Dopo una giornata d'irrazionale euforia, ieri nelle Borse europee si è registrata una forte picchiata, segno evidente che il piano non convince neanche gli schizofrenici operatori di Borsa.
Sempre ieri poi il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, presentando il pacchetto di proposte per la riforma del Patto di Stabilità, ha dichiarato "Perché le riforme messe a punto dall'Unione europea siano credibili, le sanzioni previste dal piano per chi sfora i conti devono essere automatiche [...] Le sanzioni sono necessarie per il rafforzamento della disciplina di bilancio in Europa: gli Stati hanno bisogno di essere incentivati a raggiungere gli obiettivi fissati dal patto di stabilità [...] Deve essere chiaro che senza sanzioni non saremo abbastanza credibili. Questo comprende anche la possibilità di imporre depositi fruttiferi per gli Stati membri che non fanno sufficienti progressi verso gli obiettivi a medio termine nei tempi giusti".
Il piano varato dalla Commissione prevederebbe quindi una più veloce "procedura per deficit eccessivo", con appunto sanzioni automatiche per quei Paesi che non rispettano i parametri del Patto di Stabilità e crescita.
E per essere ancora più chiari, il Commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha spiegato che in futuro si farà più attenzione al debito pubblico, non solo al deficit "Se un Paese ha un debito del cento per cento sul Pil o anche più (come l'Italia, ndr) è fondamentale non solo che il deficit si trovi sotto il 3%, ma anche che si trovi in una percentuale tale da permettere di sperare in una sufficiente discesa del debito". Tremonti è avvisato...
Quindi se tale piano della Commissione Ue verrà approvato dagli Stati membri, la sovranità dei singoli Stati in campo economico sarà completamente trasferita alla Commissione che avrà il potere discrezionale di accettare o meno preventivamente le loro manovre economiche.
Intanto oggi Bankitalia fa sapere che a marzo il debito pubblico italiano è salito di 3 miliardi rispetto al mese precedente, raggiungendo quota 1.797,653 miliardi di euro contro i 1.794,978 mld di febbraio. E dal marzo 2009 è aumentato di 52 miliardi in termini assoluti.
Auguri!!!
Dopo l'eurobailout
di Pino Cabras - Megachip - 12 Maggio 2010
Chissà perché le borse hanno gioito così tanto, dopo l’annuncio dei 750 miliardi di euro approvati nel pieno dell’emergenza della speculazione. Chissà perché i titoli delle banche si apprezzavano più degli altri. Sarà perché le banche avevano ormai qualcuno che si impegnava a comprare i loro crediti inesigibili.
La Banca Centrale Europea è ora disposta a creare moneta dal nulla con regole nuove pur di salvarli, banche e banchetti.
Il crescendo di allarmi sui debiti sovrani ha una base autentica, di certo. Quei debiti abnormi ci sono, perché gli Stati si sono sovraccaricati di compiti spesso contraddittori, insostenibili, gravati da corruzioni e clientele portate a consumare oggi le risorse di domani.
Meno autentico è il momento in cui l’allarme viene esasperato. Sono stati gli speculatori a scegliere i tempi e i modi: le iene assaltavano gli gnu più isolati e più piccoli, rendendo un servizio alle bestie più grandi e malate, ma ancora capaci di nascondere il loro stato.
Dosando gli allarmi dove volevano i predatori, i tassi di interesse per i titoli di stato greci dovevano salire vertiginosamente e il loro rating precipitare appena sopra il valore della carta straccia: così era facile comprarli a man bassa, con la convenienza nel medio termine di lucrare interessi doppi o tripli rispetto a pochi mesi fa.
Stesso meccanismo contro Portogallo e Spagna: profezie che minacciavano di autoadempiersi, nel fragile gioco della finanza sempre basata sulle aspettative.
A coprire gli azzardi dei corsari globali è stata ora definitivamente trascinata la costruzione europea nel suo insieme.
In teoria la finanza dovrebbe lubrificare l’economia sottostante, avrebbe lì la sua giustificazione residua. Invece l’«economia della truffa» in cui siamo sempre più avvitati ha cambiato da molto tempo ragione sociale.
