domenica 1 novembre 2009

Crisi economica: iniziata la crescita...quella del tasso di disoccupazione

Il presidente Usa Barack Obama ieri ha esultato per i dati che mostrano negli Usa una crescita del 3,5% del Pil nel terzo trimestre; "queste cifre confermano che ci stiamo muovendo nella direzione giusta'', ha detto Obama.
Subito dopo però si è preoccupato ricordando un altro dato, quello del tasso di disoccupazione anch'esso cresciuto al 9,8% e sicuramente destinato a salire ancora.

Ma anche in Italia si sono susseguite ieri dichiarazioni improntate ad un ridicolo ottimismo, come ad esempio quella di Berlusconi "E' iniziata la ripresa", oppure Brunetta "Da quando e' scoppiata la crisi, in Italia la poverta e' diminuita. In 14 mesi di crisi per 15-16 milioni di lavoratori sono cresciuti potere d'acquisto e risparmi".

Il quadretto infine lo chiude il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, "Non siamo piu' in caduta libera, ma ora si apre una fase di scelte importanti. Sono necessarie riforme anche impopolari, anche difficili''.
Ma guarda un po' che novità arriva da questi indecenti, ingordi e mai soddisfatti industrialotti italioti...

Intanto in Europa il tasso di disoccupazione ha toccato il 9,7% nei Paesi dell'area euro, il più elevato dal gennaio del 1999, mentre un anno fa era solo al 7,7% - in Italia a giugno, secondo Eurostat, il tasso era al 7,4% contro il 6,8% di un anno prima.
Un altro dato "confortante" è quello del tasso d'inflazione, cresciuto in Italia allo 0,3%.

Insomma, tutto ok....


Il balzo del Pil negli Usa? Il trucco c'è ma non si vede
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 30 Ottobre 2009

Due notizie, per iniziare. Primo, anche Goldman Sachs è umana e a volte, come questa, sbaglia le previsioni. Secondo, la recessione è finita visto che il Pil Usa è cresciuto del 3,5% contro il 3,3% previsto dagli analisti. Evviva. La Casa Bianca e il Tesoro hanno subito salutato la notizia come «una pietra miliare».

Ma, siccome non sarei io se non dicessi le cose come stanno, spegnete subito gli entusiasmi: questo dato, infatti, assomiglia tremendamente a quelli diffusi dagli enti cinesi preposti alle rilevazioni, ovvero sono taroccati. Come è presto detto. Ciò che ci viene comunicato da Washington è tutto verissimo, peccato che questi risultati siano stati resi possibili dalle manovre di stimolo messe in atto dal governo: senza quelle, oggi staremo parlando di depressione in atto e Wall Street, invece di festeggiare, avrebbe la freccia rossa.

Se infatti il progresso del Pil ha superato le attese degli analisti, secondo i dati disaggregati forniti dal dipartimento del Commercio, questo recupero ha ricevuto una consistente spinta dai programmi di incentivi alla rottamazione di auto approntati dal governo: le spese su beni di consumo durevoli del settore manifatturiero - dove viene inserita l'auto - hanno messo a segno un tasso di crescita del 22,3% su base annua, il più forte dalla fine del 2001.

Un ulteriore contributo positivo è giunto dal mercato immobiliare, che sembra aver svoltato rispetto alla fase di contrazione nel corso dell'estate: le spese su progetti edilizi hanno segnato un aumento annuo del 23,4%, il maggiore dal 1986. Secondo le tabelle storiche è la prima volta dal 2005 che questa voce segna una variazione positiva: anche in questo caso, però, si sconta l'effetto di misure governative, in particolare un credito d'imposta da 8mila dollari a favore di chi acquistava la prima casa.

Questa misura si esaurirà a fine novembre ma il Congresso sta studiando una sua possibile proroga: fino a quando non si sa, visto che la Fed continua a mettere in giro denaro a costo zero in quantità industriale, stampando e stampando denaro dal nulla per dare la sensazione che l'economia sia ripartita e la crisi alle spalle.

