venerdì 21 maggio 2010

Afghanistan: l'italiota guerra di pace...

Qualche articolo sulla presenza militare italiota in Afghanistan, inutile e molto cara in termini economici.

L'Italia spende in armi e guerre 23 miliardi di euro ogni anno, cioè circa l'1,5% del Pil, quasi la stessa cifra della manovra correttiva che Tremonti sta preparando in questi giorni.

Ma tagliare questa spesa, se non proprio tutta almeno in buona percentuale, non verrà mai in mente a Tremonti..


Che ci facciamo in Afghanistan?
di Massimo Fini - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 20 Maggio 2010

Dopo l'agguato talebano che è costato la vita a due nostri militari ferendone gravemente altri due, il ministro della Difesa La Russa si è affrettato a chiarire che “non è stato un attacco all'Italia”. Certo, nella colonna di 130 mezzi che trasportava 400 uomini c'erano americani, spagnoli e soldati di altri nove Paesi che, nella regione di Herat, occupano l'Afghanistan. È stato un attacco alla Nato.

Riaffiora però qui la retorica, tipicamente fascista, degli "italiani brava gente" che, a differenza degli altri, sanno farsi voler bene dalla popolazione che quindi non li prende di mira. Sciocchezze.

Gli italiani sono odiati esattamente come tutti gli altri occupanti, con l'eccezione negativa degli americani che sono odiati di più perché tutti sanno, in Afghanistan e altrove, che questa guerra è voluta da Washington e che il presidente-fantoccio Hamid Karzai, che nel Paese non gode di alcun prestigio perché mentre negli anni '80 i suoi connazionali si battevano con straordinario coraggio contro gli invasori sovietici lui faceva affari con gli yankee, è alle dirette dipendenze dell'Amministrazione Usa. Non è per la morte di due soldati che dobbiamo lasciare l'Afghanistan.

Gli americani, secondo stime che risalgono alla fine del 2009, hanno perso 850 uomini, gli inglesi, che sono i soli a battersi, anche se non sempre, "all'afghana", cioè senza l'uso sistematico dei bombardieri che uccidono ed esasperano la popolazione civile, 216, i canadesi 131, la Danimarca 26, più del 10% del suo piccolo contingente di 200 uomini. Da allora sono caduti altri 200 soldati della Nato e l’altro giorno ne sono caduti altri sei, cinque americani.

Ma la domanda “Che cosa ci stiamo a fare in Afghanistan?” abbiamo pur il diritto di porcela e di porla alle nostre classi dirigenti. Berlusconi, Frattini, La Russa hanno cantato la solita solfa. Berlusconi: “La nostra missione in Afghanistan è di straordinaria importanza per la stabilità e la pacificazione di un'area strategica”.

Frattini: “La nostra è una missione di pace, fondamentale, che continuerà per la nostra sicurezza e il bene del popolo afghano”. La Russa: “È una missione per la sicurezza e la pace a casa nostra”.

Ora, in tutta la storia, passata e recente, dell'Afghanistan non c'è un solo afghano che si sia reso responsabile di un atto di terrorismo internazionale, cioè fuori dal proprio Paese.

E se dal 2006 anche gli afghani si sono decisi a utilizzare il terrorismo e i kamikaze, cosa totalmente estranea alla loro cultura e natura di guerrieri, dopo un aspro dibattito all'interno della leadership talebana (il Mullah Omar era contrario perché il terrorismo, anche se sempre mirato, nel caso talebano, a obiettivi militari e politici, colpisce inevitabilmente anche la popolazione civile sul cui appoggio si sostiene la guerriglia) è perché gli eserciti occidentali, a differenza di quello sovietico, (contro cui non ci fu mai un atto di tipo terroristico) non hanno nemmeno la dignità di battersi sul campo, ma usano a tappeto l'aviazione, spesso con aerei senza equipaggio, i Dardo e i Predator, bombardando indiscriminatamente i villaggi uccidendo vecchi, donne e bambini.

Contro un nemico che non combatte con lealtà, dignità, onore, ma usa i robot, che cosa può fare una resistenza se non ricorrere alle povere armi di cui dispone, ordigni quasi sempre rudimentali messi insieme con materiali di fortuna come i tergicristalli?

I "vigliacchi", egregio ministro La Russa, stanno da un'altra parte. In quanto all’“insicurezza e alla instabilità del Paese” è del tutto evidente che è provocata proprio dalla presenza delle truppe straniere, che gli afghani, popolo orgoglioso come pochi, non hanno mai tollerato cacciando, nella loro storia, inglesi e sovietici così come, prima o poi, cacceranno gli odierni occupanti.