La finanza è totalmente diseconomica, succhia risorse dall’economia reale, tosa oltre l’intollerabile i contribuenti, è una bomba a tempo contro qualsiasi infrastruttura della vita civile di interi popoli. La solita cerchia che comprende Goldman Sachs e altre volpi a guardia del pollaio beneficia di questo ulteriore salto del debito e consolida la sua dittatura sulle linfe finanziarie del mondo.
Gli Stati sono stati spinti negli ultimi due anni verso i limiti estremi della loro capacità d’indebitarsi e di sciupare i bilanci. Negli esempi più vistosi, come il debito USA o quello britannico (proprio a casa di chi ci insulta come PIGS) è evidente che i debiti sono oltre la soglia della possibilità di ripagarli.
Si possono inventare avvitamenti della spirale sempre più sofisticati, si può fare ad esempio questo “upgrade” europeo, con la BCE che compra l’inacquistabile, ma qualcuno pagherà. Data la dimensione del debito che va a rivelarsi, si pagherà per decenni.
Intanto che i sistemi politici e i mondi sindacali - poiché non hanno un pensiero alternativo all’altezza - evocheranno a lungo come un mantra il miraggio della crescita, dovranno invece da subito fare i conti con il suo contrario, la decrescita.
La decrescita è già in campo. Per ora è congelata, quel tanto che dà respiro ancora ai predatori finanziari, pronti però ad approfittare fra breve della nuova corsa ai differenziali d’interesse fra economie irrimediabilmente ingolfate ed economie appena più in salute.
Le lacrime e sangue imposte dai banchieri degraderanno la base contributiva e perciò le finanze pubbliche, sempre meno in grado di fronteggiare l’aumento della disoccupazione e della integrazione dei redditi di chi è costretto a sospendere il lavoro.
I 750 miliardi del “bailout” all’euro sono una cifra enorme, decisa in un weekend. Dovrebbe valere la pena stanziarli per un obiettivo in grado di coincidere con interessi profondi dei popoli coinvolti.
A ben pensarci, però, questa cifra servirà solo a tenere in piedi un sistema che avrebbe senso se facesse il suo mestiere, cioè dare credito a chi fa impresa, ma che invece ne fa un altro: scremare risorse in favore di un gruppo di criminali legalizzati.
Loro, i protagonisti principali della crisi delle finanze private, hanno passato il testimone alle finanze pubbliche. Il sistema bancario ombra non si taglia nulla. Gli Stati taglieranno stipendi e scuole, come già fanno, e molto molto altro.
Ogni tanto un Obama, una Merkel o un Sarkozy promettono sfracelli contro i padroni di Wall Street. Ma dopo un po’ si sbracano e offrono altra liquidità, a botte di centinaia di miliardi. Verranno ripagati con totale ingratitudine da Soros a dagli altri filantropi del suo stampo.
Perché questi prima si fanno salvare, poi – autodefinendosi come «i Mercati» - pretenderanno che gli Stati si dimostrino meno cicale e più formiche, con i soliti tagli e le solite ricette da massacro sociale che funzioneranno come le patologie iatrogene, malattie di cui credono di essere la cura. L’erario si assottiglierà fino a fornire il pretesto per rinnovati allarmi-insolvenza.
A quel punto, la cura proposta per il disastro provocato dalle banche e dalle tecnocrazie finanziarie sarà: più banche e più tecnocrazie.
Loro infatti non si espongono e non appariranno. La faccia esposta alla rabbia dei defraudati sarà quella dei Papandreu di turno, dei politici sempre meno votati e meno legittimati (già dilaga l’astensionismo alle urne), mentre le facce di bronzo, le lingue di legno e i culi di pietra dei Goldman Draghi irradieranno il rassicurante tepore della tecnofinanza.
