sabato 14 giugno 2008

Il vicolo cieco della globalizzazione

Con il prezzo del petrolio che prosegue la sua folle corsa, la liberalizzazione degli scambi commerciali - la famigerata globalizzazione - diventerà sempre meno conveniente economicamente per l’aumento esponenziale del costo dei trasporti.

E idem ovviamente dicasi per le delocalizzazioni delle imprese, così tanto decantate negli ultimi 15 anni dagli industriali dei Paesi più “avanzati” come panacea per affrontare l’agguerrita competitività nei diversi mercati, grazie all’infimo livello del costo del lavoro nei Paesi destinatari delle delocalizzazioni.

Si dovranno quindi ripensare e ricostruire strategie economiche e abitudini quotidiane, ma finora la strada imboccata è sempre la stessa e conduce contro un muro che si sta avvicinando sempre di più.


Arriva l’autarchia, e non abbiamo niente da metterci
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 12 Giugno 2008

Di colpo, sono tornati i dazi doganali. Ma non sono gli Stati a rialzarli per decisione politica. E’ il petrolio rincarato. Nel 2000, quando il petrolio costava 20 dollari il barile, il costo del trasporto per importare merci dalla Cina equivaleva a una tassa sull’import del 3%, un dazio modesto.
Oggi, il «dazio petrolifero» pesa sulle merci cinesi per il 9%, e toccherà l’11% quando il barile andrà a 150. Col barile a 200 «previsto» da Goldman Sachs e voluto dai Bilderberg, la tassa sull’import sarà del 20%: un dazio pesante, da protezionismo autarchico.

Fornisce queste informazioni il Times di Londra, (1) con questo commento del tutto inusuale per un giornale british, cioè ultraliberista: «Il prezzo del petrolio sta, con brutale efficienza, facendo mancare il fiato a un mostro del ventesimo secolo, la globalizzazione». La delocalizzazione (mandare le fabbriche là dove il lavoro costa poco) conviene ogni giorno di meno. «La distanza dal tuo cliente non è solo una sciocca questione di logistica. Oggi, che tu venda acciaio o fiori recisi, il costo del trasporto diventa un problema».

La Cina, vittima del suo successo, deve continuare ad importare migliaia di tonnellate di minerale di ferro, e carbone per fonderlo; ma il trasporto di una tonnellata di tali materiali dal Brasile a Shanghai «supera oggi i 100 dollari, costo equivalente al valore del minerale» trasportato. Per contro, l’industria siderurgica americana è rinata a vita nuova: non solo grazie al dollaro basso, ma per «il muro tariffario eretto dal costo di spedire per nave attraverso il Pacifico prodotti pesanti e di basso valore aggiunto». I metallurgici statunitensi hanno smesso di denunciare il dumping cinese (vendita sottocosto); ora il danno è rovesciato, e lo subiscono i Paesi asiatici esportatori.

Insomma, ciò che non hanno voluto fare i politici, lo fa la globalizzazione stessa come effetto collaterale indesiderato: è la globalizzazione che ha reso scarso e rincarato il greggio, la globalizzazione ha reso Cina e India grandi consumatrici, è la speculazione globalizzata che ha fatto salire il rincari alle stelle.Naturalmente il dazio «naturale» petrolifero non colpisce tutte le esportazioni ugualmente. Le merci piccole e costose, come medicinali, elettronica sofisticata come telefonini e computer, risentono poco del rincaro del trasporto trans-oceanico; ma i materiali grossi, voluminosi e pesanti sono diventati meno convenienti da importare: mobili, scarpe, macchinari di base, materiali da costruzione - «ciò che esporta la Cina in America» non sono più a buon prezzo.

Forse è un po’ presto per prevedere la rinascita delle aziende tessili italiane o inglesi, e la chiusura delle fabbriche del Guangdong, dice il Times; «ma c’è da chiedersi che senso ha comprare la merce dalla Cina quando il viaggio per mare da Shanghai rappresenta metà del valore del prodotto». Ciò vale ancor più per i prodotti agricoli freschi o in scatola che l’Europa e gli USA importano dal mondo intero.

L’autarchia, che nessuno ha voluto perchè politicamente scorretta, si impone da sè. E dove sono finite le nostre aziende tessili che ci serviranno presto? Dove le nostre coltivazioni nazionali, le vacche e gli allevamenti? Dove le centrali nucleari per sostituire un decimo dell’import di petrolio che arriva su costose petroliere? Dove sono le fabbriche di mobili che hanno chiuso per andare altrove? Dove sono le competenze, gli ingegneri, i tecnici, gli specializzati per fabbricare e coltivare?
Ecco, si avvicina l’autarchia - per necessità, come sempre - e non abbiamo niente da metterci. Soprattutto, non abbiamo guide politiche capaci di prendere atto della realtà.

Il capo della Banca Centrale Europea Trichet ha minacciato - con questi chiari di luna - di aumentare il tasso di sconto, che è già quasi il triplo di quello americano: Bernanke ha abbassato il tasso al 2%, mentre le minacce di Trichet hanno aumentato il nostro al 5,2%. Ciò non solo sopravvaluta l’euro e strangola le nostre esportazioni, ma è un disastro economico-sociale per alcuni Paesi.
La Spagna, per esempio, alle prese con lo scoppio della bolla immobiliare (le case costano il 18% in meno rispetto al boom), ha anche il 98% dei mutui in essere che sono a tasso variabile; il rialzo dei tassi BCE manderà in rovina centinaia di migliaia di famiglie. Zapatero ha chiesto a Trichet di starsene zitto; ma la Germania ha preso le difese del gran cretino della BCE. Sostenendo che con i tassi alti, «Trichet ci difende dall’inflazione» (2). Tutti fanno finta di ignorare che l’inflazione non è cosa che Trichet abbia il potere di controllare: dipende dal rincaro di petrolio e cibo.

E’ l’idiozia al potere. E con quale arroganza. Pressati dai camionisti e dai pescatori, i francesi vogliono bloccare l’IVA sui carburanti. Puro buon senso. Ma la Commissione Europea glielo ha vietato. Jean-Pierre Jouvet, il ministro di Parigi per gli Affari Europei, è sbottato: «La proposta francese sarà discutibile, ma ciò che non è ammissibile è che in Europa si dica che non accade niente sul fronte delle materie prime». Se l’Europa continua a «negare i problemi», ha aggiunto, il rischio è «un divorzio tra l’Europa e i suoi cittadini». «Si deve sapere se in Europa si vuol fare una politica che risponda alle aspirazioni dei suoi cittadini o no; non è possibile dire ‘business as usual’ quando il barile del petrolio è triplicato».

Il divorzio dei popoli con questi burocrati di legno è quello che occorre, e d’urgenza. La Commissione europoide, commenta Dedefensa, con furore e fervore sta alzando le barricate contro «un intruso spaventoso: la realtà» (3). Continuano a predicare liberismo, globalizzazione, «stabilità», pareggi di bilancio, insomma le ricette che hanno imparato da Washington e che ripetono a memoria. E’ il progetto per cui sono stati selezionati, e che sono decisi a difendere, a costo di farci morire.


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1) Carl Mortished, «Oil price crisis threatens to reverse globalization», Times, 11 giugno 2008.
2) Ambrose Evans-Pritchard, «Europe’s deep rift exposed over ECB interest rates policy», Telegraph, 11 giugno 2008.
3) «La Commission se doute-t’elle de quelque cose?», Dedefensa, 10 giugno 2008.