L'Afghanistan talebano era sicuro e stabile. Aveva un regime, delle leggi, dei costumi che non ci piacciono. Ma si può fare la guerra a un popolo solo perché è diverso da noi e non si ispira ai sacri principi di Locke e di Stuart Mill? Pretendere di omologare ogni popolo che ha storia, cultura, vissuti diversi, ai nostri valorièunaformaditotalitarismo indegno di un mondo che si definisce liberale e democratico.

Un liberale che pretende che tutti siano liberali non è un liberale: è un fascista. Nell'atroce vicenda afghana siamo noi, paradossalmente, i fascisti mentre i talebani hanno la parte dei difensori della libertà, la loro libertà da un'occupazione straniera, comunque motivata.

È un modo molto curioso quello di “operare per il bene del popolo afghano”, per esprimerci con le parole del ministro Frattini, uccidendo i suoi abitanti a centinaia di migliaia, come del resto abbiamo già fatto in Iraq.

Se la morte di due soldati provoca sofferenza e dolore nelle loro famiglie , nei padri, nelle madri, nei figli, nei fratelli, nelle sorelle, che cosa devono dire gli afghani? Non hanno anch'essi padri e madri e figli e fratelli e sorelle che ogni giorno che dio manda in terra devono piegarsi sui propri morti, siano essi guerriglieri, soldati "regolari" del grottesco esercito di Karzai che si sono arruolati perché la disoccupazione, che noi abbiamo portato in quel Paese, non gli lascia alternative, o, peggio, civili?

Smettiamola con questa farsa tragica. Con le ipocrisie ributtanti. Noi siamo in Afghanistan solo per un malinteso senso di prestigio. È per difendere la faccia, la nostra bella faccia, che uccidiamo ogni giorno, noi o i nostri alleati, gente che non ci ha fatto nulla e, a volte, veniamo anche noi, del tutto legittimamente uccisi.

Ritorniamo a casa nostra, ai nostri Scajola,ai nostri Anemone, ai nostri Balducci, alla nostra corruzione, alla nostra pubblicità, ai nostri giochini idioti, al nostro grasso benessere, al nostro marciume materiale e morale, e lasciamo che un popolo, infinitamente più dignitoso di noi, anche antropologicamente, possa decidere da sé del proprio destino.



Lo stato delle nostre guerre
di Mazzetta - Altrenotizie - 19 Maggio 2010

La morte dei nostri due soldati ha riacceso la luce sull'Afghanistan, sarà un attimo e tornerà a calare il buio, se non fosse per gli episodi luttuosi o qualche mascalzonata sparsa ai danni dei pochi italiani che vi si trovano senza essere stati mandati dal nostro governo, il conflitto afgano è chiaramente sotto-rappresentato dai nostri media. Molto più visibile la “minaccia iraniana”, molto teorica e ormai sfumata, delle guerre vere, difficile credere al caso o una follia diffusa.

Una volta deciso in maniera bipartisan e contro la volontà popolare che si andava, a livello politico non si sono più registrati grossi scossoni o incertezze e raramente la questione è diventata oggetto di disputa politica.

Quando la luce si riaccende è già previsto un menu ampiamente rodato a base di cordoglio bipartisan, funerali solenni e la scontata bordata di retorica, ultimamente parecchio sopra le righe, visto che ci ritroviamo come ministro della difesa Ignazio La Russa, uno che non fa economia di parole in queste occasioni.

Siamo sempre stati il paese dello “armiamoci e partite”; in repubblica come in monarchia i nostri leader non hanno mai brillato quando si è trattato di proiettare il paese all'estero. Premesse che giustificano gli esiti peggiori, ancora di più se all'azione è chiamata la classe politica forse più scadente della storia del paese.

È un vero miracolo, che va riconosciuto al nostro esercito e alle capacità negoziali della nostra diplomazia sul campo, che il numero delle nostre vittime in Afghanistan sia rimasto straordinariamente contenuto in questi anni.

Non stona farlo notare in questa occasione, perché il paese non è mai stato pronto ad accettare una mortalità che pure sarebbe compatibile con scenari di guerra. Lo stesso problema lo hanno gli americani, che pure perdono relativamente pochi soldati grazie alla prudenza e allo strapotere militare quando arrivano all'ingaggio diretto con il nemico.

Ben pochi dei paesi che hanno militari in Afghanistan sono mai stati disposti a sopportare tributi di sangue troppo alti, per questo sono stati impiegati nel presidio di zone relativamente tranquille e tenuti per quanto possibile lontani dalle principali minacce.

All'amministrazione Bush servivano foglie di fico, non aiuti militari, che ha integrato con l'uso di un numero spropositato di mercenari, gran parte dei quali occupati a proteggere altri americani o a servire la truppa professionale, ma comunque più numerosi e ubiqui e coordinati con il comando statunitense della forza multinazionale nel suo complesso.

