lunedì 10 maggio 2010

L'aspirina dell'Ecofin contro il tumore del debito

Dopo una maratona durata oltre dieci ore i ministri delle Finanze dell'Unione Europea hanno trovato stanotte l'accordo per il cosiddetto "Piano salva-euro" che potrebbe raggiungere i 720 miliardi di euro.

L'intesa è per 500 miliardi di aiuti europei cui si aggiungerà una cifra non precisata del Fondo Monetario Internazionale che secondo la presidenza di turno spagnola dell'UE potrebbe arrivare a 220 miliardi.

Il fondo che dovrebbe evitare l'estendersi della crisi greca ad altri Paesi dell'eurozona sarà composto da 60 miliardi di garanzie dalla Commissione UE, 440 miliardi di prestiti bilaterali da parte degli Stati dell'euro e il sopracitato intervento del Fmi.

Ovviamente le Borse europee oggi sono schizzate in alto, con il loro classico comportamento schizofrenico e irrazionale, recuperando circa 332 miliardi di capitalizzazione dopo averne bruciati però oltre 440 la settimana scorsa. Quindi il rosso rimane sempre di oltre 100 miliardi di euro...

Comunque sia, basterà quest'ennesimo palliativo prodotto dall'Ecofin - utile solo per guadagnare ulteriore tempo - a evitare il fallimento dell'euro e la bancarotta dei cosiddetti PIIGS?


La spirale dei debiti ingessa l'Europa
di Morya Longo - Il Sole 24Ore - 10 Maggio 2010

«Se ti devo un dollaro io ho un problema, ma se ti devo un milione di dollari allora il problema è tuo». Quando John Maynard Keynes inventò questa massima, non avrebbe mai immaginato che circa un secolo dopo il mondo occidentale sarebbe affogato nei debiti.

Secondo le stime del «Sole 24 Ore», usando vari studi e banche dati, se si sommano i debiti totali (pubblici e privati) di Stati Uniti, area euro, Gran Bretagna, Giappone e Canada si arriva infatti oggi a una cifra quasi difficile da pronunciare: 130mila miliardi di dollari. Per intenderci: due volte il Pil mondiale. O due volte e mezza la capitalizzazione di tutte le Borse del globo.

Questo è il male che affligge i mercati: una zavorra che incatena stati, banche, imprese e famiglie. Gli uni finanziano gli altri e viceversa: debitori e creditori hanno lo stesso volto. Eppure solo l'Europa, o meglio alcuni paesi del Vecchio continente, sono colpiti dalla speculazione: salgono i rendimenti dei titoli di stato, s'impennano le polizze anti-default, cadono le Borse.

Gli Stati Uniti, che hanno 55mila miliardi di debiti pubblici e privati, sono anzi visti come rifugio. Un paradosso? In parte sì, ma un motivo c'è: sebbene il problema sia comune, tutti pensano che gli Usa abbiano molte più risorse per reagire.

Bersaglio: Europa

La speculazione ha colpito l'area euro – che ha debiti totali per 40mila miliardi $ – perché soffre di un cronico problema: ha da anni una moneta unica, ma non un'unità politica. «Questo rende più difficoltoso il coordinamento delle politiche monetarie e fiscali – osserva Johannes Mueller, economista di Dws (Deutsche Bank) –. La Fed ha comprato i titoli di Stato Usa e la Banca d'Inghilterra quelli britannici, ma la Bce non ha fatto nulla di tutto ciò».

I nodi di un'opera incompiuta stanno insomma venendo al pettine. Ecco perché la crisi nata negli Usa sta colpendo l'Europa.

I primi a soffrire sono i paesi ritenuti più vulnerabili. Prima è toccato alla Grecia, quando ha svelato che i suoi bilanci non erano come li aveva sempre mostrati. Così, sebbene la penisola ellenica avesse il sistema bancario più piccolo (gli attivi complessivi raggiungono a mala pena il 150% del Pil) e non avesse una bolla immobiliare (il mattone rappresenta meno del 10% del Pil), è finita subito nella bufera dei mercati.

Bufera che le ha impedito di rifinanziare i debiti se non a costi proibitivi. E che, anche dopo il salvataggio, continua a imperversare: non a caso i Cds di Atene stanno ora sui 940 punti base. Alta tensione.

