venerdì 20 novembre 2009

Privatizzazione dell'acqua

Due giorni fa alla Camera è passato con un voto di fiducia il decreto Ronchi - il cosiddetto dl "salva infrazioni" per l'attuazione di obblighi comunitari - già approvato dal Senato, che contiene anche il vituperato articolo 15 sulla riforma dei servizi pubblici compresa la liberalizzazione/privatizzazione dell'acqua.
Il decreto ora dovrà essere convertito in legge entro il 24 novembre, pena la decadenza.

Ma la stessa Lega Nord non è affatto entusiasta dell'articolo 15. Infatti il vicecapogruppo del Carroccio alla Camera, Marco Reguzzoni, ha già annunciato "La fiducia impedisce di migliorare ulteriormente il testo. Presenteremo dunque un ordine del giorno e lavoreremo con il governo per renderlo più aderente alle aspettative degli amministratori locali del Nord. Il testo che è arrivato dal Senato è migliorativo rispetto a quello originario, però la Lega sull'articolo 15 avrebbe voluto migliorarlo per farlo corrispondere con la sua posizione storica a favore dell'acqua pubblica".
L'Italia dei Valori ha invece in mente di organizzare un referendum per abrogare una norma che certamente avrà tra i suoi effetti l'aumento delle tariffe. Secondo le associazioni dei consumatori la bolletta aumenterà del 30-40%.

E Federutility, che riunisce 550 aziende italiane dell'acqua ed elettricità, fa già sapere infatti che l'Italia ha le tariffe dell'acqua tra le più basse del mondo e che quest'anno la tariffa media è risultata pari a 1,29 euro al metro cubo.

Ad esempio, sempre secondo Federutility, una famiglia di tre componenti residente a Roma paga un importo complessivo di 177 euro per un consumo medio annuo di 200 mc di acqua, mentre a Tokyo per la stessa quantità si paga il corrispettivo di circa 280 euro, a San Francisco poco più di 400, 430 euro a Helsinki, 560 a Bruxelles, 740 euro a Parigi, 800 a Zurigo e poco meno di 970 euro a Berlino.

Non si prevedono comunque nè un approdo sicuro nè soprattutto un'applicazione "tranquilla" dell'articolo 15, nella speranza che gli italiani non vogliano ridursi come i tedeschi, che pagano l'acqua a peso d'oro.


Le Regioni nel Risiko della privatizzazione
da www.ansa.it - 17 Novembre 2009

Il decreto Ronchi che contiene tra le altre cose la norma sulla liberalizzazione dell'acqua, e sul quale il governo ha posto la questione di fiducia alla Camera, chiama in causa anche regioni ed enti locali, per il ruolo che svolgono nella gestione dei servizi idrici. L'articolo 15 del decreto Ronchi, ormai alle battute finali alla Camera, cambia le regole del gioco per le società che operano nel settore, prevedendo tra le altre cose che la quota di capitale in mano pubblica scenda sotto il 30%, lasciando spazio ai privati.

Una novità che da una parte fa gola a molte utility, interessate ad allargare il proprio business nel settore del cosiddetto oro blu, dall'altra pone interrogativi agli enti pubblici che detengono quote nelle società.

IL CASO PUGLIA - Le reazioni politiche non sono mancate. Ma la situazione appare tutt'altro che uniforme. Chi nelle ultime settimane si è fatto portavoce di una battaglia contro la legge è stato Nichi Vendola. Il governatore della Puglia, infatti, ha già annunciato che ricorrerà alla Corte Costituzionale impugnando il provvedimento.

Nel contempo i tecnici regionali appronteranno un testo che punta a trasformare la società Acquedotto pugliese da Spa a società di diritto pubblico. «La Puglia - fa notare però Renato Drusiani, direttore dell'area idrico-ambientale di Federutility, l'organizzazione che riunisce le 550 aziende che operano nell'acqua e nell'elettricità - è un caso a sè, in Italia e in Europa». Se in altre realtà regionali, infatti, operano più soggetti e sono diffuse società miste, le quote di Acp sono pressoché al 100% di proprietà della Regione Puglia (un 5% fa capo alla Basilicata).

