domenica 15 novembre 2009

Update italiota

Un altro update sulla nauseabonda melma italiota.


Lannes: la pericolosa solitudine di chi riporta i fatti osceni
di Antonella Beccaria - Xaaraan - 14 Novembre 2009

Intervista a Gianni Lannes

Mettetevi comodi prima di iniziare a leggere questa intervista. E fatelo per due ragioni: la prima, preliminare, perché l’intervista è lunga. La seconda perché, proprio per il dettaglio delle risposte, vi racconterà un pezzo di storia che sui giornali leggete di rado. Dovete andare a cercarvela, questa informazione, tra le rare incursioni sui quotidiani nazionali o nelle colonne della stampa quasi di nicchia.

Eppure Gianni Lannes, il giornalista che parla nelle righe che seguono, a qualcuno dà fastidio. Dà fastidio al punto che nei giorni scorsi ha subìto una nuova – e non di scarso rilievo – intimidazione. Come scrisse il giornalista Andrea Purgatori nella sceneggiatura del film Il muro di gomma, il racconto della sua indagine sull’abbattimento del DC9 dell’Itavia sui cieli di Ustica, «la notizia è finita a pagina 16, ma qualcuno l’ha letta». Non occorre conquistarsi le aperture delle prime pagine per dimostrare la propria professionalità. E non occorre conquistarsele nemmeno per vedersi minacciati di morte.

Insomma, prendetevi il tempo che vi serve per leggere quanto vi viene raccontato. Fatelo “a puntate”, nel caso non possiate farlo in un fiato, ma arrivate fino in fondo. Perché ci sono aspetti della vostra vita che non vi vengono raccontati. Eppure qualcuno paga per tutti scontando la “colpa” di ricostruirli, quei fatti. Paga anche per voi.

Un’auto incendiata a luglio, promesse di morte arrivata via mail e nei giorni scorsi l’esplosione della seconda vettura. Ma cosa stai scrivendo che dà così tanto fastidio?

Non ho bisogno e non mi interessa fare pubblicità, ma ho appena pubblicato un libro intitolato Nato: colpito e affondato relativo a una quasi sconosciuta Ustica bis – anche se ne avevo anticipato in sintesi i contenuti esplosivi il 4 novembre 2008 sul quotidiano La Stampa

Un errore di valutazione, un’intimidazione? Un altro dato è certo: 3 giorni prima avevo ricevuto un e-mail con specifiche minacce di morte. Per conto della Rai, o meglio della trasmissione La storia siamo noi del collega Minoli, sto realizzando un servizio televisivo sul caso del peschereccio “Francesco Padre”, legato da un solido filo rosso alla vicenda del Moby Prince, del Cermis, di Ustica e del duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Insomma, roba di poco conto, nell’Italia di papi e delle veline: traffico di armamenti tra Stati, giochi di guerra nei mari italiani, segreti militari, sovranità limitata e perfino smembramento a tavolino della Jugoslavia.
– relativa ai trattati segreti fra il nostro Paese e gli Usa, ma soprattutto l’Alleanza atlantica. Il 2 luglio mi sarei dovuto recare a Napoli per intervistare il professor Giulio Russo Krauss, docente all’Accademia navale di Livorno, all’università Federico II, nonché consulente giudiziario. Ma qualcuno ha pensato bene di disintegrare l’autovettura di mia moglie sotto la mia abitazione sconosciuta ai più.

Tanto che proprio recentemente, il presidente del consiglio ha pensato bene di sigillare le nefandezze della Nato che riguardano il Belpaese, addirittura attraverso la promulgazione del decreto 12 giugno 2009, pubblicato con tanto di omissis in Gazzetta Ufficiale il 6 luglio scorso.
Purtroppo, quasi nessuno si è accorto del bel gesto: forse le sedicenti grandi firme dello Stivale erano in vacanza. Il 23 luglio quando ignoti hanno sabotato i freni della mia auto mi sarei dovuto recare alla procura della Repubblica di Trani per la disamina di documentazione giudiziaria attinente gli intrecci appena indicati. Il 5 novembre ho trascorso gran parte della mattinata al tribunale di Lucera (una sorte di porto delle nebbie in scala locale), in provincia di Foggia, per visionare un fascicolo impolverato e dimenticato, concernente il caso della nave nipponica “Et Suyo Maru” abbandonata con il suo carico letale di rifiuti pericolosi il 16 dicembre 1988 nel mare Adriatico.

Infatti recentemente sotto impulso di numerose associazioni del Gargano e dell’opinione pubblica pugliese, ho ripreso le inchieste sulle famigerate navi dei veleni. Del fenomeno avevo iniziato ad occuparmene al termine degli anni ‘80. Nel 1998 (La Nuova Ecologia) e nel 1999 (Avvenimenti), un mensile ed un settimanale a tiratura nazionale avevano pubblicato i miei primi approfondimenti in materia. Nel 2006, dopo 3 anni di lavoro in prima linea per conto del settimanale Famiglia Cristiana, con inchiesta di spessore internazionale, dopo aver concordato con il direttore la pubblicazione di un’approfondita inchiesta sulla delicata questione, ho appreso da colleghi che il mio lavoro non sarebbe mai uscito.

Dunque hai lavorato per nulla?

Così è stato: nel 2006 il noto periodico mi ha pagato una lauta cifra per un’inchiesta scottante affinché rimanesse sigillata in un cassetto. Ho tentato invano di chiedere spiegazioni a don Antonio Sciortino, ma il prete si è rifiutato addirittura di parlarmi al telefono. Così il 23 febbraio 2007 dopo aver ulteriormente approfondito il tema ho pubblicato quel lavoro sul settimanale Left. A dirla tutta, prima ancora sono stato costretto ad abbandonare in tutta fretta Roma, dove ho vissuto e lavorato per lunghi anni, dopo aver pubblicato sul quotidiano Il Manifesto, l’inchiesta “Il secondo omicidio di Ilaria e Miran. Targato Taormina”. Come è noto il penalista di fama a capo della commissione di inchiesta ha sostenuto la inverosimile convinzione che Ilaria e Miran fossero andati a trascorrere le vacanze in Somalia. Purtroppo, per sfortuna dell’avvocato Taormina, ho smontato il suo sgangherato teorema.

Un particolare non ancora pubblicato: qualche anno prima che il principe del foro esternasse urbi et orbi la sua convinzione sul caso, mi era capitato di intervistarlo in più occasioni nel suo studio di via Cesi. In un archivio ben protetto e al sicuro all’estero, è custodita la registrazione delle intervista al legale nella quale ancora prima di presiedere la suddetta commissione parlamentare ed avviare le indagini rivelava al cronista tale tesi preconfezionata.

Perché cercare di ridurti al silenzio?

I moventi per ammazzarmi potrebbero essere innumerevoli: ho tanti nemici, soprattutto istituzionali. Nel settembre 2007, dopo aver mutato rapidamente domicilio ed essermi trasferito da un capo all’altro dell’Italia, ho ricevuto una lettera anonima in cui c’era scritto: “Gianni Lannes sei morto”. Ero a Catania per una conferenza sui disastri di Sigonella (già pubblicati dal mensile Narcomafie e dal settimanale Left) quando ho appreso dalla mia compagna la funerea notizia. Ho prontamente denunciato l’accaduto alla Dda dopo essermi consultato con alcuni magistrati amici e quindi cambiato ancora una volta repentinamente casa.

