venerdì 30 gennaio 2009

Davos: Cina e Russia fanno la voce grossa e puntano il dito

Qui di seguito qualche aggiornamento sul World Economic Forum in corso a Davos in questi giorni.


WEF di Davos: prove tecniche del nuovo ordine economico globale

di Fulvia Novellino - http://italia.etleboro.com - 30 Gennaio 2009

Si era preannunciata come la conferenza per "uscire dalla crisi", ma si sta trasformando in un concilio multilaterale di discussione delle cause e dei reciproci errori compiuti in passato, lanciando le prime idee di riforma strutturale del sistema economico. La 39esima edizione del 2009 del World Economic Forum di Davos , dal titolo "Un progetto post-crisi", vede la partecipazione di 1.400 imprenditori provenienti da 96 paesi, 43 capi di Stato o di governo, 17 ministri delle finanze, i governatori delle 19 banche centrali, così come centinaia di giornalisti.

Una immensa tavola rotonda che ha come protagonisti i grandi veterani delle crisi economiche del passato, e gli illustri assenti della recessione globale del presente.

Mancano i dirigenti dei gruppi bancari che sono scomparsi dopo il terremoto della crisi finanziaria, nonché delle istituzioni finanziarie americane, travolti dagli scandali di Wall Street, dei mutui subprime e della crisi di liquidità.
Cina e Russia presiedono il Forum con le loro lezioni di geopolitica economica, senza nascondersi dinanzi alle domande e agli attacchi più pungenti, forti della consapevolezza del ruolo che avranno qualora vi sarà un nuovo ordine mondiale economico.
Ciò anche in considerazione del fatto che al miracolo della nuova amministrazione americana di Barack Obama non tutti credono, non potendo incidere da sola sul cambiamento strutturale di uno stato di crisi che è diffuso e diramato in ogni settore.

Come osservato da Joseph Stiglitz, economista e docente presso la Columbia University, "non si può fare peggio di quanto già fatto dalle banche. Il problema fondamentale è rappresentato dal fatto che il sistema è sbagliato, e non basta sostituire le persone o predisporre un team di esperti per risolvere il problema".
Stiglitz ha senz’altro centrato il problema di fondo, ossia che non si potrà arginare la situazione gettando soldi in un pozzo senza fondo, tutto sarà vano non si avrà una reale presa di coscienza che il sistema economico è cambiato, e in quanto tale ha bisogno di regole basate su diversi presupposti.
È quello che chiede infatti la Cina, che punta il dito contro quei Paesi "che hanno adottato un modello di sviluppo insostenibile caratterizzato da un debole risparmio su un lungo periodo e un forte consumo".
Per il Premier cinese Wen Jiabao, il nuovo ordine economico mondiale passa inevitabilmente per una riforma dei grandi istituti finanziari internazionali e una regolamentazione dei mercati capitali.

Sulla riforma delle regole su cui si basa l’economia, interviene anche Vladimir Putin chiedendo che Europa e Stati Uniti attuino una politica monetaria più aperta ed equilibrata, nel rispetto delle norme internazionali della macroeconomica e della disciplina finanziaria. E a tale proposito spinge per il ritorno ai vecchi principi economici che si basano sull'integrazione regionale delle valute, contro un'economia mondiale troppo dipendente dal dollaro. "Gli operatori occidentali dovrebbero abbandonare l'ideologia del colonialismo nelle relazioni bilaterali - afferma Putin spiegando - il mondo si è globalizzato ed è oggi interdipendente. Se vogliamo mantenere rapporti civili, è necessario formulare i principi fin dall'inizio". Putin chiede dunque una riforma delle norme di emissione della moneta, e così di regolamento degli scambi, che si basi sul concetto di "valore fondamentale" delle attività, "basato sulla capacità di un'impresa di generare valore aggiunto e non su mere considerazioni soggettive", e dunque sull’economia reale. Noi aggiungiamo a tale parole "sull’economia reale di nuova generazione".

