l'iter di adesione della Georgia al Patto Atlantico rimane immutato, ha condannato l'uso "eccessivo e sproporzionato della forza" da parte dei russi, sottolineando di non ritenere conforme al mandato di peacekeeping che i russi hanno nell'Ossezia del Sud il fatto di "bombardare, applicare un blocco navale e fare uso massiccio della forza". Dal canto suo, Mosca ribatte alla accuse occidentali giustificando il blitz militare con la necessità di proteggere i suoi cittadini. La maggioranza dei sud-osseti ha infatti passaporto russo.
Stamani il Segretario di Stato Usa Condoleeza Rice ha dichiarato che è a rischio la presenza russa nelle istituzioni internazionali, riferendosi soprattutto all'Organizzazione mondiale del commercio. "I russi rischiano - ha detto la Rice in una intervista all'Abc -, hanno detto di voler far parte di questa prospera e fiduciosa comunità internazionale, e, francamente, credo che stiano facendo un gran danno alla loro possibilità di integrarvisi. Posso assicurare - ha proseguito - che la reputazione internazionale della Russia e il suo ruolo nella comunità internazionale è in questo momento in gioco".
Come i Balcani? Dopo che le operazioni di soccorso umanitario saranno state portate a termine, e dopo che la conta dei morti fornirà il reale bilancio di una guerra sconsiderata, le fazioni avverse e tutta la comunità internazionale avranno di fronte agli occhi una situazione che avrà sensibili ripercussioni sul panorama geopolitico europeo. Le implicazioni a lungo termine coinvolgeranno, oltre alla Russia e al Caucaso, l'Unione Europea e soprattuto gli Stati Uniti. Nel suo piccolo, lo scenario caucasico rievoca in parte una storia già vista nei Balcani. Come la Serbia, la Georgia potrebbe dover rinunciare alla sua tanto invocata 'integrità territoriale', considerato che il ritorno allo status quo è ormai impensabile dopo lo scellerato attacco a Tskhinvali. L'Abkhazia ha esteso il suo controllo all'intera repubblica, cacciando i georgiani e, alla stregua del Montenegro, ha oggi migliori carte da giocare per un'eventuare rivendicazione di indipendenza, se non di annessione alla Federazione russa. Infine, Mosca, il cui presidente si è ormai eretto a garante - con la forza - della stabilità del Caucaso, ha il pretesto per indicare in Saakashvili un sanguinario criminale (Putin ha parlato di pulizia etnica e genocidio nei confronti della popolazione sud-osseta), fare pressioni affinchè si dimetta, se non addirittura accusarlo di crimini di guerra. E' questo quanto vorrebbero i presidenti di Abkhazia e Ossezia del sud, che hanno già manifestato il loro rifiuto a trattare con 'delinquenti che andrebbero invece portati di fronte alla Corte penale internazionale'.
Cosa vuole Putin
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 13 Agosto 2008
La stampa occidentale vive la disfatta georgiana come propria: oddio, quando si fermeranno i cingolati russi? Mosca vuole annettersi la Georgia? Torna l’impero sovietico? Dove vuole arrivare Putin? L’angoscia servile, a quanto pare, rende sordi. Cosa vuole Mosca, l’ha detto chiaro Sergei Lavrov a Condy Rice: «Saakasvili must go», se ne deve andare. Anche Kouchner se lo dev’essere sentito ripetere.La mediazione francese, se non si limitasse a servire Usrael, potrebbe fare molto. Perchè ha sottomano l’uomo giusto, che vive a Parigi dove ha ottenuto l’asilo politico: Irakli Okruashvili.
E chi è?Okruashvili è stato ministro della Difesa di Saakasvili. Fino al novembre scorso, quando un forte movimento d’opposizione è sceso in piazza a reclamare «Saakashvili must go», e il Gran Kartulo ha risposto imponendo a Tbilisi la legge marziale (tale è la «democrazia» georgiana); Okruashvili, passato all’opposizione, lo ha accusato pubblicamente di corruzione e di assassinii vari, ed ha dovuto scappare all’estero. Saakashvili ne ha chiesto l’estradizione, rifiutata il giugno scorso da un tribunale francese.Come si vede, c’è una potenziale convergenza fra la popolazione georgiana e Mosca: Saakashvili se ne vada, l’avevano già chiesto i georgiani l’autunno passato. La gente lo accusa di aver scandalosamente arricchito se stesso e la sua famiglia, a cominciare da suo zio (fratello di suo madre, il capoclan) Timur Alasaniya, accaparrandosi le concessioni commerciali, petrolifere e portuali del Paese, nonchè grasse tangenti sull’acquisto delle armi da USA e Israele.