Dal settembre 2008 sono a contratto con il quotidiano La Stampa e dopo aver pubblicato innumerevoli inchieste di un certo spessore (basta scorrere al dettaglio l’intera annata), ho ricevuto un primo inspiegabile stop dopo aver toccato alcuni interessi del governo italiano in Egitto e poi la Barilla (vedi inchiesta dell’11 ottobre 2008), controllata in parte dalla famiglia elvetica Anda, di noti trafficanti bellici e sono stato congelato. A tale proposito è inquietante l’aver concordato con questo giornale inchieste mai pubblicate: una di queste riguarda il presidente del Senato Schifani. Il cittadino onorario di Corleone ha sponsorizzato in Sicilia, una superstrada inutile e deleteria – già bloccata alcuni anni fa – che farà scempio della bosco della Ficuzza. A dicembre dello scorso anno, quando era in fase di pubblicazione il reportage, il suo segretario personale mi ha invitato alla festa del ventaglio al Senato. Ci sono andato come un pesce fuor d’acqua alla presenza di tanti illustri colleghi che bivaccano comodamente in Parlamento a stagioni alterne. Schifani ha voluto conoscermi, stringermi la mano e chiedermi conto in particolare di questo mio interessamento. Fatto sta che dopo una successiva visita lampo alla redazione del quotidiano torinese (febbraio 2009) quel lavoro come altri concordati non è mai uscito. Dulcis in fundo: l’allora direttore Giulio Anselmi col quale avevo già lavorato al settimanale L’Espresso è stato allontanato con una promozione all’Ansa.

Leggendo ciò di cui ti stai occupando adesso e di cui ti sei occupato in passato, potrebbero essere varie le fonti delle intimidazioni. Tu quali ritieni siano le più probabili?

I moventi riconducibili ai 3 attentati e alla mail intimidatoria potrebbero scaturire da mie inchieste pregresse. Mi sono occupato di traffico di armi a livello planetario e sfruttamento di risorse naturali in Africa (Congo: coltan). E ancora: per conto dei settimanali L’Espresso e Panorama ho pubblicato inchieste sulla Somalia (sequestri di pescherecci oceanici). Ho seguito le guerre in Jugoslavia e il martirio dei profughi. Ho raccontato in diretta la strage della nave albanese “Kater I Rades” affondata da nave Sibilla della Marina militare italiana, nonostante il carico umano. Ho descritto per anni le rotte e gli intrecci affaristici dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Soprattutto mi sono occupato di ecomafie.

Più recentemente, dopo aver dato vita al giornale online Italia Terra Nostra, ho accentrato l’attenzione della mia testata su un fenomeno singolare che ha investito la provincia di Foggia: ben 54 impianti industriali (dai 50 ai 120 milioni di euro a progetto che intercetteranno finanziamenti pubblici) saranno costruiti per produrre energia “rinnovabile”. In teoria niente di strano, ma a ben guardare si tratta di progetti mascherati, ovvero fasulli. È impossibile proporre in Italia la realizzazione di inceneritori di rifiuti senza suscitare la doverosa protesta dei cittadini, conseguenzialmente il cavallo di troia per penetrare nel territorio è la centrale a biomasse di varia potenza termica e natura elettrica.

Che bisogno ci sarebbe di questi impianti?

La Puglia – dati ufficiali alla mano – vanta un surplus energetico del 48 per cento, dunque non ha bisogno di produrre altra energia, anzi non riesce a distribuire efficacemente neanche quella attualmente prodotta a causa della vetustà delle reti. 54 impianti di tale natura – eludendo Via e Vas – se risultano concentrati in un unico territorio che vive prevalentemente di agricoltura e turismo. Vuol dire una sola cosa: nei piani alti del potere hanno deciso che questo angolo del Mezzogiorno sarà trasformato in breve tempo in un inferno industriale. Ecco alcuni esempi a portato di binocolo. Il cosiddetto “termovalorizzatore” che il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia intende costruire – con denaro pubblico – nella più pregiata area agricola dell’intera Puglia, ovvero a Borgo Tressanti (1000 anime di contadini indifesi) senza una rigorosa valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica, come impongono le normative in materia, calpestando la volontà popolare e il semplice buon senso.

Oppure il termovalorizzatore delle società Enterra di Bergamo e Stilo a Borgo Eridania (a metà strada tra San Severo e Foggia), a 30 metri dalle case di numerosi bambini e anziani. Oppure a Carapelle, dove la Caviro di Faenza erigerà un’altra “centrale a biomasse” a 500 metri dal paese, contro la volontà popolare già espressa al presidente Vendola, le leggi di protezione sanitaria. L’80 per cento dei comuni dell’antica Daunia ospiterà impianti di tal fatta, sponsorizzati da aziende del nord, sovente infiltrate dalla criminalità organizzata. Ecco un altro documentato riferimento, ovvero il cementificio (una sorta di mega inceneritore a cielo aperto e senza controlli) osteggiato dalla popolazione ad Apricena del gruppo veneto Grigolin (investimento pari a 100 milioni di euro).

Dove ti sta portando tutto questo lavoro?

Sto tentando semplicemente di mandare a monte questi piani speculativi. Il Mezzogiorno non è una colonia. L’hanno scorso, grazie alla mobilitazione popolare che ho suscitato, è stato possibile bloccare la realizzazione di una immensa discarica di rifiuti pericolosi provenienti anche dall’estero – autorizzata illegalmente, come ha poi sanzionato il Tar e il Consiglio di Stato, dalla provincia allora a guida del centro-sinistra col beneplacito della regione – che il patron dell’Agecos Spa (con impianti in Romania, Puglia, Basilicata e Sicilia), tale Rocco Bonassisa (poi arrestato il 4 giugno 2008), stava realizzando, addirittura sulle condutture idriche e i pozzi dell’acquedotto pugliese.

Due episodi non fanno statistica, ma almeno esperienza. Qual è stata la risposta delle forze dell’ordine e della magistratura di fronte agli avvertimenti di cui sei oggetto? Ti verrà assegnata una scorta?

Quando si finisce nel mirino delle mafie istituzionali vuol dire che attraverso l’approfondimento giornalistico si stanno intaccando interessi economici notevoli e sedimentati sul territorio, punti di contatto tra la criminalità organizzata, pezzi delle istituzioni e della politica. Le mafie dai colletti inamidati in odore di massoneria deviata non scherzano. Il prefetto di Foggia Nunziante il 6 novembre ha detto testualmente all’europarlamentare Sonia Alfano che “la scorta non mi serve”. Insomma, devono ammazzarmi affinché poi qualcuno possa retoricamente strapparsi i capelli. Comunque, a filo di memoria, rammento che il marcio è allocato proprio in prefettura. Prove alla mano, basta rileggersi quanto ho scritto e pubblicato – nel settembre 2007 – sul mensile Narcomafie di don Luigi Ciotti, a proposito di tale Michele Di Bari, intoccabile ed eterno vice prefetto. In quella specifica inchiesta giornalistica è spiegato proprio tutto. Ecco perché non intendono proteggermi. Francamente non so a che punto sia l’indagine dell’autorità giudiziaria sugli attentati che ho subito.

Forse è in alto mare o magari è a buon punto. A me non hanno comunicato nulla e nessuno si è fatto vivo, se non un onesto e qualificato ufficiale dei carabinieri il quale mi ha riferito che il mio caso è in fase di valutazione in merito a un’eventuale protezione.

Non ci tengo a fare una vita blindata. Amo muovermi liberamente e poi chi parlerebbe con un investigativo del mio calibro accompagnato dalla scorta? Il nodo cruciale è probabilmente un altro: abbiamo smarrito il buon senso. Al di là del mio caso personale vi sembra normale che interi territori della penisola non siano più controllati dallo Stato? È pacifico che cittadini, magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, giornalisti e chiunque faccia quotidianamente il suo dovere debba rischiare la vita? In Italia vi è ancora uno Stato di diritto?

A tutti è noto il caso di Luigi De Magistris, un integerrimo magistrato costretto a gettare alle ortiche la toga perché i poteri forti in seno allo Stato gli hanno impedito concretamente di seguitare a svolgere il suo prezioso lavoro. E la gogna mediatica, ma non solo, a cui è stato sottoposto Gioacchino Genchi, già valido collaboratore di Giovanni Falcone, appartiene già al passato remoto di un Paese allo sbando sociale e politico? E il defenestramento dal Corriere della Sera di Carlo Vulpio solo perché ha toccato nervi scoperti come lo spieghiamo?