Occorre infatti considerare che sta affondando innanzitutto quell'economia reale, che utilizza fonti di energia e tecnologie scoperte agli inizi del secolo, ossia quella siderurgica, petrolifera e automobilistica, ragion per cui occorre introdurre cicli produttivi con energia sostenibile e prodotti innovativi che contribuiscano al progresso economico sostanziale.
Allo stesso modo, sta cambiando anche l’economia immateriale, quella dei servizi, a cominciare da quelli finanziari, sino a quelli dell’informazione e della comunicazione, proprio in relazione all’introduzione di nuove piattaforme cibernetiche. È ormai chiaro che la crisi ha solo consentito la riconfigurazione degli assetti bancari, con concentrazioni e fusioni che hanno racchiuso il potere economico nelle mani di entità private, ma anche di fondi sovrani e Governi , come il caso di Russia e Cina, nonché alcun Paesi arabi: il mercato bancario pian piano si assesterà basandosi su nuove regole, che lo renderanno ancora più inattaccabile con l’introduzione di nuove tecniche per lo scambio di dati ed informazioni.

Una simile dinamica l’avremo nel settore dell’informatica e dell’informazione. Il caso di Microsoft è esemplare in quanto - come per Ford, GM e Crysler - ha costruito il suo monopolio su una tecnologia e una fonte di informazione che ormai è fuori mercato, e l’avvento di nuovi scenari e nuove esigenze decreteranno la sua fine. I software - come per le vecchie auto a benzina - non sono più dei beni indispensabili, in quanto sono perfettamente sostituiti dalla rete, che fornisce tutti gli strumenti richiesti anche attraverso un terminale che usa un unico programma necessario solamente ad accedere al web e a navigare. Microsoft dovrà solo sperare nella possibilità di scalare Yahoo per mettere le mani su un motore di ricerca, ed impedire che una qualsiasi joint-venture tra Google e un produttore di software possa mettere fine all’esistenza del concetto di "sistema operativo" stabilito da Windows.

La comunicazione cibernetica farà scomparire la netta distinzione tra utente e macchina, e così l’utente diventerà automatizzato senza aver più bisogno di interfacce "umane" o di processi lunghi, mentre la macchina non avrà più bisogno dell’intervento umano. Questo sistema necessità dell’abbandono della vecchia energia, delle vecchie regole, delle vecchia mentalità: tutto questo non avverrà senza creare disoccupazione, crisi strutturali, recessioni e guerre. Sarebbe dunque preferibile che i capi di Stato si siedano davvero ad una tavola rotonda e concordino le nuove regole per aiutare il sistema economico a cambiare, senza tanti stravolgimenti.


Usa sul banco degli imputati. Perchè il dollaro come moneta di riserva mondiale?

di Uriel - wolfstep - 30 gennaio 2009

Ho assistito ai discorsi introduttivi di Putin e del presidente cinese, all’apertura della conferenza di Davos, e devo dire che niente da quelle parti promette bene. Lo dico perche’ Obama ha sempre dato per scontato che una volta “ritornata” ad avere una politica “smart”, l’america sarebbe stata riaccolta a braccia aperte, come un parente che ha avuto una malattia e torna dall’ospedale. Le cose, pero’, non sembrano andare esattamente cosi’.

Da un lato, il discorso di Putin era inteso anche per preservare il suo consenso interno, ma lo scopo era assai chiaro: rendere evidente, fin dall’inizio, che questa crisi e’ nata negli USA, e che per come si e’ svolta sembra essere “a perfect storm”, un ottimo espediente per rinnegare tutto cio’ che gli USA hanno obbligato a fare.

Cioe’, il discorso di Putin e’ stato: cari USA, avete scassato la minchia a tutti col liberismo e con la globalizzazione. Avete quasi imposto il vostro WTO a tutti, facendo pressioni immense perche’ i governi si adeguassero ai suoi standard. Avete inquinato il mondo con la vostra finanza truffaldina, garantendo che fosse la base per il “nuovo ordine mondiale” ove tutti sarebbero stati felici.