Non è così e lo sapete bene anche voi. A confermare ciò che dico la notizia che GMAC Financial Services, il braccio finanziario della General Motors, starebbe chiedendo un terzo intervento di sostegno al Tesoro statunitense che ha già versato 12,5 miliardi di dollari alla società e ne è diventato azionista al 35%. La profonda crisi di GMAC rappresenta una conferma indiretta della attuale situazione del credito al consumo negli Stati Uniti d’America, un comparto di attività finanziarie un tempo floridissimo e che consentiva alle entità appositamente create da imprese industriali e banche di contribuire significativamente ai profitti delle rispettive case madri: in qualche caso, come in quello della emanazione finanziaria della General Electric, per importi che rappresentavano anche il 50% del totale.

Ora non più: capite quindi perché è importante disaggregare i dati de Pil e guardare voce per voce il perché di tanto ottimismo immotivato, ad esempio nel trainante settore auto. «Sembra proprio che ora l'economia stia in piedi con le proprie gambe ma la domanda da porsi è quando svanirà l'effetto magico degli stimoli governativi e cosa succederà dopo», si domandava ieri Chris Rupkey della Bank of Tokyo-Mitsubishi a New York. «Questa è la domanda da un milione di dollari che 16 milioni di disoccupati si stanno ponendo dal basso della posizione in cui sono scivolati non per colpa loro», concludeva.

Un altro economista di primo livello, John Silvia di Wells Fargo, utilizza addirittura il bisturi per sezionare quanto sta accadendo: «La domanda da porsi è una sola, ovvero per quanto questo tipo di programma di stimolo - che ha consentito ad esempio il buon dato immobiliare grazie alle iniezioni spaventose a Fannie Mae e Freddie Mac - sarà sostenibile per la Fed. Noi abbiamo fatto un calcolo che purgasse le manovre di stimolo e il risultato del Pil è 2,4% per il 2010».

In molti, poi, cominciano a dire chiaro e tondo che in Borsa abbiamo visto i massimi dell'anno e che stiamo per andare incontro a una contrazione del 10% almeno, stando a Cramer «dopo la salita ora la “v” sta mostrandoci la sua gamba in discesa, la crisi è tutt'altro che terminata. Prendete beneficio di quanto investito e mollate tutto», il suo consiglio dal sito di Cnbc.

E ieri la risposta alle preoccupazioni degli economisti è giunta indirettamente dal segretario al Tesoro, Tim Geithner, secondo cui «la Federal Reserve dovrebbe perdere l'autorità di salvare grandi società finanziare in crisi come Aig e Bear Sterns. La Fed - ha spiegato Geithner - dovrebbe mantenere la facoltà di agire come creditore di emergenza ma solo a società solvibili in tempi di grave crisi e con il consenso del Tesoro. Ogni società che si mette nelle condizioni di non poter sopravvivere senza aiuti straordinari da parte del governo deve affrontare le conseguenze di un fallimento», ha concluso Geithner.

Il quale, però, finge di non sapere che sull'orlo del fallimento, oggi come oggi, c'è mezzo paese che vive artificialmente con i soldi dei contribuenti finiti sul lastrico per la crisi: paradossi del capitalismo in salsa sovietica. Ad onor del vero, lo stesso Geithner ha ammesso poco dopo che «la disoccupazione resta elevata in modo inaccettabile. Per ogni persona che ha perso il lavoro, per ogni famiglia che perde la casa, per ogni piccola impresa che ha difficoltà di accesso al credito, la recessione resta viva e acuta». Come uscirne non è dato a sapere.

Chi invece viaggia come una locomotiva e punta a un ruolo di duopolio con gli Usa, ovviamente in condizione di superiorità, è la Cina: utili in crescita del 19% nel terzo trimestre, infatti, per la Industrial & Commercial Bank of China, primo dei quattro giganti statali del credito del Dragone. Prima banca al mondo per capitalizzazione in Borsa, ha visto il risultato netto di bilancio sospinto dall'aumento di entrate mentre espandeva la concessione di prestiti, affiancando i massicci interventi decisi da Pechino a sostegno dell'economia.

