martedì 17 novembre 2009

Crisi economica: la comica di un Pil a + 0,....

Siamo veramente alle comiche.
Qualche giorno fa infatti sono state pubblicate le stime preliminari dell'Istat che indicano un aumento di un ridicolo 0,6% del Pil nel terzo trimestre del 2009 rispetto ai tre mesi precedenti.

E' quindi bastato questo dato perchè i media mainstream urlassero festanti che "L’economia italiana riparte dopo 15 mesi di caduta continua".
Rimane il fatto che nel confronto con lo stesso periodo dell’anno scorso il Pil è diminuito del 4,6%, dopo il -5,9% del secondo trimestre.

Va inoltre ricordato, secondo quanto ha spiegato Istat, che il terzo trimestre del 2009 ha avuto 4 giornate lavorative in più rispetto ai tre mesi precedenti e una giornata in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Questo è il reale motivo del ridicolo +0,6% del Pil.

E grazie a questo +0,6%, il calo del Pil già acquisito per il 2009, cioè quello che si avrebbe a fine anno se non si registrano ulteriori variazioni, passa a -4,8% dal -5,1% calcolato nel secondo trimestre.

WOW!!!! EVVIVA!!!.....


Ripensare la ricchezza. Dalla tirannia del Pil alle nuove forme di economia sociale
da www.ariannaeditrice.it - 12 Novembre 2009

Che cosa conta nella vita? Qual è la ricchezza e come la si misura? Sono domande cui cerca di rispondere Patrick Viveret, filosofo e consigliere referente della Corte dei Conti, incaricato nell' agosto 2000 da Guy Hascoët, sottosegretario di stato per l'economia solidale del governo francese, di scrivere un "Rapporto sui nuovi fattori di ricchezza".

"Ripensare la ricchezza. Dalla tirannia del Pil alle nuove forme di economia sociale" è appunto il rapporto di Viveret volto a ripensare ciò che nella vita umana rappresenta un valore e a proporre, sulla base di nuovi criteri, un nuovo sistema di contabilità nazionale, non esclusivamente appiattito su valori numerici, come il Pil (prodotto interno lordo), ma soprattutto basato su valori qualitativi ed esistenziali. (Le intenzioni di fondo che portarono alla commissione del lavoro infatti erano quelle di sottrarsi progressivamente alla "dittatura del Pil", considerato ormai da molti "un termometro che rende malati").

Il rapporto di Viveret si sviluppa in due fasi. Mentre la prima fase è di tipo "esplorativo" mirata ad aprire il dibattito - si compone di due grossi capitoli e di una conclusione programmatica - ed è focalizzata sui problemi e sulle incongruenze della contabilità nazionale lorda basata prevalentemente sul Pil; la seconda - che consta di tre capitoli e di una breve conclusione - è una vera e propria sintesi delle discussioni di un anno intorno al tema affrontato dove, fra l'altro, l'autore, stimola, comunque, a continuare nella riflessione.

Il prodotto interno lordo e la sua evoluzione, il "tasso di crescita", è diventato un vero "indicatore sociale" nelle società occidentali ossessionate dalla misurazione monetaria, viene di continuo evocato, ma molto spesso senza mai precisare le sue condizioni di costruzione, i suoi paradossi e i suoi limiti.

Viene, però, considerato positivo, anche se ignora l'insieme delle ricchezze non monetarie e anche quando contabilizza in maniera positiva il numero di distruzioni ambientali, insoddisfazioni personali, malattie. Perché comunque sia, i disastri ambientali e umani generano flussi monetari per le riparazioni, gli indennizzi o le sostituzioni.

Del resto il Pil misura sola le transazioni monetarie senza distinguere fra quelle positive o quelle negative e trascura tutte quelle a titolo gratuito o comunque non quantificabili monetarmene (come ad esempio il volontariato di qualsiasi genere).

Ma, in ogni caso il calo o il rialzo del Pil dai governi viene interpretato come il declino o la ripresa del Paese. Senza interrogarsi se davvero l'aumento del Pil fa la ricchezza della popolazione di un Paese e se davvero il Pil è lo strumento adeguato per misurarla.

