La prevista offensiva terrestre da parte dell'esercito israeliano e' iniziata la scorsa notte.
Violenti combattimenti tra soldati israeliani e miliziani palestinesi sono tuttora in corso alla periferia di Gaza.
Finora il bilancio dei nove giorni di bombardamenti è salito a 480 vittime palestinesi e oltre 2.300 feriti.
Tutti gli pseudo-tentativi delle varie diplomazie di imporre un cessate il fuoco si sono rivelati fallimentari. Ovviamente.
Per la seconda volta in pochi giorni gli USA hanno infatti bloccato al Consiglio di Sicurezza dell'Onu un documento della Libia che chiedeva il cessate il fuoco immediato.
E Hamas ha giustamente definito la riunione del Consiglio di Sicurezza "una farsa che mostra l’ampiezza della sovranità sulle sue decisioni esercitata dall’America e dall’occupazione sionista".
Come dargli torto?
La Commissione Europea ha invece bonfonchiato un appello ad Israele perché assicuri "uno spazio umanitario per distribuire gli aiuti nella Striscia di Gaza" e ha annunciato un aiuto supplementare di tre milioni di euro per il territorio palestinese.
"Impedire l'accesso dei soccorsi alla gente che soffre e muore è una violazione del diritto umanitario. Un milione e mezzo di persone sono ammassate in un territorio che rappresenta poco più dell'1% della superficie del Belgio. Per sopravvivere essi dipendono dagli approvvigionamenti esterni e la loro situazione diventa ogni giorno più esasperata", ha detto il commissario allo Sviluppo Louis Michel.
Ma che bravi che siete a Bruxelles, ve ne siete accorti solo ora? Dopo 500 palestinesi massacrati?
E l'inutile governo italiano, che fa?
Come e' suo solito, dorme o e' al mare in Sardegna oppure in montagna a sciare...
Ma il mancato tennista e sciatore finito per caso alla Farnesina e' riuscito dalla sua baita a emettere questo fetido peto "Noi siamo fortemente preoccupati e ovviamente molto addolorati per le vite innocenti che i civili palestinesi pagano purtroppo questa situazione orrenda causata purtroppo da Hamas che ha violato la tregua, ma ovviamente facciamo un appello fortissimo e accorato a Israele perchè eviti in assoluto azioni che possano compromettere la vita e l'incolumità fisica di tanti civili innocenti".
Il mancato tennista si e' completamente dimenticato che Israele ha gia' massacrato centinaia di civili nei giorni scorsi. E continua a farlo in queste ore.
Ha aggiunto inoltre che "si debba anzitutto trovare un accordo in Consiglio di sicurezza dell'Onu poichè la credibilità della comunità internazionale è tutta in gioco".
E' il caso che qualcuno comunichi al mancato tennista cio' gli USA hanno fatto in sede ONU in questi giorni.
Ma soprattutto e' il caso che qualcun altro dica a Frattini che la credibilita' della comunita' internazionale e' gia finita nello scarico del cesso. E da un bel pezzo.
Gaza: cronaca di un massacro annunciato
di Alberto Terenzi - Clarissa - 3 Gennaio 2009
Come per tutti gli avvenimenti che rischiano di ampliarsi fino a minacciare la pace mondiale, è necessaria una messa a punto in merito alla responsabilità su quanto sta accadendo in Palestina.
Troppo comodamente infatti i mass media occidentali stanno accogliendo, per ragioni che non è possibile analizzare in questa sede, la tesi israeliana che vuole presentare l'operazione Cast Lead ("Piombo fuso") come una semplice ritorsione contro il lancio da parte di Hamas di svariate decine di razzi contro i centri abitati israeliani più prossimi al confine con la striscia di Gaza.
In primo luogo è bene chiarire che la forza militare di Hamas è di gran lunga inferiore rispetto a quella dello Stato ebraico. A fronte dei circa 15.000 militanti armati attribuiti al movimento Hamas, Israele può schierare circa 3.630 carri armati pesanti (di cui circa 1.350 di ultima generazione), 6.870 altri mezzi corazzati, 896 pezzi di artiglieria pesante, 250 mortai e 48 lanciatori multipli di razzi da 227 mm., 520 aerei e 180 elicotteri da combattimento, 13 navi da guerra e 3 sottomarini, 630.000 uomini (inclusi i riservisti), di cui più di mezzo milione nell'esercito, oltre a 7.650 uomini della polizia di frontiera. Lo Stato ebraico è poi accreditato di disporre di almeno 150 ordigni nucleari di cui alcuni lanciabili da sottomarini.
Da anni del resto il puro rapporto quantitativo fra le vittime del conflitto presenta un rapporto numerico del tutto sfavorevole ai palestinesi: dal 28 settembre 2000, inizio della cosiddetta seconda Intifada, infatti si contano oggi 5.302 palestinesi uccisi a fronte di 1.082 israeliani, con un rapporto quindi assai vicino ai 5 a 1 (Internazionale, n. 775, dicembre 2008).
Questo raccapricciante body count non è del tutto gratuito poiché questi rapporti quantitativi sono tenuti in notevole considerazione dai responsabili militari israeliani nella valutazione dei risultati di questo tipico conflitto a bassa intensità: lo dimostra il fatto che il capo dello Shin Bet israeliano, Yuval Duskin, ha presentato al governo israeliano, nel gennaio 2008, i "risultati ottenuti" dalla sua organizzazione vantando appunto gli 810 palestinesi uccisi negli ultimi due anni (G. Levy, "Strong in numbers", Ha'aretz, 21 gennaio 2008).
Per una analisi di dettaglio degli avvenimenti cruenti che hanno prodotto questo stillicidio di caduti nel 2007 e 2008, rimandiamo, senza alcuna pretesa di completezza, alla cronologia in appendice.
È quindi possibile affermare che non esistono ragioni strettamente militari che possano giustificare l'attacco israeliano contro la Striscia di Gaza, dato che Israele ha dimostrato di essere pienamente in grado di gestire con risultati soddisfacenti questo tipo di conflitto, definito asimmetrico dagli specialisti.
Anche riguardo al secondo elemento di "colpa" attribuita ad Hamas, la responsabilità nella rottura della tregua, la semplice, spassionata ricostruzione degli avvenimenti degli ultimi mesi, purché condotta sulla base dei fatti, mette in chiara evidenza invece le responsabilità di Israele, che dipendono da una lucida e consapevole scelta politica di fondo adottata da tempo.
Come è stato osservato da autorevoli esponenti israeliani (intervista al generale israeliano Shlomo Gazit, "L'obiettivo? È politico, non militare", Il Messaggero, 29 dicembre 2008), le motivazioni dell'offensiva israeliana sono squisitamente politiche, a prescindere dal livello di intensità militare e dai rischi di un sempre possibile ampliamento del conflitto che questo potrebbe comportare in futuro.
La tregua fra Hamas e Israele è stata raggiunta il 19 giugno 2008 grazie alla mediazione egiziana: lo scopo era quello di favorire un accordo fra al-Fatah e Hamas, a seguito dello scontro fratricida in atto da mesi, come premessa indispensabile per arrivare ad un accordo con lo Stato ebraico, secondo le aspettative di Egitto e Arabia Saudita, allineati con i Paesi occidentali, a favore della spartizione, sia pure ineguale, della Palestina fra Israele e Palestinesi.
