venerdì 7 maggio 2010

Agenzie di rating: AAA vendesi al miglior offerente...

Dopo aver provocato ieri il crollo delle Borse europee (soprattutto Milano, dove sono colati a picco i titoli bancari), oggi l'agenzia di rating Moody's ha in pratica ritrattato quanto affermato ieri sull'Italia dichiarando che "L'Italia non è tra i paesi più a rischio fra quelli colpiti dalla crisi, perchè non è stata in prima linea durante la crisi finanziaria globale e non lo è neanche ora che la crisi finanziaria si trasforma in crisi del debito pubblico [...] Il sistema bancario italiano è risultato meno esposto durante le turbolenze di questi mesi".

E infine, quanto al debito, Moody's oggi osserva che "l'Italia ha bisogno di uno sforzo relativamente moderato per tenerlo sotto controllo".
Quindi una manovra a U in piena regola, apparentemente inspiegabile se non con la malafede di chi mira esclusivamente a provocare attacchi speculativi portati avanti da chi regge le sue redini dietro le quinte.

Inoltre sempre ieri un'altra agenzia di rating, Fitch, aveva invece detto l'esatto contrario di quanto dichiarato da Moody's poche ore prima sulla situazione economica italiana. Un'altra conferma dell'inaffidabilità di queste agenzie di rating che andrebbero prese a pesci in faccia, se non peggio.

In sintesi, grazie a questo bailamme di strumentali dichiarazioni e controdichiarazioni, ieri nelle Borse europee si sono bruciati svariati miliardi di euro in poche ore, mentre a Wall Street per crollare sono invece bastati 15 minuti di panico, provocati sembra da un errore di un operatore di CitiGroup che avrebbe digitato il tasto b di billion (miliardi) al posto del tasto m di million (milioni) durante un ordine di vendita.

E' veramente tranquillizzante essere nelle mani di chi sbaglia a schiacciare il tasto giusto o di chi si sveglia la mattina e dà fiato alla bocca per poi il giorno dopo rimangiarsi quanto detto.

Altre braccia rubate all'agricoltura...


Gli untori e i guaritori del contagio
di Federico Fubini - Il Corriere della Sera - 7 Maggio 2010

Ross Abercromby, un trentenne inglese con laurea breve all’Università dello Hertfordshire, da ieri è l’idolo degli scommettitori contro le banche italiane. Per Moody’s, dove lavora, Abercromby per la verità si occuperebbe di banche britanniche e irlandesi.

Sull’Italia non si è mai davvero concentrato. Eppure ieri è riuscito lo stesso a dare un contributo a far crollare tutti i titoli finanziari di Piazza Affari: è suo il «commento speciale» di Moody’s che ieri è piombato nelle sale operative in piena attività, verso le 11,15.

Tempismo perfetto per gli scommettitori al ribasso, pessimo per chiunque altro. In quei minuti la Spagna stava chiudendo una delicatissima asta dei suoi titoli di Stato; a Atene e a Berlino i parlamenti stavano discutendo i sacrifici e i prestiti per la Grecia; in Europa i mercati stavano cercando di stabilizzarsi dopo le paurose oscillazioni da contagio degli ultimi due giorni.

Moody’s a quel punto che fa? Mette fuori un rapporto riassumibile nelle poche parole di un flash di agenzia: «La crisi del debito greco può colpire le banche di vari Paesi fra cui il Portogallo, la Spagna, l’Italia, l’Irlanda e la Gran Bretagna». Davvero nelle dieci pagine del commento «speciale» (cioè: non sollecitato, non annunciato e non necessario) c’è poco di più.

Solo l’idea che se quei Paesi avessero un problema sul debito pubblico, anche le banche ne soffrirebbero (ma va’!). Nessuna analisi su uno o più istituti, nessun dato sulla solidità dei requisiti patrimoniali aggregati dei sistemi o sul loro finanziamento. E non una parola sui rischi per le banche francesi e tedesche, notoriamente le più esposte alle obbligazioni greche.

Ma poco importa. Quel che conta per Moody’s è la visibilità e per un certo universo delle sale operative è il flash di agenzia. Basta questo per far andare le Borse fuori giri e far cadere a piombo nel giro di mezz’ora, subito prima della chiusura, tutti i titoli finanziari italiani: la classica operazione dei grandi venditori allo scoperto, coloro che puntano su un ribasso concertato e in questo modo lo accelerano anche.

Moody’s non fa una piega, del resto ne ha passate di peggio. Nel 2007 a causa di un «piccolo inconveniente tecnico» assegnò il massimo dei voti a certi titoli immobiliari per circa un miliardo, poi però li declassò al loro giusto livello solo (quasi) un anno dopo aver scoperto il problema.

A Fannie Mae e Freddie Mac, i giganti americani del credito immobiliare, attribuiva il massimo dell’affidabilità fino a poco prima del salvataggio forzato da parte del Tesoro Usa. Su Lehman, ancora cinque giorni prima che finisse in cenere, si chiedeva in pubblico se quella banca andasse declassata oppure promossa. E la generosità con i «subprime», a suo tempo grande fonte di commissioni e parcelle, è ben nota.

Vero che anche le agenzie di rating sono fatte di umani e gli umani sono fallibili. Ma da quando il contagio e il panico sono usciti fuori dalla lampada ormai non è più questo il punto, perché l’intera architettura intellettuale creata per leggere i mercati sembra finita in bancarotta e con lei la capacità di coltivare quel bene essenziale all’economia che chiamiamo fiducia.