Il Pil è indifferente al concetto di benessere dell'essere umano ossia alla soddisfazione di bisogni fondamentali come il cibo, la casa, una buona salute, relazioni solide e la possibilità di realizzare il potenziale di ogni singolo individuo. Però, gran parte dei governi e anche dei consumatori-individui, credono che al crescere dei consumi corrisponda un miglioramento del benessere.

Ma non è esattamente così perché la società occidentale dei consumi che poggia fondamentalmente su tre pilastri come la pubblicità, il credito e l' obsolescenta programmata crea anche disagi e infelicità. La tesi secondo cui più si consuma più siamo felici si rivela errata, perché il livello di soddisfazione di vita a un certo punto non tende ad aumentare all'aumento del reddito mentre il numero percentuale di depressi, bulimici e anoressici aumenta.

E allora come fare? Creare un nuovo sistema, magari improntato sulla sostenibilità. Per Viveret l'obiettivo da raggiungere è una nuova responsabilità ecologica e sociale, mediante un nuovo approccio alla ricchezza e uno Stato ecologicamente e socialmente responsabile. Infatti, ogni indicatore di ricchezza è una "scelta sociale e politica".

Ma accanto a un nuovo paradigma, occorre anche una strategia "ambiziosa", che tenga conto del fatto che ci sono valori umani che non si possono contabilizzare, ma che sono evidenti ed importanti per la società. Cambiare paradigma significa anche non continuare a ruotare intorno al concetto che «solo» l'impresa sia unica produttrice di ricchezza. Altrimenti, le teorie sul capitale sociale, naturale ed umano non avrebbero ragione di esistere.

Occorre evitare poi il rischio di «mercantilizzare» ancor più la visione sociale e la stessa vita umana. E questo in un certo senso è direttamente legato ad una nuova concezione della moneta, che da pacificatrice e mediatrice degli scambi, è diventata strumento di violenza e di dominazione economica, politica e sociale.

Ecco perché - come sostiene Viveret - pronosticare «una riabilitazione della nozione del bene comune o dell' interesse generale» non può essere considerata un'illusione, ma una necessità, un percorso che confluisca in giuste prospettive di sviluppo umano, di una nuova politica (nazionale, europea e internazionale), di un nuovo modo di intendere i rapporti umani tra uomo ed uomo e tra uomo e ambiente.

E dobbiamo fare in modo che i principi di cooperazione e di solidarietà siano determinanti nella sfera economica, sociale, pubblica e culturale e che dalla logica dei «vincenti/perdenti» si passi alla logica «cooperanti/guadagnanti».


Taleb: effetto crisi, l'inflazione ripartirà
di Giancarlo Radice - Il Corriere della Sera - 15 Novembre 2009

Parla il guru dei derivati che previde il crac "E' urgente ridimensionare le banche più grandi"

«Dopo Lehman poco è cambiato, la massa dei debiti ostacola la ripresa». Stati e finanza: Va riconsiderato il concetto di globalizzazione: ci sono troppi sussidi. I governi non possono far altro che continuare a stampare denaro. Per poter ripartire, bisogna convertire i debiti delle imprese in capitale.

L' economia europea che torna a crescere? Le Borse internazionali che da marzo a oggi hanno recuperato il 60%, in certi casi il 100%? A queste domande Nassim Nicholas Taleb risponde con una risata: «Altro che uscita dalla crisi - taglia corto -. In realtà la crisi è soltanto all' inizio».

E se gli si chiede come mai molti grandi banchieri d' investimento usano la sua teoria del «cigno nero» per spiegare quanto è accaduto, allora lui raddoppia la risata: «Il cigno nero indica eventi assolutamente inimmaginabili e con conseguenze estreme - dice -. Qui, invece, tutto era più che prevedibile. È come se un autista di bus si mettesse una banda nera sugli occhi e continuasse a guidare senza poter vedere la strada. È ovvio che prima o poi provoca un incidente. Così hanno fatto i capi di banche d' affari, di hedge fund, di private equity. Con governi, authority, organismi di controllo che hanno chiuso entrambi gli occhi».

