venerdì 14 maggio 2010

La marea nera di BP: dal disastro all'apocalisse

Dal giorno dell'esplosione nel Golfo del Messico della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon - il 20 Aprile scorso, quando sono morti anche 11 lavoratori - prosegue senza sosta la fuoriuscita di greggio che potrebbe essere addirittura 12 volte superiore a quella finora stimata.

Quindi non più 5000 barili al giorno ma ben 70.000, secondo quanto riportato oggi dal quotidiano inglese The Guardian.

Una vera e propria apocalisse provocata da British Petroleum (BP) che insiste nell'affermare che "La fuga di greggio è relativamente contenuta [...] Il Golfo del Messico è un oceano assai vasto, il volume del greggio e dei materiali diluenti che vi stiamo riversando è minuscolo in rapporto al volume totale". Eh certo, tutto è relativo...roba da pazzi.

Intanto si è venuti a sapere che proprio la mattina dell'incidente il pozzo petrolifero della Deepwater Horizon non aveva passato un test chiave sulla pressione. Durante un'audizione di fronte alla commissione sull'energia e il commercio della Camera dei Rappresentanti è emerso che a causare l'esplosione sarebbe stato un guasto idraulico nel meccanismo di sicurezza che avrebbe dovuto sigillare il pozzo petrolifero in caso di improvvisa pressione.

Comunque, tutti i tentativi per chiudere la falla sono finora falliti e la BP non sa proprio più che pesci pigliare...
Continuano però ad accumularsi le idee per fermare la marea nera, e tra le tante c'è anche quella lanciata dal quotidiano russo Komsomolskaya Pravda che suggerisce di utilizzare la bomba atomica.

Ecco, questa sì che è un'ottima idea. Purtroppo la sede della BP non è in mezzo al mare...


Il disastro della BP
di Michele Paris - Altrenotizie - 13 Maggio 2010

La fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico, seguita all’esplosione della piattaforma sottomarina della British Petroleum, continua al ritmo di almeno cinque mila barili al giorno, dopo il fallito tentativo di bloccarne il getto posizionando sul fondo una enorme cupola di metallo.

La marea nera, che si sta inesorabilmente avvicinando alle coste americane, non è tuttavia l’unica minaccia all’ecosistema del golfo. A sollevare forti dubbi tra esperti ed ecologisti c’è anche la probabile tossicità degli ingenti quantitativi di sostanze chimiche utilizzate nel disperato tentativo di diluire il greggio nelle acque oceaniche.

Sulla superficie dell’acqua e direttamente in profondità vengono impiegati degli agenti disperdenti che agiscono un po’ come un detersivo per piatti sul grasso, “rompendo” la trama del flusso di petrolio trasformandolo in minuscole particelle, così da farle disperdere dalle correnti oceaniche.

La quantità di disperdenti di cui si sta facendo uso nel Golfo del Messico risulta senza precedenti nella storia dei disastri petroliferi, tanto che i dati più recenti raccolti dalla Guardia Costiera americana parlano di quasi un milione di litri già versati.

Svariati media americani - tra cui, in particolare, l’agenzia giornalistica investigativa ProPublica e la testata on-line Grist - da qualche giorno hanno iniziato a pubblicare ricerche sulla pericolosità dei prodotti chimici usati. Gli agenti disperdenti sarebbero essenzialmente due, entrambi riconducibili ad una linea denominata Corexit, prodotta dalla Nalco, un’azienda dell’Illinois facente parte fino al 2004 del comparto chimico della Exxon.

Che i benefici del Corexit portino con sé qualche conseguenza a dir poco sgradita lo riconoscono anche esponenti del governo e della stessa BP impegnati nelle operazioni di tamponamento della perdita. A loro parere, si tratta di scegliere il male minore, cercando di impedire, o quanto meno ritardare il più possibile, l’arrivo sulla costa di una marea nera che avrebbe conseguenze disastrose sulla fauna marina.

I danni che i disperdenti potrebbero causare hanno però dato vita ad un dibattito molto acceso, alimentato dalla mancanza di esperimenti approfonditi circa il loro impatto. A ciò va aggiunto poi il fatto che alcuni ingredienti del Corexit, per motivi commerciali, vengono tenuti segreti dall’azienda produttrice.