Vista da un’agenzia di Moody’s, la furibonda reazione in Italia in queste ore deve apparire come una classica caccia all’untore nel pieno dell’epidemia: in queste ore gli analisti di Londra penseranno che gli italiani farebbero meglio a mettere al sicuro i conti pubblici, invece di protestare.

Difficile dar loro torto, eppure nelle epidemie medievali non c’era solo la caccia all’untore. C’erano anche i guaritori di contrada che si aggiravano vendendo (a caro prezzo) miracolosi unguenti di fegato di serpente e sanguisughe. Se la finanza non ritrova una sua bussola dopo Lehman e dopo l’amaro risveglio dell’euro, di «guaritori» così ne vedremo sempre di più.


Moody's: l'Italia è a rischio, anzi no. L'equivoco che ha affossato le Borse

di Rosaria Amato - La Repubblica - 7 Maggio 2010

La presentazione diffusa dall'agenzia sulla situazione del nostro Paese parla di sistema bancario solido e di outlook stabile. Ieri un altro rapporto duramente contestato da governo e Bankitalia citava un 'contagio' probabile. Retromarcia o impazzimento mediatico?

"Crisi: Moody's, banche a rischio in Italia e altri quattro Paesi". "Crisi: Moody's, Italia non è tra i Paesi più a rischio". Il primo è il titolo di una notizia di agenzia delle 11.47 di ieri, il secondo di un'altra notizia di agenzia, pubblicata stamattina alle 9.35.

Tra il primo e il secondo lancio, in poco più di 24 ore, si è registrata una discesa in picchiata di tutti i titoli bancari, una delle sedute più rovinose degli ultimi mesi.

L'indice dei titoli italiani del comparto (Ftse It Banks) ha ceduto il 7,13%, con cali superiori al 10% nei momenti di maggior panico. Dati analoghi per il resto dell'Europa. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, denuncia stamane "un attacco speculativo" all'Italia.

Un attacco che con il rapporto odierno sull'Italia Moody's sembra decisamente ritrattare: conferma l'outlook stabile, e sostiene che "i conti pubblici italiani non sono a rischio soprattutto per merito del sistema bancario nazionale, meno esposto a pericoli rispetto a quello di altri paesi".

Un ripensamento, nel giro di 24 ore, a seguito della levata di scudi del governo italiano, della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea? Oppure un diverso, sapiente dosaggio di "luci e ombre": ieri prevalevano le ombre, oggi le luci, anche se gli ingredienti sono gli stessi?

Ai primi lanci di agenzia ieri mattina ne sono seguiti altri che offrivano una visione un po' diversa del contenuto del rapporto di Moody's. "L'Italia è uno dei Paesi dove il sistema bancario è stato sino a oggi relativamente robusto" ma dove c'è comunque un rischio di contagio se "le pressioni dei mercati sui 'rating sovrani' aumenterà", afferma Moody's nel report sul sistema bancario europeo.

Nel rapporto si sottolinea che il sistema bancario italiano ha accusato meno di altri lo scoppio della 'bolla immobiliare' e di quella dei derivati", riportava un testo dell'Ansa delle 11.48.

Ovvio che a questo punto sarebbe stato fondamentale leggere per intero il rapporto e capire qual era in effetti la valutazione di Moody's (a prescindere da quella che possa essere l'imparzialità delle agenzie di rating, messa da tempo in discussione da governi, analisti e istituzioni finanziarie).

Repubblica.it
non l'ha ricevuto, pur essendo nella mailing list dell'agenzia e pur avendolo richiesto espressamente ieri mattina con una telefonata. A Londra l'ufficio stampa dell'agenzia non si spiega come sia potuto succedere.

Il testo, 11 pagine, è arrivato solo stamattina. Parla di un rischio "sistemico", non di una debolezza intrinseca del sistema bancario italiano; al contrario, ne sottolinea la solidità. "L'Italia nonostante la sua vulnerabilità ha resistito decisamente alla crisi", si legge nella parte finale del rapporto pubblicato ieri da Moody's.

Ancora: "Il sistema bancario è ben posizionato per difendersi dalle sfide cicliche. Il rischio maggiore (anche se poco probabile secondo noi) è quello di un contagio "Mediterraneo" nella percezione degli investitori, che potrebbe esercitare una pressione indiretta sul sistema bancario".

Nel tardo pomeriggio anche l'Associazione Bancaria Italia ha diffuso un breve comunicato nel quale il presidente Corrado Faissola affermava: "Dalla lettura del rapporto di Moody's emerge una situazione positiva e quindi opposta rispetto a quella che è sembrata emergere oggi dopo le prime notizie sul report. L'analisi evidenza una maggior forza e robustezza del settore bancario italiano rispetto agli altri". "Prima di esprimere valutazioni - concludeva Faissola - occorre leggere attentamente le analisi svolte per fornire indicazioni corrette e in linea con le grandezze e le tendenze effettivamente individuate. Per Moody's il settore italiano è forte e solido".

Un'indicazione che ieri sembra sia stata disattesa dall'universo mondo. Una replica di "fonti di Bankitalia" è sembrata ieri una critica piccata all'analisi di Moody's, alimentando l'equivoco che l'agenzia parlasse di una debolezza strutturale del sistema bancario italiano.

L'ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha ricordato che "Moody's aveva anche detto che la Lehman Brothers meritava 10 e lode". Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha definito il rapporto di Moody's "assolutamente infondato".

Persino l'agenzia Fitch è entrata nella polemica, ribadendo che il proprio rating rimaneva stabile (del resto come quello di Moody's, come risulta dal rapporto diffuso oggi). Un deputato del Pdl della commissione Finanze della Camera, Alessandro Pagano, ha parlato di "rapporto fasullo".