Così, da anni, stiamo lì a fare i bersagli, attesa dell'inevitabile trappola esplosiva o dell'attacco suicida, senza fare molto di più che presenza e qualche inevitabile brutta figura; basti pensare che il compito che ci eravamo assunti per aiutare l'Afghanistan, paradossale trovata del governo Berlusconi presa per buona dai soci nell'avventura, era quello di costruire un sistema giudiziario e di formare i giudici.

Forse all'epoca il diabolico immaginava di poter mandare magistrati italiani in esilio ad insegnar diritto, ma non si potrà mai sapere, perché dopo nove anni non c'è traccia di niente del genere.

L'Afghanistan non appassiona, non essendo oggetto di competizione politica è praticamente rimosso, dimenticato. Quando succede qualcosa si alza un'autorità come il Presidente della Camera Gianfranco Fini che dice che è colpa dello scacchiere internazionale, poi Bersani dichiara che non possiamo lasciar vincere i talebani e La Russa che fa il suo numero. Berlusconi, fortunatamente, questa volta era malato.

Osservando La Russa in azione, mi è venuta in mente un'assoluta banalità: quella di chiedermi retoricamente perché non ci ha mandato suo figlio Geronimo, a compiere tutto quel dovere e tutto quel sacrificio per la Patria con la P maiuscola. Un attimo dopo non era tanto una banalità: pensandoci è pur vero nessuno tra i figli di parlamentari o ministri è in Afghanistan.

Ma nemmeno ci sono figli di governatori o presidenti di regione o di leader politici, nemmeno uno. Persino la trota di Bossi è stata abbastanza sveglia da preferire i ricchi incarichi in Lombardia al fascino dell'avventura contro il feroce musulmano. Piccoli forchettoni crescono.

Non succede lo stesso negli altri paesi occidentali coinvolti nel conflitto, che mostrano più contegno e senso istituzionale. Questo italico unanimismo monolitico spiega più di tante parole quanto siamo portati per le avventure militari.

Per il governo dell'epoca non si trattò certo di reagire con istinto guerresco, ma di comprarsi una sedia il più possibile vicino a Bush, il più potente di tutti. Come con Putin e altri, lungimirante.

Ma quanto ci sono costati Bush e Putin? Alcuni muoiono e altri ne traggono vantaggio, è sempre così con le guerre; negli Stati Uniti si sono rubati anche gli sgabelli all'ombra della guerra, oltre a pregevoli pezzi d'Iraq.

Certo è che andare al traino non esime da responsabilità, ancora di più quando si osserva che la politica dell'amministrazione Obama non si sposta di una virgola da quella di Bush.

L'approccio ai problemi è tanto simile che la nuova retorica con la quale è impacchettato non basta a nasconderlo, tanto che è appena spuntata l'ennesima Abu Grahib e si è saputo che la base americana di Bagram è un centro di tortura simile a quello iracheno.

L'unica differenza é che questa volta non si è trovato ancora un idiota che mettesse le sue foto su Facebook mentre applica elettrodi ai testicoli di un poveretto incappucciato.

In Afghanistan gli americani, e con loro gli alleati, stanno peggio di come stavano alla fine del 2001, dopo un mese di permanenza. Supportano Karzai che pure hanno accusato pubblicamente di aver vinto con i brogli e che correva contro un rivale che poi è stato cooptato al governo.

Una farsa in faccia agli americani, che però non hanno trovato un altro “presidente” alternativo in tempo a rimpiazzare quello fallito ma abbastanza vitale da resistere al potere, che avevano scelto loro. Ora siamo al tempo del “surge”, cioè di un’accelerazione bellica che dovrebbe migliorare la situazione come la stessa tattica in Iraq.

Vaglielo a dire agli italiani e agli americani che il “surge” in Iraq non è servito a nulla, che esisteva per lo più sui media; e vaglielo a dire che oggi gli iracheni muoiono a decine ad attentato, mentre gli americani si sono “ritirati” dentro le basi nel deserto e nell'enorme fortezza (in teoria ambasciata) che hanno costruito in mezzo a Baghdad.

Ci sono state le elezioni, ma il governo è ancora da fare a distanza di settimane e probabilmente la coalizione vincente non sarà quella preferita da Washington. Dettagli: l'Iraq già non esiste più in Occidente, non esistono nemmeno il suo milione di vittime e i quattro milioni di profughi, quasi un quinto della popolazione.

Immaginare che una persona su cinque di quelle che conosciamo muoia o scappi da qui a sei anni, rende l'idea del danno fatto da Bush nello scatenare una guerra impopolare e fondata su una marea di balle grossolane. Non c'entrava la guerra al terrorismo, non c'erano le armi di distruzione di massa, solo petrolio di ottima qualità.