Quale invece la reazione dei colleghi, degli altri giornalisti? E delle tue fonti, delle persone con cui sei in contatto per scrivere le tue storie?

A parte gli amici, soltanto i colleghi del TG 3 nazionale della Rai hanno realizzato un servizio sulla mia vicenda. Tanti altri pennivendoli hanno preferito il silenzio assordante.

Per fortuna, le mie fonti informative non si lasciano intimidire. Col tempo mi sono conquistato fiducia e credibilità professionale in Italia e soprattutto all’estero: i colleghi di Der Spiegel – il più importante settimanale d’inchiesta attualmente operativo in Europa – e gli amici di Libération sono sconcertati dalla disattenzione della categoria.

Nella provincia, lontano dai riflettori dei media nazionali, capita spesso che i cronisti siano oggetto di intimidazioni? Di recente si è parlato del caso di Calabria Ora e del suo direttore, Paolo Pollichieni, oppure di Pino Maniaci e di Telejato. L’impressione però è che emerga solo una minima parte della pressione a cui sono sottoposti i giornalisti che lavorano alla periferia dell’impero. È corretto?

Esistono numerosi bravi colleghi assolutamente non famosi che solcano le periferie del Belpaese in assoluta solitudine. Praticano sul campo questo nobile mestiere e spesso lavorano senza guadagnare granché, anzi ci rimettono, come tanti free lance, i più sfruttati in assoluto. Non ho mai sentito né visto l’ordine professionale prendere posizione. Solo a scrutare la Sicilia potrei citare il caso di Gabriele Orioles e Graziella Proto, oppure Federico Orlando o Dino Paternostro e Lirio Abbate.

A qualcuno hanno bruciato l’auto. Ad altri hanno fatto una telefonata. Alcuni sono stati selvaggiamente picchiati o minacciati a mano armata. In questi ultimi 5 anni i segnali di insofferenza nei confronti di cronisti impavidi o ficcanaso ce ne sono tanti, troppi.

Al di là dei temi che stai seguendo tu e delle conseguenze che subisci, quali sono al momento secondo te i temi che la stampa nazionale dovrebbe trattare e invece non racconta?

L’agenda dei mass media in Italia è dettata attualmente in massima parte in Italia dai potentati finanziari che influenzano anche la politica e siedono nei consigli d’amministrazione editoriale, non solo direttamente nelle redazioni che contano. Il conflitto di interessi del presidente Berlusconi è certo eclatante, ma dov’era l’opposizione quando l’unto del signore ha assemblato in un baleno un partito di sudditi a suo uso e consumo e si è candidato?

La carta stampata, quando non è imbottita miseramente di pubblicità, è fotocopia indecente di pseudo narrazioni. La tv è anche peggio. I giornali italiani arrivano sempre ridicolmente in ritardo, sempre a fatti compiuti, a rimorchio degli eventi. Indosso gli abiti del lettore medio (su dieci cittadini, uno soltanto legge i quotidiani): ci fanno assistere solo all’ultimo atto della tragedia, e l’eccitazione si spegne presto, in attesa della prossima catastrofe ventura. Altro che specchio della realtà come dovrebbero essere gli organi di informazione. Ogni giorno va in onda e in pagina la disinformazione, con qualche modesta eccezione.

Quello che preme, a cui dedicare pagine e pagine, è il chiacchiericcio politico, la cronaca del palazzo per lo più basata sul nulla. I giornalisti dovrebbero tornare a calcare il territorio, ad ingoiare polvere come facciamo noi free lance, tanto per cominciare. Non si può lavorare comodamente dietro una scrivania e cucinare pezzi copia e incolla. È ridicolo, oltreché vergognoso. E poi lo sfruttamento dei giovani pagati in nero, quando sono fortunati e magari dopo tre mesi, con compensi da fame. Dove sono i sindacati e la casta dell’Ordine?

Ecco un altro esempio documentato. Ad aprile sono stato tra i primi a raggiungere nel cuore della notte l’Abruzzo martoriato dal terremoto. Per una settimana ne ho scritto per La Stampa. In quel frangente alcuni colleghi del Corsera mi hanno chiesto di realizzare dei servizi fotografici per corredare il loro lavoro. Così è stato. Mi sono fidato sulla parola. Risultato: il Corriere della Sera ha pubblicato le mie foto, ha omesso il mio nome e a tutt’oggi non mi ancora neppure pagato. Recentemente ho scritto al direttore De Bortoli, ma niente. A costo di essere irriso come ingenuo, provo a indicare sommariamente cosa dovrebbe finalmente capire la nostra cultura e come dovrebbe comportarsi la stampa. Serve a poco l’informazione accidentale, improvvisata e sussultoria: è necessario che la stampa dia un’informazione costante e incessante, assumendo un compito formativo, orientativo, educativo, oserei dire pedagogico dell’opinione pubblica e di stimolo fortemente critico verso politicanti e amministratori pubblici.

Quanto c’entra l’autocensura in questo caso? Quanto la solitudine, la paura per la propria incolumità fisica e per quella delle proprie famiglie finisce con lo zittire i giornalisti?

Nel mio caso l’autocensura non ha alcun significato. Se non fossi stato in grado di difendermi anche dalle aggressioni fisiche e perfino a mano armata non sarei ovviamente ora a discuterne, ma in un ridente camposanto o sotto forma di cenere in mare. Pesa più di tutto la solitudine, il vuoto attorno, anzi il deserto. Gli affetti delle famiglie hanno il loro peso specifico, ma non credo che il timore di ritorsioni riesca a zittire i giornalisti autentici. Un dato oggettivo: i giornalisti italiani non godono di alcun tipo di protezione, nemmeno dal rispettivo ordine professionale e meno che meno dallo Stato; eppure sono sulla carta il quinto potere.

Perché tu non te ne stai zitto, come molti altri, non obbedisci alle regole non codificate del silenzio, tiri a campare (magari pure meglio)? Sei un eroe? Saviano diceva davanti alla telecamera di Carlo Lucarelli parlando dei casalesi: «Sì, ce l’ho con loro, è un fatto personale. Hanno avvelenato e offeso la mia gente. E sì, scrivo per rancore, perché così facendo vogliono rovinare anche la mia vita rovinando quella della mia terra». Qualcosa del genere lo pensi anche tu?

È impossibile mettermi a tacere. Basterebbe scorrere il dna della mia famiglia. Sono nato in Italia, ma la mia discendenza è francese. Un mio antenato, Jean Lannes, di umili origini si è guadagnato i galloni sul campo combattendo al fianco di Napoleone. Il generale Lannes è sepolto al Pantheon accanto a Voltaire e Rousseau, tra i grandi di Francia. Gli amici d’Oltralpe mi hanno offerto ospitalità e protezione, ma io resto nel Gargano dove sono nato e non mi trasferirò in Corsica o nel boulevard Lannes di Parigi, dove sarebbe agevole vivere e lavorare alla luce del sole. Sono un uomo che non si piega ai compromessi.

L’anno scorso ho fatto arrestare un ras delle ecomafie (Rocco Bonassisa) che aveva tentato di comprare il mio silenzio con 600 mila euro e la testa di alcuni politicanti corrotti. L’ho denunciato e fatto incastrare dalla Guardia di Finanza. Sono abituato a combattere in prima linea. Nel 1993 da solo ho bloccato la realizzazione di una superstrada che avrebbe massacrato il promontorio garganico.

Non sono un eroe e non temo la morte. Tante volte, soprattutto durante l’assedio di Sarajevo, l’ho sfiorata. Ho vissuto sotto i miei occhi carneficine di esseri umani e habitat naturali. Ho paura, certo non sono un automa, ma solo dell’incomprensione umana in questo tempo del disamore. Scrivo per passione, per amore della verità, anche se l’obiettività è solo un mito a cui tendiamo. Appartengo a una specie in via di estinzione. In Italia non esistono più editori puri e non si investe realmente in questo tipo di attività, soprattutto per i conflitti di interesse dei padroni del vapore.