A fine giornata le agenzie hanno diffuso il commento del premier Berlusconi, che affermava che "le agenzie di rating ormai hanno perso credibilità e Moody' sbaglia perchè il nostro sistema bancario è solido".

Nel frattempo nei mercati europei è successo il disastro. Molti investitori statunitensi nel pomeriggio hanno venduto le azioni dei bancari italiani, per mettersi al riparo dal "rischio contagio sovrano", indicato da Moody's. Oggi è arrivato il nuovo rapporto di Moody's, e le Borse sono risalite come per magia.

E rimane il dubbio che oggi Moody's abbia voluto "correggere il tiro", sottolineando maggiormente gli aspetti positivi dell'economia italiana. Anche oggi infatti parla di "vulnerabilità", ma ribadisce a chiare lettere che il nostro sistema è solido, e niente affatto a rischio.


Perchè Moody's ha fatto crollare la Borsa di Milano?

di Paolo Annoni - www.ilsussidiario.net - 7 Maggio 2010

Cominciamo dalla fine: Germania -0.8%, Londra -1.5%, Francia -2.2%, Spagna -2.9%; infine Italia -4.3%. Se non fossimo già passati per l’autunno 2008, diremmo che, almeno per quanto riguarda il mercato italiano, abbiamo assistito all’inverosimile e all’impensabile.

L’accelerazione al ribasso che si è materializzata sugli schermi è stata a un certo punto violentissima, con le banche sospese per eccesso di ribasso e volumi scambiati da record, il mercato è arrivato a perdere oltre il 6%. Conclusioni? Questa è la parte più difficile tale è la mole di variabili in gioco.

Facciamo intanto la cronaca della giornata. L’evento clou sarebbe dovuto essere l’asta per i bond spagnoli. L’esito (bid-to-cover 2.35, tasso 3.58%, collocati 2,35 miliardi di euro) non è il massimo ma nemmeno è pessimo. I mercati però rimangono elettrici, è evidente che non si sa che direzione prendere.

Poi arriva la notizia bomba. A metà mattinata Moody’s dice che: «alla luce del recente downgrade delle banche greche, il "potenziale contagio" dei rischi di debito sovrano al sistema bancario potrebbe diffondersi ad altri paesi come Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda e Gran Bretagna».

La notizia deflagra e a nulla servono nell’ordine la risposta della Banca d’Italia, la conferma di out look stabile di S&P sull’Italia e poi, ma a mercati chiusi, la conferma del rating di Fitch.

Il mercato, nel primo pomeriggio (Wall Street apre alle 3 e mezza ora italiana), comincia a picchiare sull’Italia. Giusto per capirci il BTP ventennale (non la small cap della provincia profonda) perde in poche ore due figure e passa da 99.8 a 97.8.

L’euro scende sotto 1.27. Non c’è molto da dire; persino nei bigini dei trader americani che si chiedono se per caso l’Italia sia bagnata dal mare è scritto che dopo Grecia, Portogallo e Spagna viene l’Italia.

Atteniamoci ai fatti. La tempistica degli interventi delle agenzie di rating è stata fenomenale. Quello che insospettisce non è quello che hanno detto, ma quando l’hanno detto; una precisione millimetrica. Sinceramente non coltivare un po’ di malafede sembra impossibile.

Dal Portogallo e Spagna di qualche giorno fa, messi sotto la lente di ingradimento con dichiarazioni su problemi noti e stranoti e promemoria di fatti di pubblico dominio, fino al report di oggi sull’Italia, gli interventi sembrano arrivati precisi e puntuali quando potevano fare più male. Sbizzariamoci in qualche interpretazione.

Tutto normale e tutto logico: la Grecia non ce la fa (ormai è palese), quindi è il turno di Portogallo e Spagna che sono messe male e quest’ultima ha l’economia a pezzi; poi viene naturalmente, con i suoi squilibri atavici, l’Italia. L’Italia è il punto più sensibile non tanto per il suo deficit/Pil ma perché la sua economia, il suo risparmio e il suo sistema non sono marginali all’interno dell’Europa.

È fisicamente impensabile che un Paese come la Francia, tanto per fare un nome, le cui istituzioni finanziarie sono esposte per 500 miliardi di dollari verso il debito sovrano italiano, possano isolare il fenomeno Italia. Il contagio non è un rischio, è un fatto. La speculazione si è accodata ai dati di fatto.

Però distinguere cause e effetti è sempre molto difficile. La Grecia è stata il banco di prova di speculatori, fondi e hedge fund vari. È emerso che la risposta europea è fragile, tardiva, insufficiente.

Quindi si fa il giro degli short Paese per Paese. Ieri il recupero finale della borsa sapeva tanto di presa di profitto di chi aveva shortato. Dove si vuole e a cosa si voglia arrivare, oltre ai miliardi già guadagnati, è oggetto di ipotesi.

Intanto si è messo a nudo l’impotenza dell’Europa in cui ormai gli unici che hanno qualcosa da dire sono i tedeschi, che nell’indecisione penseranno a salvare se stessi (come dargli torto?). La Germania e le sue industrie esportano in Brasile, India, Cina: è la linea rossa di quanto vanno ripetendo i manager dei colossi industriali tedeschi. Come dire: è vero siamo in Europa ma meno degli altri.

Poi si potrebbe azzardare che l’obiettivo finale è l’euro che di certo non è nemmeno ora sottovalutato: una moneta dove per la metà dei paesi si paventa il rischio default, senza alcuna coesione tra le nazioni.