Sui primi nove mesi dell'anno Icbc ha concesso crediti per oltre 1.000 miliardi di yuan, quasi 100 miliardi di euro e le entrate derivanti da interessi e commissioni sono cresciute del 19%. Tra luglio e settembre il gruppo ha realizzato utili netti per 33,8 miliardi di yuan, 3,35 miliardi di euro, pari a 0,10 yuan per azione. Icbc ha riferito che a fine settembre l'ammontare complessivo del suo patrimonio di attività risultava aumentato a 11.700 miliardi di yuan, o 1.161 miliardi di euro.

Sempre ieri anche la Bank of China, terzo istituto di credito cinese, ha pubblicato i suoi risultati, l'utile netto è aumentato anche in questo caso del 19%, a 21,1 miliardi di yuan, o 2,09 miliardi di euro, mentre le entrate per interessi sono cresciute dell'8% a 40,8 miliardi di yuan. Per parte sua Bank of China ha effettuato prestiti per 1.400 miliardi di yuan nei primi nove mesi, mentre l'ammontare totale del suo patrimonio di attività è salito del 19,9% a 8.300 miliardi di yuan, 824 miliardi di euro.

Insomma, numeri che devono far paura ma che sostanzialmente lasciano invece tranquilla la dormiente amministrazione Usa: finché la Cina ha surplus comprerà il debito statunitense e i due giganti si manterranno in vita l'un l'altro, uno comprando il debito, l'altro assorbendo la messe di export sul suo mercato asfittico e goloso di beni a costi ridotti e garantendo una sottovalutazione dello yuan. Ecco, a mio avviso, come va letto il dato del Pil Usa.


I padroni di Washington
di Michele Paris - Altrenotizie - 29 Ottobre 2009

Con un tasso ufficiale di disoccupazione salito al 9,8% nel mese di settembre, i salari in discesa e l’accesso al credito ancora complicato, negli Stati Uniti il livello della spesa privata ha fatto segnare nel secondo trimestre del 2009 una riduzione vicina al 2% su base annua. Una contrazione ragguardevole alla luce delle abitudini degli americani e di un dato che nell’ultimo ventennio aveva fatto segnare aumenti annuali mediamente superiori al 3%.

Se i cittadini comuni e le piccole aziende hanno dovuto necessariamente stringere i cordoni della borsa per far fronte agli effetti della crisi finanziaria, altrettanto non si può dire per le grandi compagnie e le loro associazioni, le quali nell’anno in corso hanno fatto registrare, al contrario, un considerevole incremento dei loro investimenti nelle attività di lobbying per influenzare a Washington un’agenda legislativa densa di questioni importanti per il loro futuro.

Il primato degli esborsi, come di consueto, va alla Camera di Commercio degli Stati Uniti (USCC), capace di spendere ben 35 milioni di dollari tra luglio e settembre. Una cifra enorme che va ad aggiungersi ai 17,5 milioni già stanziati nel corso dei primi sei mesi dell’anno. L’accelerazione nel ritmo della spesa nell’ultimo periodo di un organismo che rappresenta più di tre milioni di imprese in America corrisponde, in sostanza, all’attività del Congresso, dove a partire dall’estate hanno preso la strada dell’approvazione definitiva numerosi provvedimenti di legge in discussione da mesi. Gli investimenti del 2009 della USCC in questo ambito, d’altra parte, risultano tanto più ingenti quanto sono stati parzialmente inefficaci quelli dello scorso anno, effettuati direttamente a favore delle campagne elettorali di candidati repubblicani.

I lobbisti al soldo della Camera di Commercio americana si sono concentrati in particolare sulla battaglia per la riforma sanitaria. Obiettivo principale, naturalmente, è quello di evitare che nel progetto di legge tuttora allo studio finisca per essere incluso un piano pubblico alternativo a quelli privati, molto temuto perché produrrebbe una maggiore concorrenza sul mercato delle assicurazioni sanitarie. Per le aziende rappresentate dalla USCC, però, le leggi dalle quali potrebbero ottenere condizioni di favore sono anche quelle che riguardano la riduzione delle emissioni in atmosfera e la riforma del sistema finanziario.