L'applicazione della nuova legge in arrivo, quindi, sconvolgerebbe l'assetto societario. Quanto alla lettura delle ricadute, dipende da che parte le si guarda. Vendola, lo ha detto chiaramente, teme un freno agli investimenti e un aumento delle tariffe.

LE ALTRE REGIONI - Situazioni simili a quella pugliese, ma solo in parte, in Calabria e Sicilia, dove è una società regionale a gestire l'acqua. Ma la quota in mano pubblica è molto più bassa e i privati hanno già una compartecipazione. Siciliacque è al 25% delle Regione, al 75% di soci industriali. Sorical, al 53% della Regione e al 47% del colosso francese Veolia. Sulla carta, quindi, l'interesse a osteggiare la legge non c'è.

Questo non vuol dire che in molti territori la nuova legge non abbia provocato reazioni politiche a livello locale. Tre giorni fa duemila persone hanno partecipato a Menfi, in provincia di Agrigento, al consiglio comunale «aperto» contro la privatizzazione della gestione idrica. E in Sicilia circa 90 comuni stanno facendo fronte comune contro la legge.

In Molise dal Pd e da Molise Acque, azienda speciale della Regione, arrivano appelli ad impugnare il provvedimento di fronte alla Consulta. Il Pd è agguerrito anche in Friuli Venezia Giulia così come i Verdi in Toscana. E pochi giorni fa la giunta comunale di Bolzano ha approvato un documento contro la privatizzazione dell'acqua. In Abruzzo Rifondazione Comunista definisce il nuovo decreto una legge truffa e ha annunciato che presenterà una propria proposta di legge.


Ci rimane soltanto l'aria
di Vittorio Scurati - La Stampa - 19 Novembre 2009

Cosa succede se la globalizzazione raggiunge il rubinetto di casa

Nessun uomo è tanto pazzo da vendere la terra su cui cammina. Così, stando alla leggenda, il grande capo indiano avrebbe risposto al negoziatore bianco che gli offriva la scelta tra la guerra di sterminio e l’acquisto delle terre ataviche della sua tribù. Che cosa direbbe oggi quel capo indiano di noi che, dopo aver fatto ovunque commercio della terra su cui camminiamo, ci apprestiamo a venderci anche l’acqua che beviamo?

Niente direbbe, il fiero guerriero, perché, al pari di ogni altro ostacolo locale, fu spazzato via dalla storia che, è bene non dimenticarlo, è stata sempre storia del processo unilaterale attraverso il quale l’Occidente, esplorando, conquistando e colonizzando, ha globalizzato la terra unificandola in un sistema mondo interamente governato dalla legge del capitalismo.

Ora che quella grande impresa è compiuta, ora che la fase di espansione è terminata, ora che l’auto-narrazione in cui si racconta di come il pianeta Terra divenne una sfera interna alla logica del capitale è giunta alla fine, ora non rimane che lavorare sulle condizioni di vita all’interno della grande serra planetaria del capitalismo avanzato. Questa nuova frontiera interna che avanza senza soste ha un nome preciso: privatizzazione della vita.

Rientra in questo quadro epocale anche la notizia secondo la quale in Italia, remota provincia dell’impero, il governo sarebbe pronto ad appaltare a privati il servizio di erogazione dell’acqua, che smetterebbe così di fatto di essere un servizio pubblico, trasformando l’approvvigionamento idrico, cioè l’accesso a una fonte basilare della vita, in una qualsiasi merce.

In linea concettuale, infatti, anche questo sarebbe un ampio passo verso la privatizzazione della vita: l’acqua smetterebbe di essere qualcosa cui tutti noi abbiamo diritto inalienabile per il semplice fatto di stare al mondo, una dotazione comune d’ingresso, come l’aria che respiriamo, e diverrebbe un bene voluttuario diversamente accessibile in base alla nostra individuale capacità di spesa.

Ecco, dunque, un altro esempio della regola della deprivazione che sembra governare i destini degli uomini in questo nuovo scorcio di millennio: a ogni nuovo giro di giostra, man mano che il «pubblico» diventa «privato», ci viene sottratto ciò che è necessario per vivere o, almeno, ciò che fino a una generazione precedente era stato considerato un diritto naturale e inalienabile.