Se non fossero russe le bombe che piovono loro sul capo, oggi una maggioranza di georgiani potrebbero sottoscrivere le parole di Vladimir Vasiliyev, presidente della Commissione Sicurezza della Duma di Mosca: «Gli anni della presidenza Saakashvili potevano essere impiegati in tutt’altro modo, rafforzando l’economia, sviluppando infrastrutture, risolvendo i problemi sociali nel Paese e anche in Sud-Ossezia ed Abkhazia. Invece, Saakashvili ha impiegato le risorse del Paese per accrescere la spesa militare da 30 milioni di dollari a un miliardo: tutto per prepararsi all’azione militare». Il lato comico è che il Gran Kartulo, non contento di arricchire lo zio Alasaniya, lo ha piazzato (con il placet di Washington) alla Commissione ONU per... il disarmo.
Se i media occidentali, anzichè piangere sulla «piccola fragile democrazia minacciata» ascoltassero l’opposizione georgiana, vedrebbero che la soluzione del caso georgiano è più semplice di quanto sembra.
Irakli Karabadze, per esempio, che è riuscito a riparare a New York, dopo essere stato messo in galera dalle teste di cuoio di Saakashvili per aver guidato una manifestazione di piazza anti-Kartulo la primavera scorsa: «Quando le bombe taceranno, credo che Saakashvili non sopravviverà alla sua avventura in Ossezia» (1). E’ lo stesso parere di Shalva Natelashvili, che dirige il Partito del Lavoro georgiano, e che tace solo per non farsi accusare, in questo momento, si essere anti-patriottica.
Ovviamente, più a lungo le operazioni russe proseguono, più Saakashvili diventa la vittima e più il suo popolo si compatta per un’ovvia reazione psicologica. Ma oltre a militare in spirito per il «democratico», i giornali europei dovrebbero almeno riportare la posizione russa, che rende difficile un cessate-il-fuoco se prima non avviene in Georgia un cambio di regime (o di fantoccio).
Mosca ha visto nel massacro di osseti operato dai georgiani una replica della «pulizia etnica» che USA ed UE hanno giudicato crimine contro l’umanità, quando a commetterlo era il loro protetto Slobodan Milosevic. Se hanno trascinato al Tribunale dell’Aja Milosevic, bisogna che processino anche Saakashvili, dicono in Russia.Ovviamente, non ci credono. Sanno che Saakashvili è stato messo lì dagli americani per garantire l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che sottrae il greggio del Caspio alla sfera d’influenza russa per darlo in mano ad Israele (la quale punta, caricando il petrolio ad Eilat su petroliere e inoltrandolo all’estremo oriente asiatico, a neutralizzare completamente l’importanza strategica del Golfo Persico come transito dell’oro nero: che diventa così campo libero per le ulteriori guerre anti-islamiche).
A Mosca hanno tutte le prove che Washington punta a balcanizzare il Caucaso, a farne una ex-Jugoslavia piena di basi americane.Gli USA hanno armato il secessionista ceceno Dudayev; hanno finanziato il terrorismo ceceno nei suoi crimini più atroci (la strage alla scuola di Beslan, qualche giornale la ricorda?); ed ora, da anni, armano Saakashvili e ne addestrano i corpo speciali colpevoli dei massacri in Ossezia. Per di più, gli americani vogliono coprire il loro fantoccio mettendolo sotto il manto della NATO.
Se ciò sia bene per l’America, è una domanda sospesa. Ma almeno l’Europa dovrebbe considerare - con un brivido - che se oggi Saakashvili fosse già membro della NATO come caldamente vogliono e premono i neocon, saremmo già in guerra contro la Russia, nei rifugi a Milano e Berlino sotto il rombo dei Sukhoi, per nessun motivo decente.Per fortuna - non certo per merito europeo - non siamo a questo punto, e Saakashvili deve sorbirsi i Sukhoi per conto proprio. Ma fino a quando?