Quando è stato chiaro a tutti quale fosse il vero scopo, hanno detto che era troppo tardi per tornare indietro. Probabilmente l'amministrazione Bush ha conseguito i suoi scopi, ma il mondo pagherà a lungo un prezzo enorme per la sua decisione di occupare l'Iraq per il prossimo decennio.

Noi nel nostro piccolo abbiamo dato la consueta manciata di giovani eroi, ma per fortuna ormai è finita e, qui, quello che è successo e succede in Iraq non interessa più a nessuno. Meglio rimuovere in fretta e girare la testa da un'altra parte.

Ancor meno interessa quello che succede in Somalia, dove il nostro storico inviato, il diplomatico Mario Raffaelli, è stato sostituito a gennaio senza che sia mai stato chiaro quale fosse l'agenda italiana per il paese e nemmeno quale sarà chiamato ad interpretare il suo successore. Raffaelli probabilmente è riuscito ad operare decentemente ( le buone referenze lo hanno portato a diventare presidente di AMREF Italia) proprio perché nessuno era interessato a capire cosa stesse succedendo, e quindi a ingerire.

Resta che la Somalia è ancora allo sbando e che se prima c'era un governo di islamici, poi è arrivata la dittatura etiope a cacciarli per conto degli americani.

Successivamente gli etiopi se ne sono andati e adesso di islamici ce ne sono almeno di tre tipi: uno buono finalmente al governo, uno cattivo e uno cattivissimo. Gli annunciati rinforzi in addestramento in Kenya si sono rivelati fantomatici e il divide et impera continua a tenere la Somalia nel disastro. Ce ne ricorderemo se i pirati cattureranno qualche italiano al volo, altrimenti niente.

Così come un giorno ci accorgeremo che gli Stati Uniti di Obama hanno aperto un altro sanguinoso fronte in Pakistan, dove ormai non si finge nemmeno più e dove gli americani operano dall'alto con i droni e l'esercito pakistano finalmente muove contro i talebani e altri associati, che rispondono con attacchi alle città.

In tutto questo il Pakistan ha dato un segnale di vitalità, perché la debolezza politica dello scarsissimo e corrottissimo marito di Benazir Bhutto (scelta dagli americani e uccisa con un attentato pauroso), ha permesso finalmente una riforma costituzionale degna di questo nome.

Peccato solo che in Pakistan nessuno investa ancora in scuole, perché il Pakistan ha sempre preferito spendere in armi gli aiuti che riceveva dagli americani per fare da baluardo contro l'India, l'URSS e la Cina, riservando l'istruzione alla classe dominante e condannando il resto alle madrasse finanziate dall'Arabia Saudita.

Una scelta scellerata di regimi scellerati sempre sostenuti dagli Stati Uniti, complici di Yaya che fa il massacro in Bangladesh, di Alì Bhutto che comincia il programma nucleare, di Zia ul Haq che procede a passo di carica nell'islamizzazione della società e delle leggi.

Così hanno prodotto abbastanza mujaheddin da cacciare i russi dall'Afghanistan, ma anche bombe atomiche, gli attentati dell'11 settembre e parecchi altri. Oggi il Pakistan soffre migliaia di vittime all'anno e già più di un milione di profughi interni.

Come mai tutto ciò accade con un paese storicamente “alleato” (vale lo stesso per l'Arabia Saudita)? E come mai non si trova invece uno straccio d'iraniano, siriano, libanese o palestinese disposto a partecipare a quella che hanno raccontato come la grande jihad contro l'Occidente?

E’ un mistero glorioso che andrebbe chiarito dagli spacciatori di certe narrative, ma è difficile che qualcuno li disturbi con domande importune. E poi non si poteva certo pretendere da Bush di rovesciare la monarchia saudita, sono cose che non si fanno tra amici di famiglia.

Non resta che incrociare le dita e sperare nello stellone, i nostri parlamentari sono quelli che se sentono dire Darfur pensano al fast-food, pensano a mangiare loro, la guerra è affare dei nostri giovani eroi, a tutti gli altri non resta che continuare a sperare che il nostro coinvolgimento diretto s'interrompa il prima possibile.


Una guerra senza via d'uscita
di Gianni Petrosillo - www.conflittiestrategie.splinder.com - 19 Maggio 2010

Altri due italiani finiti al creatore in una guerra senza più prospettive di vittoria né vie d’uscita dignitose, ed i nostri politici continuano a parlare di missione fondamentale. Altri due soldati morti in terra straniera per un conflitto che non mette a rischio il mondo ma esclusivamente una certa visione “escatologica” dei destini dell’umanità di cui sono portatori gli Statunitensi, il popolo eletto da Dio sul quale si sarebbe dovuto imperniare il nuovo secolo post guerra fredda.

