venerdì 2 gennaio 2009

Viva Cuba

A 50 anni dalla vittoria della Rivoluzione contro il regime di Batista, Cuba ha tenuto botta a un numero indefinito di tentativi di rovesciare il governo rivoluzionario e al blocco economico imposto dagli USA.

Fidel Castro ha governato per 48 anni e da un anno il fratello Raúl è presidente. Nel frattempo sono passati dieci presidenti americani e cinque Papi.

La Revolución ha tenuto, ma il futuro e' pieno di incognite.

Que viva Cuba!!


Un brindisi per Cuba
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 1 Gennaio 2009

Cinquant’anni fa, mentre il mondo era intento a celebrare l’arrivo del nuovo anno, a Cuba fu anno nuovo per sempre. Barbudos si chiamavano, terroristi venivano definiti dal regime sanguinario che mordeva il cuore dell’isola; guerriglieri erano, liberatori furono. Quella casa da gioco a cielo aperto, postribolo di mafiosi e vergogna di un popolo, spirava i suoi ultimi respiri mentre il crepitare dei fucili annunciava il nuovo ordine che rimetteva gli uomini al comando delle cose.

Il dio denaro soccombeva alla rivolta degli dei, gli esclusi diventavano protagonisti, i fucili si giravano e i sadici fuggivano mentre i giusti prendevano casa. Persino le bandiere ondeggiavano in senso opposto, il vento della dignità spirava dalla Sierra Maestra e soffiava forte verso Miami, restituendo l’immondizia al suo luogo d’origine. I grattacieli delle banche diventavano ospedali, le strade si trasformavano in residenze permanenti del popolo, le fabbriche si tingevano di lavoro degno e le ruote delle auto macinavano futuro. Fidel Castro, con Ernesto "Che” Guevara de la Cerna e Camilo Cienfuegos, guidavano le colonne liberatrici che entravano nella capitale, di colpo divenuta una città cubana.

L’impero del nord, comprensivo con i suoi rifiuti e iracondo con chi li rifiuta, si rese conto subito che gli orologi del suo dominio viravano, dolorosamente ma definitivamente, verso l’ora legale: l’ora appena passata, era passata per sempre. Mafiosi e biscazzieri, puttane e faccendieri, avanzi della Florida e cialtroni di New York, si trovarono come un solo fuggitivo; erano loro i balseros del nuovo anno. Provarono a tornare due anni più tardi, in una spiaggia chiamata Playa Giron: ne presero tante quante non avevano immaginato e, per la seconda volta in due anni, da padroni divennero ostaggi; cacciati senza gentilezza prima, scambiati con medicine poi.

Erano gli avanzi di un regime marcio, che sulla morte di trentamila cubani aveva edificato le sue vergogne. Era il prezzo che un sergentino analfabeta di terza fila, stupido come solo i crudeli sanno essere e servo come solo gli stupidi possono diventarlo, pagava all’impero nella speranza di venir considerato qualcuno d’importante. Ma quell’avvocato di grandi prospettive, guerrigliero per disputare la più grande delle cause, gli aveva fatto intendere sin dal Moncada che il tempo delle sue angherie sarebbe finito presto.

La pulizia delle strade e delle case dell’isola fu rapida, efficiente, discreta. Quasi un gesto di buona educazione, un omaggio dovuto al nuovo anno che apriva la nuova era. Non c’era tempo da perdere: alfabetizzare, curare, riparare, edificare, ordinare, organizzare; alla fine, cambiare. Il razzismo andava spazzato insieme all’apparato repressivo. Gli alberghi e i casinò avevano abbandonato l’inglese e il francese, lo slang era ormai l’habanero. I latifondisti cercavano il mare e i contadini trovavano la terra. L’apartheid moriva sotto i piedi degli afro che entravano ovunque, padroni finalmente di quello che era loro. Il vecchio ordine saltava in aria, quello nuovo piantava i piedi a terra.

In cinquant’anni di vittorie, di cadute e risalite, Cuba non è diventata mai il paradiso sulla terra, spesso l’alibi dei suoi detrattori a tempo pieno che su di lei esercitano l’arma della critica solo come sottofondo alla critica delle armi. Ma Cuba è stata ed è, in barba a quanti si ostinano a non voler alfabetizzarsi, il luogo più egualitario della terra, quello almeno della distanza più ridotta di tutti con ognuno. Una piccola isola che ha saputo resistere per 50 anni a ciò che nessuna potenza avrebbe sopportato per 50 giorni, che si ostina a svicolare dalla sua collocazione geografica e politica proponendosi come protagonista e che, con la testa e il cuore rivolti a sud, presenta numeri migliori del ricco nord.