Tanto per cominciare, ad esempio, questo prodotto è stato bandito in Gran Bretagna da circa dieci anni, poiché causerebbe gravi danni a determinati tipi di molluschi che abitano le scogliere. Difficile però dire se l’impiego in mare aperto possa avere gli stessi effetti.

Al largo delle coste, sostengono gli esperti, l’agente disperdente crea una scia tossica che, sebbene disciolta con una certa rapidità dalle acque, risulta pericolosa per la fauna marina che potrebbe eventualmente entrare in contatto. Preoccupati dall’insufficienza di dati certi sulle conseguenze a lungo termine, alcuni paesi vincolano così l’uso dei disperdenti a speciali approvazioni da rilasciarsi caso per caso.

Il governo americano ha da poco reso pubbliche le schede di sicurezza dei due prodotti in questione. Dall’analisi di esse risulta come una delle caratteristiche più preoccupanti sia il cosiddetto bioaccumulo, il processo per cui le sostanze tossiche si accumulano all’interno di un organismo ad un livello più elevato rispetto a quello del mezzo circostante.

Questa concentrazione aumenta man mano che si sale nella catena alimentare, con evidenti rischi per l’uomo nel momento in cui dovesse nutrirsi dei pesci provenienti dal Golfo del Messico.

Le proprietà tossiche del Corexit appaiono poi evidenti, nonostante anche in questo ambito non esistano test significativi. Sempre secondo le schede di sicurezza, una eccessiva esposizione dell’uomo al prodotto può causare “danni al sistema nervoso centrale, nausea, vomito, effetti narcotici o anestetici”.

Addirittura, la ripetuta esposizione tramite inalazione o contatto con il principio attivo del butossietanolo può produrre danni ai globuli rossi, al fegato e ai reni. Svariate sono in ogni caso le sostanze chimiche pericolose, anche se non viene specificato in quali quantità esse siano presenti nel Corexit.

Se l’impiego di agenti disperdenti è pratica corrente per contrastare le fuoriuscite di greggio in superficie, sia pure per eventi di dimensioni decisamente inferiore, pressoché inesplorato è il loro utilizzo in profondità. Secondo un tossicologo dell’Università di Davis, in California, questa pratica risponderebbe al tentativo di unire il disperdente al petrolio mentre sale verso l’alto, così da diminuirne la quantità che giunge in superficie. I risultati sono però tutt’altro che garantiti a causa delle basse temperature e della pressione più elevata in profondità, tanto da rendere improbabile o più lenta la reazione chimica voluta.

Mentre l’Agenzia federale per la Protezione dell’Ambiente (EPA) e altri organismi governativi hanno avviato ricerche specifiche sugli effetti dei disperdenti, settimana scorsa una sostanza viscosa meno densa del greggio è approdata sulle coste di alcune isole della Louisiana. Secondo alcuni, essa sarebbe precisamente il risultato dell’azione degli agenti disperdenti.

Se così fosse, gli effetti sulla fauna che popola un delicato ecosistema si starebbero già facendo sentire. Ad essere interessate sarebbero numerose specie, tra cui almeno una ventina che le autorità statali avevano solo recentemente rimosso dall’elenco di quelle a rischio di estinzione, come l’airone o il pellicano bruno.

Oltre ai danni che il greggio fuoriuscito dalla piattaforma Deepwater Horizon ha già causato all’ambiente, andranno aggiunti insomma anche quelli dei disperdenti chimici impiegati per cercare di contrastarne l’avanzata, la cui reale entità potrebbe però rimanere oscura per molti anni a venire.


La Chernobyl americana
di Dmitry Orlov - www.energybulletin.net - 6 Maggio 2010
Traduzione per www.comeonchisciotte.org a cura di Roberta Papaleo

Tracciare analogie tra incidenti industriali è uno sport da poltrona di dubbia utilità, ma qui le analogie si stanno accumulando e cominciano ad essere difficili da ignorare:

- un'esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl nel 1986 ha sparso scarti radioattivi per l'Europa;

- una recente esplosione e affondamento di una piattaforma di trivellazione petrolifera della BP's Deepwater Horizon sta vomitando petrolio nel Golfo del Messico.