Tutti temi ugualmente cari anche all’associazione delle industrie manifatturiere (NAM), che raccoglie 14 mila aziende di vari settori in ciascuno dei 50 stati americani ed è guidata dall’ex governatore repubblicano del Michigan, John Engler. La NAM è passata così da circa un milione di dollari spesi nel secondo trimestre del 2009 per rappresentare i propri interessi nella capitale ad addirittura 5,8 milioni negli ultimi tre mesi. Particolarmente sentiti per gli industriali d’oltreoceano sono le questioni legate al carico fiscale e alla sindacalizzazione dei lavoratori dipendenti, facilitata dalla possibile approvazione di un disegno di legge (EFCA) da tempo fermo al Senato dopo l’OK della Camera dei Rappresentanti.

Il calendario legislativo influenza dunque in maniera inevitabile le strategie delle associazioni e delle singole aziende toccate dai cambiamenti che si prospettano per loro nel prossimo futuro. Per oliare i meccanismi decisionali nei momenti critici, ecco giungere allora sulle migliaia di lobbisti registrati a Washington una pioggia di dollari per ottenere in cambio provvedimenti modellati in base agli interessi dei poteri forti. Significativo in questo senso è lo sforzo sostenuto dall’associazione degli immobiliaristi americani (NAR), la quale, sempre nel terzo trimestre dell’anno, ha sborsato 4,2 milioni di dollari per convincere il Congresso ad estendere il credito d’imposta previsto per gli acquirenti di immobili.

Legge sul cambiamento climatico e riforma sanitaria, oltre ad essere due terreni di scontro politico trasversale, hanno anche contribuito notevolmente ad arricchire le casse della cosiddetta “K Street”, cioè delle compagnie di lobby, molte delle quali hanno sede proprio sull’omonima strada della capitale. Il primo provvedimento, approdato in questi giorni ad una commissione del Senato in vista del summit di dicembre sul clima a Copenhagen, ha determinato una spesa in attività di lobbying da parte dell’Edison Electric Institute (EEI) – organismo che cura gli interessi dei fornitori di energia elettrica – di circa 8 milioni di dollari nel corso del 2009, una cifra superiore già di un terzo rispetto a quanto investito durante tutto il 2008. Superiore quasi di tre volte rispetto all’anno scorso è stata la somma stanziata (2,7 milioni di dollari) per intervenire nello stesso ambito dall’American Petroleum Institute (API), l’associazione dell’industria petrolifera americana.

Per plasmare una riforma del sistema sanitario in base ai propri interessi, invece, la potentissima Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRMA) ha speso nel 2009, finora, 6,8 milioni di dollari, a fronte dei 5,4 milioni del 2008. Questa associazione, il cui attuale presidente è l’ex deputato repubblicano della Louisiana Billy Tauzin, rappresenta molte compagnie operanti nel settore parafarmaceutico e delle biotecnologie e qualche mese fa aveva stipulato con la Casa Bianca un accordo per garantire un risparmio di 80 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni alle casse pubbliche nell’ambito della nascente riforma sanitaria. Un accordo criticato dai parlamentari democratici che hanno accusato PhRMA di essersi così messa al sicuro da ulteriori tagli ai rimborsi dei medicinali da parte del governo federale eventualmente previsti dal provvedimento finale che sarà licenziato dal Congresso.

Nonostante il terzo trimestre dell’anno comprenda il mese di agosto, per gran parte del quale il Congresso sospende le proprie attività, l’incremento medio delle spese a favore dei lobbisti di Washington si è verificato proprio in questo periodo dell’anno. Un segnale questo dell’ansia diffusa nell’élite industriale e finanziaria americana nel momento in cui si è iniziato a decidere del destino di svariati progetti voluti dalla nuova amministrazione. Analizzando i dati tuttavia si trovano anche singole grandi aziende che hanno sensibilmente ridotto gli investimenti destinati alla difesa dei propri interessi nell’arena politica. Anche in questo caso, però, l’andamento della spesa sembra rispecchiare la cadenza delle decisioni prese nella capitale, piuttosto che il riflesso di difficoltà prodotte dalla crisi economica.