La privatizzazione della vita agisce simultaneamente su due versanti, contigui e interconnessi come le due facce di un'unica moneta. Su un versante si procede a privatizzare la proprietà non più solo dei mezzi di produzione ma anche dei mezzi di sussistenza della vita della specie, sull’altro si mette in scena la riduzione della vita sociale a fatto privato.

Sul primo versante accade che, in un quadro globale di progressivo impoverimento delle risorse naturali, di cambiamenti climatici che rischiano di mettere fine al lussureggiare della vita planetaria e di fosche previsioni sull’aumento della popolazione mondiale, il controllo sui beni basali per l’esistenza, sulle condizioni di sopravvivenza, e finanche sulle matrici di riproduzione della vita biologica, viene via via affidato a soggetti d’impresa, cioè a privati mossi dalla logica del profitto e, spesso, da intenti speculativi.

È il caso del controllo delle risorse idriche, delle biotecnologie in agricoltura, ma è anche il caso della privatizzazione della guerra subappaltata a contractors privati, della privatizzazione della ricerca medico-scientifica e, sopra ogni altro, è il caso della ricerca sul genoma umano condotto da privati. Il secondo versante, meno serio ma non meno preoccupante, è quello della trasformazione della politica in talk show, un osceno teatrino di faccende un tempo confinate nella vita privata che ha l’effetto di svilire, fino all’annichilimento, la nozione di «pubblico interesse».

Il «pubblico», come ci ha insegnato Bauman, è così svuotato dei suoi contenuti, privato di un’agenda propria: è solo un agglomerato di guai, preoccupazioni e problemi privati. È l’eclissi della politica, un tempo intesa come possibilità di fare uso di mezzi collettivi per affrontare i problemi individuali. È anche la fine del sentimento di comunità. E, con esso, la fine del principio di un bene comune.

Da entrambi i lati dello schermo televisivo, la collettività scade ad aggregato di agenti individuali, le esistenze a questioni private. La lezione che si ricava da questa rappresentazione che rimodella la nostra capacità di pensare il mondo in comune è che ciascuno può solo lodare se stesso per i propri successi o, più probabilmente, incolpare se stesso per i propri fallimenti.

Tutti gli individui assistono al grande talk show della vita privatizzata soli con i loro problemi e, quando lo spettacolo finisce, si ritrovano sprofondati nella loro solitudine, immersi nel buio di una stanza in subaffitto davanti a un televisore sintonizzato su di un canale morto.


La privatizzazione dell'oro blu
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 19 Novembre 2009

Fino al 1994 il sistema idrico in Italia è stato gestito dagli acquedotti comunali; le bollette sono basse, e le perdite d’acqua sono alte, ma soldi da investire non ci sono. Poi arriva la Legge Galli che stabilisce come i comuni, se vogliono, possono trovare i soldi formando una società per azioni insieme a un socio privato: nella tariffa ci va dentro tutto, dalle spese per la depurazione, alle fognature, agli investimenti.

Ieri, con 320 si e 270 è passato alla Camera il famigerato decreto Ronchi, cosiddetto “dl salva infrazioni”, che oltre ad imporre le attuazioni degli obblighi comunitari, contiene anche le discusse norme che danno di fatto il via libera alla “privatizzazione” dell’acqua pubblica. Il Governo, nella sua smania di delegittimare il Parlamento e quella che dovrebbe essere la sua funzione di dibattito, ha avuto la brillante idea di blindare il decreto all’interno del meccanismo della fiducia e così, salvo imprevisti procedurali dell’ultima ora, il prossimo 24 novembre diverrà legge di Stato.

L’articolo contestato è il numero 15 e statuisce la liberalizzazione dei servizi pubblici locali: dal 1 gennaio 2011 tutte le gestioni nate da affidamenti “in house” - ovvero l'ipotesi prospettata dalla Legge Galli in cui l'appalto viene affidato a soggetti che siano parte della amministrazione stessa, quelle che volgarmente chiamiamo municipalizzate - dovranno necessariamente interrompersi per lasciare spazio a gare ad evidenza pubblica indette dalle amministrazioni locali.