Continuerai a fare il tuo lavoro? Sei sempre dell’idea che ne vale la pena?

Sono innamorato del giornalismo: ho fatto tanta gavetta, mai raccomandato, anzi. Faccio fatica a far quadrare i bilanci economici perché pagano dopo mesi, eppure non saprei rinunciare a questa vita professionale. Non mollerò mai. Se pensano di intimidirmi così, perdono tempo. Possono soltanto ammazzarmi. Devono però colpire solo me, magari al cuore e lasciare in pace la mia famiglia, tanto le istituzioni rimangono assenti e silenti. Allora: su la testa.


La favola svanita di un’Italia onesta diventata un bordello
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 13 Novembre 2009

Ma che Paese è diventato il Bel Paese? Dove si cerca di liberarsi di un premier non per reati di cui è imputato ma per delle vicende del tutto private; dove si massacra un uomo politico per le sue preferenze sessuali; dove i militari dell’Arma, la Benemerita, "nei secoli fedele", fanno irruzione in una casa senza che ci sia un mandato della magistratura, senza flagranza di reato (che, per definizione, non può essere ipotetica), ne intimidiscono, minacciano e ricattano gli occupanti, li filmano per poi cercare di vendere la refurtiva a giornalisti, editori, imprenditori alcuni dei quali se la tengono nel cassetto per ogni evenienza, dove la presidente del più grande gruppo mediatico, venuta in possesso della refurtiva, la consegna al presidente del Consiglio, affermando poi di non averlo fatto in quanto manager del Gruppo del padre (cosa che andrebbe in palese conflitto di interessi) ma "da figlia", come se i due potessero scindersi schizofrenicamente in una questione che non ha nulla di familiare; dove questo stesso presidente del Consiglio telefona alla vittima del ricatto assicurandogli ambiguamente che i suoi media non utilizzeranno quei filmati (e svelando così il conflitto di interessi negato dalla figlia) e gli indica anche il luogo dove si trova la refurtiva; dove non si capisce più se i giornalisti fanno ancora i giornalisti o i ricattatori e se il premier fa il premier o l’imprenditore o qualche altra cosa; dove la notorietà criminale non è motivo di bando ma più spesso di ammirazione e i Fabrizio Corona diventano idoli delle folle.

L’Italia è diventata un bordello. Non perché il premier va a escort e qualcun altro a trans, ma perché sono state sovvertite tutte le regole. Un bordello squallido e triste, la cui cupezza si respira nell’aria. Raccontavo qualche giorno fa a una mia giovane amica la Milano dei ’50, di quando ero ragazzino.

Eravamo poveri, allegri e spavaldi. I tram erano stipati fino all'inverosimile con la gente sui predellini aperti e qualcuno attaccato al troller. Uscivamo dalla guerra, ci eravamo salvati dai bombardamenti angloamericani e dai rastrellamenti tedeschi, non ci poteva certo spaventare una caduta dal tram. Tutti, uomini e donne, fumavano.

Il terrorismo diagnostico era di là da venire. Noi ragazzini uscivamo di casa alle due del pomeriggio e rientravamo con le ginocchia sbucciate, alle otto, senza che i nostri genitori se ne preoccupassero. Perché nel quartiere c’era un controllo sociale e se un bambino si fosse messo nei guai ci avrebbero pensato gli adulti a tirarlo fuori e un pedofilo sarebbe stato avvistato a un chilometro di distanza.

Eppoi c’era, "il ghisa", il vigile, autorità sovrana. La "pula" non aveva bisogno di farsi vedere. La malavita era professionale, conosceva le regole, stava attenta a non spargere una goccia di sangue (il colpo in banca della banda di via Osoppo, senza un ferito, tenne la scena sui giornali per mesi). Eravamo solidali perché eravamo poveri e anche quelli che non lo erano non lo davano a vedere. Il sordido gioco degli "status simbol" non era ancora cominciato.

Lealtà e onore erano moneta sonante.
Se fra noi ragazzi ci si scontrava a pugni sulla strada - dove ci siamo formati - e un gruppo era di dieci e l’altro, poniamo di otto, due si levavano per far pari. E l'onestà era un valore assoluto. Per la borghesia, se non altro perché dava credito. Per il proletariato, per il mondo contadino dove la stretta di mano contava più di un contratto. Mentre raccontavo queste e altre cose i begli occhi della mia amica si ingrandivano, si sgranavano. Alla fine mi ha detto "tu mi stai raccontando una favola, questa non è l’Italia". Appunto.



Eutelia. macchè crisi, è "dark economy"
di Debora Billi - http://crisis.blogosfere.it - 13 Novembre 2009

Il serio imprenditore qui raffigurato è Samuele Landi, ex AD di Eutelia, a cui ha reso l'ultimo grande servizio mettendosi a capo di un commando di guardie private per suonarle di santa ragione ai lavoratori che hanno osato occupare la sua ex azienda. Nottetempo, neanche fosse alla Diaz.

Landi ha poi dichiarato, riportato dalla stampa tutta, che all'Eutelia ci sono solo 4 ragazzini dai centri sociali e la faccenda dell'occupazione è tutta una finzione politica.

Così mi sono detta: andiamo a verificare 'sta finzione. Effettivamente mi sembrava strano fin dall'inizio, che degli attempati ingegneri si mettessero a tirar su bandiere rosse, ad accendere fuochi e a dormire tra le scrivanie. L'Eutelia è occupata dal 28 Ottobre, e i dipendenti (quasi tutti ingegneri, appunto) non prendono lo stipendio dal luglio scorso.

Arrivare da loro è facilissimo: si trovano nella Tiburtina Valley, tra modernissimi palazzi in acciaio e vetro costruiti per il top delle nostre aziende di terziario avanzato. Faceva IT e TLC, l'Eutelia, come tante altre nella zona, e oggi si distingue per gli striscioni e le bandiere disseminati anche nelle vie circostanti, che come mollichine di pane ti guidano fino al cuore di questa strana storia.

Sono in tanti a presidiare, anche un giovedì pomeriggio qualunque. Sarà merito di Landi, che con la sua estrosa iniziativa ha attirato finalmente l'attenzione su di loro. L'accoglienza è amichevole, ed effettivamente vedere tutti quei lettini disposti tra scrivanie e computer fa piuttosto effetto.

Il mio fotoreporter, che ha solo 10 anni, è rimasto talmente colpito che gli tremava la mano (trovate il tremolante servizio qui). Al centro dell'ufficio campeggia una lavagna, in cui è minuziosamente descritta la storia di Eutelia. Ciccio, un ingegnere siciliano, volentieri si presta a ripetere la spiegazione per i visitatori, in genere giornalisti e qualche politico.

La situazione non è semplice. Io ero lì per ascoltare la storia di un'azienda in crisi, e scopro che la crisi non c'entra nulla. L'Eutelia ha commesse, ha clienti, e continua a lavorare. I dipendenti continuano a fare assistenza ai clienti... a spese loro. Il compenso finisce invece, oggi, nelle tasche della misteriosa Omega, l'ultima a rilevare Eutelia -per appena 96.000 euro- dopo il passaggio attraverso la Agile.

Misteriosa perché controllata da altrettanto ignoti gruppi inglesi che non hanno neppure un indirizzo certo (avete presente le storie di Report?), misteriosa perché continua a rilevare altri gruppi italiani probabilmente destinati al fallimento: oggi sono addirittura diecimila i lavoratori appesi al nulla in tutta Italia, mentre Omega continua ad acquisire. Nomen omen, direbbe qualcuno, non è stata chiamata Omega a caso.

Emiliano Varanini, avvocato e rappresentante dell'Italia dei Valori, ha cercato insieme a me di capirci qualcosa. "E' un caso di pura dark economy", ha concluso, lui che ha sicuramente maggiori strumenti di me per capire. Io ho presto gettato la spugna, non senza però aver compreso che è vero, in questa faccenda ci sono molte torte appetibili su cui qualcuno sta mettendo le mani. Crediti nei confronti di commesse pubbliche, ad esempio; tutti i TFR dei dipendenti; persino terreni ed immobili nell'area della famigerata Expo di Milano.