Proprio «Il cigno nero» (in originale «The black swan: the impact of the highly improbable») è il titolo del suo libro più famoso, con oltre due milioni di copie vendute e traduzione in 31 lingue. Ma c' è anche un altro testo, «Fooled by randomness», che gli ha dato grande fama.

Fino al 2004 Taleb ha vissuto da protagonista nel mondo della finanza, compresi i prodotti derivati oggi sotto accusa, con ruoli di primo piano in Ubs, Crédit Suisse First Boston, Bankers Trust. Ora è docente all' istituto politecnico della New York University e alla business school della Oxford University.

Ed è uno degli studiosi più ascoltati dalla comunità economico-finanziaria internazionale. In questi giorni si trova a Milano [...]. Non andrà invece al World Economic Forum di Davos, dove lo scorso gennaio era stato accolto come una rock star: «Ci sono stato solo una volta - dice - e non ho più voglia di sentire tutte quelle inutili chiacchiere».

Professor Taleb, il rally delle Borse in questi mesi è un indice di ritrovata fiducia o il sintomo di una nuova bolla?
«Si ricorda di Jerôme Kerviel, il trader di Société Générale che ha mandato in fumo in un solo colpo 5 miliardi di dollari? Quel giorno le Borse sono crollate di oltre il 10%. Meglio insomma non fare molto affidamento su quanto succede sui mercati azionari».

Dopo il crac di Lehman Brothers tutti hanno detto che niente sarebbe più stato come prima, che la finanza mondiale sarebbe cambiata. Vede segni di mutamento?

«Nessuno. I super-bonus, i rischi azzardati, i derivati: tutto come prima. Ma rispetto a un anno fa solo in America sei milioni di persone hanno perso il lavoro».

Le indicazioni del Financial Stability Board, così come i progetti per riformare il sistema finanziario e accrescere i poteri delle authority di controllo porteranno maggiore stabilità?

«Io non ci credo».

Cosa dovrebbero fare i governi e le banche centrali?
«Nell'attuale situazione i governi non possono fare altro che continuare a stampare denaro. E la conseguenza sarà l'iper-inflazione».

Un problema serio.

«Molto serio».

Finirà mai l'era delle banche e delle aziende «too big to fail», troppo grandi perché i governi possano lasciarle fallire?

«Per riportare realismo nel sistema ci vorrebbero azioni estremamente aggressive per ridimensionare le grandi banche. Ma non vedo in giro niente di tutto questo».

Perché dice che la crisi è soltanto all' inizio?

«Questa non è una recessione come le precedenti. Altri milioni di posti di lavoro svaniranno. La gente consumerà meno. Per misurare i costi della crisi dovremo calcolare l' intero ammontare delle mancate spese da parte delle persone, in America come nel resto del mondo».

Insomma, non crede proprio a una ripresa dell' economia?

«Per ora sono solo illusioni. Per poter parlare di ripresa andrebbe prima ripulito l'intero sistema, innanzitutto attraverso la totale conversione dei debiti in capitale. La fine della crisi arriverà solo quando il rapporto fra debito e prodotto interno lordo tornerà quello degli anni '80, soprattutto negli Usa. E parlo di debiti delle persone come delle imprese. Ma in ogni caso, livelli di consumo come abbiamo visto in questi anni non sono affatto sostenibili».

Va rivisto anche il concetto di globalizzazione?

«Va innanzitutto ridimensionato. E trovo davvero bizzarro il fatto che i governi parlino di "free trade" e di "free banking" e poi corrano a salvare con denaro pubblico le grandi banche e aziende a rischio di fallire. Qualche giorno fa parlavo con l' amministratore delegato di PepsiCo e lui mi diceva di quanto è necessaria la collaborazione fra il governo e la sua azienda. È una logica perversa. I governi devono semmai dialogare con le piccole imprese, non con le grandi. Quelle possono badare a se stesse, hanno più poteri degli stessi governi. E se devono fallire, che falliscano».