È il caso, ad esempio, della General Motors, protagonista di una spesa pari a 2,7 milioni di dollari nel terzo trimestre del 2008 quando infiammava ancora il dibattito intorno al suo fallimento e al conseguente salvataggio da parte del governo federale. Una volta avviata la procedura di bancarotta controllata e assicurato l’intervento governativo, poche settimane dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama, la compagnia di Detroit ha praticamente chiuso i rubinetti di spesa alla voce lobbying. Tanto che nei tre mesi che vanno da luglio a settembre 2009 la General Motors per questa voce di bilancio ha speso “appena” 180 mila dollari.


Dove si nascondono oggi "Alì Baba e i 40 ladroni"?
di Manuel Freytas - http://www.iarnoticias.com - 15 Settembre 2009
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Liliana Benassi

Come emerge dagli usi e dalle abitudini il sistema che governa il pianeta oggi, ha diviso il cervello umano in due compartimenti stagni: la Realtà ed il Discorso. La realtà può essere captata dalla maggioranza, ma il discorso può rimodellare la realtà e fare pensare la maggioranza come se fosse la minoranza. In questo modo quello che nel sistema capitalista è una volgare forma di rubare (insaziabile) con la speculazione finanziaria si trasforma in una "causa morale" per salvare il “boia” col lavoro e le sofferenze dei sottomessi.

Quando imprese e banche capitaliste progettano ed eseguono piani commerciali, sono pragmatiche. Quando spiegano pubblicamente questi loro piani, sono morali. Il guadagno privato (pragmatico) che dirige i piani commerciali capitalisti, per imposizione alla conversione morale, si veste da "causa sociale." Non stiamo facendo affari privati, bensì sviluppando una causa imprenditoriale al servizio di tutti.

A Wall Street, nello stesso scenario di un anno fa in cui precipitava il colosso finanziario Lehman Brothers e scoppiava la crisi del furto con la "bolla finanziaria", Barack Obama presidente di turno americano, lanciò un appello morale ed impose alle corporazioni di Wall Street che scordassero per un periodo "abusi, eccessi, imprudenze e crisi" ed annunciò nuove misure per evitare che si ripetano questo tipi di collassi.

Aggiunse anche che c’è bisogno di regole forti per prevenire il riprodursi di simili rischi sistematici, e disse all'industria finanziaria che si unissse a questo sforzo costruttivo per definire la regole.

Capiamoci bene: il macro-furto finanziario con i titoli senza garanzia non si chiama furto secondo Obama, bensì abuso, eccesso, imprudenza e crisi.

Nel mondo reale di “Alí Babá e i 40 ladroni”, chiedere ai banchieri sionisti di Wall Street che si uniscano allo "sforzo costruttivo" per regolare e controllare se stessi, è come chiederle che rinunci alla sua identità e alla sua natura storica: la ricerca di guadagno e la concentrazione della ricchezza in poche mani.

Lo Stato imperialista non è un'organizzazione filantropica al servizio di cause morali, bensì uno strumento normativo e regolatore del sistema capitalista che lo utilizza e lo controlla per generare redditività tanto in tempi di "bolle", come di "crisi."

Obama, fedele riflesso dello Stato imperialista che l'ha scelto come suo rappresentante, parte da un punto di vista obbediente (ed allineato): le crisi del capitalismo non si producono a causa del furto (sfruttamento dell'uomo sull'uomo) e a causa della concentrazione di ricchezza (il prodotto del furto) in poche mani, bensì a causa di "errori ed eccessi."