Quei 750 miliardi decisi nel weekend dal Consiglio Economia e Finanza dell’Unione Europea non servono dunque agli interessi profondi dei popoli coinvolti. Per poter servire avrebbero dovuto essere accompagnati da misure drastiche di altro tenore: abolire i derivati, punire con mandati di cattura internazionali chi pratica le tecniche ribassiste, chi usa gli algoritmi per le speculazioni da realizzare in frazioni di secondo e tutto il casinò delle sofisticherie tecnofinanziarie che usurpano la parola «mercati». L’Europa doveva semplicemente ricollocare tutto ciò sotto la fattispecie «truffa».
Non sarebbe stato uno scandalo nazionalizzare le banche. E anziché promettere in caso di necessità l’acquisto dei bond dalle banche, gli Stati avrebbero dovuto dotarsi della possibilità di acquistarli direttamente. Il boss della Goldman Sachs, il signor Lloyd Blankfein, avrebbe così abbassato la cresta, specie se gli fosse arrivato anche un simpatico avviso che gli spiegasse di non mettere piede in Europa per i prossimi 50 anni.
La globalizzazione avrebbe avuto una svolta equilibratrice. Così però non è stato.
Il re neoliberista è nudo. E dobbiamo urlarlo con forza. Le sue ricette non hanno legittimità, né possono più proclamarci che “There Is No Alternative”. La TINA è finita. Prima la politica lo capirà, meglio sarà. I partiti che in questi anni hanno solo provato a temperare con retorica compassionevole l’agenda neoliberista non l’hanno ancora capito. Ma in giro si muovono altri spettri, che parlano di un’altra politica e un’altra economia.
Il rimbalzo di Pirro
di Moreno Pasquinelli - http://sollevazione.blogspot.com - 11 Maggio 2010
Perché il salvataggio non riuscirà ad evitare un nuovo traumatico collasso
La caduta in atto oggi (ieri, ndr) delle borse europee mette in mostra tutta la fragilità della grande euforia seguita all'accordo raggiunto in extremis dal vertice Ecofin-Bce di domenica notte. Chi ha ritenuto che le misure di salvataggio adottate abbiano sventato sul serio il rischio di un nuovo collasso finanziario con epicentro questa volta l'Europa, dovrà ricredersi.
Come gli analisti "pessimisti", tra cui chi scrive, hanno segnalato, queste misure hanno solo allontanato, e nemmeno troppo in là nel tempo, questo rischio. In cosa consistano queste misure è noto.
Oltre al fondo di compensazione di 750 miliardi di euro (mille miliardi di dollari!) per correre in soccorso dei PIIGS nell'eventualità che esploda la crisi dei loro debiti (un piano che segue la modalità dell'aiuto alla Grecia e che applica a due anni di distanza la terapia adottata dalla Federal Reserve e dalla Banca d'Inghilterra), la vera novità è che, aggirando i Trattati sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare l'Articolo 123, la Banca centrale europea, potrà comprare (e infatti sta già massicciamente comprando) i titoli di stato semi-spazzatura dei paesi sotto attacco speculativo, appunto per tamponare la corsa alla vendita dei titoli medesimi, onde evitare che assieme alla Grecia vadano in bancarotta non solo gli altri "maiali", ma per scongiurare che salti tutta la catena dei paesi imperialisti.
«Se ti devo un dollaro io ho un problema, ma se ti devo un milione di dollari allora il problema è tuo». Questo è quanto affermò, con arguzia, J. M. Keynes il secolo scorso. Si dia uno sguardo al grafico n.1. Si capisce al volo la ragione delle drastiche decisioni assunte dal vertice europeo.
Un crollo dei PIIGS avrebbe travolto paesi ben più blasonati, i bastioni del turbo-capitalismo: Francia, Germania, Regno Unito, USA, Olanda. Sono proprio questi paesi che detengono i titoli-semi-spazzatura dei PIIGS, e se questi ultimi facessero bancarotta avremmo né più e né meno che il crollo dei sistemi bancari dell'Occidente.
E' dunque allo scopo di evitare un collasso finanziario ben più devastante di quello del settembre 2008 che Unione e Bce hanno escogitato il salvataggio, che alcuni hanno già definito "arma di distruzione di massa", visto che questo salvataggio impone non più solo alla Grecia ma urbi et orbi, cure da cavallo antipopolari per contenere e ridurre, prima che sia troppo tardi, il debito endemico degli stati.
