domenica 9 maggio 2010

Casa dolce casa...

La casa a volte è un problema proprio per tutti....


Il cognato, Anemone e l'appalto per gli Uffizi all'ingegnere-coiffeur
di Fiorenza Sarzanini - Il Corriere della Sera - 9 Maggio 2010

Bondi lo scelse come direttore del restauro

Intrecci di società, consulenze, nomine ministeriali. Le nuove carte dell'inchiesta sugli appalti dei Grandi eventi raccontano la carriera del cognato di Guido Bertolaso, Francesco Piermarini, 52 anni, svelano i suoi rapporti con Diego Anemone. E soprattutto ricostruiscono l'ascesa di Riccardo Miccichè, 36 anni, che con lui ebbe l'incarico di «rappresentante della struttura» al G8 de La Maddalena.

Risulta essere ingegnere, ma nel suo curriculum c'è la partecipazione alla società Modu's Atelier «che ha come oggetto l'attività di parrucchiere per uomo, donna e bambino». Eppure, dopo aver seguito i lavori in Sardegna, ha ottenuto un altro incarico prestigioso: il 22 dicembre scorso il ministro ai Beni culturali Sandro Bondi lo ha nominato «direttore dei lavori» per il restauro degli Uffizi con un costo di 29 milioni e mezzo di euro.

Non è l'unica «anomalia» denunciata nell'informativa dei carabinieri del Ros. Il fratello di Miccichè è infatti responsabile tecnico dell'impresa Giusylenia «inserita in un contesto criminale finalizzato alla gestione dei lavori pubblici» e collegata in passato a Bernardo Provenzano. La moglie del capo della Protezione civile Gloria Piermarini non è dunque l'unica ad aver beneficiato degli incarichi di Anemone.

Gli investigatori stano cercando di ricostruire eventuali altri legami con il costruttore accusato di essere ai vertici della «cricca». E vogliono anche scoprire in base a quali criteri Miccichè abbia ottenuto due nomine di tale prestigio. In precedenza era stato soltanto «unico componente del consiglio di amministrazione della società "Erbe medicinali Sicilia srl", specializzata nella preparazione dei terreni per la coltivazione delle erbe e piante officinali».

La coppia al G8

Scrivono i carabinieri nella relazione consegnata ai magistrati di Firenze: «Riccardo Miccichè, durante l'esecuzione dei lavori alla Maddalena, ha avuto in uso un'utenza intestata all'impresa "Ing. Raffaello Pellegrini srl" con sede in Cagliari, impegnata in lavori di subappalto per conto della Consortile Maddalena riferibile a Diego Anemone. Analogamente Francesco Piermarini ha avuto in uso un'altra utenza intestata all'impresa Pellegrini».

Quando si decide di spostare il vertice internazionale Piermarini, durante alcuni colloqui telefonici che vengono intercettati, dice che resterà in Sardegna «fino a luglio e poi si va in Abruzzo». Miccichè approda invece a Firenze. Il 27 novembre 2009 un'ordinanza della presidenza del Consiglio ha inserito il restauro degli Uffizi nel programma per le celebrazioni dell'Unità d'Italia.

Fabio De Santis, il provveditore della Toscana tuttora in carcere «raccomanda la sostituzione dei vertici della stazione appaltante con altri elementi di grandissima esperienza». La decisione passa al ministro per i Beni Culturali.

La scelta di Bondi

La sera del 22 dicembre 2009 «Salvo Nastasi, capo di gabinetto del ministro Sandro Bondi, comunica ad Angelo Balducci la distribuzione degli incarichi: Mauro Della Giovampaola "soggetto attuatore", Enrico Bentivoglio "responsabile unico del procedimento", Riccardo Miccichè "direttore dei lavori".