Per colmo di picardìa, oltre a cambiare se stessa ha cambiato persino Miami, divenuta nel contempo la città più anomala e forse meno ipocrita degli Usa. Ricettacolo degli avanzi di ogni dittatura, le paludi che la circondano sono divenute il luogo più trasparente e con gli animali meno pericolosi. Lì, nella sponda opposta al paese degno, un esercito di rancorosi, fuggitivi dalla decenza, continua a sognare sangue e saccheggi, svegliandosi inevitabilmente, giorno dopo giorno, piatto dopo piatto da lavare, più solo e più frustrato. Nell’inutile speranza di strappare Cuba ai cubani, si prende in faccia ogni giorno l’America degli americani.

Solo le nuove generazioni di cubano americani, quelle che sono nate senza l’onta della sconfitta, cambieranno progressivamente la gusanerìa. Cinquant’anni dopo, Cuba emoziona ancora. Scatena passioni e solleva discussioni, rompe equilibri, mette in mora i “se” e i “ma”, cambia l’ordine logico dell’argomentare. Ha cambiato e fatto crescere diverse leve di uomini giusti, di anime che hanno aperto serragli e divelto cuori. Ha dato un senso alla solidarietà e ha privato di senso l’egoismo. Ha sconvolto l’ordine delle probabilità e umiliato la legge dei grandi numeri, rovesciando logiche e sovvertendo menti. L’essenza di una Rivoluzione.



50 anni fa nacque Cuba
di Janette Habel - Il Manifesto - 31 Dicembre 2008

«Uscire dal caos senza finire sotto il giogo della legge della giungla». Così il sociologo Aurelio Alonso riassume il dilemma cubano. Mezzo secolo dopo la conquista del potere da parte dell'esercito ribelle, l'isola si trova di nuovo a un momento cruciale della sua storia. Assente «provvisoriamente» per ragioni di salute dal luglio 2006, Fidel Castro non è più presidente da quando ha rinunciato alle sue responsabilità nel 2008. Ma resta il primo segretario del Partito comunista cubano (Pcc) fino al prossimo congresso previsto da suo fratello Raúl Castro per l'autunno 2009. Per il fratello Raúl, un'eredità delicata.

La successione, appena iniziata, si scontra con una concomitanza imprevista di difficoltà congiunturali (aumento dei prezzi delle materie prime agricole, gravità dei disastri provocati da tre cicloni consecutivi, crisi finanziaria, diminuzione della crescita cubana) e di ostacoli strutturali (forte dipendenza delle importazioni, debole produttività, dualità monetariai, ipercentralizzazione burocratica). I margini di manovra finanziaria per realizzare i cambiamenti annunciati nel 2007 per modernizzare l'apparato produttivo sono limitati.

Nel 2008, le importazioni agroalimentari e petrolifere dovrebbero rappresentare almeno 5 miliardi di dollari, la metà dell'attuale capacità di esportazione di Cuba, comprese le vendite di servizi al Venezuela. Il decentramento dei circuiti agricoli, l'usufrutto delle terre incolte ai piccoli contadini, la politica di sostituire le importazioni basata sui coltivatori diretti, la nuova politica salariale, fanno parte delle misure significative già prese dal nuovo esecutivo. Per alcuni economisti, bisogna «liberare le forze produttive», come avrebbe fatto con successo il Vietnam. L'attuale sistema non può, secondo loro, costituire un punto di partenza per lo sviluppo. Per l'economista Pedro Monreal è necessaria una «rifondazione economica, sociale e politica».

Tuttavia, il sostegno all'attività privata e le conseguenze di un'estensione dell'economia di mercato potrebbero aggravare le disuguaglianze sociali già molto impopolari, e in un momento in cui i salari sono insufficienti come ha pubblicamente riconosciuto Raúl Castro, e prosperano l'economia informale e il mercato nero. Lo scarto tra i giovani e la vecchia generazione rivoluzionaria non è mai stato così grande. La sensazione di non avere un avvenire professionale corrispondente alla qualifica raggiunta è diffusa e in molti cercano di lasciare l'isola.

