martedì 10 novembre 2009

Un'altra leggina salvaculo del premier?

Nessun altro commento sull'ennesimo tentativo del cosiddetto premier di salvarsi il culo.

Chi scrive tiene alla salute del proprio stomaco...


Processi veloci, ultimo trucco
di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 10 Novembre 2009

Perbacco, ecco finalmente i "problemi reali del Paese". O meglio, l'unico problema del Paese che, come in un'ossessione paranoica, a Berlusconi e alla sua gente appare reale: i processi di Berlusconi. Come evitare che il presidente del consiglio affronti il tribunale e un giudizio? La narrazione di questa necessità, che dovremmo sentire come un obbligo dovuto al sovrano, si nutre di finzioni, inganni, autoinganni, rovesciamento di senso.

Nel corso del tempo, ha mutato i suoi pretesti. Prima è stata accompagnata dal giocoso ritornello "così fan tutti" e ci è stato lasciato intendere che dovunque, nel mondo, chi governa è immune dal processo. È una balla, ma è stata all'origine di una legge (la "Schifani") incostituzionale e presto silurata dalla Consulta. All'inizio di questa legislatura, nuova legge immunitaria ("Alfano") e nuovo argomento: se deve difendersi nelle aule di un tribunale, il capo del governo non può governare. Quindi, si sospenda il processo. Gli si consenta di svolgere il suo incarico. In aula ci andrà dopo.

La Corte costituzionale boccia il nuovo sgorbio: processo e governo possono coesistere se giudici e imputato (che governa) concordano un calendario di udienze che non pregiudica le responsabilità del presidente del consiglio e consenta al tribunale di accertare che cosa è accaduto e per colpa di chi.

La coerente soluzione costituzionale non può essere accettata perché un processo, in ogni caso, ci sarà e, per Berlusconi, è giusto l'intralcio che va aggirato. Dunque, si ricomincia. Questa volta, con una sprezzante limpidezza della ragione che impone "una soluzione definitiva".

Il perché ha una sua formula sfrontata e una declinazione più ideologica. Della prima s'incarica Fedele Confalonieri: "Le leggi ad personam? [Silvio] Le fa per proteggersi. Se non fai la legge ad personam vai dentro". Della seconda, se ne cura Giuliano Ferrara: "C'è un solo vero dilemma: della guida di questo Paese decide il popolo o decide l'ordine giudiziario?". Al fondo dell'argomento, c'è una tesi insidiosa e controversa: Berlusconi ha il diritto di prevalere su tutti gli altri poteri dello Stato (anche il potere giudiziario, anche il parlamento, anche la corte costituzionale), perché soltanto lui è "eletto direttamente dal popolo".

Quindi, nessuno lo può giudicare a meno di non volere azzerare la volontà popolare, con un colpo eversivo della democrazia. Ilvo Diamanti e Giovanni Sartori hanno dimostrato con qualche numero che "l'asserzione è falsa" perché Berlusconi non è insediato "direttamente" dalla volontà popolare e lo vota, sì e no, un terzo degli italiani. Troppo poco per concludere che Berlusconi è il popolo e il popolo è Berlusconi.

Ma tant'è, questo è l'argomento che ci viene oggi proposto. Irrobustito, si fa per dire, da due "quadri" diventati ormai "classici", nonostante la loro inconsistenza: la magistratura ha liquidato abusivamente, quindici anni fa, un sistema politico (per credere alla favola, bisogna dimenticare che diecimila miliardi di tangenti l'anno avevano già distrutto il Paese); Berlusconi, una volta in politica nel 1994, è stato perseguitato dalle "toghe rosse" con ostinazione (in questo caso, si dimentica che Mediaset e Publitalia erano sotto inchiesta già nel 1992 e Berlusconi era già stato al centro negli anni ottanta di indagini e condanne penali).