C’è poi qualcuno che è stato profetico sui mezzi forniti agli italiani per difendere le proprie posizioni sul terreno afghano nonché spostarsi sui vari scenari di guerra in tutta sicurezza. Il veicolo tattico “Lince”, presentato agli occhi del mondo come un gioiello tecnologico, caratterizzato da agilità e resistenza, non si rivela adeguato allo scopo e si lascia dietro, oltre ai morti negli attentati con ordigni nascosti sulle vie di passaggio, “uno strascico di contusi, traumatizzati, feriti…

E succede ogni volta che esplode anche la più modesta carica di esplosivo fatta brillare empiricamente al centro “carreggiata” od interrata ai bordi della viabilità (G. Chetoni http://byebyeunclesam.wordpress.com/2009/08/18/gli-effetti-lince-in-afghanistan/ ).

Stranamente, come ha detto il Generale Mini su Repubblica, prima ancora del cordoglio per le famiglie dei soldati e la preoccupazione per lo stato dei feriti, le reazioni della nostra classe politica, con la sola eccezione del Ministro Calderoli, sono state per la riaffermazione delle ragioni della presenza italiana in quel paese lontano e per il mantenimento degli impegni assunti con la Nato.

Peccato però che dall’ “indispensabile” parte giocata dall’Italia in questo conflitto e anche da quella degli altri alleati della coalizione non discenda una reale condivisione della strategia complessiva e delle decisioni da prendere di volta in volta, tutte questioni che vengono stabilite dal comando Centrale Usa e dalle teste d’uovo di Washington.

Cambi ai vertici militari, obiettivi strategici e tattici, surge, abbassamento dell’intensità delle operazioni, ritirate, ecc.ecc. quanti di questi momenti sono stati affrontati con collegialità e spirito di condivisione delle scelte dagli americani? E’ vero che loro hanno più uomini lì ma è altrettanto vero che questa è la loro guerra e che la stanno perdendo.

La natura di questo intervento si è trasfigurata, si è metamorfosata sotto gli occhi dell’alleanza occidentale, in seguito ai numerosi fallimenti sul campo e agli stessi obiettivi iniziali, troppo ambiziosi e irrealistici per poter essere raggiunti. Ora si tratta, sempre come afferma il Generale Mini, di stabilizzare “un contesto di guerra aperta tra una parte sempre più aggressiva di afghani e le forze internazionali”.

Si chiarisca almeno questo aspetto per non mettere in difficoltà i nostri soldati e la si smetta di parlare di azione umanitaria e di missione di pace, come fanno impunemente gli esponenti del governo italiano e i pacifinti di centro-sinistra (i quali hanno contribuito con la loro codardia e il loro servilismo filo-Usa a farci entrare nel pantano afghano).

Nel 2002, quando la missione dell'Isaf ha avuto inizio, forse non si poteva fare a meno di seguire gli americani, oggi il contesto internazionale è cambiato e sono cambiati gli equilibri mondiali che consentono di pesare diversamente la propria collocazione storica e geopolitica. In questa fase, ed in presenza di una grave crisi economica, si può anche dire di no e ricontrattare la propria disponibilità senza perdere la faccia. Ci si muova su questa strada.


La guerra continua...
di Enea Baldi - www.rinascita.eu - 19 Maggio 2010

...a fianco dell’alleato statunitense.
Di primo acchito, potrebbe sembrare una “badogliata”.

E infatti lo è: Washington impone ancora oggi, a 65 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, all’Italia di fornire truppe gurkha per far fronte alle sue guerre nel Vicino Oriente.

Le polemiche sulle infelici esternazioni del nostro ministro della Difesa Ignazio La Russa, protagonista domenica scorsa di raccapriccianti boutades (dopo una breve premessa sui fatti tragici in Afghanistan, una lunga riflessione sul pallone, il Siena, lo scudetto all’Inter e i favori alla Roma...), non ci interessano più di tanto: sappiamo di che pasta sono fatti certi ministri della nostra Repubblica.

Ma quello che è doloroso sottolineare è la continua subornazione dell’Italia alle guerre di esportazione atlantiche. Ed è la tragedia umana e sociale a cui questo governo e questo Parlamento di sudditi di Washington - di destra come di (falsa) sinistra - sottopone i nostri militari, assoldati sotto l’egida ipocrita della lotta al terrorismo.

Ieri mattina, dopo l’ennesima carneficina consumata in Afghanistan (20 morti, compresi 4 militari americani dell’Isaf) il ministro La Russa, intervenuto telefonicamente alla trasmissione Mattino5, ha così dichiarato: "Grazie al supporto dell’Italia, c’è più controllo del territorio (afghano ndr) da parte delle forze alleate, maggiore collaborazione con il governo e la popolazione”, e proprio tutto questo “scatena la reazione dei talebani, con attacchi vigliacchi e terroristici, tipici di chi è in difficoltà”.