Le società partecipate possono mantenere contratti stipulati senza gara formale fino alla scadenza, nel caso in cui le amministrazioni cedano loro almeno il 40% del capitale. Diverso il discorso per quanto riguarda le società quotate che hanno tre anni in più per adeguarsi, a patto che abbiano almeno il 40% di quota di partecipazione pubblica al 30 giugno 2013, quota che scende al 30% al 2015.

Delle quote societarie agli italiani interessa però ben poco. Il problema sollevato da questo ennesimo sciagurato provvedimento dell’Esecutivo ruota tutto attorno al costo che l’operazione rappresenterà per le nostre tasche: se è vero che oggi il nostro Paese applica le tariffe tra le più basse d’Europa - in media 1,29 euro al metro cubo ovvero 19,7 euro al mese a famiglia - la nuova regola potrebbe portare ad aumenti che vanno dal 40% al 60%, facendo lievitare i costi in bolletta di circa 10 euro in più ogni mese, anche se allo stato attuale è impossibile quantificare quante e quali stangate dovranno subire i cittadini. Piazza Affari ieri ha reso bene l’idea: poco dopo l’annuncio dell’approvazione alla Camera, i listini delle società di gestione idrica già presenti sul mercato hanno avuto delle impennate spaventose.

Il problema della nuova norma non sta però solo nei costi. Per quanto ci ostiniamo a considerarci come uno dei paesi più sviluppati, la nostra penisola soffre ancora di realtà borderline con il terzo mondo: ad oggi, come fa notare Ettore Livini su Repubblica, sono ancora 2,5 milioni le persone che vivono senz’acqua, 9 milioni senza fogne e 20 senza depuratori. Ricorderete tutti i servizi estivi sulle popolazioni del sud messe in ginocchio dalla siccità e costrette a un approvvigionamento idrico “sudamericano” fatto di autobotti e prezzi esorbitanti.

Il 15 ottobre del 2006 Report trasmetteva l’inchiesta “L’acqua alla gola” in cui si metteva in evidenza la massima del mezzogiorno che stabilisce che dove lo stato non c’è, subentra la mafia: le immagini mostravano un quartiere di Palermo, il tristemente noto Zen, in cui gli abitanti (per quanto in maggioranza abusivi) vivevano sprovvisti dell’allaccio a luce e acqua, ed erano costretti ad auto organizzarsi in sgangherati gruppi d’acquisto per accedere a taniche d’acqua dai costi spropositati, in media 2 euro al giorno per 60 euro al mese.

Dato l’appeal speculativo di una risorsa naturale e soprattutto fondamentale come l’acqua, il timore condiviso da molti è rappresentato dalle probabili infiltrazioni della malavita organizzata nella gestione e nella distribuzione di questo bene di prima necessità.

Le cronache recenti testimoniano la facilità con cui mafia, n’drangheta e camorra si siano inserite nell’ambito della privatizzazione della conduzione del ciclo dei rifiuti, ma nel decreto Ronchi nulla impedisce a sedicenti aziende private affiliate ai clan, di proporsi come candidate ai bandi che indiranno le amministrazioni locali.

Se a questo già disastrato quadro si aggiunge che la nostra rete idrica e fognaria ha uno stato di conservazione simile agli acquedotti romani - ovvero è piena di falle e necessita una continua manutenzione quantificabile in circa 2 miliardi euro l’anno - ben si capirà come il Governo trovi più semplice affibbiare questo oneroso compito ai privati.

Questi ultimi però, in naturale connessione al loro statuto giuridico e ai loro ineludibili interessi, saranno ben poco attirati a migliorare una struttura che (come per i binari di Trenitalia) rimane statale al 100%: investendo sulla rete i privati migliorerebbero sì il servizio, ma sarebbero costretti a fare delle spese su qualcosa che non sarà mai loro proprietà e ne saranno perciò scoraggiati.