Questa figurazione truccata, che ieri ha ottenuto anche un sorprendente editoriale del direttore del Tg1 a favore del ripristino dell'immunità parlamentare, sostiene il nuovo schema con cui faremo i conti nei prossimi mesi. L'ultimo paradigma, escogitato dai "tecnici" di Berlusconi, si poggia ancora una volta su una narrazione alterata. È interessante scorgere quale prezzo Berlusconi intende far pagare alla sua maggioranza, al suo governo, alla macchina della giustizia, ai cittadini pur di guadagnare l'impunità.

Si dice: la giustizia è lenta, va riformata nell'interesse dei cittadini. È un'assoluta priorità correggere la prescrizione (il tempo che lo Stato si concede per accertare i fatti e la responsabilità). Quindi - ecco l'ultimo scarabocchio - tagliamo subito di un quarto i tempi di prescrizione dei procedimenti in corso per i reati commessi prima del 2 maggio 2006 con pena massima fino a dieci anni e stabiliamo che i processi devono essere celebrati in sei anni (tre per il tribunale, due per l'appello, uno per la cassazione).

Bisogna ora chiedersi: è vero che, riformata così la prescrizione, i processi saranno più rapidi? La risposta è che non è vero. La riforma (condivisibile) è soltanto un imbroglio se non si provvede a mettere il sistema in condizione di celebrare i processi in tempi compatibili con la nuova prescrizione. Ma di questo obiettivo Berlusconi e i suoi non vogliono discutere perché, con tutta evidenza, i procedimenti da cancellare con quelle norme sono i tre processi che, dopo la bocciatura della "legge Alfano", attendono il capo del governo (Mills, diritti Mediaset, Mediatrade).

Vediamo ora quali sono gli effetti di questa mossa per la giustizia e per la politica. I quattro quinti dei reati previsti dal codice penale sono puniti con una pena massima inferiore ai dieci anni. Se si considera che, in media, i processi durano sette anni e mezzo, anche i non addetti comprendono che i quattro quinti dei processi italiani sarà azzerato, le vittime dei reati umiliate, i rei liberi come farfalle. Ecco perché si parla di amnistia mascherata e di massa.

Qui, il prezzo maggiore lo paga la sicurezza dei cittadini, che pure è uno dei cardini del programma di governo. L'esito disastroso ha come pendant rovinoso l'effetto sul quadro politico e istituzionale. Il presidente della Repubblica non vuole "riforme né occasionali né di corto respiro". Il presidente della Camera concorda che il processo sia breve, ma ritiene che ridurre unicamente i tempi della prescrizione non trasforma un sistema arrugginito in una macchina efficiente.

Dal loro canto, i magistrati hanno fatto sapere che, per dare più rapidità al processo, sono necessarie più risorse e, da subito, qualche accorgimento tecnico. Per esempio, la posta elettronica per le migliaia di notifiche e avvisi inviati agli avvocati; la sospensione dei processi penali per gli imputati irreperibili, che impegnano i tribunali senza alcuna utilità; la depenalizzazione dei reati minori, per riservare il costoso processo penale, alle questioni di reale allarme sociale.

Sappiamo anche un'ultima cosa. Che il Pd di Bersani è disposto a un dialogo con il governo per sostenere una nuova stagione di "riforme strutturali", ma esclude che la giustizia ad personam sia una priorità. È questa allora la mappa dei conflitti autunnali che Berlusconi accenderà se dovesse ostinarsi nella sua pretesa di rendersi immune, costi quel che costi.

Contro il capo dello Stato; contro il presidente della Camera e parte della maggioranza (quella che fa riferimento a Fini); contro la magistratura; contro lo spirito riformista dell'opposizione; contro la sicurezza dei cittadini; contro le vittime dei reati. Uno scontro senza quartiere che Berlusconi è disposto a provocare in nome dei "problemi reali del Paese". Anzi, dell'unico problema reale che conta per lui, il suo.