Questi incidenti sono stati entrambi alquanto spettacolari. A Chernobyl, la potenza dell'esplosione, causata dal vapore surriscaldato all'interno del reattore, sparò in aria a 10-14 metri di altezza le 2500 tonnellate del coperchio del reattore, esso volteggiò come una monetina e poi si schiantò sui resti del reattore. La nuvola di vapore surriscaldato si separò poi in una grande massa di gas d'idrogeno, il quale esplose, demolendo la struttura del reattore e quelle adiacenti.

La Deepwater Horizon, lo scoppio di un pozzo di petrolio recentemente completato, ha lanciato una raffica incontrollata di petrolio e gas, pressurizzata oltre i 10.000 psi [libbre per pollice quadrato, ndt] dai 25.000 piedi [circa 8.000 metri, ndt] di profondità del pozzo, fino alla piattaforma di trivellazione, dove è esplosa, causando un incendio.

Poi l'impianto è affondato, e si è ridotto ad un cumulo di macerie in cima al pozzo di petrolio, che continua a sputare almeno 200.000 galloni di petrolio al giorno. Tale quantità potrebbe essere sufficiente ad uccidere o contaminare tutta la vita marina all'interno del Golfo del Messico, inquinandone il litorale, a causa della Corrente del Golfo, per gran parte delle coste orientali, almeno fino a Cape Hatteras in North Carolina e forse anche oltre. Qualche macchia probabilmente si spingerà a nord fino alla Groenlandia.

Il disastro di Chernobyl fu causato in maniera più o meno diretta dalla politica: i responsabili della sala di controllo del reattore non avevano alcuna esperienza precedente in materia di operazioni di un reattore o di chimica nucleare, avendo ottenuto il loro lavoro tramite il Partito Comunista. Tentarono un esperimento pericoloso, lo eseguirono senza competenza ed il risultato fu un'esplosione ed una fusione.

Il disastro della Deepwater Horizon potrebbe avere delle cause simili. La BP - British Petroleum, proprietaria della Deepwater Horizon, è presieduta da un certo Carl-Henric Svanberg – un uomo senza esperienze nell'industria petrolifera.

Le persone che lavorano nel consiglio di amministrazione delle grandi compagnie tendono a considerare la gestione come una sorta di abilità eterea, estranea a qualsiasi ambito specifico o industria, piuttosto simile al modo in cui il Partito Comunista Sovietico pensava del talento dei suoi quadri che provò ad usare.

La BP è già accusata per aver trivellato ad una profondità di 25.000 piedi mentre le è concesso arrivare fino a 18.000, per aver eluso gli aggiornamenti di sicurezza della documentazione tecnica, per la mancata installazione dei pezzi chiave dell'equipaggiamento di sicurezza in modo da contenere i costi.

In maniera ancora più importante, i due disastri sono analoghi nelle sfide senza precedenti a livello politico, tecnico ed amministrativo create dalle loro bonifiche. Nel caso di Chernobyl, la difficoltà tecnica era derivata dal bisogno di trattare scorie ad alto livello di radioattività.

Pezzi di combustibile per il reattore rimasero sparsi attorno ai resti della struttura e gli operai che li raccoglievano con le pale e li deponevano nei barili furono contaminati in modo letale in pochissimi minuti. Per spegnere il fuoco ancora vivo nel nucleo fuso del reattore, vennero gettati sacchi di sabbia e boro dagli elicotteri, con conseguenze letali per gli equipaggi.

Infine, fu costruito un vero e proprio sarcofago attorno al reattore demolito per sigillarlo dal resto dell'ambiente. Nel caso Deepwater Horizon, la difficoltà tecnica consiste nell'arrestare una fuoriuscita di petrolio ad alta pressione, probabilmente misto a gas naturale, che sgorga dal rottame aggrovigliato e bruciato della piattaforma di trivellazione a 50.000 piedi di profondità.

E' in corso un tentativo di sigillare la perdita facendo calare da una gru galleggiante un “aggeggio” di cemento e acciaio del peso di 100 tonnellate per poter catturare e pompare il petrolio in fuoriuscita. Credo che “sarcofago” suoni meglio.

La sfida amministrativa, per quanto riguarda Chernobyl, consisteva nell'evacuazione ed il re-insediamento di grandi popolazioni urbane e rurali dalle zone che erano state contaminate dalle radiazioni, nel prevenire la vendita di generi alimentari contaminati e nell'affrontare le conseguenze mediche dell'incidente, compreso un alto tasso di casi di cancro, leucemia infantile e difetti alla nascita.