Risulta chiaro che la tregua era indispensabile per Hamas che aveva appena assunto il governo della Striscia di Gaza, trovandosi stretta fra la pressione delle forze armate israeliane, il blocco delle frontiere ed il conflitto civile con al-Fatah. Lo dichiara del resto, senza mezzi termini, quello che sembra essere oggi l'uomo forte israeliano, il ministro della Difesa ed ex comandante delle forze speciali dello Stato ebraico, Ehud Barak. Al giornalista italiano che, in pieno periodo di tregua, lo intervista, chiedendogli: "Il governo israeliano ha siglato una tregua con Hamas. È l'ammissione che la strategia dell'embargo, politico ed economico, è fallita?" - risponde con estrema chiarezza e lucidità: "Al contrario. Hamas ha chiesto il cessate il fuoco sotto la pressione dell'embargo e delle operazioni militari contro i lanci di razzi Qassam. Noi non negoziamo con Hamas, stiamo solo trattando per il rilascio del soldato rapito (il caporale Gilad Shalit, ndr). E non negozieremo con Hamas, fino a quando non accetteranno le richieste del Quartetto: riconoscimento di Israele e degli accordi firmati in passato, rinuncia alla violenza. Insomma, quando Hamas smetterà di essere Hamas" (Corriere della Sera, 7 agosto 2008).
Il 30 ottobre, come segno di apertura verso Al-Fatah, Hamas ha rilasciato tutti i diciannove detenuti della fazione avversaria in suo possesso, in vista dell'apertura di colloqui diretti che dovevano iniziare sabato 8 novembre al Cairo. Lunedì 3 novembre, Hamas invia in anticipo al Cairo una propria delegazione, per esaminare le proposte egiziane e di Fatah.
Mercoledì 5 novembre, un'unità di paracadutisti israeliani compie un attacco "mirato" presso la cittadina di Deir-al-Balah nella striscia di Gaza, allo scopo, si dice, di distruggere un tunnel destinato al trasporto di uomini e materiali nel territorio palestinese: nell'operazione muore un guerrigliero palestinese. Hamas risponde con colpi di mortaio contro il territorio israeliano. Israele lancia un attacco aereo nel quale vengono uccisi altri cinque guerriglieri di Hamas.
Con il pretesto del lancio dei razzi, seguito all'uccisione dei sei militanti, Israele a questo punto chiude tutti i passaggi attraverso i quali transita tutto il cibo, i carburanti e le medicine diretti al milione e mezzo di abitanti della striscia di Gaza.
"L'attacco sopraggiunge poco prima dell'incontro che doveva tenersi questo sabato al Cairo, dove Hamas ed il suo rivale politico al Fatah dovevano tenere colloqui in merito alla composizione delle divergenze attuali in vista della creazione di un governo unitario. Sarebbe stata la prima occasione nella quale le due organizzazioni si incontravano a questo livello dallo scoppio della quasi guerra civile di oltre un anno fa", commenta da Gerusalemme Rory McCarthy del Guardian.
Secondo l'Associated Press la decisione dell'attacco è stata approvata personalmente dal Ministro della Difesa israeliana, appunto Ehud Barak: non si tratta quindi di un'operazione di routine ma di un'operazione militare politicamente motivata, in quanto essa rompe la tregua in atto dal giugno 2008 e lo fa proprio quando i Palestinesi avevano la prima seria opportunità dopo un anno di ricostituire un governo unitario, per trattare riuniti con Israele.
La valenza politica dell'attacco, tuttavia, non è solo quella di rendere impossibile una rappacificazione fra le 13 fazioni palestinesi in lotta: la posta politica in gioco è per Israele molto più alta, investendo un elemento strategico di fondo, cioè quello di evitare l'internazionalizzazione del conflitto israelo-palestinese, e riportarne la gestione delle trattative all'interno dello Stato ebraico.
Il 9 novembre, infatti, a Sharm-el-Sheik, in Egitto, si deve riunire il cosiddetto Quartetto, composto da Usa, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite, il cui compito principale è quello di tenere in vita il processo di pace di Annapolis, avviato senza grandi risultati dal presidente americano Bush. Il proposito, enunciato nel novembre 2007, era infatti quello di arrivare ad un accordo fra Israele e Palestinesi di Al-Fatah entro il 2008, per evitare il definitivo affossamento del processo di pace.
In realtà, i colloqui del 9 novembre 2008 non fanno altro che registrare il completo arresto delle trattative: dato che sia gli Usa che Israele si presentano con una dirigenza uscente, la sola novità avrebbe potuto essere proprio quella di una riunificata leadership palestinese, che avrebbe potuto imprimere una forte sollecitazione sul piano internazionale al processo di pace, giacché solo i Palestinesi hanno un effettivo interessere a concludere entro l'anno un accordo, consapevoli che altrimenti Israele risolverà a suo modo la questione.
L'attacco israeliano ha dunque scongiurato anche questo rischio. Tzipi Livni, ministro degli esteri di Israele, dichiarerà infatti molto esplicitamente: "noi ci siamo mossi per assicurare che questo processo [di pace] rimanga bilaterale e che il mondo non intervenga sui contenuti dei colloqui e li sostenga senza cercare di imporre soluzioni o di presentare soluzioni transitorie". Rimandata ad un incerto futuro, forse a Mosca nella primavera del 2009, l'iniziativa internazionale, Israele riacquista quindi lo spazio politico per riprendere l'iniziativa in Palestina, senza interferenze esterne.
L'11 novembre il premier israeliano Olmert dichiara che lo scontro con Hamas è inevitabile e il giorno seguente, a rafforzare il messaggio rivolto ad Hamas ed alla comunità internazionale, Israele attua un raid che causa l'uccisione di altri quattro militanti di Hamas.
Il 23 novembre, Hamas, sempre su stimolo dell'Egitto, decide di sospendere i tiri di razzi e di riprendere il colloquio con Al-Fatah, ponendo come sola condizione che Israele riapra i passaggi nella striscia di Gaza.
L'8 ed il 9 dicembre, Israele raggiunge un altro fondamentale risultato sul piano internazionale, nel quale l'Unione Europea, sotto la presidenza di turno francese, assume, nel particolare momento in cui si colloca, cioè a dire dopo il nulla di fatto di Sharm-el-Sheik e le azioni di rottura israeliane a Gaza, una valenza particolarmente grave.
Infatti i Ministri degli Esteri della UE approvano una dichiarazione intitolata Council Conclusions Strengthening of the EU bilateral relations with its Mediterranean partners - upgrade with Israel.
La prima cosa davvero singolare di questo avvenimento è che il documento viene approvato dai Ministri europei senza tenere in considerazione il fatto che pochi giorni prima, il 5 dicembre, il Parlamento europeo, nonostante il personale intervento di Tzipi Livni, si fosse pronunciato contro il rafforzamento dei rapporti con Israele, proprio in considerazione della delicatezza della situazione a Gaza ("Israël devra attendre", Le Monde, La valise diplomatique, 5 dicembre 2008).
Ma davvero significativo è il contenuto dell'allegato tecnico al documento, nel quale sono indicate le principali attività derivanti dal rafforzamento del dialogo politico con Israele: regolari riunioni congiunte dei capi di Stati e di governo della UE e di Israele, privilegio accordato fino ad ora solo a Stati come Cina, Russia; intensificazione del dialogo fra Parlamenti; partecipazione degli esperti israeliani ai comitati UE sul processo di pace, diritti umani e lotta contro il terrorismo ed il crimine organizzato; colloqui informali sui problemi strategici e scambi in tema di diritti umani e antisemitismo; coinvolgimento di Israele nella politica estera, di sicurezza e di difesa (la cosiddetta Pesc) dell'UE, inserendo anche esperti israeliani nelle missioni extra-europee dell'Unione, in Africa e oltre.