La crisi è una scusa, come in molti altri casi. Sui media passa la notizia di "un'azienda occupata, lavoratori licenziati", e per chi ascolta si tratta solo dell'ennesima vittima della recessione. Chissà quanti furbi approfittano di questa occasione, di questo bel mascheramento che consente ogni misfatto nell'indifferenza generale. Nell'indifferenza del governo, del Ministero delle Attività Produttive, di chi dovrebbe sorvegliare e invece consente giochi sporchi.

"Non ho più una vita privata", mi confessa l'ingegnere, "sono sempre qui, notte e giorno". Intanto si è fatta sera, qualcuno sposta i computer e sulle scrivanie gioca a carte, per ingannare il tempo. Fuori si accende il fuoco e si arrostiscono le caldarroste, offerte a politici, giornalisti e bambini al seguito. E' ora di andare, e dispiace salutare queste persone che combattono contro un mostro così tanto più grande di loro, e così ben protetto, mentre loro non hanno protezione neppure contro i blitz dei picchiatori.

Il piazzale è al freddo, illuminato dai lampioni, e io spero proprio che le luci che si sono accese sulla storia di Eutelia non si spengano.

(Trovate qui documenti e comunicati sulla vicenda Eutelia).


L'immunità della casta
di Nicola Lillo - Altrenotizie - 15 Novembre 2009

Il Pdl non si è fatto attendere. Mentre si discute di “processo breve” (o meglio “morto”), di leggi e leggine pronte per il Cavaliere, la proposta di legge costituzionale per la reintroduzione dell’immunità parlamentare è stata presentata. Chi meglio di Margherita Boniver avrebbe potuto avanzare un simile “privilegio medioevale”? La “bonazza” o “biondazza” che dir si voglia, come disse a suo tempo Bossi, è la stessa che nonostante avesse criticato, nel 1993, l’abolizione dell’autorizzazione a procedere, al momento del voto sulla legge, in prima lettura votò a favore del nuovo articolo 68, mentre al momento della sua approvazione definitiva, in seconda lettura come prevede la Costituzione, si assentò. Non è chiara la linea di pensiero della Boniver, né la sua coerenza (cosa labile nella politica italiota).

L’ex craxiana, poi andreottiana e poi ancora berlusconiana, dichiara che “l'immunità, che esiste in molti ordinamenti europei, nonché al Parlamento europeo rappresentava uno dei pilastri della Costituzione italiana. Fu cancellata con un incredibile atto di vigliaccheria dall'Assemblea di Palazzo Madama nell'ottobre del 1993 in un clima di pesante intimidazione. La proposta di legge, composta di un solo articolo, ripristina un istituto volto a tutelate l'interesse della collettività, prevenendo eventuali condizionamenti del potere giudiziario sullo svolgimento della dialettica politica”.

Innanzitutto è bene far notare come storicamente i Parlamenti si siano battuti per garantire la protezione dei propri membri da azioni giudiziarie sostenute dal potere esecutivo. La ratio dell’immunità parlamentare nei moderni Stati democratici, consiste nella protezione del parlamentare da iniziative proprie di un giudice e nella tutela della composizione numerica dell’assemblea. Sono sicuramente principi virtuosi, che rispettano i principi dello stato di diritto, su tutti la tripartizione dei poteri e che devono al tempo stesso essere bilanciati con il principio, anch’esso fondamentale, di uguaglianza.

Oggi ogni parlamentare gode di una serie di immunità, secondo l’art. 68 della Costituzione. Le immunità sono di due tipi: l’insindacabilità, secondo la quale i parlamentari per come votano e per ciò che dicono “nell’esercizio delle loro funzioni” non possono essere in alcun modo chiamati a rispondere; e l’inviolabilità, per la quale i parlamentari non possono subire alcuna forma di limitazione della libertà personale, a meno che la camera di appartenenza non la autorizzi. Autorizzazione che viene dunque dagli stessi colleghi che, il più delle volte, cercano di difendere i compagni di seduta e se stessi. Ci sono eccezioni all’inviolabilità. Infatti, se il parlamentare è colto in flagranza di reato o se ha subito una condanna passata in giudicato, non deve passare al vaglio della Camera di appartenenza.

Questa è la disciplina risalente alla revisione costituzionale del 1993, votata il 12 ottobre dalla Camera con 525 sì, 5 no (tra cui Sgarbi) e un astenuto. Il Senato farà altrettanto il 27 ottobre con 224 sì, 7 astenuti e nessun no. In precedenza occorreva un’autorizzazione anche solo per procedere contro un parlamentare. Tale revisione fu frutto dello scandalo Mani Pulite, che portò alla richiesta da parte dell’opinione pubblica di una vera e propria uguaglianza, e di superamento di questo privilegio, abusato, da parte dei parlamentari. Uno strumento necessario esclusivamente a sottrarsi al corso naturale della Giustizia.

Se poi guardiamo all’Europa, ci accorgiamo di essere il solito unicum. In Germania, infatti, l’immunità è prevista per tutti i deputati. L’”unica” differenza rispetto al nostro ordinamento è che non viene mai esercitata. All’inizio di ogni legislatura è consuetudine autorizzare automaticamente eventuali indagini a carico di suoi membri.

Così in Spagna, dove le Cortes non hanno mai negato, se non una sola volta in trenta anni, un’autorizzazione a procedere. In Inghilterra non c’è alcuna immunità e, per quel che riguarda il Parlamento Europeo, ciascun eurodeputato gode dell’immunità prevista nei rispettivi paesi di provenienza. Ma è raro che ci siano sviluppi giudiziari sui suoi membri (eccetto per l’Italia, come ci rammenta il buon Mastella).

È evidente come, oltre alla ormai normale abitudine di differenziarci dal resto degli stati civili europei, l’intento del Parlamento italiano sia quello di tutelare in tutto e per tutto i propri interessi. Più che una “casta”, una vera e propria “cosca”. E intanto la Boniver avanza, avanza proposte di legge costituzionali, col plauso della maggioranza e di una fetta dell’”opposizione”.


Lo stalliere del Pd

di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 10 Novembre 2009

Domenica abbiamo domandato in prima pagina al “nuovo” Pd di Bersani se “discuterà della moralità dei candidati”. Il “nuovo” Pd di Bersani ha subito raccolto l’appello. Infatti, nella “nuova” Direzione, fa il suo trionfale ingresso il senatore Nino Papania da Alcamo (Trapani), ex Margherita. Lo stesso a cui hanno appena arrestato l’autista-giardiniere-factotum per mafia.

Lo stesso che nel 2002 ha patteggiato a Palermo 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio: era indagato per aver sistemato in posti pubblici diversi disoccupati privi dei titoli di legge, in un giro di assunzioni facili per cui sindacalisti senza scrupoli prendevano tangenti.

Nel 2008 Dario Franceschini annunciò: “Non presenteremo candidati con procedimenti in corso né con sentenze passate in giudicato”. Strano: Papania fu ricandidato dopo il patteggiamento e rieletto per la terza volta senatore (diversamente da Nando Dalla Chiesa, colpevolmente incensurato). Scelta lungimirante: il 4 novembre la Dda di Palermo ha arrestato... il suo braccio destro Filippo Di Maria, considerato l’autista, il cassiere e l’uomo di fiducia del boss di Alcamo, Nicolò Melodia detto “il macellaio”, catturato nel 2007 assieme al capomafia Salvatore Lo Piccolo. Nei giorni pari Di Maria scarrozzava il boss Melodia, in quelli dispari il senatore Papania. Arrotondava.

“Emerge - annota la Mobile di Trapani - da numerose conversazioni che Di Maria svolgeva attività di factotum presso la villa di Scopello del predetto Papania, muovendosi incessantemente per procurare posti di lavoro ad amici e conoscenti grazie anche al diretto interessamento di collaboratori e personale di segreteria del senatore”.