Poi, improvvisamente, ci dite “fermiamo tutto perche’ abbiamo un problema qui a Wall Street”. E iniziate a dire che metterete dazi alle importazioni di ogni cosa, che inizierete a produrvi ogni cosa in casa, e che il WTO e’ buono solo per spalmare sul mondo le perdite immense che la crisi ha causato.

Ecco, con queste premesse il presidente Putin ha voluto mettere le mani avanti, circa il fatto che pratichera’ una politica sempre piu’ protezionista a sua volta , riguardo alle fonti energetiche, e che importera’ solo da nazioni amiche: non per nulla Putin ha nominato anche la crisi Ucraina, giusto per dire che ogni tentativo di staccare Ucraina e Russia finira’ col causare instabilita’ nella zona. Insomma, lo scopo di Putin e’ di mettere subito gli USA sul banco degli imputati, e specialmente Putin pretende che gli USA chiariscano subito al mondo se essi credano ancora alla globalizzazione liberista (WTO e compagnia bella) oppure se intendano recedere: non e’ che a Putin interessi la risposta a questa domanda, sta solo cercando di mettersi nelle condizioni di fornire la propria risposta.

Non per nulla , la dialettica della “perfect storm” e’ mirata proprio a seminare sospetto, cioe’ a lasciar intendere che gli USA non potranno , dopo aver goduto dei vantaggi della globalizzazione, semplicemente ritirarsi nel loro guscio lasciando agli altri paesi il conto: probabilmente Putin intende recedere da ogni debito e da ogni impegno che trovera’ gravoso, come ritorsione per il ritiro degli investimenti occidentali dalla borsa di Mosca(1).

E’ stato ancora peggiore il discorso cinese. Dai cinesi, notoriamente orgogliosissimi della loro nazione, non ci si aspettava certo un discorso come quello udito, cioe’ un discorso che inizia con “e’ inutile nascondere che la Cina e’ stata colpita duramente da questa crisi, e molte difficolta’ stanno emergendo”. Non dai cinesi, e non dopo lo sfoggio nazionalista delle olimpiadi.

C’e’ un solo motivo per il quale un presidente cinese puo’ parlare cosi’: chiarire che la crisi arriva da fuori, che il governo cinese ha agito bene, e probabilmente porre le premesse per chiedere il conto, un conto salato. Che il conto verra’ chiesto si e’ visto subito dalla precisione con la quale il presidente cinese ha elencato i danni causati da questa crisi: sembrava una lista della spesa.

Non e’ affatto comune che il governo cinese ammetta di essere in difficolta’: dopotutto un 7% di crescita in una fase come questa potrebbe essere un paravento, se non certo per gli addetti ai lavori almeno per l’opinione pubblica. Se il presidente cinese rinuncia all’orgoglio nazionale per elencare i danni, e’ perche’ intende presentare il conto.

Sebbene i suoi toni siano stati meno demagogici di quelli di Putin (che in pratica ha insinuato che gli americani abbiano in qualche modo guidato la crisi a massimo svantaggio di alcuni paesi) , e’ assai piu’ preoccupante la portata delle ritorsioni che esso preannuncia: nel fare questo discorso Wen Jiabao si e’ in pratica liberato le mani da tutti quei vincoli internazionali che potevano trattenere la Cina dal ritorcere contro gli USA per la politica protezionista che hanno annunciato.

Il concetto, in pratica, e’ che il trucco di essere globalizzatori quando ci sono vacche grasse e diventare protezionisti nei periodi di crisi non e’ piu’ applicabile, e non verra’ accettato. Obama ha un bel dire che vuole rendere gli USA indipendenti sul piano energetico; i fatti pero’ dicono che l’ 8.5% del petrolio arriva loro dai russi, e tutte le smargiassate di Bush adesso gli presenteranno il conto.

La politica di reazione a questa crisi di Putin e’ stata ancora piu’ protezionista di quella di Obama: le aziende russe che hanno sedi all’estero e devono licenziare devono PRIMA farlo all’estero, se devono chiudere una sede devono PRIMA chiudere quelle all’estero, i commerci sono regolati da dazi che seguono il livello di “amicizia” della Russia col paese in questione, il che significa che ad un raffreddamento politico segue immediatamente una ritorsione doganiera.