Per tornare alla realtà è convieniente fare una conversione operativa: dove dicono "errori ed eccessi" bisogna scrivere "furti ed economia emergente." Ed aggiungere: la natura esistenziale del sistema capitalista è l'appropriazione del lavoro sociale e collettivo mediante l'inganno ed il doppio discorso. Senza questa condizione, non potrebbe esistere come sistema.

Nella realtà fuori dalle regole del discorso, tutta la struttura operativa del sistema capitalista (l'economia, la scienza, la tecnologia, la politica, la cultura, la comunicazione) si riassume in un assioma: comprare a poco per vendere a caro prezzo.

Primo: vendo caro grazie alla "bolla".

Le banche che originalmente finanziarono i mutui ipotecari accessibili a tutti (la base del boom immobiliare) per disfarsi del rischio a lungo termine vendettero i crediti di quello stesso debito (mutui subprime) a poderose banche e fondi di investimento di Wall Street (tra i quali si trovano i gruppi che controllano la Federal Reserve) che li collocarono a tassi di interesse esorbitanti sui mercati globali a livello planetario.

Meglio detto, l’affare originale americano cioè il boom immobiliare, terminò (a causa del capitale speculativo e senza frontiere) in una "bolla finanziaria" colossale che trasferiva altissimi guadagni tra i possessori di quei titoli (chiamati investitori) in d'Europa, Asia ed America Latina.

Ci sono esperti che sostengono che circolava negli USA e in Europa l’equivalente del valore del PIL di USA ed Europa in buoni di carta senza alcuna garanzia della "bolla finanziaria”, la quale si generò in Wall Street alla fine del decennio degli anni novanta distribuendo profitti speculativi su scala planetaria.

Le super-fortune personali, i super-dividendi si nutrono di questo monumentale macro-furto del capitalismo finanziario speculatore che ha inventato un'economia parallela: l'economia di carta.

Secondo The Wall Street Journal, i fondi subprime del "boom immobiliare" degli USA furono attrattivi per gli investitori fin quando le agenzie qualificatrici del rischio mantennero un'alta valutazione, che è quello che successe mentre la Fed mantenne bassi i tassi di interesse.

Quando le grandi banche ed i fondi d’investimento iniziarono a collocare i titoli del debito immobiliare americano nei mercati globali, S&P, Moody's Investors Service e Fitch Ratings (le tre principali agenzie di rating di Wall Street) concessero livelli eccellenti di rating a quei valori che, secondo il Journal, furono costruiti a partire da prestiti "discutibili."

In questa maniera - secondo il Journal - inviarono un segnale che questi valori erano sicuri come i buoni del Tesoro degli USA.

Però quando i tassi di interesse crebbero, il rating scese drasticamente - dice il Journal - milioni di famiglie non poterono pagare il mutuo contratto e gli investitori (che comprarono i titoli nei mercati globali) disinvestirono velocemente i loro soldi da detti investimenti.

Fu in questa maniera - spiega The Wall Street Journal – che esplose la "bolla immobiliare", tirandosi dietro Wall Street e i mercati borsistici del mondo intero.

In sintesi, e come risultante del processo, i detentori dei titoli subprime "svalutati" cominciarono a venderli in massa generando un collasso generalizzato (di tutti gli indici ed azioni) dei mercati finanziari in USA, Europa, Asia ed America Latina.

Ed arrivò il "lunedì nero" del settembre del 2008 dove il fallimento del gigante Lehman Brothers segnò il principio di un salto qualitativo: la crisi immobiliare divenne una crisi finanziaria caratterizzata da una crescente mancanza di liquidità del sistema finanziario.

Lì si scoprì la menzogna e la mancanza di copertura a centinaia di miliardi di dollari trasferiti tramite accordi finanziari e titoli e, quando i titolari vollero trasformarli in denaro contante e sonante, si trovarono con la sorpresa che il contante non stava dove sarebbe dovuto stare: nelle banche.

I giganti bancari ed immobiliari cominciarono a crollare trascinando tutto il sistema finanziario imperiale degli USA e dell'Europa.

Secondo: compro a poco grazie alla “crisi”.