Davvero non si capisce perché debba valere più del dollaro. È una constatazione che, in questo momento di difficoltà, oltre ogni dubbio piace agli americani e piace a chi sta shortando l’euro. Le speculazioni contro la moneta (ne sappiamo qualcosa noi italiani) possono dare origine a fortune da sogno e hanno persino il potere di mettere in un angolo per qualche anno i concorrenti (stiamo parlando di Stati).

Immaginare quale sia la fine del processo in atto è molto difficile. La prima preoccupazione è sulla tenuta dell’euro. Salvare tutti in una situazione, che si avvita, senza ripresa economica e con i bilanci statali (anche di chi è ritenuto virtuoso) messi male sembra un compito impossibile. Se le cose si mettessero male chi è più forte opterebbe per la propria sopravvivenza, lasciando le idilliache idee d’Europa a chi ha ancora tempo da sprecare.

Non si può pretendere che i tedeschi paghino le tasse per chi vuole continuare ad andare in pensione a 53 anni. Tralasciamo il fatto, quasi grottesco alla luce di quanto successo ieri, che l’Italia (terzo per ammontare) abbia contribuito con 5,5 miliardi di euro (l’incasso dello scudo fiscale che doveva servire al nostro stato sociale) al salvataggio della Grecia. È impensabile procedere su questa strada all’infinito.

Quello che sembra determinante, dopo quello che si è visto mercoledì in Grecia, è la forza di avere un Paese coeso e soprattutto di avere il minor tasso possibile di demagoghi e il maggior tasso possibile di gente che capisce quando è il momento di fare sacrifici e di tagliare la spesa pubblica che non serve a niente.

Questo vale soprattutto se la situazione dovesse davvero (come non speriamo) mettersi male. La cartina dell’Europa (già molto opportunamente citata da Bottarelli nelle pagine del sussidiario.net) appena pubblicata dall’Economist è uno scherzo (o una minaccia?) solo fino a un certo punto.


Il disegno americano che vuole spezzare l'Europa

di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 6 Maggio 2010

La crisi greca ha reclamato le prime vite. Verrebbe voglia di fermarsi, in segno di sdegno e di rispetto. Invece non è possibile. E nemmeno giusto. Occorre invece continuare, il più possibile, a dire la verità. Quella scomoda, quella che urtica, quella che obbliga al realismo.

Quindi è giusto dire che i governi greci hanno colpe enormi, che le banche ne hanno ancora di più, ma che occorrerebbe dire qualcosa anche a quei cittadini greci abbienti che, dati alla mano, hanno fatto ripartire il mercato immobiliare di lusso a Londra: comprano case da milioni di euro perché vedono nel mattone britannico un bene rifugio al pari dell’oro.

A dirlo non è il sottoscritto, ma i dati diffusi da Knight Frank, agenzia leader del real estate, in base ai quali nell’ultimo mese le vendite di case con costo superiore al milione di sterline sono cresciute del 21%.

Per l’agenzia, i proprietari di casa greci contano ora per il 6% nel mercato britannico di immobili con valore superiore ai 2 milioni di sterline, il doppio rispetto allo scorso anno. La realtà è questa, certificata dagli atti d’acquisto con nome e cognome.

La finanza è certo spietata, ma finché non metteremo in conto che l’avidità è diffusa ovunque e il bene comune è un valore sempre meno perseguito, continueremo a fare la caccia alle streghe contro gli hedge funds e gli speculatori: se i derivati, sempre più rischiosi e per questo sempre più in grado di offrire profitti, sono andati a ruba non è solo perché qualche “delinquente” li vendeva, ma anche perché qualcuno, anzi moltissimi, li compravano. Si chiama legge della domanda e dell’offerta, una base dell’economia.

Detto questo, la realtà è una sola: questa seconda ondata di crisi, basata sul debito, è eterodiretta. C’è un piano di crollo generalizzato delle Borse per ottenere un effetto Idra nell’eurozona, una sorta di sabotaggio - anche valutario - orchestrato non tanto dai fondi speculativi, i quali salgono in giostra e poi scendono al volo, quanto da istituzioni politiche, banche e major per spostare il mirino verso il Club Med e dettare le nuove regole dell’economia e degli assetti istituzionali.

Non si spiegherebbe, infatti, il perché nel pieno dell’incendio greco Moody’s abbia sentito il bisogno di annunciare di aver aperto una procedura di rivisitazione del debito portoghese per la possibilità di un downgrade non di uno, ma addirittura di due livelli di rating. Chi getta benzina sul fuoco, difficilmente l’ha scambiata per acqua: lo fa scientemente.

Attualmente i bond di Lisbona sono valutati Aa2 dall’agenzia di rating, la quale ha motivato la sua decisione in base «al deterioramento delle finanze pubbliche portoghesi anche a fronte delle sfide economiche che si pongono ad esse di fronte».

Un tempismo straordinario: per anni hanno valutato AAA dell’immondizia confezionata su mutui a tassi di insolvenza stellare e, ora, di colpo sono attentissime nel valutare variazioni nelle finanze pubbliche di un paese nell’arco temporale di mutamenti di due settimane.

Di colpo l’euro ha toccato il minimo da 13 mesi contro il dollaro e il livello dei cds ha toccato record stellari. Lo conferma CMA Datavision, azienda che monitora i mutamenti dei credit default swaps: quelli per assicurarsi a cinque anni sul rischio di default portoghese sono saliti a 407 punti base da 344 e questo comporta un’implicita percentuale di default del Portogallo pari al 29,6%.