Al telefono commenta "Mi sembra una buona squadra"». La sera successiva De Santis parla con Bentivoglio che «comincia col lamentarsi di della Giovampaola e poi parla di Miccichè». Bentivoglio: Tu lo sai chi hanno nominato direttore dei lavori? Il siciliano De Santis: Miccichè? Non ci posso credere! Bentivoglio: Sì... «di comprovata esperienza e professionalità»... lui, è lui De Santis: quando lo vedo gli dico: siamo proprio dei cazzari guarda, siete proprio dei cazzari... andate in giro a rompere il c... Bentivoglio: Ma ti rendi conto? Quando siamo andati che ci stava pure Bondi... abbiamo fatto la riunione l'altro giorno... siamo tornati in treno... c'era pure Salvo (Nastasi, ndr) allora stavamo un attimo da soli e ho fatto "Salvo ma siamo sicuri di coso, qua del siciliano?" "Sì, non ti preoccupare... poi io c'ho un fatto personale che tu non c'hai". Dico: "Tutto il rispetto perché è una persona in gambissima, ma a gestire un lavoro del genere... De Santis: È un bordello aho! I carabinieri che ascoltano le telefonate dispongono nuove verifiche. E nella relazione evidenziano: «Effettivamente Miccichè non appare essere munito di una particolare esperienza per condurre la direzione dei lavori agli Uffizi». Non solo.

Il pizzino di Provenzano

Già nel marzo scorso sono emersi possibili collegamenti con Cosa nostra. «Il dato che si ritiene meritevole di approfondimento investigativo — sottolinea il Ros — è costituito dal fatto che il fratello Fabrizio ricopre la carica di responsabile tecnico della Giusylena operante nel settore degli appalti pubblici il cui amministratore e socio di maggioranza è Antonio De Francisci».

Non solo: «In occasione dell'arresto di Giovanni Brusca, avvenuto in provincia di Agrigento nel 2006, gli fu sequestrato un appunto dattiloscritto che lo stesso ha riferito essergli pervenuto da Bernardo Provenzano, all'epoca latitante e riguardante "Lavoro De Francisci".

Brusca ha chiarito a verbale: "Mi riferisco a quello che ha fatto lavori nel paese di Corleone. Questo qua ha uscito la tangente e io per come sono stati, glieli ho fatti avere a Bagarella». Adesso bisognerà comprendere chi è perché, nonostante questi rapporti, Miccichè sia stato scelto prima per il G8 e poi per gli Uffizi».

Le società di Piermarini

Gli accertamenti si incrociano con quelli che riguardano Piermarini. Dopo la scoperta della consulenza affidata da Anemone alla moglie di Bertolaso si stanno verificando gli incarichi ottenuti dalle sue società. Dopo aver avviato la messa in liquidazione la "Ecorescue International srl", nata nel 2005 «per il trattamento e lo smaltimento di rifiuti e oggi», l'ingegnere «risulta socio al 94 per cento e amministratore unico della società Flumen Urbis con sede in Roma, costituita nel 2005 con un capitale sociale di 10.000,00 euro e avente come oggetto sociale, oltre la compravendita di beni immobili, anche l'esercizio di attività turistiche, alberghiere, di ristorazione, ricreative, culturali ed i servizi connessi a quanto sopra oltre che di tutti i servizi destinati alla organizzazione e realizzazione di convegni, congressi, conferenze, esposizioni mostre nonché quelli per l'organizzazione e la gestione di manifestazioni culturali anche per conto terzi ed anche ricercando e fornendo sponsorizzazioni. La rimanente quota di partecipazione del 6 per cento del capitale sociale è detenuta dalla Lethis srl».


La pia cricca

di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 7 Maggio 2010

A quanto si è potuto apprendere dai fascicoli sui “grandi eventi”, ereditati dalla procura perugina, i tentacoli della cricca Anemone&co sono arrivati fin dentro il Cupolone. Quello che è già considerato il supertestimone, il tunisino naturalizzato italiano Laid Ben Fathi Hidri - handyman di Angelo Balducci e autista del costruttore romano - ha infatti esteso le sue testimonianze dalla politica al Vaticano, tirando in ballo “un importante monsignore” da cui spesso accompagnava Anemone. L’identità del prelato è stata svelata quasi subito: si tratta di Francesco Camaldo, cerimoniere del Papa e, per quindici anni, segretario particolare del vicario di Roma, cardinal Ugo Poletti.

Fino ad oggi gli unici legami di Diego Anemone con l’universo della Santa Sede stavano nel fatto che, atti alla mano, alcune compravendite di appartamenti passavano da enti religiosi come “Propaganda Fide”, di cui Angelo Balducci - l’ormai ex gentiluomo di Sua Santità, con il vizietto - era consigliere.