La "crisi finanziaria globale" (o collasso dei mercati borsistici) attivata dai monopoli di Wall Street, serve agli stessi monopoli per comprare azioni e buoni svalutati nel mercato globale impadronendosi, in questa modo, di attivi e porzioni di mercato delle imprese e dei gruppi finanziari falliti.

Questo a sua volta genera una maggior concentrazione monopolistica dei gruppi finanziari che controllano l'Impero sionista attraverso la Federal Reserve, il Tesoro Americano e le Banche Centrali d'Europa, mentre le leggi di rendita e concentrazione capitalista continuano a funzionare partendo da un nuovo stato di sviluppo.

A causa del collasso generalizzato delle borse mondiali con Wall Street in prima linea nel settembre del 2008, l'onda della bolla finanziaria del capitalismo speculatore senza frontiere e la creazione del denaro dal denaro stesso si sgretolò sopra la stessa logica che l'aveva inventata: il regno del Leverage (l'indebitamento senza garanzie) e l’economia di carta fondata sopra al cadavere dell'economia reale.

La mancanza di "contante" agli sportelli (per garantire la carta senza valore) portò l’economia di carta a collassare e a sbattere contro la realtà, incominciando ad affondare davanti all'impotenza dei suoi creatori e sostenitori: gli Stati centrali del sistema capitalista.

Quindi i vincitori della crisi, i consorzi più diversificati che rimasero in piedi (le sanguisughe che integrano il sistema della Federal Reserve degli USA) assaltarono lo Stato per impadronirsi del cadavere dei rivali che non riuscirono a passare la selezione darwiniana del "più forte”.

Utilizzando lo Stato Americano come strumento (in qualità di sovvenzionatore e garante con fondi pubblici provenienti delle tasse apportate da tutta la società) le grandi banche e fondi d’investimento che integrano il sistema privato della Federal Reserve, hanno riciclato una "bolla finanziaria" (speculazioni finanziarie sulla crisi) costruita intorno ai miliardari fondi statali utilizzati per l'acquisto di attivi tossici o come aiuto finanziario alle istituzioni e alle banche fallite causa la crisi finanziaria recessiva, che ha come epicentro gli USA e l'Europa.

La caduta del sistema del "controllo finanziario" (cresciuto grazie agli affari produttivi e commerciali mediante indebitamento finanziario senza garanzie) creò una montagna di carta inutile chiamata "attivi tossici" nel portafoglio di banche ed imprese che vennero riscattate (mediante acquisizioni o fusioni) da parte dei grandi consorzi beneficiati dal grande "riscatto statale", tra i quali Morgan Stanley, Goldman Sachs e Bank Of América.

Sono quelli che, approfittando della stessa crisi che generarono, utilizzano lo Stato imperiale per comprare a basso costo.

Terzo: riciclo di una nuova "bolla".

Questo negozio di "comprare a poco" durante la crisi (con lo Stato come finanziatore e garante) ha generato e retroalimentato un'altra bolla speculativa.

I giganteschi piani di stimolo lanciati dai governi sono finiti sui mercati finanziari creando una "bolla" speculativa che fa salire le borse da più di quattro mesi, mentre il resto dell'economia (principalmente in USA ed Europa) rimane coi numeri in rosso.

Mediante i piani di "riscatto finanziario" avviati dallo stato americano (prima con Bush e dopo con Obama) le super banche ed i fondi d’investimento associati al sistema privato della Federal Reserve, riciclarono una nuova "bolla finanziaria" non con denaro speculativo proveniente dal settore privato, bensì coi fondi pubblici messi compulsivamente a servizio di un nuovo ciclo di redditività capitalista, parallela a una crescente reale crisi economica.

Il costo di questa monumentale manovra capitalista con la "crisi capitalista" (che fu esportata dagli USA ad Europa, Asia, Africa ed America Latina) è finanziato con il denaro delle tasse pagate dall'insieme della società.