"E' partita la ripresa"? Merkel si dissocia

da Il Diario di Perestroika - Megachip - 16 Novembre 2009

Ha avuto scarsa eco sulla stampa italiana il primo discorso di Angela Merkel nella veste di capo del nuovo governo davanti al parlamento tedesco. Si fa fatica a trovarne notizia anche nelle Agenzie stampa. Non sarà mica perchè la cancelliera è andata controcorrente rispetto ai fiumi di ottimismo dispensati negli ultimi tempi da economisti embedded e capi di governo?

La cancelliera tedesca ha infatti affermato che l'apice della crisi colpirà la locomotiva dell'Europa nel 2010 e che i problemi, soprattutto la disoccupazione, peggioreranno prima di migliorare, tanto che il governo tedesco si prepara a rimpinguare il fondo di salvataggio e a tagliare le tasse per sostenere la debolissima crescita economica.

Ci voleva una donna concreta e coraggiosa per dire come stanno realmente le cose, uscendo fuori dal coro di quelli che "è partita la ripresa" e "il peggio è alle spalle". Come pure ci voleva una donna, Janet Yellen, Presidente della Fed di San Francisco e membro del board della Fed (FOMC) ad ammonire che il rischio più grande oggi non è l'inflazione ma la deflazione e sul perdurare di gravi rischi per l'economia, puntando il dito sulla domanda dei consumatori che non riparte e sul credit crunch che permane ancora.


Ripresa? Ma la vogliamo piantare?

di Beatotrader - lagrandecrisi2009.blogspot.com - 16 Novembre 2009

Mi leggo dei titoloni così...

Giappone, ripresa oltre le attese: Nel terzo trimestre Pil a +1,2%...

Ma la vogliamo piantare con sta BUFALA della Ripresa??
Sparando dei titoloni grossi così e poi scrivendo in piccolo tutti i se ed i ma del caso???

Tutti esultano per i loro segni + nel PIL
che sia il +0,6% dell'Italia
che sia il +0,7% della Germania
che sia il +1,2% del Giappone
che sia il +3,5% degli USA
o che sia il +8% della Cina
ciascuno esulta per il suo segno +.....pur nelle marcate differenze numeriche...;)

IN VERITA' TUTTI SANNO che questi segni + del PIL (chiamasi Ripresa...) sono generati in larghissima parte dai super piani di stimolo, DALL'AUMENTO DEL DEBITO PUBBLICO.

Sì sì...d'accordo, meglio del crollo verticale di qualche mese fa: l'abbiamo tamponato...e non a caso uso "l'abbiamo"... perchè sono stati usati soldi NOSTRI.
Sì sì d'accordo: nel gioco delle politiche di stimoli sono fondamentali anche gli elementi di psicologia di massa.
Bisogna fare marketing...pubblicità...per amplificare l'effetto degli stimoli messi in campo, per dimostrare che sono cosa buona, che funzionano....che si auto-avverano...
Per ripristinare la basilare confidence nel sistema.

Ma le scommesse VERE INIZIERANNO IL PROSSIMO ANNO, quando vedremo se le economie sapranno veramente camminare con le proprie gambe.
Di fare un segno + di PIL cacciando qualche centinaio o migliaio di miliardi di DEBITO PUBBLICO è capace anche un bambino di 3 anni, ma poi quello stesso bambino capisce benissimo che quel debito sarà da saldare...prima o poi...

aggiornamento delle 15.36
PROPONGO UNA MORATORIA DEI DATI MACRO: se ne sospenda la pubblicazione... TANTO NON SERVONO PIU' AD UNA CIPPA...

A parte i PIL pompati dal debito pubblico di cui sopra, che sono stati "positivi"...
Negli ultimi 15gg quasi TUTTI i dati macro sono usciti PEGGIO DELLE ATTESE od hanno innestato la marcia indietro, mentre i mercati li hanno ignorati bellamente ed hanno continuato a salire (in USA siamo alla 10° giornata in positivo su 11 sedute...di cui 8 di fila...).