Evidentemente il mercato ritiene che il salvataggio di Atene non basti, perché ci sono altri paesi con squilibri. Ad esempio Portogallo, Spagna e Irlanda. Madrid e Dublino hanno vissuto la grande bolla speculativa immobiliare, con la conseguenza che oggi le famiglie hanno un debito rispettivamente pari al 130% e al 200% del loro reddito.

Questo zavorra un'economia che era abituata – grazie soprattutto a una "droga" immobiliare – a correre. A ben vedere, anche la Gran Bretagna (che a fine 2008 McKinsey stimava con un debito totale quattro volte e mezzo superiore al Pil) appare vulnerabile.

La catena di Sant'Antonio

Il problema dell'elevato debito è il rifinanziamento: fin che si trovano investitori disposti a comprare obbligazioni e a prestare soldi, tutto va bene. Ma se gli investitori sono a loro volta indebitati, il meccanismo diventa più farraginoso. Prendiamo le banche. Da un lato sono tra i principali acquirenti di titoli di stato, cioè sono tra i principali finanziatori dei governi.

Tanto che oggi quelle europee sono zeppe di titoli di stato di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Ecco perché crollano in borsa. D'altro canto – però – le stesse banche hanno a loro volta una leva finanziaria eccessiva, tanto che molte sono state salvate dagli stati stessi. Insomma: io salvo te, tu salvi me.

Idem per le famiglie. Sono loro a comprare titoli di stato e obbligazioni aziendali – anche attraverso i fondi – e a depositare i risparmi in banca. Ma in molti paesi sono le stesse famiglie ad essere oberate dai debiti concessi dalle stesse banche. Magari – e il cerchio si chiude – da quelle salvate dagli stati.

Preoccupa quindi il fatto che il tasso di risparmio mondiale (stimato dal Fmi) sia in calo del 15,1% nel 2009: significa che le famiglie hanno meno soldi da parte e, dunque, meno soldi da investire in titoli di Stato e in banca. Il cappio del debito si stringe. Restano poi i prestatori di ultima istanza: le Banche centrali. Non a caso oggi viene invocata la Bce.

«Exit strategy»

Come uscirne? La risposta è quasi banale: bisogna ridurre i debiti. Il problema è che la cura dimagrante non è facile: provoca rallentamenti economici, squilibri sociali. McKinsey qualche mese fa ha effettuato uno studio per vedere le conseguenze, dagli anni '30 a oggi, di massicce riduzioni dei debiti. Nella storia è accaduto 45 volte.

Nella maggior parte dei casi il fenomeno ha causato recessione: «Se accadesse ora – scrive McKinsey – il Pil si contrarrebbe per i primi due o tre anni prima di ripartire». In alcuni casi la riduzione dei debiti ha causato massicci default o alta inflazione. Oppure – ma solo in casi rari – una nuova crescita del Pil.


Ecofin, i risultati
di Felice Capretta - http://informazionescorretta.blogspot.com - 10 Maggio 2010

Euforiche le borse mentre scriviamo rimbalzano tutte in area positiva.
Il comportamento ricorda il paziente maniaco-depressivo, probabilmente non a caso.

Le borse stanno rimbalzando perchè ieri, nel cuore della notte e dopo 14 ore di riunione, l’Ecofin ha partorito le misure di salvataggio della zona euro.

Si tratta di poco più che una grida manzoniana.

Il programma di salvataggio vale 720 MLD EUR, praticamente un trilione di dollari.

Anche se...guardando nel dettaglio la decisione dell’Ecofin, ci ricorda improvvisamente di qualcosa di già visto su due fronti: da una parte, ricorda molto da vicino il TARP di Hank Paulson, ex Goldman Sachs, all’indomani del crollo di Lehman Brothers. Dall’altra, ci ricorda il salvataggio in extremis delle sponde greche fatto dall’Unione Europea.

Si tratta in pratica dell’impegno da parte degli stati a sborsare 440 MLD EUR, più 220 MLD EUR da parte del FMI, più qualcosina dalla Commissione Europea. Più, l’impegno della BCE ad acquistare titoli di stato dei paesi in difficoltà.