AAA Lodo offresi prezzo trattabile
di Marco Travaglio - voglioscendere - 10 Novembre 2009

Premesso che l'on. avv. Niccolò Ghedini è una simpatica personcina e il suo maestro on. avv. Pietro Longo pure, la domanda è questa: ma è normale che questi due signori - come informano quotidianamente i giornali - si aggirino per le aule parlamentari, peraltro deserte, e negli angiporti limitrofi, cercando di piazzare lodi, lodini, sottolodi, minilodi travestiti da “riforme della giustizia" in formato extralarge, o mignon, da tasca o da pochette, per cancellare i processi o i reati del loro cliente che li paga profumatamente e, per inciso, fa pure il presidente del Consiglio?

È normale che tutti li stiano a sentire, nell'ambito del “dialogo sulle riforme”, anziché mandarli a stendere?

È normale che nessuno... dal presidente della Camera a quello della Repubblica, non trovino due minuti e due parole per metter fine allo sconcio? È normale che i giornaloni “liberali” non scrivano una riga?

È normale che Pigi Battista abbia frantumato i marroni per tutta l'estate a De Magistris perché non s'era ancora dimesso da magistrato (l'ha fatto a settembre, nel silenzio di Battista) e non abbia mai dedicato una virgola alle mancate dimissioni di Ghedini e Longo dall'avvocatura o dal Parlamento o dalla difesa berlusconiana?

È normale che il Corriere degli Ostellini, dei Panebianchi, dei Pappagalli della Loggia che quotidianamente ci affetta i santissimi con la separazione delle carriere fra giudici e pm non dedichi un pigolìo alla separazione delle carriere fra avvocati e legislatori?

È normale che l'Ordine degli
avvocati, quello che non ha ancora trovato il modo di espellere Previti a tre anni dalle condanne definitive per aver comprato le sentenze Imi-Sir e Mondadori, non abbia nulla da dire ai due illustri associati in spudorato conflitto d'interessi?

Se non andiamo errati, l'Ordine forense è dotato financo di un “Codice deontologico”, che nel capitolo III sul “Conflitto d'interessi”, contempla il seguente art. 37: “L'avvocato ha l'obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa... interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale”. Tipo quello di deputato.

Ora, non ritengono lorsignori che codesto articolo calzi a pennello con ciò che fanno ogni santo giorno da 15 anni gli avvocati del premier? E, se è così, il Codice deontologico ha una funzione ornamentale o è vincolante per gli associati? E che si intende fare per indurre le due personcine a rispettarlo?

Finora gli On. Avv. avevano sempre trovato un prestanome disposto a immolarsi e intestarsi le leggi-vergogna su misura dell'Utilizzatore Finale e dei suoi cari: decreto Biondi, condono Tremonti, scudo Tremonti, ddl Pittelli, lodi Schifani e Alfano, legge-bavaglio Alfano sulle intercettazioni.

Solo Cirielli si era ribellato, tant'è che la sua legge riveduta e corrotta fu ribattezzata “ex Cirielli”, alla memoria, per mancanza di scudi umani volontari. Ora anche Angelino Jolie, essendosi sputtanato abbastanza, non firma più nulla. Così Ghedini e Longo han dovuto riaprire il bazar mettendoci la faccia e il nome.

Ogni giorno la premiata ditta sforna una nuova schifezzuola per sondare il terreno e vedere l'effetto che fa: amnistia super o mini; indultino gigante o nano; prescrizione breve o media o lampo; portiamo tutto da Milano a Roma, o magari ci fermiamo a metà strada, tipo Orte; un bel lodino nuovo di pacca, anzi usato; valido per tutti, o solo per gli incensurati, o solo per Lui.

Interessa l'articolo? Prezzi modici e trattabili. Roba che nemmeno Paolo Ferrari coi due fustini al posto di un Dash. Prima o poi riusciranno a piazzarlo, il Ghedash che lava più bianco. Tanto nessuno dice nulla e il Presidente firma tutto. O no?


I dubbi del Colle e una firma non scontata
di Marzio Breda - Il Corriere della Sera - 10 Novembre 2009

«Il presidente è preoccu­patissimo ». Non c’erano giri di parole o toni minimizzatori in chi descrive­va nei giorni scorsi gli umori di Gior­gio Napolitano davanti alle ipotesi di una frettolosa leggina sulla giustizia messa in cantiere dal governo dopo la bocciatura del lodo Alfano.