Secondo una fonte insospettabile, l’israeliano Maariv, USA ed Israele continuano anche in queste ore a rifornire di armi il Gran Kartulo (2). Lo fanno, come sanno bene a Mosca, usando una compagnia privata, la UTI WorldWide Inc., che fa decollare i suoi aerei da trasporto (ironicamente, di origine sovietica) dalla base giordana di Akaba, che il Pentagono usa di solito per inoltrare i rifornimenti in Iraq.
Dunque i russi non possono smettere le operazioni, e la «mediazione» europea non ha possibilità. Berlusconi, dopo una telefonata all’«amico Putin», ha rilasciato una dichiarazione che addossa la responsabilità dei fatti a Saakashvili.
Benino, ma c’è ancora un passo da fare: riconoscere che la NATO è diventata non solo controproducente agli interessi italiani ed europei, ma un pericolo immediato per l’Europa; che dunque, come minimo, occorre opporre un veto assoluto all’ammissione nell’Alleanza di Paesi-satelliti con capetti che hanno conti da regolare con Mosca, o che eseguono gli ordini americani. Poi, premendo sull’«amico Bush» perchè accetti il cambio di fantoccio in Kartulia, che è la sola e vera soluzione al problema.
Pensate che lo farà? Che qualcuno in Europa lo farà? Per togliersi l’illusione, basta vedere come i media italiani ed europei in genere siano schierati tutti sulla posizione americana.Si arriva a questo: che mentre le stesse fonti israeliane, da Debka File a YNET ad Israel Today, ammettono la «Israeli connection» nel conflitto in Sud-Ossezia, i media europei e i giornali italiani - a cominciare da l’Unità - non ne dicono una parola (3).
Eppure, lo so, i nostri colleghi leggono avidamente Debka File, se non altro per sapere cosa ordina il padrone, e quale disinformazione diffondere per far carriera. Come accade a tutti i servi e maggiordomi, siamo più realisti del re David.
Può darsi che in questo servilismo ci sian una parte di vera paura della Russia, e la convinzione che l’America, la NATO, ci difendono. Anche qui, le notizie - se avessero il coraggio di leggerle - dicono un’altra verità.
In Georgia, bloccati dal contrattacco russo che non avevano previsto, ci sono ancora mille soldati americani che hanno partecipato all’esercitazione «Immediate Response» conclusa il 31 luglio. Per la precisione, ci sono gli uomini della Southern European Task Force (Airborne) che normalmente stanno a Vicenza, il 21mo Comando di Teatro partito dalla germanica Kaiserslautern, il 3° Battaglione Marines, e il 25moMarines venuto dall’Ohio (4).
Come si vede, noi europei siamo già coinvolti, se non altro come passivi ospiti delle basi USA, adoperate oggi per le aggressioni in Caucaso ed Asia centrale. Nel servaggio c’è la viltà: forse la convinzione che gli americani sono comunque «i più forti», dunque ci conviene stare con loro. Ma è proprio così?
Il Pentagono comincia ad ammettere di essere stato sopreso dalla «velocità e tempestività» della risposta bellica russa (5). Più precisamente, il Pentagono non ha visto il «build-up», l’ammassamento di truppe e mezzi ai confini che segnalasse l’intenzione di contrattaccare in forze. Tra 10 e 25 mila uomini (la cifra superiore è la valutazione georgiana) e 500 carri russi armati sono comparsi di colpo ed hanno preso la via dell’avanzata, appoggiati dal cielo da SU-25, SU-24, SU-27 e da bombardieri TU-22. Con tanti saluti ai satelliti-spia americani che possono identificare un pallone da football in ogni parte del pianeta e, secondo la «revolution in military affairs», sostituiscono con l’alta tecnologia la vecchia «intelligence» affidata a spie sul terreno.Un bello smacco per la rinomata intelligence elettronica che gli israeliani si son fatti pagare da Saakashvili.
Soprattutto, uno scacco per la convinzione strategica americana, che la guerra si possa vincere dal cielo, guardando giù coi satelliti e bombardando a distanza, senza stivali sul terreno. La convinzione che i computer e le comunicazioni sostituiscano inutile l’intelligenza tattica e la pura e semplice audacia. I russi hanno un’altra scuola, che viene da un’altra storia, da Stalingrado, dalla lezione appresa nel sangue dal nemico tedesco. La loro forza è proprio nella rapidità e nell’audacia tattica sul terreno.