Con le nuove dichiarazioni di Hidri, si è venuti invece a scoprire che i rapporti di Anemone con gli alti prelati erano molto più stretti e frequenti di quanto non si desse a intendere. Il momento di svolta, per la cricca che si è accaparrata la fetta più grossa degli appalti pubblici, pare collocarsi nel 2000, all’epoca del grande Giubileo romano, ma per adesso gli inquirenti stanno ancora vagliando le reali connessioni.

Le interdipendenze che legano il palazzinaro romano e soci a San Pietro, si possono però intuire collocando gli uomini nei tempi e negli spazi che le cronache ci hanno fornito. Sappiamo, infatti, che Angelo Balducci è stato nominato consigliere della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli dal potente cardinale Crescenzio Sepe, dopo che questi l’aveva visto all’opera in veste di provveditore alle opere pubbliche per la regione Lazio durante i giorni del Giubileo.

Assumendo una carica all’interno di “Propaganda Fide” - presieduta prima da Sepe, oggi arcidiacono di Napoli, e poi dall’ex arcivescovo di Bombay Ivan Dias - Balducci s’inserisce nel cuore del dicastero vaticano attinente alle attività missionarie.

Dicastero che, in virtù degli immensi territori di missione, ha attribuite facoltà e funzioni normalmente esercitate da altre congregazioni e che, appunto, per la sua incisività sul mondo cattolico, fa chiamare ufficiosamente il suo prefetto, il Papa rosso. Balducci, in quanto membro del comitato che ha il compito di collocare l’ingentissimo patrimonio di “Propaganda Fide” - un patrimonio perlopiù fatto di immobili concentrati a Roma e all’estero - ha quindi in mano una moneta di scambio decisamente ghiotta per Anemone, almeno a quanto raccontano le cronache.

Sappiamo inoltre che il porporato chiamato in causa dall’autista tunisino era già stato “attenzionato” dalla magistratura. Nel 2006 viene infatti sentito a Potenza dal pm Henry John Woodcock, per una storiaccia dai contorni torbidi riguardante aficionados della massoneria e uomini dei Servizi Segreti.

Nella testimonianza rilasciata alla procura, monsignor Camaldo avrebbe detto di aver chiesto un prestito di 280.000 Euro a Balducci in quanto assillato da un debito relativo all’acquisto di una villa ai Castelli Romani; somma che quest’ultimo, una volta interrogato, dichiarerà di aver messo a disposizione dell’alto prelato tramite un giroconto allo Ior. Non ci è dato sapere se il prestito autorizzato da Balducci sia mai rientrato.

Quella che però potrebbe essere la chiave di volta di questo immenso sistema fondato sul do ut des, porta il nome don Evaldo Biasini, economo e tesoriere della Congregazione missionaria del Preziosissimo Sangue - sottobranca della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. L’ottantatreenne sacerdote romano, amico di lunga data della famiglia Anemone, avrebbe infatti custodito nella cassaforte missionaria svariate mazzette di contanti, pronti ad essere erogati al costruttore in caso di necessità. Interrogato a seguito della perquisizione dei Ros nell’Istituto, don Biasini avrebbe poi candidamente affermato di aver messo a disposizione di Anemone i conti intestati all’Ente, di fatto utili al deposito di assegni al prelievo di contanti puliti.

Questi gli antefatti che potrebbero portare gli inquirenti a chiarire le dinamiche degli scambi intercorsi tra Anemone e alcuni esponenti della Santa Sede. I quesiti che affollano le menti dei magistrati e dei cronisti potrebbero essere risolti con facilità dal costruttore romano, ormai ufficialmente al centro di quella che è già stata impropriamente ribattezzata “la nuova Tangentopoli”. Ma il silenzio che l’ha accompagnato in questi tre mesi di carcere è difficile che venga sciolto entro domenica, quando Diego Anemone sarà nuovamente un uomo libero.


Proprietà percepita
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 5 Maggio 2010

Nell’ora della prova, è cosa buona e giusta che gli italiani di buona volontà si stringano attorno all’ormai ex ministro Scajola, venuto prematuramente a mancare all’affetto dei suoi cari. La tegola che l’ha colpito non la si augura al peggior nemico: un impresario edile che lavora col suo governo gli ha pagato la casa a sua insaputa. Così per scherzo, o per sfizio, o per dispetto.