Ed era attivissimo “in occasione di alcune competizioni elettorali”: come “le primarie 2005 per il candidato premier” e “per il candidato alla presidenza della Regione Sicilia” (contro Rita Borsellino e per Ferdinando Latteri). “Lo staff del sen. Papania - scrive il gip - e altri politici locali contattavano ripetutamente il Di Maria al fine di indurlo a sostenere le iniziative politiche sopra indicate e invitandolo a fare altrettanto con tutte le persone di sua conoscenza”.

Il Giornale gongola: “Anche il Pd ha il suo ‘stalliere’ mafioso”. Ma naturalmente chi fosse Di Maria non lo sapeva nessuno. Infatti la nuova Direzione del Pd non ha trovato un posto per due simboli dell’antimafia come Rosario Crocetta e Beppe Lumia (la Borsellino non è iscritta). Ma a Papania sì, in quota Franceschini.

E questa sarebbe l’opposizione. Poi c’è il centrodestra, con i suoi Berlusconi, Dell’Utri e Cosentino. E’ la famosa “alternanza”.


Da Mills alla Malasanità: ecco i processi a rischio

di Luigi Ferrarella - Il Corriere della Sera - 13 Novembre 2009

Il ddl, appe­na dovesse entrare in vigore, sopprimerebbe imme­diatamente le imputazioni mosse a Berlusconi

Una legge piena di contraddizioni e iniqui effetti collaterali. Stabilisce priorità che sono l’esatto contrario di quelle dettate da un’altra legge appena un anno fa. Strangola in culla i processi per gli omicidi colposi in ospedale, ma garantisce tutto il tempo per giudicare un borseggio sull’autobus. E chissà se i pazienti vittime del chirurgo della clinica mila­nese Santa Rita apprezzeranno la «tutela» promessa loro dal disegno di legge «misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei pro­cessi ». Questa «tutela»: la spu­gna, tra pochi mesi, su tutte le 89 imputazioni di lesioni vo­lontarie ai pazienti e truffa mi­lionaria allo Stato.

Effetto che si determinereb­be invece subito nel caso di Berlusconi con il disegno di legge che, alla già esistente prescrizione dei reati, intende ora affiancare anche la prescri­zione dei processi agli incensu­rati se la sentenza di primo gra­do non arriva entro i 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudi­zio per reati con pene inferiori ai 10 anni nel massimo: appe­na dovesse entrare in vigore, infatti, sopprimerebbe imme­diatamente le imputazioni mosse a Berlusconi per frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset e per corruzione di testimone nel processo Mil­ls, dibattimenti entrambi già ben oltre i 2 anni dalla richie­sta di rinvio a giudizio.

Ma quel genere di «tutela», come effetto collaterale tra le migliaia di processi di primo grado non ancora a sentenza a distanza di 2 anni dalla richie­sta di rinvio a giudizio, spegne­rebbe subito ad esempio an­che quello all’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e al senatore Luigi Grillo per l’aggiotaggio Antonveneta (re­ato che nel 2005 era punito con meno di 10 anni). Chiude­rebbe il primo grado in corso alle grandi banche internazio­nali imputate dell’aggiotaggio Parmalat a Milano (non il pro­cesso per il crac a Parma, visto che la legge 'salva' le bancarot­te fraudolente). Stronchereb­be dibattimenti su maxicorru­zioni, come le tangenti delle in­chieste Enipower-Enelpower. Sarebbe implacabile con chi truffa un 'gratta e sosta' da po­chi euro, ma sterilizzerebbe corpose truffe allo Stato, come il processo alla clinica milane­se San Carlo per i falsi rimbor­si spillati al servizio sanitario.

Tutti processi già finiti un minuto dopo l’entrata in vigo­re della legge, che invece da­rebbe la mazzata finale nel prossimo maggio anche al pro­cesso che imputa al presiden­te Mediaset Fedele Confalonie­ri e al deputato pdl Alfredo Messina un favoreggiamento nel processo Hdc. La clessidra del ddl fermerebbe già a luglio prossimo il processo Santa Ri­ta al chirurgo Brega Massone, nella più che probabile man­canza per allora di una senten­za di primo grado pur in un processo-lampo che più lam­po non si può (giudizio imme­diato e quindi niente udienza preliminare, tre udienze alla settimana, da mattina a sera). E il processo per i dossieraggi della Security Telecom-Pirelli, che oggi è appena all’inizio del­l’udienza preliminare, tra un anno sarà appena avviato in primo grado, e dunque sarà già prescritto per quattro quin­ti delle imputazioni.

Nella lotteria, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato: Tavaroli ha appena chiesto di patteggiare la pena sui dossier Telecom? Peggio per lui, buon per i coimputati che invece po­tranno avvalersi della legge. Tanzi è da poco stato condan­nato in primo grado a 10 anni per aggiotaggio Parmalat nel processo alle persone fisiche? Che sfortuna, quella sentenza è arrivata a tre anni dalla ri­chiesta di rinvio a giudizio, con le nuove norme Tanzi si sarebbe salvato.

Paradossi. E contraddizioni a iosa. Non un secolo fa, ma ap­pena un anno fa, il legislatore aveva imposto ai presidenti di Tribunale criteri di priorità in base ai quali fissare i processi, e tra essi ad esempio un bina­rio privilegiato per i processi ai recidivi: adesso, invece, lo stesso legislatore fa l’esatto contrario, cioè scrive una leg­ge che costringerà i Tribunali a rallentare i processi ai recidi­vi per dare priorità a quelli agli incensurati, che altrimen­ti si prescriverebbero in appe­na due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. E se un anno fa in un’altra legge, uno dei tanti pacchetti sicurezza, il le­gislatore aveva svilito la quali­tà di incensurato ai fini della concessione delle attenuanti generiche, adesso invece la esalta al punto tale da farne scaturire addirittura l’estinzio­ne del processo in mancanza di una sentenza di primo gra­do nei fatali 2 anni.

Questo an­che per tutti i reati tributari de­gli evasori fiscali, per gli omici­di colposi dei medici, per le truffe di ogni genere. Salvo pe­rò escludere dalla tagliola tem­pistica della nuova legge una contravvenzione, quale il rea­to degli immigrati clandestini. Beffa in vista, poi, per lo Sta­to che dovrà restituire agli im­putati, i cui processi vengano prescritti, i soldi che in quei procedimenti erano stati se­questrati. Ma beffa soprattutto per quei coimputati di un me­desimo reato che, allo scocca­re dei 2 anni, vedranno l’impu­tato incensurato farla franca con la prescrizione del proces­so, e l’imputato non incensura­to continuare invece a essere giudicato e magari condanna­to.


Riforme piccole (e sbagliate)

di Sergio Romano - Il Corriere della Sera - 14 Novembre 2009

Se fosse possibile scegliere tra la riforma della giustizia e una delle tante riforme di cui il Paese ha bi­sogno (pensioni, sistema fiscale, educazione, funzione pubblica) non avrei alcun dubbio. Sceglierei senza esi­tare la riforma della giustizia.

Le cause civili sono interminabili e la durata dei procedimenti sta procurando danni irre­parabili, tra l’altro, all’economia nazio­nale. L’obbligatorietà dell’azione penale è l’alibi che copre la di­screzionalità dei magistra­ti inquirenti. Molti procu­ratori hanno ambizioni pubbliche che stravolgo­no la loro funzione origi­nale. Le indagini hanno talora un sapore politico o un senso dello spettaco­lo che nuoce alla loro cre­dibilità.

Il Consiglio supe­riore è un parlamento in cui sono rappresentate correnti ideologiche. Un organo sindacale, l’Asso­ciazione nazionale magi­strati, agisce come una lobby e cerca di condizio­nare la decisione delle Ca­mere. Ripeto: se l’Italia vuole rimettere ordine tra i poteri dello Stato e restituire ai cittadini la fi­ducia nelle istituzioni, occorre partire dalla riforma della giustizia. Molti dei voti dati al centro-destra sono dovuti al­la sua promessa di agire su un terreno in cui i governi di centro-sinistra sono stati esitanti e, alla fine, carenti.