Non è perciò un caso il fatto che si sia inserito un così epocale cambiamento all’interno di un decreto più generale riguardante tutti i servizi pubblici: silenziosamente, un’altra fetta della nostra ormai scarna sovranità popolare se ne va e poco importa a questo Governo che la moneta di scambio sia la fonte e il sostentamento di ogni forma di vita.


Ora l'Italia ha sete

di Antonio Marafioti - Peacereporter - 18 Novembre 2009

Come se non bastassero le notti a Palazzo Grazioli, le gaffe commesse in ambito internazionale e finanche lo scudo fiscale. Ora il popolo dovrà sopportare anche che lo Stato limiti il suo diritto d’accesso all’acqua. Questa volta però, il popolo non è intenzionato ad incassare.

A poche dall’annuncio della questione di fiducia sul decreto Ronchi per la liberalizzazione dei servizi idrici nazionali la sede romana del Forum italiano dei movimenti per l’acqua è stata inondata, è il caso di dirlo, da migliaia di proteste giunte da ogni parte d’Italia. “Nelle ultime ore siamo stati raggiunti da tantissime telefonate, e-mail e il numero dei sottoscrittori delle nostre petizioni sta aumentando di minuto in minuto”.

Queste le parole di Paolo Carsetti, segretario nazionale del Forum, raggiunto al telefono pochi istanti prima che la Camera dei Deputati confermasse la fiducia al governo Berlusconi approvando il decreto anti-infrazioni con 320 voti favorevoli e 270 contrari. Nessun franco tiratore, dunque, e tutti fermi sui propri scranni parlamentari con il premier che supera l’ennesima prova di forza e tiene unita la maggioranza del PdL.

Ma le organizzazioni annunciano battaglia contro la misura. “Domani (giovedì per chi legge) abbiamo in programma un presidio spontaneo che partirà a mezzogiorno di fronte Montecitorio – ha aggiunto Carsetti – Ormai hanno trasformato l’acqua da diritto a merce e questo è, comunque vada in Parlamento, un epilogo da scongiurare perchè produce l’aumento delle tariffe e una diminuzione degli investimenti. Le prime sono salite del 61 percento negli ultimi dieci anni di fronte ad un’inflazione del 23 percento. Gli investimenti sono scesi da 2 miliardi a 600 milioni di euro l’anno contro un incremento dei consumi che nei prossimi vent’anni sarà pari al 18 percento”.

Corsetti ha poi duramente criticato le politiche del governo italiano in materia di servizi idrici che “anzichè puntare al risparmio punta alla privatizzazione. Questa è mancanza di lungimiranza”. Per il segretario nazionale non ci può essere altra soluzione che “raggiungere 400mila firme e ottenere la ripubblicizzazione dell'acqua”.

Due fronti d’azione, invece, sono quelli proposti da Emilio Molinari, presidente del Contratto mondiale sull'acqua. “Spingeremo perchè i cittadini si mobilitino in ogni città d’Itala – ha sostenuto Molinari – A ognuno chiederemo di dar vita a iniziative proprie dal momento che non abbiamo risorse per presentare una piattaforma nazionale. Come organizzazione parteciperemo a manifestazioni sindacali di categoria e all’evento del 5 dicembre prossimo a Roma”.

Il presidente ha poi svelato quello che sarà il lavoro di lobbing presso gli enti locali. “Stiamo già facendo pressione sui Comuni e le Province perchè protestino formalmente contro il decreto Ronchi e sulle Regioni perchè si muovano per sollevare una mozione di anticostituzionalità della nuova legge”.

Intanto è atteso domani per le 13 l’ultima votazione formale del Parlamento sul provvedimento di conversione del decreto. I rappresentanti del popolo sfidano il popolo rappresentato.


Acqua pubblica. Ai privati

di Antonio Marafioti - Peacereporter - 19 Novembre 2009

Il governo ha posto la fiducia sulla privatizzazione dell'acqua.

"Un giorno ci faranno pagare anche l'aria che respiriamo". Il vecchio adagio del mugugno popolare presto si potrà applicare a un bene pubblico e prezioso come l'acqua.