M’è capitato di apprezzarla personalmente - sia consentito un ricordo personale - in Kossovo. Mentre la NATO occupava la ragione secondo le (sue) regole americaniste ossia prevedibili, un corpo russo - qualche Omon, qualche paracadutista, alcuni mezzi corazzati portatruppe - s’impadronì dell’aeroporto di Pristina. I generali inglesi e americani erano verdi di bile, per atterrare e decollare dovevano chiedere il permesso ai russi.
Mosca, specialmente allora, non poteva fare molto per la Serbia; ma con quell’azione avevano dato prova di una fantasia geniale, di una capacità di sfida quasi inaudita, che evidentemente veniva da una perfetta valutazione politico-militare della situazione e da un freddo calcolo del rischio. Tutto ciò che ho visto sempre mancare alla superpotenza USA.
Me li ricordo ancora, quei soldati russi. Sedevano a cavalcioni sui loro carri armati coi loro copricapi da carristi della seconda guerra mondiale, fumavano papiroske e ci guardavano con sfida. Molto sicuri di sè.
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1) John Helmer, «Russia bids to rid Georgia of its folly», Asia Times, 12 agosto 2008.
2) «US sends more arms to Georgia - Israeli media», Russia Today, 11 agosto 2008. «The United States is sending fresh supplies of weapons to Georgia from its base in the Jordanian port of Aqabah. That’s according to the Israeli newspaper - Maariv».
3) John Vandiver, «US troops still in Georgia», Star & Stripes, 12 agosto 2008. Anche 12 mila fra ebrei residenti ed israeliani sono bloccati in Georgia, e gridano perchè vogliono essere salvati; il governo di Olmert sta cercando di portarli via.
4) «Media disinformation: BBC distorts the news from the Georgia region», GlobalResearch, 10 agosto 2008.5) «US military surprised by speed, timing of Russia military action», AFP, 11 agosto 2008. «… the official said there was no obvious buildup of Russian forces along the border that signaled an intention to invade. ‘Once it did happen they were able to get the forces quickly and it was just a matter of taking the roads in. So it’s not as though they were building up forces on the border, waiting’, the official said. ‘What are their future intentions, I don’t know. Obviously they could throw more troops at this if they wanted to’, he said».
La Georgia la Israel connection
Mirumir – 11 Agosto 2008
Impossibile tener fuori gli israeliani da una storia di guerra?Già il primo giorno di guerra è uscita su Debkafile, sito israeliano che viene considerato vicino alle alte sfere militari israeliane, e per questo fonte sia di notizie di prima mano sia di propaganda fuorviante, l'informazione che gli israeliani avrebbero un ruolo nel conflitto tra Georgia e Ossezia del Sud.
Ricordiamo che anche Gerusalemme ha la necessità di difendere i propri interessi petroliferi nell'oleodotto Baku-Ceyhan, costruito in maniera da non passare in territorio russo (tra l'altro, sempre secondo Debka, Israele avrebbe offerto a Mosca di collaborare in un progetto per portare il gas ai porti israeliani di Ashkelon e di Eilat dalla Turchia, ma i russi avrebbero rifiutato). Questa la notizia di Debka:L'anno scorso il presidente georgiano ha assoldato da aziende di sicurezza private israeliane varie centinaia di consulenti militari, circa un migliaio, per addestrare le forze armate georgiane in tattiche di combattimento (commando, aria, mare, mezzi armati e artiglieria). Hanno inoltre offerto al regime centrale istruzioni sull'intelligence militare e la sicurezza.
Tbilisi ha acquistato anche armi, intelligence e sistemi elettronici per la pianificazione dei combattimenti da Israele. Questi consulenti sono di sicuro profondamente coinvolti nella preparazione dell'esercito georgiano alla conquista della capitale osseta di questo venerdì. Ieri (10 agosto) il quotidiano israeliano Yediot Aharonot ha pubblicato questo articolo, dove esemplifica la questione (di seguito alcuni estratti): Il combattimento che è iniziato nel fine settimana tra Russia e Georgia ha portato alla luce il profondo coinvolgimento di Israele nella regione.