Ma le promesse dei due ultimi gover­ni Berlusconi sono state eluse. Le rifor­me, quando ci sono state, sono parse motivate soprattutto dal desiderio di ri­solvere i problemi personali del presi­dente del Consiglio. Pos­siamo cercare di com­prendere le condizioni di un uomo che è stato og­getto di una sovrabbon­dante attenzione giudizia­ria. Possiamo comprende­re la necessità, nell’inte­resse del Paese, che i con­ti, come accade oggi in Francia, vadano regolati alla fine del mandato e che le procedure giudizia­rie non entrino in rotta di collisione con il voto de­gli elettori. Possiamo im­maginare gli effetti deva­stanti provocati da un giu­dizio che colpisce un uo­mo tuttora sostenuto da una larga parte del Paese.

Ma il maggiore ostacolo sulla strada della riforma è ormai rappresentato dal numero delle leggi ad personam approvate negli ulti­mi anni. Anche quando contengono norme con le quali è possibile convenire, queste leg­gi appaiono frettolosamente nelle aule parla­mentari non appena il premier ne ha bisogno per allontanare o cancellare una scadenza giu­diziaria. E sono opera di avvocati a cui il presi­dente del Consiglio, con una specie di cortocir­cuito istituzionale, ha conferito funzioni pub­bliche. Non basta. L’ultima proposta rischia di rendere ancora più difficile il rapporto con il Quirinale, di approfondire il fossato tra mag­gioranza e opposizione, di aprire un intermi­nabile contenzioso costituzionale, di oscurare i problemi a cui dovremmo dedicare la nostra attenzione.

A questo, punto sperare in una riforma complessiva che comporti, tra l’altro, la sepa­razione delle carriere e una diversa composi­zione del Consiglio superiore della magistratu­ra, è diventato illusorio. Le piccole riforme, quando sono attuate con questo spirito, can­cellano la grande riforma dall’agenda naziona­le. Silvio Berlusconi è ancora, grazie alla sua vittoria elettorale, il presidente del Consiglio degli italiani. Ma non può essere l’arbitro del grande dibattito parlamentare necessario alla riforma della giustizia. Per ottenere uno sco­po limitato e personale ha privato l’Italia di ciò di cui ha maggiormente bisogno.


Silvio c'è, ma lavora solo per sè, non per voi
di Eugenio Scalfari - La Repubblica - 15 Novembre 2009

Domenica scorsa, cogliendo l'occasione offerta dalla celebrazione della caduta del Muro di Berlino, mi sono chiesto se nei vent'anni successivi fosse cambiata la percezione della felicità, individuale e collettiva. Ed ho risposto che sì, la percezione della felicità è da allora molto cambiata. Non abbraccia più il futuro; si è ristretta al presente e dunque è molto più effimera di prima perché il presente è un punto estremamente fuggitivo, non è una linea che si proietti in avanti verso le generazioni successive alla nostra. Il concetto di felicità ha perso la sua dinamica. Questo mutamento ha prodotto effetti rilevanti nella politica e nell'economia. Gran parte della crisi mondiale si deve a questi effetti. In Italia è stato avvertito con maggiore intensità che altrove.

Il fenomeno Berlusconi si spiega anche come conseguenza del nuovo modo di concepire la felicità. Nello stesso senso si spiegano le difficoltà del presidente Obama sul tema della sanità: gran parte degli americani teme che quella riforma comporti pesanti gravami fiscali e si rifiuta di sopportarli; non vuole pagare oggi il costo d'una riforma che darà maggiore assistenza in futuro.

Esiste un nesso molto stretto tra la nuova legge "ad personam" che salverà il nostro presidente del Consiglio dai processi pendenti nei suoi confronti e la sua popolarità. Quella legge è percepita da una parte rilevante dell'opinione pubblica come un'evidente violazione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

La prova di quanto sia diffusa questa percezione sta nella immediata, straordinaria adesione popolare all'appello lanciato ieri su Repubblica da Roberto Saviano, che chiede al presidente del Consiglio di ritirare quella "norma del privilegio". E che sia tale, del resto, i sostenitori di quel provvedimento non ne fanno mistero. Lo stesso Berlusconi lo riconosce ed infatti esso è approdato in Parlamento come sostitutivo della legge Alfano che stabiliva la non processabilità del presidente del Consiglio.

Gli italiani sono dunque consapevoli del privilegio - ingiusto come tutti i privilegi - che il premier otterrà dalla sua docile maggioranza parlamentare, ma gran parte di essi sembra comunque disposta a tollerare che quel salvacondotto divenga legge dello Stato. Si attende però una contropartita, si attende cioè di poter beneficiare del clima di lassismo morale che quel privilegio e la legge che lo sancisce estenderà a tutte le furberie, le elusioni, l'indebolimento delle regole o addirittura la loro eliminazione che contrassegnano il carattere nazionale. I condoni scaricano il peso sulle future generazioni ma alleviano chi vive nel presente. La legge che estingue i processi del premier e quelli similari al suo è una sorta di condono, una parziale amnistia e come tale è gradita.

Gli effetti moralmente perversi e le deformazioni che ne derivano riguardano il futuro, ma il futuro ha perso interesse di fronte ad un presente più facile, a regole sempre più esangui, a reati sordidi degradati al rango di peccati veniali.

Il presidente del Consiglio è intelligente, specie quando si tratta di tutelare i propri interessi. Se la legge che estingue i suoi processi gli procurasse un calo vistoso di popolarità, probabilmente non ne reclamerebbe l'approvazione. Probabilmente affronterebbe i processi sperando nell'abilità dei suoi avvocati. Ma pensa che lo smottamento della sua popolarità non ci sarà oppure sarà di modeste proporzioni e quindi va avanti, disposto se necessario ad appellarsi al popolo e voglioso di trasformare lo Stato repubblicano in un regime autoritario senza più ostacoli né controlli che tarpino le ali ai suoi desideri.

La potenza mediatica concentrata nelle sue mani gli consente inoltre di raccontare a proprio vantaggio una inesistente realtà, cancellando tutto ciò che possa ostacolare il processo di beatificazione della sua immagine. "Meno male che Silvio c'è" intonano i devoti.
Senza di lui - così raccontano i nove decimi dei mezzi di comunicazione - le catastrofi si accumulerebbero. Quelle che avvengono e che sono innegabili derivano da fattori esterni o dall'odio delle opposizioni che gli impediscono di lavorare.

Nonostante tali ostacoli tuttavia, il governo ed il suo Capo lavorano e sostengono una situazione che senza di loro diventerebbe disperata. E qui comincia l'elenco dei risultati miracolosi già realizzati e quelli ancor più mirabili che stanno per avvenire. Volete bloccare tutto ciò? Tutti questi fatti mirabili che vi consoleranno nei prossimi mesi delle vostre attuali afflizioni?

* * *

Questa è dunque la partita in corso tra il premier e chi gli si oppone. Non sto a ripetere le caratteristiche che rendono inaccettabile l'ennesima legge "ad personam", l'inverecondo salvacondotto che il potente imputato reclama. Ne accennerò soltanto alcuni.

Primo: le leggi che cambiano le procedure giudiziarie non sono mai retroattive, riguardano i nuovi processi e non quelli in corso. Quando le loro disposizioni sono più favorevoli per gli imputati, quelli dei processi in corso possono chiederne l'applicazione che viene decisa dal giudice. Nel nostro caso invece la retroattività è disposta dalla legge.