L'effetto della massiccia perdita di petrolio dalla Deepwater Horizon provocherà probabilmente una notevole dislocazione delle comunità costiere, privandole del loro sostentamento dalla pesca, il turismo e le attrazioni. A meno che gli sforzi per soccorrere questa gente non siano insolitamente rapidi e completi, i loro problemi insanguineranno e avveleneranno la politica.

Le sfide politiche, in entrambe i casi, si sono concentrate sull'incapacità dell’establishment politico di accettare il fatto che una fonte primaria di energia (il nucleare o il petrolio) era nelle mani di una tecnologia malsicura ed incline ad un fallimento di proporzioni catastrofiche. Il disastro di Chernobyl ha provocato un danno irreparabile alla reputazione dell’industria nucleare ed ha precluso qualsiasi ulteriore sviluppo nel settore.

Il caso della Deepwater Horizon farà lo stesso rispetto all’industria petrolifera, provocando la limitazione di qualsiasi possibile potenziamento in materia di trivellazione in mare, dove si può trovare ancora molto petrolio, e forse anche l’arresto dei progetti già iniziati. A sua volta, questo potrebbe affrettare l’inizio della scarsità di petrolio a livello globale, che il Pentagono ed il Dipartimento di Energia degli Stati Uniti hanno previsto per il 2012.

Basta tradurre “incidente industriale” in russo e poi di nuovo in inglese per ottenere “catastrofe tecnogenica”. Questo termine è stato usato parecchio in riferimento al disastro di Chernobyl. Ed è molto più descrittivo della alquanto flaccida espressione inglese, in quanto dà la colpa a quella che in definitiva è responsabile in ogni caso: la tecnologia, come anche i tecnici ed i politici che la sfruttano.

Una tecnologia che può fallire, alle volte in modo catastrofico, provocando devastazione a livelli inaccettabili, e che non è buona, indipendentemente da quanto possa risultare necessaria sul piano economico. Deve essere fermata.

In seguito al disastro della Deepwater Horizon, si comincia a sentir parlare dello sviluppo della trivellazione come “clinicamente morto”. Questo potrebbe essere l’inizio della fine dell’enorme bestia moribonda che è l’industria petrolchimica, o magari ci sarà bisogno di altri incidenti simili affinchè ci si renda veramente conto e si senta gridare “Fermateli!”.

L’industria energetica ha esaurito le risorse convenienti e di alta qualità da sfruttare ed ora è costretta a ripiegare su quelle che prima aveva ignorato: sporche, miserabili, difficili, costose risorse come la sabbia da catrame, l’olio pesante, lo scisto e le risorse offshore. Sotto la pressione implacabile del fare di più avendo meno, la gente cerca sempre di trovare scorciatoie dove possibile e l’ambiente ne può soffrire.

Prima che si schianti definitivamente al suolo, l’enorme sforzo finale di spremere le poche ultime gocce di energia da un pianeta impoverito continuerà a favorire disastri sempre più grandi. Forse le macabre conseguenze di questo ultimo incidente spingeranno un numero sufficiente di persone a proclamare “Basta! Fermate tutto!”. Altrimenti, c’è sempre il prossimo.


L'arma di distruzione di massa chiamata BP
di Lucio Manisco - www.luciomanisco.com - 10 Maggio 2010

“Potenzialmente un disastro ambientale senza precedenti” è stato il commento di Wesley P. Warren del Natural Resources Defense Council prima ancora dell’improvvisato, patetico e fallimentare tentativo della British Petroleum di riassorbire con una “campana” di cemento armato milioni di metri cubi di petrolio pesante dai fondali del Golfo del Messico.

Il tentativo, più da pubbliche relazioni che da tecnologia sia pure sperimentale, è stato paragonato ad un’operazione di chirurgia cardiaca condotta al buio da una distanza di 1.600 metri.

Comunque il signor Tony Hayward, Company Executive Officer della BP, dopo aver cercato di scaricare ogni responsabilità sulla Transocean, la ditta appaltatrice che ha costruito la piattaforma Deepwater Horizon a ottanta chilometri dalle spiagge della Louisiana inquinate dai primi blobs di catrame, ha fatto marcia indietro promettendo di pagare i danni; ha anche ammesso che non esistono metodi conosciuti, sperimentali o meno, per bloccare le tre massicce emissioni di petrolio catramoso a quella profondità.