Che sarà privatizzata - cosa privata - entro il prossimo mercoledì. Non serviranno a nulla le proteste dell'opposizione riformista e cattolica, nè l'invito a riflettere rivolto al PdL da parte degli alleati della Lega. Sul decreto Ronchi è stata posta, per la ventottesima volta, la questione di fiducia.

Si blinda la decisione del governo filoimprenditoriale di togliere l'acqua al popolo, e lo si fa bruciando, di fatto, tutte le regole della democrazia parlamentare.
A far pensare che l'operazione legislativa sia l'ennesimo sfoggio dei muscoli da parte della maggioranza è proprio la questione di fiducia. Il colonnello del premier al quale è stato affidato l'arduo compito di comunicare la decisione ai parlamentari è stato Elio Vito, ministro per i rapporti con il Parlamento, che ha giustificato il dictat di Berlusconi con un laconico "scelta per velocizzare i tempi".

Dopo l'approvazione in Senato, avvenuta il 4 novembre scorso, il tempo per una corretta, e doverosa, discussione a palazzo Montecitorio ci sarebbero stati tutti - il provvedimento scade fra una settimana. Solo che il "B-Style" impone di imporre le decisioni di quelli che di voti elettorali ne hanno ottenuti di più. Ed ecco così che o si consegna l'acqua alle multinazionali o si va tutti a casa che, come noto, non è proprio un costume tipicamente italiano. Quindi il quadro che si prospetta è evidente.

Articolo 15. É il fulcro della protesta. In base alla sua applicazione la maggior parte dei servizi ora di competenza degli enti locali verranno liberalizzati (privatizzati). Escluse le gestioni del gas, del trasporto ferroviario regionale e delle farmacie comunali, tutto ciò che prima era di competenza delle giunte locali verrà fagocitato da aziende private.

Queste beneficeranno della norma che vieterà allo Stato e agli enti territoriali di mantenere quote di capitale superiori al 30 percento sui servizi. Il resto sarà nelle mani delle Spa che, dopo il 31 dicembre del 2010, non potranno più essere assegnatarie dirette dei servizi ma dovranno obbligatoriamente concorrere a gare d'appalto per la gestione degli stessi. E anche sulle gare d'appalto le usanze italiche sono, purtroppo, ben note.

PeaceReporter ha raggiunto Emilio Molinari, presidente del Contratto mondiale sull'acqua.

Come giudica questa mossa politica del governo?

La fiducia è l'ultimo capitolo di un misfatto che va avanti dal 2003. La privatizzazione in Italia ha una specificità di obbligatorietà che non è stata richiesta dall'Unione Europea. Oltre che un atto di privatizzazione è dunque un atto autoritario e anticostituzionale che sottrae poteri ai Comuni e alle Regioni. Gli enti territoriali stanno diventando forti grazie ai comitati e dal Friuli al Veneto, passando per la stessa città di Milano il Pd ha fatto capire che l'acqua non si tocca. Anche in Parlamento ci sono state forti ripercussioni se si considera, ad esempio, che la Lega ha dovuto subire la fiducia. La partita non è comunque chiusa. Se il decreto dovesse passare inviteremo le Regioni a fare ricorso alla Corte Costituzionale o, in ultima istanza, proporremo un referendum.

Cosa cambierà per i consumatori?

I termini di cambiamento ci sono suggeriti dalle realtà di tutte le privatizzazioni: peggioramento del servizio, aumento delle tariffe e licenziamenti. Guardiamo l'esempio Telecom, le varie Centrali del Latte e quello dell'Alitalia. In tutti i comuni italiani dov'è stata già privatizzata l'acqua è avvenuto il peggio. Roma rappresentava il fiore all'occhiello nel campo della fornitura idrica, con tariffe basse e un servizio eccezionale. Dopo la privatizzazione i rappresentanti delle aziende private con quote di partecipazione minoritarie nelle società di servizi hanno iniziato a monopolizzare i consigli d'amministrazione e a fare la voce grossa e le tariffe continuano a salire vertiginosamente. A Bologna dove il servizio idrico era di prim'ordine la privatizzazione ha portato ad un deterioramento delle reti con perdite di resa del 30-35 percento. Senza considerare il raddoppio delle tariffe e la chiusura degli uffici di controllo in citta strategiche nei quali sono stati licenziati decine di dipendenti e esperti molto preparati.