Nel caso dei cinesi, la tentazione di passare con la mietitrebbia a raccogliere quanto resta degli investimenti stranieri, nazionalizzandoli di fatto (2), e di recedere da molti obblighi del WTO, e’ fortissima. Cosi’ com’e’ fortissima la tentazione di sfruttare la crisi in atto ad Hong Kong (colpita durissimamente dal crollo della City) per aumentare la propria ingerenza sull’ex protettorato. E infine, c’e’ una grossa voglia di allungare le mani su Taiwan.

Ma quello che e’ peggio, e’ che il governo cinese vorrebbe mettere mani sulla moneta. E con ogni probabilita’, una volta chiarito che la Cina sta pagando costi altissimi per colpa degli USA, con ogni probabilita’ non ci saranno scuse per contrastare le eventuali svalutazioni cinesi: adesso il petrolio costa poco, non c’e’ ragione di una moneta forte.

In ultimo, ci si sono messi anche i Pakistani, che hanno approfittato del palcoscenico per battere cassa, rifiutando il concetto dell’amministrazione USA di aiuti in cambio di risultati nella lotta al terrorismo: di fatto il Pakistan sta battendo cassa, e se non gli verra’ dato quanto chiede l’unica base USA nella zona sara’ in una ex repubblica sovietica, per intercessione di Putin.

Infine, un’altra cosa terribile che entrambi hanno sottolineato e’ che dubitano del dollaro come moneta di riserva. Forse Obama non ha idea di cosa significhi: Cina e Russia sono i detentori della prima e della terza riserva di dollari del mondo. Qualsiasi tipo di riforma valutaria abbiano in mente, entrambi i discorsi hanno lasciato intendere che i due paesi intendono iniziare una politica multipolare sul piano valutario, cioe’ intendono parlare in euro con chi usa l’euro, in yen con chi usa lo yen, in dollari con chi usa i dollari, eccetera. Questa diversificazione ovviamente rende inferiori i rischi, con un solo piccolo problema: che se anche una piccola parte del mostruoso indice M3 americano tornasse in patria, l’inflazione devasterebbe l’economia americana riducendola all’economia di un paese del terzo mondo, con effetti simili a quelli dell’inflazione tedesca nel primo dopoguerra del secolo scorso: cento milioni di dollari per un hamburger.

I due fatti, cioe’ il fatto che sia Cina che Russia contemporaneamente puntino il dito sulla causa della crisi (anche giustamente, volendo) e subito dopo vadano a nominare le riserve forex di dollari e’ enormemente preoccupante: se altri paesi , come quelli arabi, si unissero a questa fronda, potremmo trovarci ad inviare aiuti alimentari a Washington.

E la cosa pazzesca e’ che non e’ uno scherzo. Ovviamente, l’enormita’ del problema costringera’ l’amministrazione americana a trattare, quindi non si arrivera’ a questo punto. C’e’ pero’ da dire che il prezzo sara’ salatissimo, e del “new american century” restera’ assai poco: con ogni probabilita’, stiamo assistendo al declino definitivo dell’ impero. Che non e’ neanche durato tanto, btw.


(1) In effetti ritirare investimenti dalla borsa di Mosca perche’ c’e’ un problema in Georgia e’ come ritirarsi dalla Borsa di Milano perche’ in Somalia c’e’ cattivo tempo. E’ un atto politico in tipico stile Bush, che l’opinione pubblica russa considera un segno di ostilita’.

(2) Chi ha aperto in Cina ha dovuto formare una Joint con un’azienda locale, controllata di fatto da un funzionario del PCC. Il che significa che, avendo queste joint il 51% di capitale (formale) cinese, il governo cinese le puo’ nazionalizzare quando vuole. Per la precisione, gli appartengono gia’, quindi deve solo regolare i flussi di capitale delle aziende.