Questo coinvolgimento include la vendita di armi avanzate alla Georgia e l'addestramento di forze di fanteria dell'esercito georgiano. Il ministro della difesa [israeliano] ha tenuto un incontro speciale questa domenica per discutere delle varie vendite di armi israeliane in Georgia, ma finora non è stato annunciato nessun cambiamento di politica. "La questione è tenuta sotto stretto controllo", hanno detto fonti del Ministero della Difesa. "Non operiamo in nessun modo che possa contrastare gli interessi israeliani. Abbiamo declinato molte richieste che implicavano vendite di armi alla Georgia; e quelle che sono state approvate sono state analizzate scrupolosamente. Finora non abbiamo posto limitazioni alla vendita di misure protettive."
E fa un rapido riassunto della storia dei rapporti d'affari bellici tra i due paesi:Israele ha cominciato a vendere armi alla Georgia circa sette anni fa, in seguito all'iniziativa di alcuni cittadini georgiani che sono immigrati in Israele e si sono messi in affari. "Hanno contattato rappresentanti dell'industria della difesa e venditori d'armi e gli hanno detto che la Georgia aveva un budget relativamente alto e poteva essere interessata ad acquistare armi israeliane", dice una fonte coinvolta nelle esportazioni di armi. La cooperazione militare tra i paesi si è sviluppata prepotentemente.
Il fatto che il ministro della Difesa georgiano, Davit Kezerashvili, sia un ex cittadino israeliano che parla benissimo l'ebraico ha contribuito a questa cooperazione. "La sua porta era sempre aperta per gli israeliani che venivano a offrire al paese sistemi d'arma costruiti in Israele", dice la fonte. "Rispetto ad altri paesi dell'Europa dell'Est, i contratti con questo paese sono stati conclusi molto rapidamente, principalmente per via del coinvolgimento personale del ministro della difesa".
Tra gli israeliani che hanno tratto vantaggi da questa oppurtunità e hanno cominciato a fare affari in Georgia ci sono l'ex ministro Roni Milo e suo fratello Shlomo, l'ex direttore generlae delle industrie militare, il Brigadiere-Generale (in congedo) Gal Hirsch e il Generale-Maggiore (in congedo) Yisrael Ziv. Roni Milo ha condotto affari in Georgia per Elbit Systems e le Indutrie Militari, e col suo aiuto le industrie militari israeliane hanno venduto alla Georgia droni, torrette automatiche per veicoli blindati, sistemi antiaerei, sistemi di comunicazione, munizioni e missili.
[...] Gli israeliani che operano in Georgia hanno cercato di convincere le Industrie Aerospaziali Israeliane a vendere vari sistemi alle forze aeree georgiane, ma le offerte sono state declinate.
La ragione del rifiuto è la relazione "speciale" creatasi tra le Indutrie Aerospaziali e la Russia nel miglioramento dei jet da combattimento prodotti nell'ex Unione Sovietica e la paura che vendere armi alla Georgia avrebbe contrariato i russi e li avrebbe potuti spingere a cancellare l'affare.
L'articolo si chiude con i complimenti del ministro georgiano per la Reintegrazione, Temur Yakobashvili, all'esercito: "Gli israeliani devono essere fieri dell'addestramento israeliano e dell'educazione data ai soldati georgiani". Inoltre, secondo Ha'aretz, il ministro avrebbe dichiarato che "Non ci sono stati attacchi all'aeroporto di Tbilisi. Era una fabbrica che produce aerei da combattimento".
Affari, in sostanza, ma sembrerebbe che la Georgia sia decisamente un partner privilegiato nella regione, a quanto ne sappiamo finora. Però, secondo una notizia del 5 agosto tratta dal sito di Yediot Aharonot, che cita la Associated Press:Israele ha deciso di bloccare la vendita di equipaggiamento militare alla Georgia a causa delle obiezioni della Russia, che è alle corde col suo piccolo vicino caucasico, hanno dichiarato ufficiali del ministero della Difesa questo martedì. Gli ufficiali hanno detto che il congelamento aveva lo scopo parziale di dare delle chance ad Israele nei suoi tentativi di persuadere la Russia a non vendere armi all'Iran.