I cds greci sono ora a quota 850 punti base da 764.5, una soglia che potremmo definire “islandese”: il Club Med sta andando letteralmente a pezzi e dall’altra parte dell’Oceano non sembrano particolarmente preoccupati.

E nemmeno a Londra, visto che questa instabilità dell’euro sta facendo da salvagente alla sterlina, valuta da tutti in grave pericolo sia per il debito pubblico stellare sia per il rischio che dalle elezioni di oggi non esca una maggioranza chiara per governare.

È la legge della giungla al suo meglio - o peggio -, il tutti contro tutti più devastante che l’Europa abbia mai vissuto, fatta eccezione per i due conflitti mondiali: e questo, alla luce di quanto sta accadendo, getta ombre di responsabilità ancora più gravi sull’operato della Germania, nei fatti una sorta di fiancheggiatore interessato delle manovre dei veri poteri forti internazionali.

Per salvare sé stessa, Berlino ha accettato di buon grado di mandare sulla forca prima Atene, poi Lisbona e se servirà Madrid, l’altro giorno vittima di un clamoroso caso di disinformazione e turbativa dei mercati: far circolare la voce che Madrid avesse chiesto aiuto al Fmi, significa voler affossare l’euro e destabilizzare l’intera area. E qui non stiamo parlando di scommesse sul forex, di cross più o meno azzardati allo scoperto contro l’euro per guadagnare dei bei soldi: qui si parla di geofinanza al livello più alto.

Le proteste di piazza sono soltanto il cotè violento ed esasperato di un disegno più grande, un disegno di stabilità e nuovo ordine politico-economico che necessita, come le rivoluzioni, di sangue per poter crescere: gli stessi poteri che hanno messo alla Casa Bianca l’inattaccabile - di colore, giovane, progressista - Barack Obama, ora sono passati alla fase 2 del loro piano.

Destabilizzare per stabilizzare, non serve Sun-Tzu per arrivare a capire cosa è in atto nel mondo: l’America non può permettersi di fallire e nemmeno di restare artificialmente in vita grazie al “kiss of death” del gigante cinese, deposito del debito pubblico.

Occorre spostare il focolaio della crisi, scompaginare i competitors, creare un nuovo ordine gestibile anche in situazione di debolezza: nulla di cui vergognarsi, quando il gioco si fa duro e in ballo c’è la sopravvivenza della società stessa, Machiavelli ci insegnava che ogni mezzo è lecito. Sono i collaborazionisti stile Bce, Ue e Germania a doversi vergognare e portare il peso delle proprie responsabilità. E del proprio tradimento.


P.S. Credete che la cartina di fanta-politica pubblicata dall'Economist, con l'Europa ridisegnata e l'Italia spaccata in due con un Doge a capo delle regioni settentrionali, sia solo una boutade per sdrammatizzare la crisi greca? Credeteci se volete.


Agenzie di rating: né indipendenti né trasparenti
di Rosa Muñoz Lima - www.vocidallastrada.com - 1 Maggio 2010

C'è da fidarsi di coloro che decidono l'affidabilità di paesi e imprese? Chi valuta i valutatori? Le agenzie di rating hanno molto da dire in questi giorni, ma delle loro parole si dubita.

Le agenzie di rating valutano la capacità finanziaria delle imprese o dei paesi, stabiliscono in anticipo le loro possibilità di effettuare i pagamenti e gli investimenti a breve, medio e lungo termine e il rischio del mancato pagamento o investimento.

In linea di principio è solo una stima. Ma se una di queste agenzie, o peggio, se una delle tre grandi che dominano il business dei rating a livello internazionale – Moody's, Standard & Poor's o Fitch Ratings, dice che un paese è esposto al rischio e diminuisce la sua valutazione, ciò presuppone gravi conseguenze: "questo paese dovrebbe pagare un premio di rischio più elevato sul suo debito. Improvvisamente, i debiti dello Stato costano di più perché i tassi di interesse salgono", ha detto a DW-WORLD Dennis Snower, presidente del World Institute for Economics (WIF) di Kiel, nel nord della Germania.

Questo è esattamente il problema della Grecia, e ora la paura degli spagnoli. L'agenzia Standard & Poor's ha declassato questa settimana la valutazione di solvibilità greca, ancora una volta, e quella del Portogallo, che ha generato grandi movimenti sui mercati finanziari internazionali. Poco dopo, ha ridotto l'affidabilità della Spagna da "AA+" a "AA", e l'indice Ibex 35 della Borsa di Madrid è crollato.

Valutazioni sopravvalutate?

Tuttavia, economisti e politici europei mettono in discussione l'autorità di queste istituzioni di valutazione. Il futuro economico del continente non dovrebbe essere lasciato nelle loro mani, dicono. "Queste agenzie hanno fallito sin dall'inizio della crisi finanziaria. Che motivo ha la Banca Centrale europea di fidarsi delle loro valutazioni in questa fase critica?" Ha dichiarato al giornale tedesco Die Welt Germania il celebre economista Peter Bofinger.

"Durante la crisi finanziaria si presentarono gravi conflitti di interessi che non sono stati risolti fino ad oggi. Queste compagnie hanno ricevuto soldi da imprese che dovevano valutare", dice Snower. I pacchetti di mutui statunitensi che poi innescarono la crisi erano stati valutati dalle agenzie importanti come investimenti sicuri (con il massimo dei voti AAA). Anche banche che poi crollarono avevano ricevuto buone valutazioni.

Con tagli graduali e successivi (e non unici e definitivi) della misura del rischio che implicherebbe prestare denaro a Grecia e Portogallo, le agenzie hanno portato grande nervosismo e instabilità dei mercati, ha assicurato alla stampa tedesca il Direttore dell' Instituto Ricerca di Economia a Colonia (IW Köln), Michael Hütner.