Chi difende la propria patria invasa e occupata, quindi, secondo La Russa, è vigliacco e terrorista. Il ministro della Difesa ha anche strumentalmente ribadito il “cordoglio” per le vittime e i loro familiari.E che bisogna “far sentire a chi in Afghanistan ogni giorno fa il proprio dovere che l’Italia è consapevole che sono lì per tenere lontani dalle nostre case i pericoli del terrorismo”.

E sempre secondo la Russa il rimedio italiano al terrorismo afghano si chiama “Freccia”. “Tra poche settimane potremo mandare i nuovi Freccia - ha spiegato il ministro - che sono dei blindati molto più grossi e più sicuri, anche se un po’ meno veloci, del Lince, che comunque ha dato ottima prova di sé”.

Ma i Lince, come da tempo denunciato da “Rinascita”, sono praticamente poco più di fuoristrada, inadatti al teatro di guerra: ma questo il “ministro” fa finta di ignorarlo. Per costui, infatti, “tutto dipende dalla quantità di esplosivo” utilizzata dai “terroristi” per minare i percorsi degli occupanti.

E come se non bastasse il ministro della Difesa a rassicurare gli statunitensi sull’impegno futuro delle nostre truppe a questa vergognosa guerra, il titolare della Farnesina, Franco Frattini, sempre ieri, elmetto virtuale in testa, ha dichiarato che “i nostri soldati sono pronti a colpire le basi terroristiche”.

Ormai il modus operandi del nostro esercito, secondo Frattini, sarà, a differenza delle azioni di supporto ad altri contingenti o in funzione di rastrellamento operate fino ad ora, quello di colpire le installazioni stabili in cui si annida la guerriglia.

Una missione di guerra d’occupazione “per consolidare la pace”... Altro che intervento “umanitario” e balle simili.

Sicuramente, come già accaduto in passato, ci sarà da temere sia per la popolazione civile inerme che per i nostri giovani mandati a combattere un conflitto che non appartiene loro e che può soltanto esacerbare l’odio e la rabbia degli afghani, e degli iracheni, nei confronti dell’Occidente.


Afghanistan: l’impegno italiano su procura Usa , lo stallo militare e le vere ragioni del conflitto
di Federico Dal Cortivo - www.italiasociale.net - 19 Maggio 2010

Chi credeva che l’aggressione americana all’Afganistan sarebbe stata una semplice passeggiata, fatta solo di bombardamenti a tappeto, ora comincia a ricredersi.

Così come fu impossibile il controllo del territorio afgano da parte delle truppe sovietiche anni fa , così lo è oggi altrettanto per gli statunitensi e i loro alleati , nonostante dispongano sulla carta di un arsenale inesauribile.

L’Italia purtroppo è in Afghanistan solo ed esclusivamente per tutelare gli interessi delle grandi Corporation angloamericane, e il comando delle operazioni militari è saldamente in mano statunitense e britannica.

Suonano ridicole le affermazioni del ministro della difesa La Russa che indica nella lotta al “terrorismo” il motivo della presenza italiana nel Vicino Oriente, è lo stesso leitmotiv che Washington ripetete ossessivamente dall’11 settembre 2001 e quello che il “padrone” ordina, il suddito deve fare.

Per l’Italia si tratta di uno sforzo economico non trascurabile, dove uomini e mezzi delle nostre forze armate vengono logorati giorno per giorno, togliendo ulteriori fondi al già magro bilancio della Difesa.

In Italia, è bene precisarlo, la Difesa è sempre stata la cenerentola dei vari ministeri, mentre sprechi di ogni tipo avvenivano ed avvengono tuttora in altri settori dello Stato, per i militari si è sempre andati al risparmio: pochi mezzi- pochi aerei-equipaggiamenti non sempre all’altezza dei compiti operativi-armamenti vetusti- bassi stipendi,caratteristiche queste che hanno riguardato le forze armate quando vi era la coscrizione obbligatoria.

Poi si è passati all’esercito di professionisti, e qui ci sarebbe aspettato di vedere il salto di qualità, che forse in alcuni settori c’è stato,ma quel poco che è stato fatto viene risucchiati ogni giorno nelle varie ed inutili, per gli interessi nazionali, missioni all’estero.

In Afghanistan l’Italia si trova impantanata in una guerra di guerriglia di vaste proporzioni, di cui nemmeno i principali attori sulla scena,vedono la fine a breve termine, se non in una rovinosa ritirata stile Viet Nam.

Ma mentre loro hanno l’esatta percezione del perché combattono, ai cosiddetti alleati come l’Italia, viene solo detto d’inviare sempre più uomini e mezzi, come si addice a delle truppe coloniali.

LE OPERAZIONI MILITARI DAL RECENTE PASSATO AD OGGI

Era il 26 dicembre 1979, quando Mosca decise d’intervenire militarmente a sostegno del regime comunista di Kabul, che dal 1978, anno del colpo di stato ad opera del Fronte della Sinistra, governava il Paese.