Anemone aveva 900 mila euro che gli crescevano e, non sapendo che farsene, ha pensato di regalargli un appartamento di 180 metri quadri vista Colosseo (il famoso “mezzanino”) senza dirgli niente. A tradimento. Ma cribbio, son cose da farsi? Bell’amico.

Per sei anni Scajola ha abitato in una casa convinto di averla comprata lui. Un caso di proprietà percepita. Lui, Sciaboletta, andava in giro tutto tronfio e compiaciuto del suo fiuto per gli affari. Appena incontrava qualcuno, gonfiava il petto: “Ma lo sai che ho comprato 180 metri quadri sul Colosseo per 610 mila euro? Ganzo, eh?”.

Poi ha letto i giornali e ha scoperto che qualcuno aveva aggiunto 900 mila euro per fare buon peso. Come Berlusconi: quando gli aviotrasportavano stock di ragazze nelle sue residenze, s’illudeva di averle conquistate tutte col suo charme. Figurarsi la delusione quando ha scoperto che erano escort e, dietro la porta, c’era sempre un Giampi Tarantini che le pagava per il disturbo 1000-2000 euro, inclusa l’indennità rischio. Dall’utilizzatore finale di mignotte all’utilizzatore finale di case. “Se scopro chi è stato – si è detto Scajola – gli faccio un culo così!”.

Poi ha letto che era Anemone, quello dei lavoretti a casa Balducci, dei massaggi a Bertolaso, insomma dei Grandi Eventi. All’improvviso la vita gli è apparsa sotto un’altra luce. Ha preso ad aggirarsi per casa sua (si fa per dire) scrutando con occhio sospettoso qualunque oggetto lo circondasse: quadri, elettrodomestici, mobili e soprammobili, temendo li avesse comprati qualcun altro alle sue spalle. Interrogava divani e poltrone: “Siete miei o di Anemone? Parlate, perdio!”.

Torchiava la lavatrice: “Confessa, puttana, chi ti ha pagata?”. Non poteva più fidarsi nemmeno della play station e la bistrattava a brutto muso, come Michelangelo con la Pietà: “Perché non parli? Sei mia o di chi sei?”. Il momento più drammatico è stato il faccia a faccia con la cassaforte, dove il ministro tiene un po’ di argent de poche: “Di chi saranno questi soldi? Vuoi vedere che qualche ladro mi ci ha nascosto la refurtiva per incastrarmi?”.

Gli è pure tornata alla mente la volta che trovò la serratura forzata e temette una rapina, ma non mancava nulla. Per forza. I ladri, quando passano da lui, non asportano: importano. Lasciano sempre lì qualcosa. Per giorni e giorni, in totale solitudine (nemmeno gli avvocati e i portaborse potevano credere alla storia della proprietà percepita), ha riflettuto sul da farsi e sul da dirsi, preparando l’autodifesa. Ma gli mancavano le parole. Infatti il primo giorno ha detto: “Non posso parlare, c’è il segreto istruttorio”. Come se un politico accusato di rubare potesse difendersi dicendo: “È un segreto”. Il secondo giorno ha tuonato: “Non mi lascio intimidire” (da 80 assegni, poi…).

Ma il meglio l’ha dato ieri nella conferenza stampa senza domande: “Un ministro non può sospettare di abitare un’abitazione pagata, in parte, da altri”. Aveva anche pensato di abitare l’abitazione per la sola parte pagata da lui: un terzo di cucina, un terzo di soggiorno, un terzo di bagno, ma il problema era la doccia. Non restavano che le dimissioni. Fosse vivo Feydeau, acquisterebbe i diritti sulla storia per cavarne un vaudeville travolgente: “Casa Scajola”.

Trama: la moglie del ministro rincasa e sorprende il marito a letto con un’altra; lui, anziché sfoderare il classico “cara, non è come tu pensi”, cazzia la tipa sbalordito e sdegnato: “Signorina, che ci fa lei nel mio letto? Ma come si permette? Non si vergogna di infilarsi fra le mie lenzuola a mia insaputa? Un ministro non può sospettare di abitare un letto popolato, in parte, da altre”. E se ne va brontolando.