Erdogan acclamato al ritorno in Turchia dopo il duro scontro a Davos con Peres su Gaza

da www.ariannaeditrice.it - 30 Gennaio 2009

Innalzando bandiere turche e palestinesi ma anche manifesti con su scritto "Sei il leader del mondo" e "La Turchia è orgogliosa di te", migliaia di persone hanno accolto festanti poco dopo la mezzanotte di ieri all'aeroporto di Istanbul il rientro in patria del premier turco Tayyip Erdogan, che ieri ha abbandonato il Forum Davis per non aver potuto replicare al presidente israeliano Shimon Peres al Forum di Davos. Poco dopo il suo arrivo, Erdogan - acclamato come un eroe - ha parlato alla folla ed ha tenuto una conferenza stampa.

Allo scopo di facilitare l'affluenza della gente all'aeroporto Ataturk per festeggiare il ritorno di Erdogan, il Comune di Istanbul ha deciso di estendere sino alle 03:00 di stamani l'orario di servizio dei treni diretti all'aeroscalo su cui i passeggeri hanno viaggiato gratis. Ad attendere Erdogan c'era anche il sindaco di Istanbul, Kadir Topbas, espondente del filoislamico Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) guidato dal premier. Rincasando all'alba, Erdogan ha trovato la strada che porta alla sua casa di Istanbul tappezzata di garofani rossi. Stamani la stampa turca riporta l'episodio con abbondanza di foto e particolari oltre e titoli cubitali e risonanti come "Lo spirito di Davos è morto" (Hurriyet), "Storica lezione di Erdogan a Peres" (Turkiye), "Schiaffo storico" (Yeni Safak) e "Shock a Davos" (Milliyet).

Quest'ultimo riferisce anche che la moglie del premier, Emine, "é scoppiata in lacrime mentre Erdogan lasciava la sala" affermando "questo è un grave scandalo". La Turchia, che ha da anni un'alleanza strategica con lo Stato ebraico e buoni rapporti con i Paesi arabi e il non arabo Iran, è una nazione laica ma a maggioranza islamica e si è apertamente schierata contro Israele in occasione dell'offensiva militare contro il movimento integralista palestinese Hamas.


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Dialogo impossibile ieri a Davos (Svizzera) sul Medio Oriente. Saliti sul palco per parlare delle vie verso la pace, il presidente israeliano Shimon Peres e il primo ministro turco Recep Erdogan hanno entrambi pronunciato interventi durissimi e totalmente opposti sulla recente offensiva israeliana nella Striscia di Gaza.

Alla fine, per non aver ottenuto dal moderatore il diritto di replica, Erdogan ha lasciato il palco irritato minacciando di non tornare più al World economic Forum di Davos. Peres ha parlato per ultimo e a lungo. Prima di lui si erano espressi il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, il segretario della Lega araba Amre Moussa e quindi Erdogan. Il premier turco aveva aspramente criticato l'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, scattata il 27 dicembre appena quattro giorni dopo una visita dell'omologo israeliano Ehud Olmert ad Ankara per parlare del processo di pace in Medio Oriente. Dopo di lui, Peres ha difeso con forza l'offensiva israeliana. "Non è stata la nostra scelta, la nostra scelta è la pace - ha detto - Perché hanno continuato a lanciare razzi? La tragedia di Gaza non è Israele, ma Hamas e la sua brutta dittatura". Nel suo intervento, il capo di stato israeliano ha più volte alzato la voce, a volte direttamente rivolto al premier Erdogan che poco prima si era pronunciato per l'inclusione di Hamas, movimento che ha vinto le elezioni nei Territori, nell'equazione per giungere alla pace. Dopo la sua dura requisitoria il presidente israeliano é stato applaudito da un uditorio composto da centinaia di top manager, politici e accademici ma Erdogan non ha gradito. "Trovo molto triste che la gente applauda, perché sono morte molte persone", ha detto senza poter continuare la sua replica: il giornalista che moderava il dibattito lo ha interrotto ed il premier a quel punto ha lasciato la sala.