Tre cose:

1) Gli accordi sono da definire, come per la Grecia, su base bilaterale.

Vale a dire che, se il Portogallo affonda, ci saranno Italia e Germania e Francia etc che presteranno soldi al Portogallo. Non c’e’ una istituzione o un fondo unico che si occupa dell’erogazione degli aiuti.

Fortunatamente non ci sarà, dunque, un altro capobastone con un enorme potere che esercita con i soldi dei cittadini europei.

Questo, per contro, è foriero di una generalizzata lentezza di erogazione dei salvataggi in caso di necessità (mettete daccordo 8 stati, se ci riuscite). Se credete nell’euro, questa lentezza di risposta è uno svantaggio. Se non credete nell’euro, è un vantaggio.

2) E ora, chi paga?

Il più grosso dubbio che ci attanaglia è il solito: visto che nessuno ha spiegato da dove spunteranno questi 440 e passa mila miliardi di euro, dobbiamo presumere che arriveranno da altro debito. La qual cosa, come ormai sappiamo, consiste nel scavare una buca più grande per coprire una buca più piccola.

Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine.

3) E ora, chi stampa?

La BCE, contravvenendo al principio del Trattato che sancisce la proibizione di prestiti dalla BCE agli Stati Membri, si impegna ad acquistare titoli di stato e obbligazioni dagli stati e dalle aziende a rischio dell’eurozona.

Il che ci riconduce all’affermazione precedente: e ora, chi paga?

La BCE percorre la folle strada già percorsa dalla Fed di Bernanke: stampare denaro, tanto denaro. Che tanto, finchè l’economia rallenta e va in deflazione e le banche non prestano, non c’e’ il rischio di avere immediatamente iperinflazione.

E’ così, è la solita ricetta già vista.

Un’economia affossata dal debito, in crisi di debito, a cui viene addossato altro debito. Solo un modo per rimandare in là di qualche ora cio’ che è inevitabile, e peggiorare ed ingigantire il botto finale o la lunga discesa senza freni.

I mercati festeggiano l’Unione che rimette nel congelatore la cena già decotta, congelata nel 2008, scongelata più volte passando per Dubai, e poi ricongelata, infine scongelata settimana scorsa con un odore di marcio che non si sa.

Mai ricongelare una cosa scongelata, lo diceva sempre la mamma.
Perchè nel frattempo continua a marcire, e quando si scongela è da buttare.
Certo, mentre è lì nel freezer sembra normale.

Fino a quando non si scongela di nuovo
Fino a quando la corrente non salta.
Fino a quando...
Fino a quando...

Finchè dura.


La tragedia europea è cominciata
di Franco Berardi "Bifo" - www.carta.org - 5 Maggio 2010

La reazione della società greca alla catastrofe e all'umiliazione potrebbe essere l'inizio di una tragedia continentale.

La tragedia europea è iniziata. Tre morti in una banca di Atene sono il primo orribile bilancio di una guerra che il capitalismo finanziario ha scatenato contro la società, e da cui la società non sa come liberarsi. La società greca non può sopportare il diktat delle agenzie finanziarie che l’hanno spinta nel baratro della crisi, e ora pretendono che a pagare il prezzo siano i lavoratori. Spinta contro il muro della miseria, dell’umiliazione e della catastrofe, la società greca potrebbe reagire in maniera folle. Può essere l’inizio di una tragedia che non sarà limitata alla Grecia.

Quello che sta succedendo in Europa è straordinario e terrificante. Straordinario perché per la prima volta la costruzione europea entra in una crisi che minaccia di farsi definitiva, e perché questa potrebbe essere un’opportunità per iniziare una trasformazione in senso democratico e sociale di un’entità che finora non ha avuto i tratti della democrazia, ma piuttosto quelli di una dittatura tecno-finanziaria. Terrificante perché mai come oggi ci rendiamo conto del fatto che l’intelligenza collettiva è dissolta, la voce della critica sociale è muta, la democrazia morta.

Di conseguenza, se non accade qualcosa al momento attuale molto difficile da prevedere (il risveglio di una intelligenza collettiva capace di ridiscutere alla radice la ragion d’essere dell’entità europea), l’esito di questa crisi rischia di essere una tragedia destinata a distruggere quel che resta della civiltà sociale moderna nel continente europeo.