Si tratta in definitiva di una "socializzazione" delle perdite per finanziare un "nuovo ciclo di guadagni privati" con lo Stato come strumento d’esecuzione, mediante il quale i mega-consorzi più forti (i vincitori della crisi) inghiottono i più deboli generando un nuovo processo di ristrutturazione e concentrazione del sistema capitalista.

Quarto: le perdite vanno solo da una parte.

Come si può notare, ad una corretta lettura dei suoi processi storici e mediante l’assioma di comprare a poco per vendere a caro prezzo, le corporazioni del sistema capitalista sionista fanno affari (generano rendimento) tanto con le bolle che con la crisi.

Però, in questo mondo il cui vincitore è il capitalismo: chi assorbe le perdite?

Così come fece in passato, il sistema capitalista di oggi (Stato ed imprese private) scarica per mezzo dei licenziamenti e della riduzione della spesa sociale (aggiustamenti che aumentano i livelli sociali di precarietà economica e di esclusione dal mercato del consumo) il costo del collasso recessivo economico (la crisi) sul settore dei dipendenti (la maggior parte dei lavoratori) e sulla popolazione più indifesa che è una buona parte della società (popolazione povera con limitate risorse di sopravvivenza).

Solo attraverso il super-sfruttamento capitalista (che riporta le conquiste sociali e sindacali indietro nel tempo) si spiega la possibilità del rendimento imprenditoriale (guadagni capitalisti) mentre l'economia mondiale crolla per effetto della crisi recessiva globale.

La cosiddetta "crisi" si può leggere in due diversi modi: da una parte le sanguisughe finanziare di Wall Street e le borse mondiali riciclano una nuova "bolla" di guadagni, non già con denaro speculativo proveniente del settore privato, bensì con fondi pubblici (le tasse pagate da tutta la società) messi al servizio di un nuovo ciclo di rendimento capitalista con la crisi.

Mentre il processo inflazionario-recessivo creato dalle economie centrali (USA ed Europa) genera fame, povertà e perdita del potere d'acquisto della maggioranza della popolazione su scala planetaria, un ristretto gruppo di mega-imprese e miliardari moltiplicano su scala cosmica i loro guadagni imprenditoriali e le loro fortune personali.

Cosi, quando esplode una crisi per eccessiva produzione (causa recessione e diminuzione dei consumi), il sistema applica la sua classica formula per preservare la redditività anche vendendo e producendo meno: l’abbattimento dei costi.

Questa ricetta d’abbattimento dei costi colpisce chiaramente (in prima linea) i lavoratori dipendenti delle imprese ed i programmi sociali dello Stato, che servono per compensare la mancata vendita e la riscossione fiscale.

Di conseguenza (e come già provato storicamente) le imprese mantengono i loro guadagni, cresce la recessione, cresce la disoccupazione, cadono i consumi e dilaga povertà ed esclusione sociale.

In questo modo il sistema capitalista (per mezzo degli Stati e delle imprese) scarica il peso della crisi sui settori più deboli della società: i poveri ed i più deboli (che continuano ad aumentare in numero) ed i lavoratori dipendenti (la maggior forza lavoro) che servono come variabili di accomodamento e preservazione del rendimento capitalista durante la crisi recessiva

Contemporaneamente, l'economia reale dell'Impero e delle potenze centrali collassa in tutte le sue forme, i settori più deboli soffrono già i tagli economici, mentre una crisi sociale ancora di effetti imprevedibili, spunta a seguito dei licenziamenti massicci in Europa ed USA.

È chiaro quindi che quello che è "crisi" per alcuni (i licenziati ed i settori più deboli della società) risulta essere "bolla speculativa" per altri (il capitalismo finanziario che creò la crisi con l’economia di carta).

Ritorniamo all'inizio: comprare a poco per vendere a caro prezzo, le perdite sono a carico solo di quelli che pagano le crisi con povertà ed esclusione dalla "società di consumo" capitalista.

In realtà il racconto di “Alí Babá e il 40 ladroni” fu solo un'invenzione da parte di Hollywood per ritoccare il vero titolo del film: "Il Sionismo Ebraico e i ladroni globali."