In questa maniera si è risolta la crisi? Certo che no! Si è solo tamponata, in ritardo, una falla devastante. Se si è giunti a stracciare i dogmi monetaristi contenuti nei Trattati, da Maastricht in poi è perché è oramai universale la consapevolezza che tutto il sistema turbo-capitalista (quello contrassegnato dal predominio della sfera del capitalismo finanziario predatorio sulle altre) sta per tirare le cuoia, col pericolo di passare dalla crisi alla catastrofe economica, coi rischi connessi di disgregazione europea e di riaccensione di incontenibili e inediti conflitti sociali e nazionali.
Si osservi ora il grafico n. 2. Esso mostra quali e quanti sono i paesi che "i mercati", leggi il capitalismo finanziario predatorio annidato nelle borse di Wall Street e della City e non solo, considerano a rischio altamente probabile di default.
Se si spezza anche solo un anello, anche solo quello greco, tutta la catena dei debiti pubblici sovrani europei può spezzarsi. Quello che comunemente si chiama "pericolo di contagio". Che poi il "contagio" si fermi ai PIIGS-allargati, questo resta tutto da vedere. In assenza di una forte ripresa, se cioè l'economia europea non esce presto dalla recessione economica, non c'è salvataggio che tiene: i debiti, ove non crescessero sono destinati a permanere e a consolidarsi.
Che la Bce stia acquistando montagne di "titoli tossici" immettendo dosi ingenti di liquidità nei mercati allo scopo di salvare le banche (il che equivale a creare nuova moneta in barba ai dettami di Maastricht), non sventa il rischio di default europeo, potrebbe invece causare un infarto generale. La speranza dei tecnici europei del dominio finanziario è che questa iniezione di liquidità stimoli una ripresa economica duratura. Se questa non ci sarà, tutto andrà carte quarantotto.
E' oramai evidente che quello dei PIIGS non è altro che un alibi. Ripetiamo: tutto il sistema imperialistico è malato gravemente. La malattia non riguarda infatti solo loro ma tutto l'Occidente. Questa malattia, che è strutturale, che cioè afferra le radici stesse del sistema, si manifesta nel debito colossale accumulato negli ultimi vent'anni.
Secondo le stime più attendibili (vedi "la spirale dei debiti ingessa l'Europa", Il Sole 24 Ore del 9 maggio) se si sommano i debiti totali (pubblici e privati) di Stati Uniti, area euro, Regno Unito, Giappone e Canada, si arriva infatti ad una cifra astronomica: 130mila miliardi di dollari! Due volte il Pil mondiale. Due volte e mezzo la capitalizzazione di tutte le borse del mondo.
I due baricentri tradizionali del capitalismo mondiale, gli Usa e l'area euro, hanno rispettivamente 55mila miliardi di debiti pubblici e privati e 40mila miliardi. Una patologia ormai cronica, una zavorra che incatena stati e imprese capitaliste, che sta gettando in una miseria nuova i salariati, e che ipoteca ogni eventuale ripresa del ciclo economico. I PIIGs si dice. Che dire del Regno Unito, che ha ha un debito totale quattro volte e mezzo più alto del suo Pil?
Il cappio del debito, anche a causa dei ciclopici piani di salvataggio delle banche e degli stati, è destinato a stringersi sempre più. Più grande è il debito più diventa indispensabile il rifinanziamento. Fino a che si trovano investitori disposti a comprare obbligazioni e titoli e a prestare soldi, tutto va bene.
Ma se gli investitori, tra cui le banche, sono a loro volta indebitati, la catena si spezza. Il crollo borsistico della settima scorsa, in particolare delle banche, è presto spiegato: esse sono piene di obbligazioni non solo dei PIIGS ma di stati che solo a patto di dolorose cure da cavallo potranno rimborsare i loro debiti.