L’ indecisione fu maturata per il timore dei russi che una crisi interna all’Afganistan, potesse portare quest’ultimo nell’orbita islamica, contagiando così le repubbliche musulmane dell’Impero Sovietico. L’invasione ebbe come effetto di presentare alla popolazione afgana, il regime di Babrak Karmal, come il vassallo ubbidiente di Mosca, scatenando in breve la reazione popolare e religiosa.

A nulla valsero l’impiego di armi d’ogni genere impiegate dagli oltre 120.000 soldati russi dislocati in territorio afgano. La resistenza combatté senza sosta tra le impervie montagne di un territorio, che già nel secolo precedente aveva visto la disfatta delle truppe britanniche.

I mujaheddin subiscono ingentissime perdite nel corso di dieci anni di guerra spietata da ambo le parti, si parla di circa un milione di morti tra le loro fila, mentre per i sovietici cadono almeno 50 mila uomini, ma alla fine anche Mosca conosce il suo Viet Nam ed il 5 febbraio 1989 gli ultimi reparti dell’Armata Rossa lasciano il suolo afgano.

La storia oggi sembra ripetersi, anche perché gli americani forti delle vittorie riportate nelle due recenti guerre d’aggressione, contro l’Iraq ( 1991) e contro la Serbia, ottenute senza quasi l’impiego di truppe di terra e con il solo ausilio delle forze aeree, credono di poter ripetere la stessa cosa in Afganistan.

Ma, se all’inizio dell’operazione “ Endurig Freedom”, si credeva che tutto potesse essere risolto con l’impiego massiccio di reparti speciali e dell’aviazione, ora a distanza di tempo le cose sembrano volgere in maniera diversa e non certamente a favore degli Stati Uniti, che controlleranno sì le città, se vogliamo chiamarle così, più importanti, ma certamente non controllano la maggior parte del territorio aspro e montagnoso con vette tra i 4000 e 5000 metri , spesso innevate e ghiacciate.

Sono stati schierati in campo i migliori reparti speciali per cercare di neutralizzare le basi nascoste dei talebani e nel tentativo di trovare Bin Laden, indicato come il “mandante “ dell’attacco alle due torri di New York, … ammesso poi che lo si voglia effettivamente trovare….

Così sul terreno operano Berretti Verdi, Rangers del 75° Reggimento, Seals della marina,Sas inglesi ed australiani, ed inoltre paracadutisti del 13° Reggimento Dragoni francesi, Sas neozelandesi ecc.ecc. A ciò vanno aggiunti gli immancabili Marines tutto l’ingente supporto logistico che accompagna le operazioni americane.

In cielo non si è badato al risparmio anche perché la speranza è sempre quella: piegare l’avversario senza doverlo incontrare sul terreno. Bombardieri B52 e B1, cisterne KC10, F18, F15, F16, A10 (il famoso aereo d’attacco al suolo capace con il suo cannone da 35 mm a canne rotanti di sviluppare un potenziale di fuoco impressionante ) ed in più molti elicotteri d’attacco: AH-64A e Cobra-MH 53 e CH 47 trasporto truppe.

Cannoniere volanti AC 130 U del 16° Special Operation Wing che possono saturare di proiettili di vario calibro, dal 7,62 al 105mm, aree in cui si concentrano truppe allo scoperto e leggermente protette, come è il caso dei talebani, che non dispongono certamente di truppe corazzate. Che poi siano utilizzati anche proiettili all’uranio impoverito, come nei Balcani o in Somalia, è un particolare trascurabile nel contesto della guerra….

Tutto questo potenziale aereo viene dispiegato per radere al suolo ogni cosa, obiettivi militari e non al fine di distruggere quelle misere infrastrutture che l’Afganistan possedeva e terrorizzare nel contempo la popolazione allo scopo di farla desistere da ogni resistenza e dissuaderla dal dare qualsiasi appoggio ai talebani .

Si è utilizzata anche più volte la terrificante bomba termobarica adatta a colpire obiettivi protetti come bunker e caverne, che distrugge anche tutto l’ossigeno nel suo raggio d’azione, uccidendo così anche per asfissia eventuali sopravvissuti e la “ Daisy cutter” da 7 tonnellate che spazza via ogni cosa nel raggio di 500 metri.

Qualcuno a Washington aveva anche prospettato l’utilizzo di piccole bombe nucleari tattiche per far saltare i rifugi sotterranei dove si pensava fosse nascosto Bin Laden. Già nella guerra del Viet Nam l’opzione nucleare non era stata scartata del tutto e lo stesso presidente Nixon era favorevole al suo impiego contro gli obiettivi nord vietnamiti.