Dato poi che Israele non può partecipare alle attività del gruppo Asia nell'ambito delle Nazioni Unite, l'UE tenterà di inserire lo Stato ebraico nel "Gruppo occidentale e altri gruppi" (Western European and other Groups, WEOG), in modo che Israele, come sua antica aspirazione, potrà essere presente in numerosi Consigli dell'organizzazione internazionale, tra cui quello di Sicurezza dell'Onu!
Israele registra quindi, grazie all'attivismo della Francia, un risultato di straordinaria importanza sul piano strategico, giacché in questo modo capitalizza un inedito rapporto privilegiato con l'Unione Europea, con implicazioni enormi per la sua proiezione internazionale, nell'area mediterranea e in quella mondiale. Insieme al non-risultato di Sharm-el-Sheik, Israele ha in questo modo raggiunto in pochi giorni un assetto internazionale straordinariamente favorevole, che gli lascia praticamente carta bianca nella gestione del problema Hamas e in generale dei Territori occupati.
Lo prova il fatto che il 14 dicembre lo Stato ebraico si può permettere di fermare e respingere all'aeroporto di Tel Aviv, nel generale silenzio dei principali media occidentali, il prof. Richard Falk, inviato speciale (Special Rapporteur) delle Nazioni Unite, per conto delle quali, dopo una lunga permanenza nei Territori occupati, aveva steso in agosto un durissimo rapporto sulle violazioni del diritto internazionale compiute da Israele nei territori occupati della Palestina (il documento integrale è scaricabile QUI ).
Sulla base delle informazioni da lui raccolte fra il gennaio ed il luglio 2008, Falk aveva infatti affermato "l'evidenza di continue e deliberate violazioni da parte di Israele, nella sua occupazione del territorio Palestinese," della Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione dei civili in tempo di guerra e del I protocollo addizionale di Ginevra del 1977 relativo alla protezione delle vittime di conflitti armati, ovverosia delle norme di base del diritto internazionale in materia di diritti umani delle popolazioni civili in occasione di conflitti armati.
Il 17 dicembre, giusto alla vigilia dello spirare della tregua, Israele lancia un altro attacco aereo contro Gaza, al quale Hamas risponde sparando otto razzi e cinque colpi di mortaio contro cittadine ebraiche nel Sud. Al tempo stesso, il portavoce ufficiale di Hamas, Ayman Taha, annuncia che, poiché Israele non sta più rispettando da novembre gli accordi sulla tregua, Hamas non intende rinnovare la tregua dopo la sua scadenza, le ore 6 del mattino del 19 dicembre.
Dal 4 novembre, intanto, Israele ha ucciso complessivamente almeno 18 palestinesi, principalmente ma non solamente guerriglieri, in varie operazioni, mentre Hamas ha lanciato circa 200 fra razzi e colpi di mortaio, senza provocare vittime.
Lo stesso 17 dicembre, a causa della ripresa delle ostilità, Israele chiude nuovamente i passaggi, impedendo all'UNRWA (l'organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati) di consegnare il cibo destinato ai circa 750.000 Palestinesi assistiti nella striscia di Gaza.
I 20 dicembre la tregua non è stata rinnovata, dopo la scadenza del 19 dicembre, tuttavia Hamas, ancora una volta su proposta egiziana, si è dichiarata disponibile ad ulteriori ventiquattro ore di tregua, a condizione che Israele riapra i passaggi per gli aiuti umanitari e sembra disponibile a ridiscutere la possibilità di prolungare la tregua.
Israele come tutta risposta chiude i passaggi e lancia numerosi attacchi aerei contro diverse località della Striscia di Gaza: il 20 dicembre, nell'attacco contro Beith Lahiya, uccide un militante palestinese, Ali Hijazi, e ferisce quattro civili fra cui due bambini.
Il 21 dicembre l'Italia è direttamente in ballo, perché le autorità israeliane hanno bloccato la mensile distribuzione da parte dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) a 47.000 famiglie dei fondi stanziati dall'Italia, pari a 20 milioni di euro, di cui 9,36 milioni sono destinati alle famiglie povere. I fondi che Israele ha bloccato servono a pagare gli assegni sociali destinati alla popolazione di Gaza, distribuiti dalla Ue e finanziati dal Governo italiano a circa 24 mila famiglie povere, che avrebbero dovuto ricevere il loro contributo mensile (Il Messaggero, 22 dicembre 2008).
Non risulta che il governo italiano abbia elevato alcuna protesta per questa aperta violazione di accordi internazionali.
Il 22 dicembre, su proposta egiziana, Hamas decide, si osservi, unilateralmente una tregua di ventiquattro ore e non effettua più lanci di missili contro Israele, in attesa di un incontro fra Mubarak e Abu Mazen, previsto per il 23, e con Tzipi Livni, invitata al Cairo per il 25 dicembre. Prosegue intanto da parte israeliana il blocco delle frontiere, che esasperano il problema della sopravvivenza della popolazione della Striscia di Gaza.
Secondo notizie di stampa, tuttavia, a questa data, il premier uscente Olmert, Barak (Difesa) e la Livni (Esteri) "si sarebbero già messi d'accordo su tempi e modi di un'eventuale escalation che sarà preceduta da una campagna diplomatica e di stampa a livello internazionale" (Il Messaggero, 23 dicembre 2008).Un leader di Hamas, Mahmoud Zahar rilascia lo stesso giorno alla tv israeliana "Channel 10" una dichiarazione secondo la quale Hamas è pronta a rinnovare la tregua con Israele, dato che questo è "il prezzo da pagare per le vite dei Palestinesi", chiedendo in contropartita che tornino regolari le forniture di cibo ed elettricità e vegano cessate le azioni militari a Gaza e in Cisgiordania (Associated Press, 23 dicembre 2008).
Il giorno seguente, le dichiarazioni saranno ripetute ad altre agenzie di stampa, per esempio dallo stesso Mahmoud Zahar all'autorevole France Press (FP, 23 dicembre 2008) e da un altro portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, alla BBC britannica (BBC, 23 dicembre).
Nel frattempo Israele continua ad effettuare manovre con mezzi corazzati ai confini della Striscia di Gaza, iniziate il 22 dicembre. Il 23 dicembre poi Israele uccide in altri raid nella Striscia di Gaza tre militanti di Hamas e un quarto il 24 dicembre, Yahi Al-Shaaher, 23 anni, colpito insieme a tre altri palestinesi a Rafah, mentre riprendono i tiri di mortaio e di razzi da parte dei palestinesi contro Sderot. Così facendo, la possibilità di una ripresa della tregua e dello sviluppo di una qualsiasi trattativa è definitivamente sepolta.
Il colloquio al Cairo della Livni, il 25 dicembre, non serve ad altro che a ribadire le accuse contro Hamas, mentre il 26 dicembre Olmert dichiara alla televisione Al-Arabya che "non esiterà ad usare la forza di Israele per colpire Hamas e la Jihad islamica".
Con la copertura internazionale opportunamente predisposta nel frattempo, si apre lo spazio all'azione militare del 27 dicembre, alla quale da mesi il governo israeliano e le fonti di stampa internazionale ad esso collegate hanno gradualmente preparato l'opinione pubblica interna e mondiale, riversando la "colpa" della nuova offensiva su Hamas, come da esplicita direttiva che il ministro degli esteri dello Stato ebraico ha impartito a tutte le proprie sedi diplomatiche nel mondo.