- La disoccupazione USA doveva stare al 9,9% invece zac! e uscita al 10,2%...e le borse sono salite...
- L'indice di fiducia Michigan (storicamente uno dei più seguiti dalle borse) dove uscire a 71 ed invece è crollato a 66 contro ogni previsione...e le borse sono salite....
- Stessa cosa ha fatto l'importante indice tedesco di fiducia, lo ZEW che inaspettatamente ha messo la marcia indietro a 51 (contro i 55 attesi)
- Oggi le vendite al dettaglio USA "sono salite oltre le attese" del +1,4% ma se le depuri dalla volatile componente auto sono salite di uno striminzito +0,2%...la metà delle attese a +0,4%...ed il dato del mese prima che era giù un pessimo -1,5% è stato rivisto a -2,3%!
- Anche gli indici manifatturieri regionali stanno mettendo la marcia indietro, come oggi il New York Empire Index che dai 34,5 del mese precedente scivola ai 23,5 (ben oltre le attese per un rintracciamento più contenuto a 30)

E guardate cosa stanno facendo OGGI le borse...
Il bello è che gli Indici, quando per es. ti esce una ramazzata come il Michigan di venerdì, abbozzano una correzione di 10 minuti (senza nemmeno riuscire più ad andare in negativo) e poi riprendono ad accelerare come se nulla fosse...

Ripeto: SOSPENDIAMO LA PUBBLICAZIONE DEI DATI MACRO e sostituiamoli con i dati del consumo di cocaina degli operatori di borsa nel mondo....ci daranno indicazioni maggiormente coerenti.

Ribadisco il mio P.S. di qualche giorno fa....
P.S. Per chi segue il trading consiglio la lettura dell'analisi di Super-Cramer (o affini): infatti chi meglio di un "consumatore di polverina bianca" potrebbe interpretare le borse di questi tempi? ;)


I conti di Tremonti "brillano" ma le Pmi chiudono

di Ugo Bertone - www.ilsussidiario.net - 17 Novembre 2009

Certo, l’Italia si avvia ad uscire dalla recessione, come titola il Corriere della Sera. Ma non ha torto Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, a sostenere che il peggio deve ancora venire. La contraddizione è solo apparente: il calabrone italiano, negli ultimi 15 mesi, ha sostenuto uno sforzo enorme, quasi innaturale, per non precipitare al suolo.

Il risultato non è stato disprezzabile. Tra il luglio del 2008 e il giugno del 2009 la bilancia commerciale italiana ha fatto registrare un passivo di 8 miliardi di euro, assai di meno di quanto accusato dal Regno Unito (102 miliardi) ma anche dalla Francia (65 miliardi).

A tenere in piedi la baracca, al solito, è stata l’industria manifatturiera che, nonostante la crisi violenta, ha generato un surplus di 45 miliardi. Questa capacità di resistenza sui mercati, però, non deve far dimenticare che, rispetto all’aprile del 2008, l’indice della produzione industriale ha perduto il 25 per cento circa: di questo passo, sarà difficile risalire ai livelli iniziali prima del 2012. Tale frana non si è ripercossa, per il momento, sull’occupazione che finora è diminuita molto meno del Pil.

Lo stesso vale per i consumi, che hanno potuto far leva sulla solidità del risparmio delle famiglie, assai meno indebitate che in altri Paesi avanzati. Nello tesso periodo anche i conti pubblici hanno evitato la catastrofe. È vero che il debito pubblico complessivo è cresciuto di 139 miliardi mentre nello stesso periodo i contribuenti hanno versato 9,2 miliardi in meno al fisco, ovvero il 3,3 per cento in meno rispetto a quanto raccolto un anno prima.

Ma al di là delle apparenze, anche quest’ultimo dato offre però motivi di relativo ottimismo se si dà uno sguardo in casa altrui. Da gennaio ad agosto (manca ancora il dato comparativo di settembre) le entrate fiscali tedesche hanno registrato un calo del 5 per cento abbondante, in Francia del 21 per cento. Assai consistente la frana in Gran Bretagna (-12,5 per cento) e nel grande malato d’Europa, la Spagna, dove, per dare una misura della crisi, basti dire che le entrate Iva sono crollate del 38 per cento.