Due anni fa parlavamo dei titoli tossici, di derivati corrispondenti a crediti inesigibili. Siamo giunti ad un punto che "tossici" sono considerati "dai mercati" i titoli di stato di svariati paesi occidentali. Senza dimenticare che le stesse banche vacillano da anni poiché utilizzano a dismisura le loro "leve finanziarie" (la facoltà di immettere sul mercato crediti svariate volte la loro effettiva capitalizzazione).
Ridurre i debiti! Questa è la soluzione e il grido di battaglia. Facile a dirsi, arduo a farsi. Ridurre i debiti è possibile soltanto comprimendo il ciclo economico, scaricando non solo sui salariati e i piccoli risparmiatori, ma sulle stesse aziende capitalistiche, i costi della cura da cavallo.
Parla l'esperienza: dagli anni '30 ad oggi ci sono state massicce riduzioni dei debiti almeno 45 volte, e nella maggior parte dei casi il fenomeno ha causato recessione se non la bancarotta di intere economie.
Il serpente capitalistico si morde la coda, col rischio che in questo girare a vuoto su se stesso, il sistema vada incontro ad una catastrofe di portata epocale, con le conseguenze (pauperizzazione, sfascio sociale e di intere nazioni, ecc) che ognuno può immaginare.
Per quanto tempo ancora dovremo sopportare il fardello del capitalismo? Occorre davvero toccare il fondo per decidersi a ricostruire su fondamenta socialiste le nostre società?
Cosa può fare uno Stato europeo per sostenere la propria inefficienza e non fallire? Per spendere più di quanto incassa? Una volta, incaso estremo, si svalutava la moneta. Tutti i cittadini diventavano più poveri del 20/30%. L'esportazione aumentava a causa dei prezzi dei prodotti più competitivi. Si stringeva la cinghia e si ripartiva.
L'euro ha reso questa operazione impossibile, ma la creazione di debito nazionale è rimasta intatta attraverso l'emissione di titoli di Stato. A tutti gli effetti, i titoli di Stato hanno sostituito la capacità di battere moneta. Il rapporto tra valore prodotto e indebitamento dà una indicazione della salute di una nazione. Meno produci, più ti indebiti, più la bancarotta è vicina.
L'emissione di debito attraverso i titoli di Stato non ha alcun limite fino a quando qualcuno li acquista, si riescono a pagare gli interessi e a rimborsare il valore dei titoli alla scadenza. Se le finanze pubbliche, come nel caso dei PIIGS , peggiorano, gli interessi da riconoscere sui titoli emessi aumentano e i compratori diminuiscono a causa del possibile rischio default.
Se i PIIGS falliscono, i loro creditori, gli Stati virtuosi del Nord Europa, possono fallire a loro volta. Le banche europee indebitate per centinaia di miliardi di euro, tedesche, olandesi, francesi sarebbero travolte da un default italiano o spagnolo.
C'è qualcosa di diabolico nell'emissione di debito e nel suo contagio. La creazione del debito è fuori dal controllo dei cittadini. Tremorti, ad esempio, ha indebitato nell'ultimo anno gli italiani per un centinaio di miliardi senza chiedere niente a nessuno. Poi ha rivenduto il debito in parte agli italiani che aveva indebitato (un perfetto 69, belin) e in parte lo ha distribuito in giro per il pianeta.
La forza del debito è nella apparente sicurezza dei titoli di Stato, il rendimento può essere più basso rispetto ad altri investimenti, ma infondono sicurezza. Il rimborso del loro valore nominale alla scadenza è apparentemente garantito, cosa non vera per le azioni di Borsa che cambiano il loro valore in funzione del mercato.
Il titolo di Stato, in sostanza l'acquisto di un debito di terzi, è un totem: lo Stato non può fallire. Questa credenza popolare permette agli Stati di vendere il loro debito e quindi di continuare a indebitarsi. Se lo Stato fallisce si perde di solito tutto il capitale investito in un colpo solo attraverso la "ristrutturazione del debito", una definizione soave che lascia il sottoscrittore in mutande.