Tuttavia, come in ogni operazione militare che si rispetti, la grande massa di informazioni diffuse attraverso i media ed i colloqui diplomatici in corso hanno attentamente preservato un certo margine di sorpresa all'azione militare israeliana: pare infatti, secondo il sito israeliano Debka specializzato in questioni strategiche e dotato di buone entrature negli ambienti militati dello Stato ebraico, che i dirigenti di Hamas siano stati rassicurati da almeno due elementi:
"1. Le notizie di stampa espressione di fonti ufficiali di Gerusalemme venerdì (26 dicembre) davano l'impressione che l'operazione militare principale approvata dal governo israeliano fosse stata disdetta per l'immediato, almeno finché il governo non fosse stato riconvocato per una nuova valutazione della situazione;
2. l'Egitto ha sviato Hamas, riportando l'informazione di fonte sicura secondo cui Israele non avrebbe attaccato di sabato".
Sono questi dunque i nudi fatti che mettono in chiara evidenza il fatto che lo Stato ebraico, a sessant'anni dalla propria costituzione, in un momento delicatissimo del quadro internazionale, ha semplicemente deciso di avviare una nuova sanguinosa operazione militare in Palestina, per risolvere il problema rappresentato dall'entità ostile Hamas, in continuità con una strategia di potenza nel Medio Oriente e nel Mediterraneo che nei prossimi mesi potrebbe produrre effetti ancora più devastanti per gli equilibri mondiali: è difficile pensare infatti che la prova di forza avviata da Israele non abbia tenuto conto, nella sua pianificazione, dell'Iran.
Cronologia dei principali eventi cruenti nei Territori palestinesi occupati da Israele
L'analisi comprende l'intero anno 2007 e il 2008 fino alla tregua fra Hamas e Israele (giugno 2008), in quanto gli eventi successivi sono discussi nel testo.
Le notizie sono ricavate da fonti di stampa e possono quindi essere incomplete e presentare inesattezze ed errori. Sono stati prevalentemente indicati gli avvenimenti riguardanti la Striscia di Gaza, anche se sono ricordati alcuni dei principali eventi avvenuti nella Cisgiordania. Gli avvenimenti politici sono stati riportati solo quando necessari alla comprensione dei fatti: da questo punto di vista, la cronologia non ha alcun carattere di completezza.
2007
4 gennaio, proseguono gli scontri fra Hamas e Al Fatah nella Striscia di Gaza.
15 gennaio, due membri dei Comitati di resistenza popolare uccisi nella Striscia di Gaza dall'esercito israeliano.
24 gennaio, un palestinese disarmato ucciso a Kissufim, al posto di frontiera fra Striscia di Gaza e Israele.
25 gennaio, almeno 35 caduti negli scontri a Gaza fra Hamas e Al Fatah. Il giorno successivo alla proclamazione di una tregua, viene ucciso un membro di Hamas, Hussein al Shubassi.
4 febbraio, in cinque giorni sono caduti 28 palestinesi negli scontri a Gaza, dopo la rottura delle tregua fra Hamas e Al Fatah.
8 febbraio, Hamas e Al Fatah raggiungono alla Mecca, con la mediazione dell'Arabia Saudita, un accordo sulla formazione di un governo di unità nazionale. Il ministro Olmert ha minacciato di boicottare il nuovo esecutivo se esso non accoglierà tutte le richieste del Quartetto per il Medio Oriente.
21 febbraio, l'esercito israeliano uccide il capo dell'ala militare della Jihad islamica a Jenin, Mahmud Qassem Abu Obeid.
28 febbraio, tre attivisti della Jihad islamica uccisi dai soldati israeliani nella città di Jenin.
12 marzo, nella Striscia di Gaza viene rapito il giornalista della Bbc alan Johnston (il 15 aprile il rapimento verrà rivendicato da un gruppo palestinese sconosciuto).
14 marzo, accordo fra Hamas a Al Fatah sul nuovo governo di unità nazionale (nove ministeri a Hamas e sei a Fatah). Israele ha ribadito la sua posizione.
17 marzo, il nuovo governo, guidato da Ismail Haniyeh di Hamas entra in carica. Israele proclama il boicottaggio totale finché Hamas non riconoscerà esplicitamente lo Stato ebraico.
21 marzo, un commando armato rapisce Adham al Sufi, professore all'università islamica di Gaza.
27 marzo, due miliziani delle brigate dei martiri di Al Aqsa uccisi a Nablus dall'esercito israeliano.
28 marzo, un membro della Jihad islamica ucciso dai soldati israeliani a Jenin.
4 aprile, raid israeliano contro Beit Hanun nella Striscia di Gaza: uccisione di un membro della Jihad islamica, Ramez Awad al Zaanin.
7 aprile, un raid aereo israeliano nella Striscia di Gaza uccide un membro del Fronte democratico di liberazione della Palestina, Fuad Nabil Maaruf.
15 aprile, due palestinesi caduti negli scontri tra gruppi rivali a Khan Yunis nel sud della Striscia di Gaza.
17 aprile, un membro delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, Ashraf Hanaysha, viene ucciso dall'esercito israeliano nella striscia di Jenin, nel nord della Cisgiordania.
21 aprile, tre militanti palestinesi, un poliziotto ed una giovane di 17 anni sono uccisi dall'esercito israeliano a Jenin, in Cisgiordania. Un militante della Jihad islamica viene ucciso a Jabalya, nella Striscia di Gaza.
22 aprile, due membri delle Brigate dei martiri di Al Aqsa vengono uccisi a Nablus, in Cisgiordania.
24 aprile, a causa delle operazioni israeliane a Gaza e a Cisgiordania, che hanno provocato nove caduti fra i Palestinesi, le Brigate Ezzedin al Qassam, organizzazione armata di Hamas, dichiarano la rottura del cessate il fuoco proclamato in vigore dal novembre 2006 e rivendicano lanci di razzi contro il sud di Israele.
28 aprile, tre militanti delle Brigate Ezzedin al Qassam vengono uccisi dall'esercito israeliano nella Striscia di Gaza.
16 maggio, almeno 38 palestinesi cadono negli scontri fra Hamas e Al Fatah a Gaza: le violenze scoppiano dopo il raggiungimento di un accordo fra Abu Mazen e Ismail Haniyeh per un piano di sicurezza nei Territori occupati. Lanci di razzi Qassam contro Sderot. Tre palestinesi caduti a seguito di due raid israeliani nella Striscia di Gaza.
19 maggio, le fazioni palestinesi raggiungono una tregua, dopo nove giorni di scontri, che hanno provocato 50 vittime nella Striscia di Gaza.
23 maggio, 36 caduti palestinesi nella Striscia di Gaza, a seguito di una serie di raid aerei israeliani contro Hamas. I razzi lanciati dai gruppi palestinesi uccidono una donna israeliana a Sderot.
24 maggio, l'esercito israeliano arresta trenta membri di Hamas in Cisgiordania, tra cui il ministro dell'istruzione Nasser al Shaer e alcuni deputati.
27 maggio, il governo israeliano ha ordinato ulteriori raid aerei nella Striscia di Gaza: dal 16 maggio sono caduti 50 palestinesi e 2 israeliani uccisi dai razzi a Sderot.
1 giugno, due palestinesi di 12 e 13 anni sono stati uccisi dall'esercito israeliano vicino all'ex insediamento ebraico di Dugit nel nord della Striscia di Gaza.
9 giugno, un palestinese caduto in un attacco contro una postazione militare in territorio israeliano vicino alla Striscia di Gaza.
13 giugno, 67 palestinesi caduti negli scontri fra Hamas e Al Fatah nella Striscia di Gaza.
18 giugno, Hamas assume il controllo della Striscia di Gaza.
27 giugno, nove palestinesi uccisi e più di quaranta i feriti nelle operazioni militari condotte da Israele nel nord della Striscia di Gaza; tra i caduti, Raed Fanuna, uno dei leader della Jihad islamica.
30 giugno, sette caduti palestinesi a seguito di due raid aerei israeliani nella Striscia di Gaza, tra cui Ziad al Ghanam, uno dei leader delle brigate al Quds, ala militare della Jihad islamica.