Non è il caso di cantar vittoria, viste le dimensioni del debito pubblico. Ma la progressione dell’indebitamento è molto inferiore a quella di altri Paesi: da un rapporto debito/Pil di 103,5 punti nel 2007 a quota 117,8 nel 2011 per effetto del Pil debole più che delle spese, contro un balzo di 32 punti negli Usa già nel 2010 e di 44 punti in Gran Bretagna. Non solo. Anche grazie alla solidità del risparmio delle famiglie, il rating del Bel Paese tiene, mentre si assottiglia la forbice tra Btp e Bund, il vero termometro della fiducia dei mercati.

Insomma, il calabrone se l’è cavata. Ma è stanco e stressato. Il rischio è che la macchina produttiva italiana vada in tilt proprio ora, quando i cenni di ripresina internazionale si vanno facendo più chiari e forti, con implicazioni positive per le grandi economie export oriented: la Germania, che tra l’altro può contare su una robusta politica di incentivi industriali; il Giappone, cresciuto nel terzo trimestre ad una velocità doppia di quella italiana che, nonostante il forte apprezzamento dello yen, può contare sul robusto aumento della domanda cinese.

E l’Italia? A leggere i tanti Sos in arrivo dalle piccole imprese che non riescono a far fronte ai pagamenti dei fornitori per i ritardi nei pagamenti delle fatture, si ha la sensazione che il fenomeno del credit crunch morda oggi più di ieri, nelle fasi iniziali della ripresa internazionale, quando le aziende vorrebbero ricominciare ad investire riemergendo dall’apnea dei mesi passati.

Il rischio, quindi, è che la mancanza di credito possa far svanire le possibilità di agganciare la ripresa, già complicata dalla rivalutazione dell’euro sul dollaro e sul renminbi. Il calabrone rischia di cadere proprio ora quando i venti potrebbero dare un aiuto. Il possibile rimedio? L’elenco è lungo. Ma è il caso di rilevare che la crisi ha colpito di più le imprese, vittime del calo del commercio mondiale, che i consumi delle famiglie.

E così, accanto al sostegno degli ammortizzatori sociali occorre stimolare il rafforzamento del capitale delle imprese, attivando iniziative di private equity e sfruttando la spinta dello scudo. Ma prima ancora sarebbe opportuno accelerare i tempi di pagamento della Pubblica amministrazione, a vantaggio dell’economia locale, quella che può garantire i risultati più rapidi in materia di tenuta dell’occupazione.


Economie non sostenibili: crisi e collasso. Il caso della Spagna

di Pietro Cambi - http://crisis.blogosfere.it - 16 Novembre 2009

Ve lo ricordate, vero, quando la Spagna era l'esempio da seguire, Zapatero o non Zapatero?

Il treno in corsa, la Cina d'Europa, con tassi di crescita prodigiosi, il debito pubblico più basso d'Europa, un avanzo di bilancio statale dell' uno e mezzo per cento... beh: è finita.

Quella crescita era insostenibile, non si basava su una economia REALE, sana, ma su un boom veramente smodato del settore immobiliare, un boom che finiva di devastare le parti di costa non ancora ricoperte dal cemento, che si basava sul turismo mordi e fuggi, che generava poca professionalità e molto sottolavoro malpagato etc etc.

Saprete certo che la Spagna ora è il vero buco nero d'Europa, che ingoia speranze, soldi e vite a milioni. La sua economia non si è fermata: si è disintegrata contro un muro di cemento (ironia della sorte). I pezzi stanno ancora volando per aria.

Solo ad Ottobre, ultimo dato disponibile, si sono persi quasi centomila posti di lavoro.

Ma come è successo? Con che tempistica?

Cosa avevano previsto, compreso, dell'uragano in arrivo i media, i governanti e i vari istituti di ricerca?

Ho lavorato un poco su questa cosa e, anziche' proporvi la MIA pappardella, vi metto a disposizione lo "scartafaccio", il foglio di lavoro con i mei appunti.