Le piccole e medie imprese risusciranno a superare la sfida con le multinazionali?

Assolutamente no. Se si guarda alle quattro big nazionali Acea, A2A, Hera e Iride si potrà notare che tutte hanno già dentro diversi uomini nei Cda delle varie aziende che attualmente riforniscono d'acqua i comuni italiani. Senza contare che la Suez Lyonnaise des Eaux, colosso francese, è già pronta ad acquistare l'acqua dai comuni italiani, che saranno obbligati a vendere e a riacqustare a prezzo triplicato. È una svendita dell'acqua italiana ai privati e alle aziende straniere.

Se il decreto dovesse passare, come ormai sembra certo, l'Italia si troverà di fronte ad una crisi idrica?

Non c'è legame diretto tra le due cose. Tuttavia se l'attuale diminuzione delle risorse idriche al sud dovesse continuare e se non si dovessero interrompere i prelievi di montagna l'acqua inizierà a scarseggiare. In quel caso sarà difficile l'approvvigionamento di questo bene comune. Se il parlamento dovesse approvare il provvedimento ci troveremmo di fronte ad una situazione per cui un bene di tutti, l'acqua, diventerà un privilegio riservato ai pochi che avranno le risorse finanziare per accedervi.


Acqua bene comune
da Peacereporter - 18 Novembre 2009

Cochabamba, anno 2000. La popolazione civile della città si riunisce e scatena la "Prima guerra dell'acqua" per opporsi, purtroppo in taluni casi anche con la forza, alla privatizzazione delle risorse idriche. Blocchi stradali, manifestazioni e scontri anche molto "vivaci", fra popolazione e forze dell'ordine causarono vittime e molti feriti. I civili guidati dal leader sindacale Oscar Oliveira tentavano in quel periodo di bloccare i contratti in essere con le compagnie multinazionali che detenevano il controllo dell'acqua nella zona di Cochabamba ed El Alto.

"All'inizio non capivamo cosa stesse avvenendo, poi, una volta capito lo scenario in cui eravamo piombati siamo intervenuti. E da quel giorno, a mio avviso, abbiamo iniziato il riscatto sociale dei boliviani. Riscatto che è costato molto alla collettività. La lotta per l'acqua ha causato vittime che nessuno potrà mai restituirci" dice Oscar Olivera che aggiunge: "La "Guerra dell'acqua" in Bolivia è un ricordo che difficilmente si potrà cancellare. "Si privatizzava l'acqua. Era una cosa molto grave" conclude Olivera.

Italia, anno 2009. Dopo aver letto i contenuti del Decreto Ronchi, quello che fra le altre cose ipotizza la privatizzazione dell'acqua, un brivido freddo sarà sicuramente corso lungo la schiena.

Privatizzare l'acqua? Forse il bene comune più bene comune di tutti? Roba da non credere. Chi l'avrebbe mai immaginato che nel 2009 al posto di unire gli sforzi per costruire un mondo migliore si arrivasse a mettere a rischio la proprietà collettiva dell'acqua.

Da più parti si è levato il coro di no alla privatizzazione. Troppe volte, in troppi Paesi, l'argomento acqua è stato talmente importante da scatenare delle vere guerre.
Come in Bolivia dove infuriò la guerra dell'acqua, una battaglia vera, iniziata dalla ribellione della popolazione civile contro i poteri forti che avevano privatizzato l'oro blu. Quelle furono settimane di duro scontro sociale.

Da quell'esperienza tutti dovrebbero prendere esempio, e nonostante le diversità culturali, politiche e storiche, i boliviani che si sono ribellati hanno insegnato molto a tutti. Soprattutto che si può reagire e le cose possono cambiare.


Tutte le mosse per bloccare la legge
di Marco Bersani* - Il Manifesto - 19 Novembre 2009

Avevano studiato tutto per bene. La privatizzazione dell'acqua inserita in un decreto legge che nulla aveva a che fare con la stessa, il provvedimento tenuto sotto silenzio, le veline dei grandi mass media amici dei poteri forti e il consueto immobilismo delle opposizioni parlamentari.