5 luglio, undici miliziani palestinesi, tra cui sei membri di Hamas, uccisi in una serie di raid israeliani nella Striscia di Gaza.
20 agosto, sei miliziani di Hamas caduti in un raid israeliano a Gaza.
21 agosto, due bambini uccisi da soldati israeliani nella Striscia di Gaza.
22 luglio, due membri di Hamas e due della Jihad islamica caduti nei raid israeliani nella Striscia di Gaza.
25 agosto, due miliziani palestinesi provenienti dalla Striscia di Gaza caduti in un attacco in territorio israeliano; quattro palestinesi uccisi dai soldati israeliani nella Striscia di Gaza (un palestinese ed un arabo-israeliano in Cisgiordania).
29 agosto, due bambini palestinesi uccisi dall'esercito israeliano a Jabalya, Gaza.
6 settembre, sei miliziani palestinesi uccisi dai soldati israeliani nell'attacco ad un avamposto dell'esercito nella Striscia di Gaza.
11 settembre, 69 soldati israeliani feriti dall'esplosione di un razzo Qassam nella base di Zikim, vicino ad Ashkelon.
19 settembre, il governo israeliano dichiara la Striscia di Gaza controllata da Hamas entità ostile.
26 settembre, sette palestinesi uccisi dall'esercito israeliano nel nord della Striscia di Gaza.
17 ottobre, un soldato israeliano ed un membro di Hamas caduti nei combattimenti nella zona sud della Striscia di Gaza.
18 ottobre, quattro palestinesi caduti negli scontri a Gaza fra le forze di sicurezza di Hamas e seguaci di Al Fatah.
25 ottobre, il governo israeliano inasprisce le sanzioni contro la popolazione della Striscia di Gaza; i tagli alle forniture di carburante ed elettricità sono sospesi su richiesta del procuratore generale dello Stato ebraico Menachem Mazuz.
29 ottobre, quattro miliziani di Hamas caduti in un raid aereo israeliano a Khan Yunis, Gaza.
12 novembre, la polizia di Hamas spara sulla folla a Gaza, durante una manifestazione organizzata da Al Fatah: sette caduti. Oltre duecento gli arresti.
20 novembre, tre miliziani palestinesi uccisi dai soldati israeliani nella Striscia di Gaza.
27 novembre, conferenza di Annapolis, durante la quale Ehud Olmert e Abu Mazen si impegnano ad arrivare ad un accordo di pace entro la fine del 2008.
27 novembre, a Hebron, la polizia palestinese di Al Fatah reprime con la forza in Cisgiordania una manifestazione contro la conferenza di Annapolis. Un caduto e 35 feriti.
4 dicembre, tre miliziani di Hamas uccisi da un raid aereo israeliano nella Striscia di Gaza.
11 dicembre, sei miliziani di Hamas caduti in una serie di raid israeliani nella Striscia di Gaza.
18 dicembre, tredici militanti palestinesi caduti in una serie di raid israeliani nella Striscia di Gaza, fra i quali il capo militare della Jihad islamica, Majed al Harazin.
2008
1 gennaio 2008, otto palestinesi uccisi negli scontri fra i sostenitori di Hamas e Al-Fatah nella striscia di Gaza.
3 gennaio 2008, raid aerei israeliani e distruzione di case nella zona settentrionale della striscia di Gaza: undici palestinesi uccisi, fra cui due donne.
15 gennaio, diciassette palestinesi uccisi da un raid dell'esercito israeliano ad Al Zeitoun, nella striscia di Gaza; Hamas lancia razzi e colpi di mortaio contro Sderot provocando quattro feriti leggeri fra i civili israeliani; due palestinesi sono uccisi in un attacco dell'esercito israeliano a Beit Hanoun.
16 gennaio, il leader della Jihad islamica Walid Obeidi viene ucciso dall'esercito israeliano vicino a Jenin, nella Cisgiordania.
17 gennaio, il governo israeliano decreta la chiusura di tutte le frontiere intorno a Gaza.
20 gennaio, chiusura per mancanza di carburante della centrale elettrica di Gaza.
23 e 25 gennaio, abbattimento di parte del muro divisorio della frontiera fra Gaza e l'Egitto, per permettere a decine di migliaia di palestinesi di approvvigionarsi in Egitto, per poi rientrare nella Striscia.
27 febbraio, cinque membri dell'ala militare di Hamas uccisi in un raid aereo nella città di Khan Yunis nella striscia di Gaza. Un israeliano ucciso a Sderot da un razzo Qassam lanciato dalla striscia di Gaza.
3 marzo, inizio di una offensiva israeliana nella striscia di Gaza, in risposta alla morte dell'israeliano caduto a Sderot: in totale si contano 123 vittime fra i palestinesi, delle quali almeno la metà sono civili; si tratta della più sanguinosa offensiva da otto anni.
12 marzo, il leader di Hamas, Ismail Haniyeh propone ad Israele un cessate il fuoco, a condizione che lo Stato ebraico sospenda le sanzioni economiche e riapra le frontiere.
4 aprile, due israeliani e due palestinesi cadono in un attacco al posto di frontiera di Nahal Oz nella striscia di Gaza.
9 aprile, cinque palestinesi uccisi per rappresaglia dall'esercito israeliano; un soldato israeliano ed un palestinese sono caduti in un raid dell'esercito nel sud della striscia di Gaza.
16 aprile, uccisione di tre soldati israeliani nei pressi del posto di frontiera di Nahal Oz; nella rappresaglia da parte dell'aviazione israeliana cadono almeno nove persone, tra cui alcuni bambini ed un cameraman dell'agenzia Reuters.
18 aprile, tre militanti di Hamas sono uccisi nell'attacco al posto di frontiera di Kerem Shalom, nella striscia di Gaza.
23 aprile, il governo israeliano autorizza la consegna di un milione di litri di gasolio per la centrale elettrica di Gaza, dove sono quasi esaurite le scorte di carburante; le NU comunicano che in assenza di rifornimenti dovranno sospendere le attività umanitarie in atto a Gaza.
27 aprile, una donna palestinese ed i suoi quattro figli sono uccisi nel corso di un raid israeliano nella Striscia di Gaza.
14 maggio, un razzo di Hamas lanciato da Gaza causa decine di feriti in un centro commerciale di Ashkelon.
5 giugno, un israeliano del kibbutz di Nir Oz viene ucciso da un razzo Qassam lanciato dalla striscia di Gaza; nella rappresaglia l'esercito uccide una bambina di quattro anni; il premier Olmert minaccia un'offensiva su larga scala.
Barak e la "guerra lampo"
di Michel Warschawski* - Il Manifesto - 3 Gennaio 2009
Bisogna dirlo e ripeterlo: quella che si svolge nella Striscia di Gaza non è una guerra, ma una carneficina compiuta dalla terza forza aerea al mondo contro una popolazione indifesa.
Bisogna dirlo e ripeterlo: la carneficina di Gaza non è una reazione «sproporzionata» ai razzi lanciati dai militanti della Jihad Islamica e altri gruppuscoli palestinesi sulle località israeliane vicine alla Striscia di Gaza, ma un'azione premeditata e preparata da molto tempo, come d'altronde riconosce la maggior parte dei commentatori israeliani.
Bisogna dirlo e ripeterlo: quei razzi non sono, come vogliono far credere certi diplomatici europei, «provocazioni ingiustificabili», ma risposte, peraltro abbastanza insignificanti, a un embargo selvaggio imposto da Israele, da un anno e mezzo, a un milione e mezzo di residenti della Striscia di Gaza, donne, bambini, e vecchi compresi, con la complicità criminale degli Stati uniti ma anche dell'Europa.