La sua compagnia vanta di essere all’avanguardia delle trivellazioni oltre i mille metri; gestisce un’altra dozzina di piattaforme identiche alla Transocean Orizon nel Golfo e molte altre vicine alle coste del Brasile e, in cogestione con la Anadarko Petroleum, a quelle del Ghana, della Sierra Leone e nell’Artide.

Avrebbe dovuto escogitare prima sistemi di emergenza per far fronte ad incidenti del genere – scrive il Guardian – “perché nessuno la obbligava ad operare in quelle profondità oceaniche”. Nessuno o nulla tranne la logica del profitto. Il “kill, baby, kill” sostituito dal “drill, baby, drill” – ammazza, bambino, ammazza sostituito dal trivella, bambino, trivella quali che siano le conseguenze devastanti per l’ambiente e il genere umano.

E’ come se una compagnia specializzata nel disinnescare esplosivi scaduti li gettasse a fondo valle dalla cima di una montagna e, nel caso di conflagrazioni, frane, distruzione di dighe e stragi civili, affermasse che la priorità era disfarsi a basso costo di dinamite e TNT non più utilizzabili a fini bellici e solo negli interessi della comunità nazionale.

Gli interessi nazionali, quelli cioè dell’autonomia energetica, erano stati citati da Barak Obama, quando poco più di un mese fa, senza la minima discontinuità dalle direttive del suo predecessore, aveva autorizzato le trivellazioni al largo delle coste atlantiche. Dopo il disastro del Golfo ha sospeso ma non ha abrogato l’autorizzazione.

Non va dimenticato che lo scorso anno dopo l’esplosione in una raffineria nel Texas (11 i morti), la BP aveva portato a 15 milioni e 900.000 dollari i finanziamenti della sua lobby alle campagne elettorali di senatori e deputati per scongiurare una lontana quanto vaga possibilità che l’Amministrazione Democratica rimpiazzasse il “codice etico” adottato volontariamente dai petrolieri con il codice penale.

E’ prevedibile d’ora in poi che i lobbisti della BP a Washington possano disporre del doppio o del triplo di quella somma, oltretutto in quanto la Corte Suprema ha abrogato qualsiasi limite ai contributi finanziari delle corporazioni a congressisti o uomini politici.

E’ pur vero che la generosità della BP sta già seguendo altre strade: centinaia di suoi agenti stanno battendo le coste degli stati già colpiti o minacciati dall’onda nera: staccano assegni da 5.000 dollari a favore di tutti quei cittadini che abbiano manifestato l’intenzione di ricorrere ai tribunali.

Un’opera di dissuasione che non sembra sia stata coronata da notevole successo anche perché non sono migliaia o centinaia di migliaia ma milioni i cittadini della repubblica stellata potenzialmente vittime del disastro incombente sugli stati della Louisiana, del Mississippi, dell’Alabama e della Florida (se la corrente del Golfo verrà investita dall’onda nera, anche le coste atlantiche di questo stato verranno colpite).

Con l’eccezione del numero di morti la catastrofe è più immane di quella dell’uragano Katrina: più di mezzo milione i pescatori che hanno sospeso o sospenderanno la loro attività; gli stati in questione approvvigionano il 50% del mercato ittico nazionale (l’ottanta per cento dei crostacei, gamberi, i famosi “stone crabs”, le aragoste e le vongole); 500.000 gli operatori turistici e due milioni quelli dell’indotto negli stati vacanzieri degli Stati Uniti d’America.

La minaccia è la disoccupazione alle stelle in una regione dove i sindacati sono praticamente inesistenti, la cassa integrazione non sanno cosa sia e i sussidi ai senza lavoro sono minimi e limitati a pochi mesi.

La BP dunque come arma di distruzione di massa e il signor Tony Hayward, suo CEO, molto peggio di Saddam Hussein che di quel tipo di arma non ne possedeva una sola ed è stato impiccato.


La fuoriuscita di petrolio nel golfo ha inferto un colpo mortale ad un'economia che sta crollando?
di Joe Weisenthal - www.businessinsider.com - 2 Maggio 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Micaela Marri

Ci aspettiamo di vedere il deterioramento delle statistiche dell’economia americana, che andranno a rivelare l’insorgenza di questa crisi della marea nera a maggio, e l’impatto negativo si intensificherà durante i mesi estivi. Una recessione “double dip”[1] è stata resa forse più probabile da questa tragedia.