Ma la guerra ipertecnologica alla quale ci hanno abituati gli americani, quella che predilige i bombardamenti terroristici indiscriminati da alta quota, ha lasciato il posto, alla guerra, quella vera, che vede il valore dell’uomo e della fede confrontarsi con altri uomini e altre..fedi…

L’altro punto debole dello schieramento “alleato” è la totale impossibilità di controllare un territorio grande e prevalentemente montagnoso, dove anche pur disponendo di una supremazia aerea totale, è pur sempre necessario scendere a terra e presidiare il territorio.

Già esperienze passate hanno dimostrato che il solo impiego dell’aviazione contro una guerriglia ben organizzata, che sappia sfruttare il terreno e la sua conoscenza, diventa pressoché impossibile senza un accurato rastrellamento del terreno ad opera di reparti dell’esercito, cosa che gli americani hanno voluto fino ad oggi evitare e se lo hanno fatto hanno operato stragi d’innocenti e ottenuto ben magri progressi.

La cosa gli è riuscita con la Serbia, piegata dai bombardamenti sulle città e sul tessuto industriale della nazione, oltre che ricattata finanziariamente, in Afganistan non vi è quasi nulla da distruggere, non esistono grandi città, non vi sono fabbriche, autostrade, ferrovie, niente di niente.

Vi è solo un popolo che da decenni convive con la guerra, come se fosse una cosa naturale e che ha sviluppato tecniche di sopravvivenza impensabili per noi uomini dei Paesi più ricchi della terra. A ciò si deve aggiungere la religione, che da queste parti non è un episodio di folklore o un abitudine, ma viene sentita e vissuta come parte integrante della propria vita.

LE RAGIONI DEL CONFLITTO

Se risibili suonano le giustificazioni del Governo italiano alla partecipazioni al conflitto Afghano, idem si può dire per quelle portate in campo da Usa e Gb : la fantomatica guerra al terrorismo, la ricerca d Osama Bin Laden è solo la cortina nebbiogena stesa per occultare i reali interessi geopolitici ed economici in ballo.

Petrolio e gasdotti , il primo proveniente dall’Asia, dove si sono già insediate le grandi compagnie anglo americane ed i secondi che dovrebbero far affluire l’oro nero attraverso l’Afghanistan, fino ad un terminal posto sulle coste del Pakistan. A questo progetto, che racchiude anche la volontà geopolitica di cingere la Russia di Paesi sotto controllo Usa, l’Amministrazione statunitense lavorava dalla metà degli anni “90.

Johon J. Maresca, vicepresidente all’epoca della potente UNOCAL (http://unocal.com) Corporation, spiegò che bisognava diversificare il flusso della produzione di greggio delle regioni asiatiche ex URSS.Il Mediterraneo e il Mar Nero sono mercati già ben riforniti, l’Unocal invece puntava a oriente, dove si posizionano i giganti economici futuri.

L’Asia è in rapida crescita e necessita di abbondante petrolio, visto il suo crescente consumo. Un grande oleodotto lungo 1040 miglia dal Turkmenistan,Uzbekistan, Kazakhstan e Russia, attraverso l’Afghanistan fino al mare in Pakistan, ecco l’idea.

Nel 1995 i Talebani hanno oramai in mano il Paese ed iniziano a entrare nella sfera d’interesse Usa. Loro rappresentanti vengono accolti negli Stati Uniti ed incontrano i dirigenti Unocal nel Texas dell’allora governatore Bush.

Gli è offerta una percentuale pari al 15% dei profitti per il transito dell’oleodotto. Seguono altri viaggi dove si parla sempre di petrolio e oleodotti e gli interlocutori sono uomini del Dipartimento di Stato e della CIA. Per i talebani si muove Sayed Rahmatullah Hascimi, consigliere personale del Mullah Omar.

Intanto sono state stoppate le indagine che riguardano gli attentati contro le ambasciate Usa in Africa e contro la nave dell’US Navy Cole attaccata nelle acque dello Yemen ad Aden( gli affari sono affari…),per non avere così intoppi nella trattativa con i Talebani.

Gli Usa propongono la creazione di un governo di coalizione con all’interno i talebani( questo per meglio influenzarne la politica interna), in cambio di aiuto economici, dell’oleodotto e del riconoscimento internazionale.

Quindi Washington si muove come è suo solito fare in questi casi, o si accetta un governo fantoccio ed i solito aiuti disinteressati,ed il controllo pressoché totale dell’economia, oppure vi sarà una risposta militare. Il “volere di Washington “ non ammette vie di mezzo.

Le ultime trattative avvennero 39 giorni prima dell’attacco a New York dell’11 settembre, subito dopo fu lanciata l’operazione “Endurig Freedom” che dura da ben 9 anni, tra poco eguaglierà il conflitto vietnamita per durata. ll resto è cronaca dei nostri giorni.