Secondo: l'elenco dei reati esclusi dal processo breve contiene casi incongrui e stridenti rispetto all'ordinamento. Si include nel processo breve la corruzione e la concussione, ma si esclude invece il furto e il reato di clandestinità per il quale la pena edittale prevede una semplice contravvenzione. Sono soltanto due esempi, ma molti altri ce ne sono e certamente emergeranno durante l'iter parlamentare.
Terzo: cadranno in prescrizione decine di migliaia di processi alcuni dei quali molto gravi, lasciando senza giustizia le parti offese e "graziando" fior di mascalzoni.
Quarto: il processo breve è riservato agli imputati in primo grado di giurisdizione e non riguarda per ora quelli del secondo e del terzo grado.

Esistono insomma ragioni plurime di discriminazione e altrettanto plurimi motivi di incostituzionalità. Vedrà il presidente della Repubblica se - a legge approvata - quei motivi risulteranno manifestamente fondati oppure saranno rimessi al vaglio della Corte costituzionale. Ricordo soltanto che la legge Alfano è stata cancellata dalla Corte perché discriminava. Quali che siano stati gli artifici dell'avvocato Ghedini, questa legge è altrettanto discriminatoria e "personale", con la differenza aggravante di recare vistosi danni all'ordinamento che invece non era toccato dalla legge Alfano. Insomma una pezza a colore che rende il buco ancor più evidente.

* * *

Veniamo ai supposti benefici che questo governo avrebbe procurato al Paese e ai cittadini che lo abitano.

I rifiuti sgombrati da Napoli. È vero. Purtroppo altrettanti rifiuti stanno sommergendo Palermo ma di questi si parla pochissimo perché il Capo non gradisce.
Le case ricostruite a L'Aquila e in Abruzzo. È parzialmente vero. Le casette pagate dalla Croce Rossa e dalla Provincia di Trento sono in avanzata messa in luogo.

Tardano gli altri manufatti e tarda la ricostruzione del centro storico.

L'inverno è cominciato e sono ancora migliaia i terremotati ospitati nelle tende con gravi disagi.
La sicurezza dei cittadini non è affatto migliorata. Forse era stata percepita al di sopra delle realtà, ma questa iperpercezione sta ora confrontandosi con una situazione concreta che non è particolarmente tranquillizzante. Alcuni reati sono in diminuzione, altri ancor più odiosi sono in aumento. Tra questi la caccia agli omosessuali e gli stupri stanno creando serissimi problemi.

Il flop delle ronde civiche è sotto gli occhi di tutti.
Altrettanto lo è la situazione miserevole della polizia di Stato, scarsa di mezzi e di personale.

La politica del Mezzogiorno è a dir poco latitante. Un terzo del paese è abbandonato a se stesso. Le differenze di reddito con il Nord sono aumentate. Le forze della camorra e della 'ndrangheta non danno segni di indebolirsi malgrado arresti e retate delle Forze dell'ordine perché ad ogni arrestato ci sono altre nuove reclute e nuovi capi.

Il federalismo è ancora un guscio vuoto del quale si ignorano i costi e i benefici.

I treni dei pendolari continuano ad essere uno scandalo nazionale.

La messa in sicurezza di paesi e città costruiti a ridosso di colline e monti franosi non fa un solo passo avanti: gli enti locali e la Protezione civile si palleggiano competenze e responsabilità ma non ci sono fondi per gli interventi o sono destinati ad altri usi. Perciò si continua a morire di morte annunciata.
Egualmente di morte annunciata si continua a morire per incidenti sul lavoro.

Egualmente non si fanno passi avanti nella sicurezza delle scuole, delle quali un'altissima percentuale è stata dichiarata insufficiente, inadatta o addirittura pericolante.

Il precariato sta già esplodendo e più esploderà nei prossimi mesi. La stessa sorte incombe sulle piccole e piccolissime imprese, tanto al Sud quanto al Nord e al Centro. Ma qui siamo sul terreno dell'economia che merita un discorso a parte.

* * *

Il "dominus" responsabile della politica economica è Giulio Tremonti, ma il Capo del governo che sta sopra di lui gli indica gli obiettivi che a lui più interessano. Bisogna dunque considerarli insieme nella concordia discorde nella quale hanno fin qui operato.
Tremonti sostiene di essersi accorto per primo della crisi internazionale incombente. Tuttavia le sue prime mosse furono del tutto incongrue rispetto alla crisi in arrivo.

Soprattutto lo fu l'abolizione dell'Ici, ma qui la responsabilità non è sua: giustizia vuole che la si addossi al premier. Aveva promesso in campagna elettorale quell'abolizione e impose a Tremonti di adempiervi.

Gli impose altresì di "non mettere le mani nelle tasche degli italiani", altro vincolo poco compatibile con la tempesta in arrivo. Il vincolo è stato in apparenza rispettato, ma la pressione fiscale e contributiva è aumentata ed ha segnato in questi mesi il suo massimo storico. Non è previsto che scenda nel prossimo futuro ed è lo stesso Dpef (documento ufficiale del ministero del Tesoro) a certificarlo.

Questo aumento della pressione fiscale è in contrasto con il vincolo di "non mettere le mani" eccetera. In parte si può spiegare con la diminuzione del reddito dovuta alla crisi, in altra parte con imposte pagate da soggetti nuovi entrati da poco nella platea dei contribuenti.
Vantaggi da questa parte, zero.

È stato più volte dichiarato da parte del Tesoro che i conti pubblici sono stati messi in sicurezza. È falso. Il deficit rispetto al Pil ha superato il 5 per cento e l'Europa ci ha imposto il rientro sotto al 3 per cento entro il 2012. L'avanzo netto è stato azzerato. Lo stock di debito pubblico è di nuovo ai massimi e salirà ancora nel 2010 (Dpef). Quindi la finanza pubblica non è stata affatto risanata, Bruxelles ce lo fa presente una volta al mese.

Nel frattempo è cresciuta la spesa. Molto cresciuta. Ma non è riuscita a rilanciare i consumi che stanno pericolosamente diminuendo. I commercianti sono infatti in allarme rosso.

Nei giorni scorsi si diffuse una grande euforia dal governo, dal premier, dalle associazioni industriali, perché sembrò che in agosto ci fosse stata un'impennata improvvisa della produzione industriale. Non era in realtà un'impennata ma un modesto recupero del 6 per cento rispetto al crollo registrato nel 2009 sul 2008.

I media presidenziali lanciarono al cielo grida di giubilo e chi raccomandava prudenza nei giudizi fu insultato come Cassandra antitaliana. Bene. In settembre c'è stato di nuovo una cifra pesantemente negativa nella produzione industriale e in ottobre altrettanto. Ora siamo addirittura sotto il crollo dell'anno precedente. Ma questo sarebbe ancora poco.

Aumenta la disoccupazione e aumenterà ancora di più nei prossimi mesi e nei prossimi anni perché quand'anche cominci una sia pur timida ripresa, essa non sarà foriera di nuova occupazione. Questo fenomeno è mondiale e non soltanto italiano, perciò ineluttabile. Sono stati presi provvedimenti per far fronte ad una situazione di questa gravità? Nessuno. Non è neppur vero che tutti i disoccupati siano assistiti, manca un sistema efficace e integrale di ammortizzatori sociali e non è alle viste nessun provvedimento in materia.

Di riforme sociali neppur l'ombra. Di liberalizzazioni idem. Sono invece alle viste alcuni nuovi carrozzoni pubblici tra i quali si distingue la famosa Banca del Sud, che saranno fonte di sprechi e di clientele all'assalto.

Nel frattempo l'Italia ha perso peso in Europa e sullo scenario mondiale.

Dei vantaggi procurati al Paese non c'è dunque traccia alcuna. Al contrario.

Poiché quanto è stato fin qui detto si basa su dati ufficiali di agenzie internazionali e dello stesso governo, è falso che questa sia una fantasiosa ricostruzione della realtà. La fantasiosa ricostruzione è invece quella del governo che, a dispetto dei dati dallo stesso diffusi, magnifica risultati che le sue stesse cifre smentiscono. Si tratta di improntitudine, o faccia di bronzo che dir si voglia.