Bisogna dirlo e ripeterlo: non assistiamo, come si cerca di spiegare a tutti quelli che hanno la memoria corta o selettiva, a un atto di autodifesa a lungo procrastinato di fronte a un'aggressione palestinese assolutamente ingiustificabile. Ehud Barak lo confessa tranquillamente, sono mesi che l'esercito israeliano si prepara a colpire «l'entità terrorista» denominata Gaza. Come spiegava opportunamente Richard Falk, relatore speciale dell'Onu per i diritti umani nei territori occupati, quando si definisce «entità terrorista» una zona popolata da un milione e mezzo di esseri umani si entra in una logica genocida.
L'aggressione israeliana a Gaza, come l'attacco al Libano nel 2006, s'inscrive nella guerra globale permanente e preventiva degli strateghi neoconservatori in forza a Tel Aviv, e per qualche mese ancora, alla Casa Bianca. Come il significato indica, questa strategia è preventiva, non ha bisogno di pretesti immediati e tangibili: l'occidente democratico sarebbe minacciato da un nemico globale, che prima è stato definito «terrorismo internazionale», poi «terrorismo islamico» per diventare infine semplicemente l'Islam.
Lo «scontro di civiltà» di Huntington non è una descrizione della realtà politica internazionale, ma il quadro ideologico della strategia offensiva dei neoconservatori americani e israeliani, per com'è stata elaborata di comune accordo dalla seconda metà degli anni '80. In questa strategia di guerra, la minaccia islamica ha sostituito quello che è stato il pericolo comunista durante la guerra fredda: un nemico globale che giustifica una guerra globale.
Se il bombardamento criminale di Gaza gode in Israele di un sostegno consensuale, se la sinistra istituzionale, e in particolare il partito Meretz, si è unita al coro di guerra diretto da Ehud Barak, è appunto perché condivide questa visione del mondo che fa dell'Islam una minaccia esistenziale che bisogna imperativamente neutralizzare prima che sia troppo tardi.
All'orrore per questo crimine bisogna aggiungere quello per l'abiezione delle sue motivazioni contingenti: in meno di due mesi si svolgeranno in Israele le elezioni generali, e le vittime palestinesi sono anche argomenti elettorali. I martiri dell'attacco israeliano su Gaza sono oggetto di una gara mediatica tra Ehud Barak, Tsipi Livni et Ehud Olmert, fra chi sarà il più determinato nella brutalità. Il criminale di guerra che dirige il Partito laburista, o piuttosto quel che ne resta, si vantava ieri mattina di aver guadagnato quattro punti nei sondaggi.
Oltre al cinismo senza limiti di barattare 350 vittime palestinesi innocenti contro qualche decina di migliaia di voti, Barak mostra, una volta di più, la sua miopia politica: nel crescendo di bestialità, e malgrado tutti gli sforzi, non riuscirà mai a superare Benjamin Netanyahu, gli elettori preferiscono sempre l'originale alla copia. Tantopiù che il guerrafondaio si trova oggi di fronte allo stesso problema di colui che ha trasformato la guerra del Libano nel fiasco israeliano, un problema ben noto a tutti quelli che hanno iniziato le guerre coloniali: come porvi termine?
«Ci fermeremo solo dopo aver finito il lavoro», egli dichiara con l'arroganza dei capetti. Ma quando sarà finito «il lavoro»? Quando la popolazione di Gaza e di Cisgiordania accetterà di capitolare di fronte ai sogni coloniali dei dirigenti israeliani e limitare le sue aspirazioni nazionali a uno «Stato palestinese» ridotto a una decina di riserve isolate le une dalle altre e circondate da un muro?
Se tale è il «lavoro» che Barak spera di poter realizzare, il popolo israeliano deve allora essere pronto a una guerra che non solo sarà estremamente lunga ma anche interminabile. E se lo Stato ebraico è ben attrezzato per le guerre-lampo (blitz krieg, in tedesco), soprattutto quando queste sono condotte dall'aviazione, entra rapidamente in crisi quando si tratta di una prova di resistenza in cui i palestinesi, come tutti gli altri popoli vittime dell'oppressione coloniale, sono maestri.
Questo spiega perché meno di una settimana dopo il suo inizio, e malgrado le dichiarazioni trionfalistiche dei politici e dei militari, l'aria in Israele sta già cominciando a cambiare. Sabato scorso, qualche ora dopo il bombardamento di Gaza, eravamo poco più di mille persone a manifestare, spontaneamente, la nostra rabbia e la nostra vergogna. Ma saremo molti di più il prossimo sabato sera a esigere sanzioni internazionali contro Israele, a esigere che Ehud Barak e soci siano tradotti davanti a una corte di giustizia internazionale. Ne sono convinto.
*Portavoce del Centro d'Informazione Alternativa a Gerusalemme
Il vero scopo del massacro di Gaza
di Jonathan Cook - Global Research - 1 Gennaio 2009
Tradotto da JJULES per www.comedonchisciotte.org
Hamas non può essere sconfitto e quindi deve essere messo in ginocchio
Sin da quando Hamas ha trionfato nelle elezioni palestinesi di quasi tre anni fa, le voci che circolavano in Israele sostenevano che era imminente un’invasione di terra totale della Striscia di Gaza. Ma anche quando l’opinione pubblica era pronta per un attacco decisivo contro Hamas, il governo ha fatto marcia indietro all’idea di un assalto frontale.
Ora il mondo attende che Ehud Barak, il ministro della Difesa, invii i carri armati e i soldati perché la logica di questa operazione sta spingendo inesorabilmente verso una guerra di terra. Tuttavia, i funzionari hanno preso tempo. Notevoli forze di terra sono ammassate sul confine con Gaza, ma in Israele si parla ancora di “strategie di uscita”, tregue e rinnovi del cessate il fuoco.
Anche se i carri armati israeliani si muoveranno con gran fracasso nei territori, avranno il coraggio di muoversi nel vero campo di battaglia del centro di Gaza? Oppure verranno usati semplicemente, come è stato in passato, per terrorizzare la popolazione civile delle periferie?
Gli israeliani sono consapevoli del motivo ufficiale del riserbo di Barak di far seguire ai bombardamenti aerei un attacco di terra totale. E’ stato loro ricordato innumerevoli volte che le peggiori perdite subite dall’esercito nel corso della seconda intifada avvennero nel 2002 durante l’invasione del campo profughi di Jenin.
Gaza, come gli israeliani sanno benissimo, è un campo profughi gigantesco. I suoi stretti vicoli, impossibili da attraversare per i carri armati Merkava, obbligheranno i soldati israeliani a combattere in campo aperto. Gaza, nell’immaginario israeliano, è una trappola mortale.
In modo analogo, nessuno ha dimenticato il pesante dazio pagato dai soldati israeliani durante la guerra di terra con Hezbollah nel 2006. In un paese come Israele, con un esercito cittadino, l’opinione pubblica è diventata indubbiamente ossessionata da una guerra nella quale buona parte dei propri figli verrà messa in prima linea.
Quella paura viene solamente aumentata dalle notizie diffuse dai media israeliani che Hamas sta pregando per avere la possibilità di coinvolgere l’esercito di Israele in un pericoloso combattimento. La decisione di sacrificare numerosi soldati a Gaza non è quella che Barak, leader del Partito Laburista, prenderà così alla leggera, con le elezioni tra sei settimane.
Ma c’è un altro problema che gli sta dando eguale motivo di esitazione.
Nonostante la retorica popolare in Israele, nessun alto funzionario crede realmente che Hamas possa essere sconfitto, sia dal cielo o con battaglioni di soldati. Hamas è semplicemente troppo radicato a Gaza.