I rating rilasciati sono sopravvalutati, molti credono, tra cui il presidente del Consiglio, del Ministero delle Finanze tedesco, Clemens Fuest. Anche il presidente del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Dominique Strauss-Kahn questa settimana, ha minimizzato l'importanza degli istituti di rating, ma non ha negato che siano "utili".

"Né indipendenti né trasparenti"

"Le Agenzie non sono indipendenti e questo è un errore del sistema. Se le loro dichiarazioni hanno conseguenze pubbliche, queste agenzie dovrebbero essere finanziate con fondi pubblici", consiglia Snower. "Le agenzie di rating non dovrebbero sviluppare, commercializzare e valutare prodotti finanziari allo stesso tempo", ha detto il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle.

Le cosiddette agenzie di rating "si promuovono come indipendenti, ma "sono legate a grandi investitori finanziari", ha detto giovedi a Berlino quotidiano Tageszeitung. Il 17% di Moodys appartiene all' investitore americano Warren Buffet. Il suo concorrente Fitch Ratings è di proprietà del miliardario francese Marc de Lacharrière e Standard & Poor's fa parte della Corporation mediatica McGraw-Hill.

Le indagini del Senato USA sulla crisi finanziaria hanno rivelato questo fine settimana e-mails che attestano le pressioni a cui queste società sono state sottomesse dal settore bancario. A New York è stata presentata questa settimana una causa contro Moody's e Standard & Poor's per le loro false valutazioni finanziarie, di cui si presume fossero a conoscenza.

Un'alternativa europea?

Nella valutazione delle economie nazionali "possono sorgere conflitti indiretti in quanto le agenzie sono finanziate dalle imprese i cui guadagni dipendono da queste valutazioni", dice Snower. "Le agenzie hanno grande influenza sull' attuale processo decisionale europeo in materia di politica finanziaria e non dovrebbero averlo. Non sono trasparenti, non soddisfano i criteri per qualificarsi. Sarebbe molto meglio se fossero pubbliche, ma poi non ne avremmo bisogno, potremmo decidere per noi stessi se tali criteri siano appropriati o meno", aggiunge l'esperto Kiel.

L'Unione europea dovrebbe contrapporre i propri sforzi al business delle agenzie di rating", dice il ministro degli Esteri tedesco. Tanto lui quanto il cancelliere tedesco Angela Merkel, si sono impegnati nella creazione di un'agenzia europea indipendente per stabilire i "ratings" e liberarsi dalla dipendenza di agenzie essenzialmente statunitensi.

"Il nostro obbligo è quello di rendere pubblico ciò che pensiamo, anche se è doloroso per le persone colpite", ha detto il capo della Fitch Ratings in Germania, Jens Schmidt-Bùrgel, all'agenzia di stampa dpa. I metodi di valutazione sono "chiari e trasparenti, soprattutto nella qualificazione dei paesi", e molti dati sono disponibili al pubblico, ha aggiunto Bùrgel.

Il presidente dell'Istituto di Economia Mondiale di Kiel non concorda con i politici tedeschi né con Bürgel: "un'agenzia di rating indipendente europea potrebbe essere creata, anche se io personalmente non credo che abbiamo bisogno di una qualsiasi di queste agenzie. Credo che ciò di cui abbiamo bisogno sono criteri molto chiari e trasparenti, secondo i quali vengano valutati i paesi e le imprese. Se esistono, se tali informazioni sono pubbliche, tutto il resto è superfluo".


Grecia:quando l’oracolo si chiama speculazione. Come mai le agenzie di rating sono quotate in borsa?
di Luca M.Possati - L'Osservatore Romano - 7 Maggio 2010

Chiamatelo "l'oracolo di Omaha". Classe 1930, Warren Buffet non è soltanto il primo socio della Berkshire Hathaway, ma anche, secondo l'autorevole "Forbes", uno degli uomini più ricchi del mondo.

Insieme ad altri tre fondi d'investimento, la Berkshire Hathaway controlla la fetta più importante di Moody's, l'agenzia di rating che, a sua volta, è una società quotata in Borsa con un fatturato annuo che si aggira intorno ai due miliardi di dollari.

Tanti si chiederanno come mai un'agenzia di rating, che in teoria dovrebbe essere un'entità esterna al mercato, e dunque imparziale, sia controllata dagli investitori.

Ma il caso di Moody's non è affatto isolato: la Fitch, che per prima scatenò la bufera su Atene, è gestita al sessanta per cento da una sola holding, la Fimalac, acronimo di Financière Marc de Lacharrière, posseduta al 65,75 per cento da Marc E. Charles Ladreit de Lacharrière, finanziere tra gli uomini più ricchi di Francia.

Nel primo trimestre 2010, poco dopo lo scoppio della crisi greca, la Fitch ha registrato un fatturato di 115 milioni di euro (più otto per cento rispetto all'anno prima).

Quello delle agenzie di rating e dei loro metodi di classificazione e valutazione dei titoli obbligazionari è oggi il nodo da sciogliere più complesso nei difficili rapporti tra economia e finanza.

Non è un caso che il direttore dell'Fmi, Dominique Strauss-Kahn, abbia invitato a "non credere troppo" ai giudizi, pur riconoscendone l'utilità, e che da più parti si chieda una riforma del settore, ad esempio con un'autorità di vigilanza.