David Kotok della Cumberland Advisors se ne esce con dei commenti piuttosto deprimenti in merito alle ramificazioni economiche dell’incidente della piattaforma Deepwater Horizon, e su quanto ci costerà. Prima nota il peggior scenario:

Ci vuole più [del previsto] per bloccare completamente questo vomito; la successiva bonifica potrebbe durare dieci anni. Il golfo diventa un mare rovinato per una generazione. La chiazza di petrolio supera la costa occidentale della Florida, entra nella corrente del golfo e raggiunge la costa orientale degli Stati Uniti ed oltre. Immaginatevi da soli gli altri danni. Il costo monetario viene ora misurato in molte centinaia di bilioni di dollari.

In quanto alle cifre:

di solito, le prime stime in ogni crisi sono troppo basse. Ed è così in questo caso. 1000 barili al giorno adesso sono 5000, ed alcune stime della fuoriuscita tendono ad essere più elevate. Nessuno lo sa esattamente. Il meccanismo di contenimento e di barrieramento è soggetto alla cooperazione del tempo meteorologico, come possiamo vedere questo fine settimana.

Presto entreremo nella stagione degli uragani. Il pensiero di una tempesta che si scatena nel golfo, ostacolando ogni bonifica o sforzo di trivellazione rimediativa, creando un enorme stufato nero di 15 000 chilometri quadrati fa paura a tutti i professionisti del settore.

Questa sarà una calamità finanziaria per molte società, non solo per la BP e per i suoi partner e società di servizi. Le loro responsabilità sono immense e non devono essere sottovalutate. La prima stima di $12,5 bilioni di dollari è solo un anticipo.

Per quanto riguarda l’economia oltre BP…

Migliaia di piccole attività indipendenti, come pure le aziende pubbliche più grandi nel turismo saranno colpite. Non si tratta solo del luogo di origine di metà dei gamberetti della nazione. Quello è già un danno.

Si tratta dei prestiti bancari per $ 200 000 di dollari per i pescherecci per gamberetti e per le case dove vivono il pescatore e/o i suoi dipendenti, e del fatto che questo shock si va ad accumulare su un fragile sistema finanziario che sta cercando di riprendere da una crisi finanziaria che dura da tre anni.

Un esempio: la mia guida di pesca nelle Everglades divide il suo tempo tra la Florida e la Louisiana. Le sue prenotazioni per maggio a Los Angeles sono state cancellate. I suoi colleghi hanno perso le loro [prenotazioni] e il loro rifugio sarà vuoto. Sono impegnati a cercare lavoro nell’operazione di bonifica.

Per lui, per sua moglie e per la sua figlia di undici anni, i suoi guadagni di $ 600 dollari al giorno come guida si sono volatilizzati. Quando gli ho chiesto se credeva di avere diritti legali nei confronti della BP, mi ha risposto che non ci aveva ancora pensato, ma che ci avrebbe riflettuto su. Come suggerito precedentemente, la stima della perdita di $ 12,5 bilioni di dollari è solamente un anticipo.

E per il contribuente…

L’economia deficitaria federale crescerà certamente di decine, e forse centinaia di bilioni di dollari, mentre gli stanziamenti di emergenza sono diretti a sforzi sempre maggiori per ripulire questa sporcizia. Allo stesso tempo, i redditi federali e statali legati alle attività nella regione del golfo cadranno. Il mio collega John Mousseau parlerà dell’impatto sul debito del governo statale e locale in un articolo separato.

Ci aspettiamo che la Federal Reserve estenderà lo spazio di tempo che abbiamo imparato a conoscere come “periodo esteso” nella decisione della sua politica monetaria. Non crediamo che la Federal Reserve aumenterà affatto i tassi di interesse per il resto dell’anno, e forse fino al prossimo anno inoltrato.

Ci aspettiamo di vedere il deterioramento delle statistiche dell’economia americana, che andranno a rivelare l’insorgenza di questa crisi della marea nera a maggio, e l’impatto negativo si intensificherà durante i mesi estivi. Una recessione “double dip” è stata resa forse più probabile da questa tragedia.

[1] [ndt. una recessione a cui segue un periodo di breve ripresa e poi una nuova recessione]