Questa conclusione è stata riconosciuta nelle fiacche giustificazioni offerte finora per le operazioni di Israele. “Ristabilire la calma nel sud del paese” e “cambiare l’ambiente di sicurezza” sono stati preferiti alle precedenti dichiarazioni, come “estirpare l’infrastruttura del terrore”.
Un’invasione il cui vero scopo sarebbe il rovesciamento di Hamas richiederebbe, come si rendono conto Barak e i suoi funzionari, una rioccupazione militare permanente di Gaza.
Ma uno stravolgimento del disimpegno da Gaza – partorito nel 2005 dalla mente di Ariel Sharon, all’epoca primo ministro – comporterebbe un enorme impegno militare e finanziario da parte di Israele. Ancora una volta occorrerebbe assumersi la responsabilità degli aiuti alla popolazione locale, e l’esercito sarebbe obbligato a svolgere pericolose operazione di vigilanza negli accampamenti di Gaza.
In effetti, un’invasione di Gaza per spodestare Hamas rappresenterebbe un’inversione di tendenza nella politica di Israele dagli accordi di Oslo dell’inizio degli anni ’90.
Fu allora che Israele consentì al leader palestinese da tempo in esilio, Yasser Arafat, di ritornare nei territori occupati nel nuovo ruolo di capo dell’Autorità Palestinese. Ingenuamente, Arafat pensava di guidare un governo ombra ma, in verità, diventò il più importante mercenario di Israele.
Arafat fu tollerato nel corso degli anni ’90 perché fece ben poco per fermare l’effettiva annessione di vaste zone della Cisgiordania da parte di Israele, attraverso la rapida espansione degli insediamenti e l’imposizione ai palestinesi di rigide limitazioni sugli spostamenti. Piuttosto Arafat si concentrò nel potenziamento delle forze di sicurezza dei suoi lealisti Fatah, contenendo Hamas e preparando una condizione di Stato che non arrivò mai.
Quando scoppiò la seconda intifada, Arafat dimostrò di non servire più ad Israele e la sua Autorità Palestinese fu via via indebolita.
Dalla morte di Arafat e dal suo disimpegno da Gaza, Israele ha cercato di consolidare la separazione fisica della Striscia dalla molto più ambita Cisgiordania. Anche se in origine non era tra le aspirazioni di Israele, il controllo di Hamas su Gaza ha contribuito in modo significativo a quello scopo.
Israele ora è fronteggiato da due movimenti nazionali palestinesi. Il primo è Fatah, di stanza in Cisgiordania e guidato da un presidente debole, Mahmoud Abbas, ed è ampiamente screditato e sottomesso. L’altro, Hamas, di stanza a Gaza, si è guadagnato sempre maggiore fiducia perché sostiene di essere il vero guardiano della resistenza all’occupazione.
Incapace di distruggere Hamas, Israele ora sta considerando l’idea di vivere a fianco del gruppo armato.
Hamas ha dimostrato di poter imporre il suo predominio su Gaza come fece una volta Arafat su entrambi i territori occupati. Il problema in discussione nel governo israeliano e nella stanza dei bottoni della guerra è se, come Arafat, Hamas può essere colluso con l’occupazione. Si è dimostrato forte, ma può rendersi utile anche ad Israele?
In pratica, questo significherebbe la sottomissione di Hamas piuttosto che il suo annientamento. Mentre Israele sta cercando di potenziare Fatah in Cisgiordania offrendogli una carota, sta utilizzando l’attuale massacro di Gaza come un grosso bastone con cui sottomettere Hamas.
L’obiettivo ultimo è un’altra tregua che fermi il lancio di razzi al di fuori della Striscia, come il cessate il fuoco di sei mesi che è appena terminato, ma a condizioni ancor più favorevoli ad Israele.
Il blocco selvaggio che per molti mesi ha privato la popolazione di Gaza di beni essenziali ha fallito il suo scopo. Piuttosto, Hamas si è rapidamente interessato ai tunnel per il contrabbando che sono diventati un’ancora di salvezza per gli abitanti. I tunnel hanno aumentato, in egual misura, le finanze e la popolarità di Hamas.
Non dovrebbe costituire una sorpresa il fatto che Israele non si sia nemmeno preoccupato di colpire la leadership di Hamas o la sua ala militare. Invece ha bombardato i tunnel, il forziere di Hamas, e ha ucciso un numero considerevole di poliziotti, i garanti della legge e dell’ordine a Gaza. Le ultime voci indicano che Israele sta ora progettando di estendere i bombardamenti aerei alle organizzazione di assistenza di Hamas, gli enti benefici che sono la base della sua popolarità.
La campagna aerea sta intaccando la possibilità di Hamas di ricoprire realmente il ruolo di governante di Gaza. Stanno indebolendo le basi del potere politico di Hamas. La lezione non è che Hamas può essere distrutto militarmente ma che può essere indebolito in patria.
A quanto pare Israele spera di convincere la leadership di Hamas, come ha fatto per diverso tempo con Arafat, che i suoi interessi più importanti saranno raggiunti collaborando con Israele. Il messaggio è: lasciate perdere il vostro mandato popolare di resistere all’occupazione e concentratevi invece sul rimanere al potere con il nostro aiuto.
Nelle nebbie di guerra, gli eventi potrebbero ancora intensificarsi a tal punto che una pericolosa invasione di terra non potrà essere evitata, specialmente se Hamas continuerà a sparare razzi su Israele. Ma qualunque cosa accada, è quasi certo che alla fine Israele e Hamas diranno di sì ad un altro cessate il fuoco.
Il problema sarà se nel farlo Hamas, come Arafat in precedenza, perderà di vista il suo compito principale, quello di obbligare Israele a porre fine alla sua occupazione.
Jonathan Cook è uno scrittore e giornalista e vive a Nazareth, in Israele. Il suo ultimo libro è “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jkcook.net
Pacifici quesiti: Gaza delenda est?
di Paolo Maccioni - Megachip - 4 Gennaio 2009
Alcune domande sulle cose lette negli ultimi giorni a proposito dell’attacco di Israele nella Striscia di Gaza.
L’analogia scomodata dal signor Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma intervistato su Epolis il 30 dicembre 2008, mette a dura prova l’ostinazione di chi – come me – vuole credere a tutti i costi alla buona fede altrui.
Come si può credere che calzi l’analogia: «è come se Firenze o Bologna si trovassero costantemente sotto il lancio di razzi da parte di un paese, non so, come l’Austria, e si chiedesse al governo italiano di non fare nulla»? Davvero si pensa che quest’analogia possa funzionare? Che chi legge possa bersela supinamente? L’Austria, che evoca boschi, montagne innevate, castelli e carrozze, Sachertorte e sale da concerto stuccate dove si suonano concerti mozartiani.
Che c’entra dunque l’Austria? L’Austria è forse assediata su tre lati dall’Italia? Forse l’Austria subisce da parte dell’Italia l’imposizione del blocco all’accesso di cibo, carburante, forniture mediche? Forse l’Italia controlla lo spazio aereo, tutta l’acqua, tutta l’elettricità e le altre risorse austriache? Forse anziché i concerti mozartiani si sentono i caccia italiani che superano il muro del suono sopra le misere baracche di Vienna e Salisburgo?