Nel caso Scajola il problema è lo stile
da www.ilfoglio.it - 5 Maggio 2010

Colpisce lo stile, nel caso Scajola. Questo giornale fu orgogliosamente corresponsabile delle sue precedenti dimissioni. Aveva temerariamente dato di “rompicoglioni” a un uomo, Marco Biagi, morto da eroe, colpito a tradimento dalle Brigate rosse per aver servito lo stato con la sua cultura riformista.

Il governo aveva abbandonato questa persona che segnalava inascoltata la propria insicurezza, e dopo la morte il ministro dell’Interno, Scajola, lo insultò. Intollerabile. Mentre era ben vivo e forte il fronte del rigetto di ogni tipo di dimissioni, noi facemmo una campagna e paginate intitolate: “Via il ministro della malaparola”. Anche in questo caso il problema principale è lo stile, che si rivela al tempo stesso grottesco e insultante per gli italiani.

Ripescato per troppa bonomia come parte del governo, prima alla famosa “Attuazione del programma” e adesso alle “Attività produttive”, Scajola ha continuato a peccare in fatto di tocco o di maniera, se preferite.

Farsi regalare un pezzo di proprietà di una casa con soldi neri di un costruttore non è già il massimo, ma il massimo e più che il massimo è sicuramente dimettersi, dopo giorni in cui si è espressa la propria “indignazione” non si sa con chi e non si sa per che cosa, sputtanando il garantismo con la solita evocazione del complotto mediatico, con questa motivazione: perché non posso sopportare il sospetto che la mia casa sia stata pagata da un altro. Surreale.


Signor ministro Scajola, per avere un bel terrazzo bisogna pagarselo col mutuo
di Annalena Benini - Il Foglio - 4 Maggio 2010

Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, durante la conferenza stampa nella sede del Ministero a Roma, ha detto di essere "al centro di un processo mediatico senza precedenti". Secondo Scajola: "Per difendermi non posso continuare a fare il ministro, non si può sospettare di vivere in una casa pagata da altri. Comunque, in questi due anni ho lavorato bene. Le mie dimissioni consentiranno al governo di andare avanti nel suo lavoro".

La casa, però, compratevela. Con i mutui (ce ne sono di rinegoziabili), con i risparmi, con i soldi della moglie, con l’eredità della zia, con la vincita al Lotto, con i prestiti agevolati, con le banconote del nonno nascoste nel materasso, con gli stipendi da ministro, da parlamentare, da lap dancer, da quello che vi pare.

La casa per sé, per i figli che diventano grandi, per la suocera che si lamenta, per la nipote che è così sfortunata in amore, non è un biglietto omaggio per lo stadio (per il quale si farebbe ugualmente qualsiasi cosa, ma almeno il biglietto non ha il balcone panoramico).

La camera con vista piacerebbe a tutti, e passeggiando intorno al Colosseo si guarda sempre in alto con un sospiro, pensando alla beatitudine di quelle finestre e di quei terrazzi (anche abusivi).

Se le finestre però sono gratis, cioè saldate in nero da qualcun altro con assegni circolari, come nella vicenda che il ministro Scajola dovrà chiarire, oppure pagate una cifra che non basterebbe nemmeno per un box auto all’Infernetto (e non si tratta dell’occupazione di un gruppo di punkabbestia pieni di cani che rivendicano il diritto all’alloggio e alla birra, ma della taccagneria e megalomania insieme di gente abbastanza ricca di famiglia, e certamente non impoverita dalla politica), allora la faccenda diventa molto scocciante.

Mai sentito parlare di piccoli sacrifici, di rate alla fine del mese, di quello che fanno tutti (il settanta per cento degli italiani, nonostante le preoccupazioni per il futuro incerto e precario, ha la casa di proprietà), di annunci su Porta Portese?

Funziona così: si leggono gli annunci la mattina presto, cerchiandoli, si evitano quelli in cui c’è scritto “amatoriale”, “particolare”, “tipico” e “interior design”, si vanno a vedere decine di appartamenti descritti come “luminosissimi” e in cui l’unica finestra non murata è a forma di oblò, si scopre che il “piccolo terrazzo vivibile” è un balcone con affaccio su zona cieca in cui vengono ammassati i cassonetti della spazzatura, si apprezza la fantasia creativa degli agenti immobiliari che ricaverebbero bagni anche dalla nicchia per i contatori della luce e ritengono che l’assenza di una cucina sia un incremento di charme.