Ma improvvisamente il giocattolo si è rotto: migliaia di e-mail hanno inceppato i computer di deputati e senatori, oltre 50 mila firme raccolte in pochi giorni sono state consegnate alla Presidenza della Camera, un presidio numeroso e colorato ha inondato Montecitorio e diverse decine di iniziative sono state organizzate in tutto il Paese.

La campagna "Salva l'Acqua" promossa dal Forum italiano ha fatto precipitare il castello di carte: tutti hanno dovuto prendere atto della gravità della norma che si andava approvando e hanno dovuto prendere posizione (perfino le opposizioni sono uscite dal letargo).
Ed eccoli, governo e presidente del Consiglio, costretti a chiedere la fiducia perchè consapevoli di non averla.

Hanno deciso di consegnare l'acqua ai privati e alle multinazionali, hanno consapevolmente ignorato una legge d'iniziativa popolare, firmata da oltre 400.000 cittadini, che giace nei loro cassetti dal luglio 2007, hanno ascoltato le sirene di Confindustria, ignorando la forte sensibilità sociale e la diffusa consapevolezza popolare sull'acqua come bene comune e diritto umano universale. Ma la battaglia per l'acqua pubblica è appena cominciata.

Chiederemo a tutte le Regioni di seguire l'esempio della Puglia e di impugnare per incostituzionalità la nuova legge. Promuoveremo in tutti i Comuni delibere d'iniziativa popolare per inserire negli Statuti il principio dell'acqua bene comune e diritto umano universale e la definizione del servizio idrico come "privo di rilevanza economica", sottraendolo così alla legislazione nazionale.

Chiederemo ai 64 Ato, oggi affidati a Spa a totale capitale pubblico e dunque a rischio di finire nelle mani dei privati, di scegliere la loro trasformazione in enti di diritto pubblico, gestiti con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali, così come si appresta a fare l'Acquedotto pugliese.

E chiameremo tutte e tutti a una grande manifestazione nazionale per la ripubblicizzazione dell'acqua e la difesa dei beni comuni per il 20 marzo, giornata mondiale dell'acqua, e a una settimana dalle elezioni regionali. E valuteremo l'ipotesi di indire un referendum. Perchè si scrive acqua, ma si legge democrazia.

*Forum italiano dei movimenti per l'acqua


Acqua privata, la Francia torna indietro
di Luca Landi - www.ilpassatore.it - 11 Novembre 2009

Aumento dei prezzi non accompagnato da un miglioramento dei servizi, abusi, prezzi gonfiati, corruzione, servizi obsoleti e totale mancanza di trasparenza contabile; queste alcune delle motivazioni alla base di un trend: la ri-municipalizzazione, nella gestione dell’acqua in Francia.

Ma facciamo un passo indietro.

La Francia è stato uno dei paesi pionieri in Europa per quanto riguarda il passaggio da una gestione pubblica ad una gestione privata dell’acqua; fu Jacques Chirac nel 1984, quando era sindaco di Parigi, a dare il via ad un percorso di privatizzazione delle acque parigine che per 25 anni ha segnato la gestione dell’oro blu francese da parte della grandi multinazionali come Veolia e Suez.

Oggi però, a fronte di un’espansione enorme dei costi e constatato che il livello dei servizi non è affatto migliorato, il Comune di Parigi ha deciso di procedere alla ri-municipalizzazione dell’intero servizio idrico che sarà effettiva dal 1° gennaio 2010. Parigi ha stimato così un risparmio di 30 milioni di euro l’anno che verranno reinvestiti per migliorare la rete idrica e per stabilizzare il prezzo dell’acqua fino al 2014.

Ma l’onda non si ferma qui; molte altre importanti città Francesi come Tolosa e Lione (Grenoble e Cherbourg hanno già terminato il passaggio) stanno seriamente valutando il ritorno alla gestione pubblica delle proprie acque in un trend (più di altre 40 comunità sono coinvolte) che sembra inarrestabile.

In Italia arriviamo , come spesso accade, 25 anni dopo senza nemmeno avere l’umiltà per imparare dagli errori altrui.