Si potevano scomodare esempi storici più aderenti alla realtà della Striscia di Gaza. Troia assediata dagli Achei, Lisbona assediata dai Mori, il Kuwait invaso dall’esercito iracheno, Grozny occupata dai carri armati russi, o ancora, come dice bene il parlamentare greco Theodoros Pangalos: «Le azioni come quelle che attualmente esercitano i militari di Israele a Gaza, ricordano gli olocausti dei greci a Kalavrita, Doxato, Distomo e certamente nel ghetto di Varsavia.» Analogie forse fallaci, forse non appropriatissime, ma che diventano improvvisamente adeguate se paragonate a quella infelice e fuorviante dell’Austria che gratuitamente lancerebbe razzi sulle città italiane.
Altrettanto indigeribile è l’ostinato ritornello che alcuni alti esponenti e funzionari di paesi occidentali, fra cui il nostro ministro Frattini, ripetono: la colpa è di Hamas. Come si può sostenere una cosa del genere, quando si sa che questo piano d’attacco era stato meditato e preparato da sei mesi?
Un paese occupante, un paese occupato; la quarta potenza bellica del mondo contro un ghetto di un milione e mezzo di persone alla fame, allo stremo. Un Paese che contravviene all’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra contro un paese che subisce il coinvolgimento della popolazione civile nelle operazioni militari. Eppure si chiede che a fermarsi sia l’assediato, non l’assediante. Accadrà: se l’esercito israeliano non si ferma fino alla soluzione finale.
«Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi resterà da fare è darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una bottiglia» (Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, “New York Times”, 14/04/1983).
Allora sì, accadrà: a Gaza riusciranno finalmente ad accontentare coloro che chiedono ad Hamas di fare il primo passo.
Dato che la propaganda ha scomodato parallelismi fuorvianti, sarà permesso azzardarne un altro, meno infelice di quello “austriaco”.
I militari argentini dell’ultima dittatura potevano ben dire – come oggi fanno i vertici militari e politici di Israele – di difendersi. E secondo il metro dei nostri soloni che oggi imperversano nei notiziari e quotidiani, i militari argentini ne avevano ben d’onde: d’altronde Montoneros ed ERP mettevano a segno attentati più distruttivi di quelli causati dai razzi Qassam, cilindri di latta con dentro polvere da sparo che qualcuno arditamente definisce “missili”. Pure i militari argentini “per estirpare il terrorismo” si scatenarono contro la popolazione civile. Detenevano il potere, non solo quello militare, ma pure quello di poter etichettare gli avversari come “terroristi” e pertanto screditare chi non fosse d’accordo con loro: “chi si oppone a noi flirta con i terroristi”, identica accusa che oggi viene mossa contro chi osi sollevare obiezioni all’operato di Israele.
Tuttavia, trent’anni dopo, sia in sede storica che in sede giudiziaria, l’operato dei militari argentini verrà definito come "genocidio". E complici sono definiti coloro che allora li appoggiarono, o guardarono dall’altra parte.
Non basterà la mastodontica macchina di propaganda bellica apparecchiata dal ministro Tzipi Livni che ha perorato pubblicamente la causa del giornalismo embedded. La gittata di questo tipo di propaganda per quanto lunga si esaurirà nell’ambito della cronaca. La Storia non la scriveranno coloro che oggi fanno finta di non capire e cadono di buon grado nello stesso vecchio tranello retorico del generale Videla, che fu già del gerarca nazista Hermann Goering e in seguito del procuratore generale Usa John Ashcroft e oggi dei vertici israeliani e dei loro proseliti.
La Storia se ne ride delle menzogne dei contemporanei da ben 2500 anni, quando il maestro Sun Tzu in L’arte della guerra scriveva “tutte le guerre si fondano sulle menzogne”.
Anche questa.
La Storia considererà tutti coloro che non vogliono vedere, per bene che possa loro andare, complici. I conduttori radiofonici e gli editorialisti arruolati all’unico pensiero “Delenda Gaza”. Non una parola spendono costoro sulle sofferenze del popolo palestinese.
Io non voglio essere complice di questa carneficina, di questa punizione collettiva.
Condannare le «due parti»: peggio degli assassini!
di Michel Warschawski - Alternative Information Center – Beit Sahour/Gerusalemme - 31 Dicembre 2008
Barak, Olmert, Livni e Ashkenazi un giorno dovranno rispondere di crimini di guerra davanti a una corte di giustizia, come altri criminali. Di conseguenza, è nostro dovere informare sui loro atti e dichiarazioni per essere sicuri che paghino per i massacri che hanno ordinato e commesso.
Ma un’altra categoria di criminali potrebbe sfuggire ai tribunali. Questi non si sporcano le mani del sangue dei civili, ma forniscono le giustificazioni intellettuali e pseudo morali agli assassini. Formano l’unità di propaganda del governo e dell’esercito di assassini.
Gli scrittori israeliani Amos Oz e A. B. Yehoshua sono gli esempi tipici di simili miserabili intellettuali, e non è la prima volta! Ad ogni guerra si offrono volontari nello sforzo militare israeliano, senza neanche l’arruolamento ufficiale. Il loro primo compito è quello di fornire delle giustificazioni all’offensiva israeliana, poi, in un secondo tempo, piangono la verginità perduta e accusano il campo avverso di averci costretto ad essere brutali.
La giustificazione fornita da Oz sul Corriere della Sera e da Yehoshua su La Stampa è chiaramente di dover reagire ai missili su Sderot, come su tutto fosse iniziato con questi missili: «Ho dovuto spiegare agli italiani – scrive Yehoshua su Haaretz del 30 dicembre 2008 – perché l’azione israeliana era necessaria…»
Yehoshua e Oz hanno dimenticato i 19 mesi di brutale assedio israeliano imposto a un milione e mezzo di esseri umani, privandoli delle forniture più elementari. Hanno dimenticato il boicottaggio israeliano e internazionale verso il governo palestinese democraticamente eletto. Hanno dimenticato l’isolamento forzata tra Gaza e la Cisgiordania, separazione imposta per isolare e punire la popolazione di Gaza per la sua scelta democratica scorretta.
Dopo aver scelto di riscrivere la cronologia degli eventi, Oz e Yehoshua usano l’argomento della simmetria: la violenza è usata dalle due parti e risono vittime innocenti a Gaza come in Israele. In effetti, ogni civile ucciso è una vittima innocente. Allo stesso tempo, la cronologia e i numeri non sono fuori luogo: 3 civili israeliani sono stati uccisi nel sud di Israele, ma solo dopo che l’aviazione israeliana aveva messo in atto il massacro pianificato nel centro della città di Gaza, ammazzandone oltre 300.
Questa posizione degli intellettuali più noti di Israele serve da giustificazione morale al sostegno che il partito della sinistra sionista Meretz offre all’aggressione criminale del ministro della difesa Barak. A tempo debito anche Meretz esprimerà la sua opposizione alle uccisioni, ossia quando la comunità internazionale esprimerà la propria preoccupazione per le colpe di Israele. Per il momento questa comunità internazionale resta silenziosa e sembra anche felice del contributo israeliano alla propria santa crociata contro la minaccia islamica globale.
Per dimostrare preoccupazione, l’Europa invia un’assistenza sanitaria (simbolica) alla popolazione di Gaza. Sentendo il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner sostenere l’azione israeliana, mentre annuncia la decisione di inviare generi umanitari a Gaza, non ho potuto fare a meno di ricordare le informazioni sulle delegazioni della Croce Rossa Internazionale che avevano visitato i campi di sterminio nazisti con cioccolata e biscotti. So che non è la stessa cosa, ma nessuno può determinare le associazioni mentali.
Bernard Kouchner ha comunque una circostanza attenuante: i regimi arabi, in particolare quello di Hosni Mubarak, sostengono l’aggressione israeliana. E anch’essi manderanno cioccolato e biscotti ai bambini di Gaza, salvo, ovviamente, a quelli che giacciono morti all’ospedale di Shifa.