Le diverse formule per abbreviare i termini di prescrizione sulle quali è all’opera il consigliere giuridico e avvocato del premier, nonché parlamentare del Pdl, Niccolò Ghedini, rischiano di ave­re un pesante impatto su migliaia di processi. Ne estinguerebbe addirittu­ra 600 mila, secondo alcune valutazio­ni.

Effetti che, se da un lato salvereb­bero Berlusconi dai dibattimenti in cui è imputato per corruzione (il caso Mills) e per frode fiscale (la vicenda Mediaset sui diritti tv), dall’altro lato potrebbero tradursi in una sorta di amnistia mascherata, com’è stato det­to da più parti. Uno scenario molto preoccupante per il Quirinale.

Insomma, Palazzo Chigi si sta muo­vendo su un terreno più che scivolo­so, pericoloso. E il via libera del Colle a un provvedimento così delicato e controverso dipenderà dalle soluzio­ni tecniche che emergeranno a fine percorso. Al momento, dunque, la fir­ma di ratifica del capo dello Stato ri­sulta tutt’altro che scontata. E Napoli­tano l’ha già fatto sapere al governo.

Un’incertezza che, del resto, vale an­che per l’accordo con gli altri leader della maggioranza, Bossi e Fini, chia­mati oggi a esprimere un impegno vincolante davanti al Cavaliere. Le va­riabili attorno alle quali ruota l’esame del mondo politico, ma soprattutto del capo dello Stato, riguardano le modalità per accorciare i tempi dei processi e far sì che siano davvero «ra­gionevoli ». Questo, almeno, è quanto dichiarato dai proponenti.

Ma sembra un obiettivo difficile da raggiungere se la legge non sarà ac­compagnata da un congiunto piano di risorse, necessarie per restituire ef­ficienza al sistema giudiziario. Altri­menti tutto potrebbe tramutarsi, di fatto, in una resa dello Stato, con la conclamata dimostrazione dell’impos­sibilità di fare i processi e di punire i colpevoli e garantire giustizia a tutti.

Napolitano ha denunciato davanti allo stesso Consiglio superiore della magistratura che «una crisi della giu­stizia c’è» e ha chiesto a più riprese, e l’ultima volta la scorsa settimana, che le riforme annunciate «non siano oc­casionali o di corto respiro». Traducia­mo (raccogliendo il suo vecchio invi­to a non attribuirgli in questa materia «alcuna salomonica equidistanza»): riforme non ritorsive nei confronti della magistratura e non costruite su misura per alzare uno scudo protetti­vo su una persona sola.

Ora, se non dovesse risultare digeri­bile dall’intero centrodestra la «taglio­la » sulla prescrizione studiata da Ghe­dini (che ha lavorato di bulino su co­me ridurre la sospensione al tempo di «assenza giustificata» dell’imputato dal processo), ben più lacerante sareb­be l’eventuale recupero di un’idea fat­ta circolare da ambienti del governo nelle settimane scorse. L’idea cioè di un provvedimento che sposti a Roma «per competenza funzionale» tutti i processi per le quattro Alte cariche dello Stato, ed è inutile ricordare che Silvio Berlusconi ne sarebbe l’unico beneficiario.

In questo caso, il «no» presidenzia­le sarebbe certo. Anzi, se il governo, dopo la prevedibile bocciatura del Col­le, si azzardasse a rivotarlo tale e qua­le imponendone la promulgazione al capo dello Stato (come prevede l’arti­colo 74 della Carta costituzionale), ri­schieremmo di assistere a uno scon­tro tra poteri senza precedenti.

In dot­trina, infatti, si discute se il presiden­te della Repubblica non potrebbe — e si ritiene appunto che potrebbe — ri­fiutare la controfirma e sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta. Perché una norma del gene­re finirebbe per ledere un principio in­derogabile della Costituzione: quello dell’uguaglianza dei cittadini di fron­te alla legge.