L'Europa per non fallire ha accettato di comprare titoli di Stato dei PIIGS altrimenti invenduti. A questo servono i 750 miliardi di euro stanziati (insufficienti secondo molti analisti). A comprare debito creato da governi incoscienti. Il tabù del titolo di Stato intangibile, rimborsato comunque a scadenza, va eliminato.
Lo Stato va valutato come una qualunque società per azioni, se il suo valore economico scende, il titolo deve perdere anch'esso valore per chi lo detiene. Gli investimenti si sposterebbero sulla creazione di valore, non sulla distruzione di valore. Creare il debito è da sciagurati, venderlo è metafisico, comprarlo è da folli.
In Germania si scommette ancora: 2011, fine dell'euro
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 12 Maggio 2010
L’euforia è già finita. E la cosa non deve stupire. Per quanto la parola “trilione”, ovvero l’ammontare messo a disposizione dall’Ue per salvare l’euro dal rischio di default sovrani, faccia sempre un certo effetto, i mercati tendono a essere più razionali dei politici.
Quei soldi non sono sufficienti. Ma soprattutto la crisi del debito che sta colpendo l’Europa è sistemica, non un default dovuto a contingenze straordinarie. La Grecia non è in grado di tagliare il suo deficit per l’ammontare concordato, questo è chiaro. Il Portogallo è in default tecnico, la Spagna a breve dovrà bussare alle porte di Bruxelles e soprattutto sta per aprirsi il caso britannico.
Londra ha detto no al piano di salvataggio europeo e questo parla la lingua di una duplice presa di posizione: primo, la nostra situazione è davvero grave e dobbiamo pensare prima a noi che agli altri.
Secondo, se i regolatori europei andranno, come sembra, a colpire le attività speculative, la City pagherà un prezzo altissimo e pur di non affogare passerà pesantemente al contrattacco (con ovvie ripercussioni sul nostro mercato borsistico, di proprietà del London Stock Exchange).
I problemi più gravi, infatti, sono dietro l’angolo. Ieri i titoli peggiori su tutti i listini erano quelli bancari, con cali anche del 5% dopo i rialzi da fantascienza e completamente irrazionali in base ai fondamentali: significa che i rischi di insolvenza di Grecia e Spagna sono tutt’altro che superati. E attenzione, il segnale è di quelli davvero pesanti.
Dopo l’annuncio del mega-piano europeo, infatti, le azioni delle banche sono schizzate alle stelle per un motivo ben preciso: la Bce ha fatto sapere che compra dagli istituti di credito i titoli tossici e i crediti inesigibili di cui sono pieni.
Ma se a solo 24 ore dall’euforia, siamo già tornati al panico questo significa soltanto una cosa: le banche hanno continuato a mentire sulla quantità di bad assets di cui sono in possesso.
I mercati, invece, lo sanno o quantomeno sanno che - per stessa ammissione della Bafin - le sole banche tedesche hanno liabilities per 300 miliardi di euro. Chi le salva se parte un effetto domino, visto che la priorità sembra quella di togliere dalle sabbie mobili Spagna, Grecia e Portogallo?
La Francia, poi, ha tre banche pesantemente esposte - sia a livello di sussidiarie, sia per quantità di bonds ellenici detenuti - sulla Grecia: se salta il piano di austerity del governo Papandreou, salta il banco.
Insomma, possiamo dire che il piano della Ue non ha salvato l’euro, ma ha voluto mandare il messaggio ai mercati che sarebbero state salvate le banche, i prestatori: i mercati, per tutta risposta, hanno deciso per il pollice verso.
Ieri uno dei titoli che perdeva maggiormente terreno era Hsbc, la banca britannica ritenuta più sicura al mondo poiché operante principalmente sui mercati asiatici: ormai non esistono più safe havens, il contagio del debito può non essere diretto - da paese a paese - ma opera secondo la logica del bimbo che grida che “il Re è nudo”, il crollo del Nikkei di ieri mattina non si spiega altrimenti.