Nel febbraio 2008, nel corso di un faccia a faccia molto pubblicizzato sui media, uno studente ha espresso le sue rimostranze al presidente dell'Assemblea nazionale Ricardo Alarcón. Perché serve un'autorizzazione per viaggiare? Perché l'accesso a internet resta limitato? In un'inchiesta durata diversi mesi, una storica americana, Michelle Chase, sottolinea che le critiche principali riguardano l'assenza di dibattito e la sclerosi delle istituzioni. Alcuni studenti giovani e ricercatori mettono l'accento sulla necessità di «socializzare il potere». Nel 2007 hanno organizzato un incontro pubblico di informazione sulla rivoluzione d'Ottobre all'università dell'Avana a cui hanno partecipato seicento persone. Eredi della rivoluzione, rivendicano il socialismo, rileggono i «classici» del marxismo.

Ma, segno dei tempi, nessuno di loro si definisce «fidelista». Da due anni, l'espressione collettiva delle critiche sulle disfunzioni attuali o sui bilanci passati è palese. A gennaio del 2007, durante la convalescenza di Fidel Castro, la diffusione di una trasmissione televisiva accomodante nei confronti di ex censori degli anni '70 provocò una petizione collettiva denominata «guerra delle e-mail» perché si manifestò per la prima volta su internet. Firmato da numerose personalità della politica culturale (Alfredo Guevara, Mariela Castro, figlia di Raúl) e religiosi (monsignor Carlos Manuel de Cespedes) il testo darà luogo a un ciclo di conferenze e a un libro che traccia un bilancio critico degli «anni di piombo».

I dibattiti sono proseguiti nell'aprile 2008, durante il congresso dell'Unione degli scrittori cubani (Uneac), alla Fiera del libro, nelle riunioni organizzate dalla rivista Temas, o nei centri di formazione quali il Centro Martin Luther King. L'esistenza del sito internet Kaosenlared che diffonde testi cubani consente di recuperare e amplificare gli scambi e le discussioni a un livello finora sconosciuto. Di cosa si discute? Su cosa si basano le differenze? Militanti, ricercatori, intellettuali o alcuni circoli di studenti sono alla ricerca di un socialismo alternativo. Una ricerca che si accompagna a un ritorno di critica al socialismo reale e al bilancio della caduta dell'Unione sovietica la cui analisi, come ricorda lo scrittore Ambrosio Fornet, è sempre stata rinviata «per non mettere in pericolo l'unità e non offrire argomenti all'avversario».

Ma si trattava di un «simulacro di unanimità»: Due grandi questioni sono al centro dei dibattiti. Prima di tutto, l'economia. E poi, l'assenza di partecipazione popolare. Perché l'economia non funziona? Quali sono le relazioni tra lo Stato e il mercato in un'economia di transizione al socialismo? Quali insegnamenti trarre a Cuba dalle esperienze cinesi e soprattutto vietnamita?

Tra «raúlistas» e «fidelistas» le risposte divergono. Fino a dove può spingersi Raúl Castro? Attraverso le riforme economiche, Raúl intende perpetuare il sistema politico, ma senza destabilizzarlo, per preparare il dopo-Castro. Da qui l'interesse per l'esperienza vietnamita che sembra confermare che si può prendere dal capitalismo quello che è efficace, l'economia di mercato, senza rimettere in questione il sistema politico e il partito unico. Ma un'esperienza simile è trapiantabile a Cuba? E i cubani ne sopporterebbero il costo sociale dopo tanti anni difficili? Una volta scartata ogni idea di terapia d'urto, si fa strada quella di una transizione lenta e graduale.

Tuttavia, Raúl Castro ha 77 anni: il tempo è tiranno. Per contro, quelli che si oppongono alle riforme di mercato denunciano il pericolo che esse rappresentano per il sistema. Fidel Castro non ha mai nascosto le sue riserve riguardo a quei «meccanismi capitalistici» di cui teme le conseguenze politiche. Il politologo Juan Valdès Paz riassume così le differenze: «Per alcuni la rivoluzione è un processo storico che avanza per salti e che, per progredire, deve proporsi l'impossibile. È un filone di pensiero molto forte, forse il più forte nella rivoluzione. Altri rivoluzionari paiono invece più realisti: valutano che la rivoluzione non ha mezzi per superare certe situazioni. È un interessante dibattito fra utopisti, per così dire, fra marxisti soggettivisti, e militanti più realisti, attenti agli obiettivi concreti e alle circostanze». Non si sa se la generazione storica che occupa ancora i posti-chiave può riformare ciò che ha costruito o se, spaventata dai cambiamenti, sceglierà l'immobilismo. Fra quelli a cui resta poco tempo e quelli per cui il tempo stringe, la storia non ha ancora deciso.