Un numero della rivista LOOP del maggio 2009 si intitolava Finis Europae, e si chiedeva se l’Europa poteva sopravvivere al collasso finanziario. La risposta era che no, l’Europa non può sopravvivere al collasso se non si libera dalla dittatura della classe finanziaria che tiene in mano la corda con cui la società europea viene lentamente strangolata. Ma di questo tema ben poco si è occupata finora l’intellettualità europea (ma esiste ancora qualcosa che meriti questo nome?).

La discussione che si è svolta fin a questo momento sui giornali e nelle assisi politiche ufficiali è ridicola, vuota, inconsistente. Sembra che nessuno riesca a vedere che la costruzione europea è stata fino a questo momento la causa (una delle cause) del peggioramento sistematico delle condizioni di vita dei lavoratori.

Nonostante le bugie e le cazzate raccontate dalla sinistra, la politica fanaticamente monetarista dell’Unione ha prodotto una stretta della spesa pubblica che ha peggiorato la qualità della vita delle popolazioni, e contemporaneamente ha imposto un vero e proprio blocco salariale che si è accompagnato con un aumento sistematico del costo della vita.

Il fanatismo monetarista della BCE (vero organo di comando sulla vita politica europea) ha scelto alcuni bersagli preferiti. Quello delle pensioni è forse il più evidente. Allungare il tempo di lavoro-vita è una delle ossessioni del Neoliberismo, e si fonda su un accumulo di menzogne pure e semplici.

Si dice che l’aumento del tempo di vita media mette in pericolo la possibilità di mantenere un equilibrio economico, dimenticando che la produttività media sociale è aumentata di cinque volte negli ultimi quaranta anni, per cui non cambia niente il fatto che il numero dei produttori possa diminuire leggermente.

Si dice che i vecchi debbono lavorare più a lungo per solidarietà nei confronti dei giovani, e non c’è menzogna più ripugnante di questa: il prolungamneto del tempo di lavoro degli anziani ha infatti come conseguenza un aumento della disoccupazione giovanile, e una condizione di ricatto sul mercato del lavoro che ha reso possibile un aumento smisurato della precarietà lavorativa.

La politica della BCE è all’origine della miseria europea. Se L’Unione è questo, che muoia.
Ma la morte dell’Unione, che ogni giorno si fa più probabile, sarebbe l’inizio di un inferno inimmaginabile.

Lo scatenamento di tutti i demoni che negli ultimi decenni si sono tenuti sotto controllo sarebbe dietro l’angolo. Non solo segnerebbe il riemergere dei nazionalismi, ma anche il precipitare della guerra civile interetnica, nei paesi mediterranei spinti nel baratro di un immiserimento pericoloso.

Solo un movimento del lavoro precario e del lavoro cognitivo, un movimento che ponga al centro della discussione politica il salario unico di cittadinanza può salvare l’Unione europea, modificandone radicalmente la forma e la sostanza.

Ma un simile movimento sembra oggi quanto di più improbabile, quanto di più lontano dai comportamenti psicopatici e conformisti di una generazione di disperati il cui futuro sembra segnato senza vie d’uscita. Un futuro di precarietà, di schiavismo, di immiserimento materiale e psichico.

Una generazione cui rimarrà solo Facebook – sfiatatoio dell’impotenza e del narcisismo – per avere la sensazione di poter parlare liberamente.

“British students seem resigned to their fate. But this is a matter not of apathy, nor of cynicism, but of reflexive impotence. They know things are bad, but more than that, they know they can’t do anything about it. But that “knowledge”, that reflexivity, is not a passive observation of an already existing state of affairs. It is a self-fulfilling prophecy." (Mark Fisher: Capitalist Realism)

[Gli studenti britannici sembrano rassegnati al loro destino. Ma non è questione di apatia o di cinisimo, quanto piuttosto di impotenza riflessiva. Sanno che le cose vanno male, ma più di questo sanno di non poterci fare nulla. Ma questa ‘conoscenza’, questa riflessione, non è una contemplazione passiva di uno stato di cose esistente. E’ una profezia che si auto-avvera, Mark Fisher, Realismo capitalista]