Il deteriorarsi della situazione britannica, poi, potrebbe significare un atteggiamento maggiormente aggressivo della speculazione: in primo luogo contro la sterlina, indebolita dall’instabilità politica seguita alle elezioni nel Regno Unito e di fatto in balia delle scelte di short di chi opera sul valutario e fino a ieri picchiava duro contro l’euro.
Ma, in un secondo tempo, i focolai di attacco potrebbero diversificarsi e non è detto che non parta una sorta di sfida all’Europa e al suo piano: se i fondi capiranno con ragionevole certezza che qualcosa scricchiola, potrebbe azzardare un affondo.
Se questo andrà in porto, addio Europa e tanti saluti all’euro così com’è. Non a caso Mario Draghi, governatore di Bankitalia, ha detto che quelle contro la speculazione «sono battaglie che bisogna combattere, non si vincono subito. In Europa non c’è alternativa al consolidamento dei conti pubblici e alla ripresa della crescita che si fa con le riforme strutturali».
Ovvero, la speculazione c’è e c’è sempre stata, ma forse è il caso di smetterla di scaricarle addosso responsabilità non sue.
Se, infatti, i fondi non fossero entrati pesantemente in campo, pensate che la Grecia avrebbe fatto outing sui propri vizi capitali con questa velocità e chiarezza? Pensate che il Portogallo avrebbe ammesso i propri conti sballati? Pensate che la Spagna non avrebbe cercato di prendere tempo, prima di ammettere di essere quasi sull’orlo dell’insolvenza?
Piano, quindi, con la condanna tout-court della speculazione: se compro un cds è perché so che ci sono possibilità di default, nessuno prenderebbe mai un cds a protezione dal crollo di un soggetto sano e con i conti in ordine.
Quindi, arrovellarsi il cervello riguardo a quali tipi di derivati è meglio vietare o su quali pratiche vanno bandite potrebbe essere tempo perso. O, quantomeno, guardare il dito e non la luna. Servono crescita e rigore, non parole a vuoto o peggio una caccia alle streghe dal sapore populistico.
Prendete il caso greco di queste ore. Il Governo greco aveva infatti intenzione ieri di chiedere all’Unione europea e al Fondo monetario Internazionale un primo versamento da 20 miliardi di euro nel quadro del pacchetto di aiuti accordato nei giorni scorsi.
Una fonte del ministero delle Finanze greco ha detto che nel corso della giornata di ieri sarebbe stata inviata una lettera alla Commissione europea, alla Banca centrale europea e al Fmi per chiedere l’attivazione del meccanismo di aiuti: il versamento di questa prima tranche, che prevede l’esborso di 14,5 miliardi di euro da parte dell’Ue e di 5,5 miliardi da parte del Fmi, «deve essere immediato, forse in giornata» ha aggiunto la fonte.
Il 19 maggio, come abbiamo più volte ricordato su ilsussidiario.net, è in scadenza un prestito obbligazionario per il quale lo Stato greco dovrà pagare 9 miliardi di euro: non solo Atene chiede, ma pretende pronta cassa.
Difficile, con un atteggiamento del genere, porre in essere un serio piano di tagli e riforme: pensate che la speculazione internazionale non seguirà molto da vicino le prossime mosse di Ue e Atene?
È vero l’esatto contrario. O si seguirà la ricetta offerta ieri da Mario Draghi o questo mega-piano, le cui intenzioni erano quelle di salvare l’euro e l’Europa, sortirà l’effetto esattamente contrario.
E in Germania si scommette già su questo: 2011, fine dell’euro. Fantapolitica? Può essere: per molti ottimisti lo erano anche il crollo di Lehman, la crisi greca e tutto quanto accaduto da due anni a questa parte. Giulio Tremonti ha detto che con l’accordo Ue si è evitata la catastrofe: per una volta, non sono d’accordo con lui. La si è solo posticipata. E forse resa peggiore.
I soldi a pioggia servono solo a generare irresponsabilità: così l’Ue aveva risposto alle richiesta d’aiuto dell’Irlanda. Ora si è passati da un estremo all’altro: e con la Lehman europea della crisi britannica alle porte. E si chiedono perché le Borse, dopo solo un giorno, vanno in picchiata...