Siano giustificate o meno tali valutazioni, resta un fatto degno di nota: le società di rating vengono pagate non dagli investitori ma da coloro che emettono un'obbligazione. Così, se un Governo vuole ottenere credito, deve sborsare milioni di dollari. Cosa potrebbe chiedere di più uno speculatore?



Europa in mano alla mafia del "rating"
di Tito Pulsinelli - http://selvasorg.blogspot.com - 6 Maggio 2010

Come il Brasile ed Argentina 20 anni fa - La speculazione usuraia dei croupiers dell'azzardo globale - Partita truccata tra il dollaro e l'euro

Fa un certo effetto osservare gli accadimenti europei dall’angolo visuale sudamericano: sembra di sbobinare immagini di un passato molto prossimo, però a parte invertite.

“Default” è una parolaccia inquietante tra i bellimbusti delle cosche finanziarie che erano di manica larga quando la scagliavano contro i “tropicali” e l’America non anglosasassone.

Oggi, il monopolio mediatico d’Oltreatlantico spara a zero contro l’Unione Europea, attacca i suoi anelli più deboli così come ieri crocifisse il Messico, l’Argentina e il Brasile. Aggredisce con l’arma di distruzione di massa delle “agenzie di rating”, quelle stesse che aggiungendo (o togliendo) una A, segnano il destino delle nazioni.

Eppure, inutilmente, vent’anni addietro i “terzomondisti” avevano messo in guardia contro queste mafie (Moody's, Goldman Sachs, Fitch) che sono simultaneamente giocatore e arbitro, “qualificatori di rischio” e società quotate in borsa, croupiers e venditori di fiches.

A quel tempo, dalle capitali europee si rispondeva con sorrisi di condiscendente superiorità: si consideravano gemelli-siamesi di Wall street e fratelli spirituali della Chiesa Neoliberista del Business degli Ultimi giorni.

Il brivido che dal caldo Egeo risale il midollo spinale delle élites europee dà la misura del trionfalismo immediatista della classe dirigente politica, intrappolata nel laberinto di sabbia di una “moneta senza Stato”, e l’egoismo necrotico di un’oligarchia finanziaria che ha trucidato l’economia reale e il buon senso.

Hanno fatto l’eutanasia allo Stato sociale che era il cemento che coesionava e rendeva più solido il modello economico e politico europeo e giapponese. Elites ed oligarchie, ispirate al modello di accumulazione dei Morgan, Drake e capitan Uncino, si impegnarono a trasformare l’Europa in una fotocopia degli USA. Però senza forza militare autonoma e senza visione geopolitica: tutto nelle mani dei banchieri centrali (senza eccezioni, garzoni andati a bottega da Goldman Sachs et similia).

Hanno ridato in pasto l’Europa a quel FMI che –quasi estromesso dalle latitudini sudamericane- ora ritrova una Terra Promessa non solo nella bushista “nuova Europa”, ma persino a Bruxelles e Francoforte. Wall strett non si accontenta, va alla caccia grossa contro l’anello mediterraneo: alla carica dell’argenteria di famiglia.

Puntano agli Stati fondatori dell'unificazione europea. Si tratta di minare l’euro e minimizzare la concorrenza globale europea. Il dollaro deve rifiatare e gli USA devono mettere il freno a mano nella picchiata dell’egemonismo che sta divenendo sempre più relativo.

Tant’è vero che hanno perso protagonismo persino in quell’America Latina la facevano da padroni, dove la vivisezione neoliberista –inaugurata dal noto filantropo Pinochet- produsse ferite mortali e traumi profondi che -oggi- sono diventati anticorpi.

La filastrocca della fu globalizzazione ha finito per produrre il risorgimento di categorie date per spacciate anzitempo: sovranità nazionale, identità nazionali e sociali, autodeterminazione, rottura dei monopoli, dualismo e complementarietà economica, unificazione non solo dei mercati, ecc.

E’ il cosiddetto “populismo” che fa arricciare i nasi siliconati nelle redazioni europee ma fa diminuire i déficit, aumenta le riserve monetarie nazionali e consente politiche redistributive. Mantiene il FMI fuori dall’uscio di casa o dalla cucina. Vedere per credere. Basta dare una scorsa alla graduatoria mondiale dei Paesi più indebitati oggi e nel 1990: esiste il BRIC e i fondi nazionali sovrani.

Ha Permesso di dare impulso ad un blocco sudamericano, con una integrazione regionale lenta e contraddittoria, però con visione e progettualità geopolitica, inserita nel multipolarismo, senza le mani legate dai dogmi macro-economici e dai miraggi di fine Millennio del gioco d’azzardo delle tre carte della cupola del rating: che è un monopolio made in USA.



I cali delle Borse? Il peggio deve ancora arrivare
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 7 Maggio 2010

Alla fine, anche l’Italia è finita nel mirino: il progetto spaccaeuro sta entrando nel vivo. Quei simpaticoni di Moody’s, infatti, hanno lanciato l’allarme, anche in questo caso con un tempismo davvero perfetto: c’è il rischio che la crisi finanziaria greca possa contagiare anche i sistemi bancari di alcuni dei principali paesi europei, tra cui Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda e Gran Bretagna.

La posizione di Moody’s Investors Service è contenuta in un commento speciale intitolato «Sovereign Contagion Risk», parte 1, in cui si fa riferimento all’impatto sulle banche dell’Europa meridionale, dell’Irlanda e della Gran Bretagna: l’agenzia di rating riconosce che le banche di questi paesi hanno di fronte sfide di diverso livello, ma avverte che «il rischio di contagio potrebbe diluire queste differenze e rappresentare una minaccia molto reale e comune a tutti. L’Italia - scrive ancora Moody’s - è un altro di quei paesi dove il sistema bancario è stato sino ad ora relativamente robusto», ma dove vi è comunque un rischio di contagio «qualora le pressioni di mercati sui rating sovrani dovesse aumentare».