Si rinuncia, si ricomincia, si spera nel passaparola e nel credit crunch che costringa qualche ex ricco a svendere un trilocale, ma non succede mai. Poi si firma, tremanti, un mutuo trentennale e non si dorme la notte pensando che forse era meglio restare in affitto.

Le case si comprano con i propri soldi (ah, anche le ristrutturazioni: pagatevele, ci sono delle agevolazioni fiscali), poi ci si fa quel che si vuole: piscine a forma di conchiglia, vulcani quasi veri, bagni di marmo nero con cessi dorati, saune nel seminterrato, palestre, scannatoi, teche per le collezioni di farfalle, anche solarium nel terrazzo condominiale (i condomini, categoria umana pronta a qualunque cosa, sapranno come regolare i conti). Possiamo resistere a tutto, ma non alla furbata sul tinello sgraffignato.


Casa D'Alema
di Annalena Benini - Il Foglio - 6 Maggio 2010

L’edipica invidia del mattone e lo spot decisivo di Guzzanti per la Casa delle libertà

Massimo D’Alema non aveva mai perso le staffe a quel modo, nemmeno quando si parlava di banche o di scarpe. Ma appena gli è stato rinfacciato, in tivù, l’affitto a equo canone, quando gli hanno ricordato che pagava una pigione esageratamente bassa e che infatti decise di lasciare quell’appartamento, gli si è gonfiata la faccia, è diventato rosso, feroce, imbarazzato, ha strabuzzato gli occhi, ha urlato: “Va a farti fottere”, mascalzone, bugiardo, stai zitto, ti manderanno per premio delle signorine, eccetera (scena godibile su Youtube, naturalmente).

E l’ex ministro Scajola è scoppiato in irrefrenabili singhiozzi poiché tutti in questi giorni parlano di casa sua (sui giornali, al bar, sugli striscioni, in autobus, con la bava alla bocca e un’edipica invidia del mattone).

La casa fa quest’effetto, accende e mostrifica, risveglia istinti molto bassi e urla molto alte, provoca liti, lacrime, figuracce, divorzi sanguinosi (nella guerra dei Roses hanno preferito ammazzarsi piuttosto che spartirsi la casa, molti Roses minori in nome della casa fanno cose anche più intimidatorie di un finto patè di cane a colazione). Perché è un pezzo di vita, anzi spesso è la vita intera e riguarda tutti, più delle escort, dei trans, delle consulenze, degli appalti.

E’ la famiglia, la camera della bambina, il risparmio, l’investimento azzeccato, l’eredità, l’esibizione sociale, l’enciclopedia Treccani in vista, il lampadario di Murano, le vetrinette con il servizio di bicchieri, il parquet da tenere lucido, e togliti le scarpe che mi fai i segni, quando abbiamo i soldi facciamo un altro bagno così ci metti le tue stupide creme. Il Cav. lo sa benissimo e si è inventato il piano casa, niente Ici la prima volta, gli elogi pubblici all’Ikea.

Corrado Guzzanti, un genio, creò lo spot elettorale decisivo per la vittoria della Casa delle libertà di allora, gente dentro un appartamento che faceva cose proibite: rompere un muro a picconate per avere più luce, buttare gli spaghetti per terra e mangiarli da lì, fare rutti tremendi accolti con un applauso, far pipì sui cuscini del divano, lanciare i bisognini del cane direttamente dalla finestra.

Allora qualcuno debolmente obiettava: “Ma questo non si può fare”. Risposta: “Questa è la casa delle libertà, facciamo un po’ come cazzo ci pare”. Poi il gran finale: tutti in salotto a fare il trenino cantando: “Brigitte Bardot Bardot”, e palloncini, coriandoli, fischietti, risate.

Mai parodia fu più efficace, più invogliante. La casa è un mondo a parte, sicuro, protetto, e non si può sopportare che qualcuno arrivi a spiarlo e a raccontarne i segreti, ma nemmeno si può tollerare che un altro abbia una cucina più bella, una vista migliore, un mutuo più basso.

La casa è il confronto con gli altri e soprattutto il prolungamento di sé. Quindi strano che D’Alema non abbia menato Sallusti.