Un modo per andare "dietro le quinte" e spiegare anche il lavoro, tanto o poco che sia, che sta dietro ad ognuno dei nostri post (o almeno a parecchi, eh).

Vi potrete così fare una idea DA SOLI, con i FATTI, crudi e nudi.

Qui mi limito a ricordare la mia massima preferita (Einstein, credo): "le previsioni sono difficili, specie quelle riguardanti il futuro."


% disoccupazione n. disoccupati
26-gen-07 8,30% 1800000
L'inizio della storia




http://it.euronews.net/2007/01/26/prosegue-il-calo-dei-disoccupati-in-spagna/




"Continua a scendere il numero dei senza lavoro in Spagna. Secondo i dati diffusi dall’Ufficio di statistica di Madrid nel quarto trimestre del 2006 gli iscritti all’ufficio di collocamento della penisola iberica supera un milione e ottocentomila unità: é




E’ costante la diminuzione dei disoccupati che sono passati nel giro di un anno dal 9,7 all’attuale 8,3% della popolazione attiva: e sempre su base annuale il numero dei senza lavoro é in ribasso di 30 mila unità




Il ministro del lavoro del governo Zapatero sprizza gioia da tutti i pori: a suo parere nel 2007 il tasso di disoccupazione potrà per la prima volta scendere al di sotto dell’8%.




A dare vigore all’economia nella penisola iberica é soprattutto il settore immobiliare al punto che la crescita nell’edilizia è un vero e proprio motore per la zona euro"









Perché è successo ?? Un buon indizio




http://www.businessonline.it/stampa/1/EconomiaeFinanza/1362/ricetta-economica-spagnola-zapatero.html





10-gen-08 8,60% 1860000
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2008/01/pil-spagna-zapatero.shtml?uuid=b31dc196-bf7a-11dc-92dc-00000e25108c&DocRulesView=Libero




Deliri di grandezza di Zapatero





04-mar-08 8,60%

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2008/03/due-milioni-posti-lavoro.shtml?uuid=4a60d07a-e9bf-11dc-a429-00000e25108c&DocRulesView=Libero




Ancora ci crede, Zapatero





30-apr-08


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=197&ID_articolo=514&ID_sezione=404&sezione=In%20diretta%20da%20Bruxelles




Ci superano? Non ci superano?





08-mag-08 10,70% 2338517
http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=204139




cominciano le rogne ma ancora non ci credono ( dicono disoccupazione sotto il 10% nel 2009)





02-set-08
2500000
http://it.euronews.net/2008/09/02/spains-jobless-worst-in-a-decade/




Rogne in piena esplosione ma i piu' pessimisti tra gli analisti prevedono disoccupazione al 15% nel 2009





09-set-08 10,50%

http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=200809091238105351&chkAgenzie=TMFI&sez=news




Solbes: rischio recessione e via gli immigrati





31-ott-08 11,33%

http://it.euronews.net/2008/10/31/spains-economy-shrinks-towards-recession/




Spagna maglia nera europea





29-dic-08
3000001
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200812articoli/39521girata.asp




Si prevede disoccupazione dal 15 al 19%





31-gen-09 14,80%

http://www.unita.it/newsansa/21735/ocse_disoccupazione_a_gennaio_sale_a_su_anno





03-mar-09 15,90% 3480000
http://it.euronews.net/2009/03/03/nuovo-record-di-disoccupati-in-spagna/




quattro milioni di disoccupati entro la fine dell'anno





30-apr-09 18,10%

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200906articoli/44266girata.asp





12-giu-09


http://borsaitaliana.it.reuters.com/article/foreignNews/idITLC22092820090612




Il collasso totale





30-set-09 19,30%

creativita' masturbatoria




http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=79995&sez=LEALTRE





31-ott-09
3800000
http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=200911030937111682&chkAgenzie=TMFI&sez=news&testo=&titolo=Spagna,%20+2,7%%20a%203,8%20milioni%20disoccupati%20in%20ottobre