L’agenzia di rating osservava infatti come il nostro sistema bancario non abbia risentito come altri dello scoppio della bolla sull’immobiliare e di quella sui derivati, anche se è chiaro che le esposizioni estere esistono e l’impatto è difficilmente valutabile in caso di default e conseguente effetto domino.

Immediata è giunta la replica della Banca d’Italia: «Il sistema bancario italiano è robusto, il deficit di parte corrente è basso, il risparmio è alto, il debito complessivo di famiglie, imprese e Stato è basso rispetto ad altri Paesi, il debito netto nei confronti dell’estero è basso. Tutto ciò rende il caso dell’Italia diverso da quello di altri Paesi», sottolineavano fonti di Via Nazionale.

Anche Giulio Tremonti ha immediatamente gettato acqua sul fuoco: «Siamo “in parete” ma i conti pubblici sono sotto controllo e la situazione italiana è molto migliore di quella degli altri Paesi. All’estero guardano con molti apprezzamento a quello che si sta facendo in Italia». Ultimo a replicare, anzi a non replicare, è stato Silvio Berlusconi, trinceratosi dietro un laconico ma preoccupato «lasciamo perdere, non dichiaro».

C’è da preoccuparsi? Sì. E non tanto per Moody’s e il suo tempismo, a quello ci siamo abituati fino dal 1992 e dalle scorribande del filantropo Soros, quantomeno sospetto. Per capire davvero quali sia il sentimento sui mercati, per tastare il polso agli investitori, ilsussidiario.net ha contattato Dennis Gartman, manager di hedge fund e autore della “The Gartman Letter”. Queste sono le sue opinioni e i suoi consigli agli investitori d’Oltreoceano, tenetevi forte.

«L’attuale crisi del debito europea penso che non si concluderà fino alla fine stessa dell’euro e dell’Ue stessa, penso che l’intera struttura stia andando incontro a una sconfitta, a un processo di disfacimento. Non so dare un arco temporale rispetto a questo fallimento, ma l’euro non ha un futuro roseo di fronte a sé. Attualmente il mio portafoglio d’investimento in posizione long è composto al 15% in oro, 10% argento, 15% in dollari australiani e 15% in dollari canadesi. Sto short, invece, su euro, yen e pound».

Evviva, uno come Gartman sbaglia decisamente poco visto che ci rimette del suo, non è una banca che può scaricare le perdite sui contribuenti facendosi salvare dallo Stato. Di più, per Gartman «è questo il momento per gli investitori statunitensi di scappare dalla Borsa. Siamo alla confusione, al rischio di un dollaro forte e di un calo del valore delle commodities. Penso che sia decisamente l’ora di mettersi ai margini e poi andarsene.

Credo che una correzione anche del 15% potrebbe essere normale e alle porte nel mercato Usa, ma c’è sempre una possibilità che le cose possano andare peggio, eventualità che non va sottostimata in momenti simili di incertezza. Chi fa questo lavoro non è ingenuo, siamo realisti e alla luce della situazione greca non possiamo che vedere come prossimo futuro dell’Unione Europea il caos e la frattura dell’unione monetaria».

E come hanno reagito le autorità europee alle prospettive che agitano i mercati e gli Stati? Il consiglio direttivo della Banca centrale europea «non ha discusso nulla» in merito a eventuali insolvenze sul debito pubblico di paesi dell’area euro, né tantomeno di eventuali «procedure di insolvenza».

Lo ha chiarito il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, durante la conferenza stampa a termine del Consiglio direttivo che ha deciso di mantenere i tassi d’interesse dell’eurozona stabili all’1%.

Non sarebbe stata oggetto di discussione neppure l’opzione acquisto di bond governativi: nessuna decisione presa, insomma, almeno «fino a questo punto». Ecco chi ci governa, ecco chi è sulla tolda della nave mentre la tempesta comincia ad alzare cavalloni e i primi, sinistri scricchiolii del sistema cominciano a farsi sentire.

Qualcosa, invece, ha detto il premier spagnolo Zapatero, il quale mentre Madrid è sotto attacco della speculazione dei mercati per i rumors di una sua insolvenza e proprio quando Moody’s avvertiva di aver messo sotto osservazione il rating del Portogallo, in qualità di presidente di turno Ue ha rivelato che all’ordine del giorno del vertice di venerdì prossimo dell’Eurogruppo (i 16 capi di Stato e di governo della zona della moneta unica europea) ci sarà anche la proposta di tagliare il potere della agenzie di rating che fanno da spoletta agli assalti del debito sovrano dei Paesi dell’euro.

Fosse la volta buona: occorre un’agenzia di rating europea indipendente che tolga il monopolio globale alle tre sorelle statunitensi. Questo primo passo sarebbe fondamentale, non sprechiamo l’occasione. Prima che sia davvero troppo tardi.

P.S.: A metà pomeriggio di ieri l'agenzia di rating Fitch, in un perfetto gioco di sponda, ha nei fatti smentito Moody’s dicendo che l'Italia non è a rischio: la reazione a questo è stata il panic selling. Piazza Affari è crollata perdendo il 6% trascinata dal bagno di sangue dei titoli bancari e il ministro Giulio Tremonti ha sentito il bisogno di dire che «nessun paese è immune». Ci siamo. L’attacco è partito. Il sottoscritto catastrofista l’aveva detto. Cercasi ottimisti con dati alla mano.