Uno spaccato interessante sulla quotidianità vissuta nel carcere del Tribunale dell’Aja da alcuni protagonisti del massacro balcanico. Serbi e croati, bosniaci serbi, croati e bosniacchi, kosovari serbi e kosovari albanesi, montenegrini convivono fianco a fianco in un ristretto perimetro che riproduce in microscala ciò che era un tempo la multietnica Jugoslavia di Tito.
La Jugoslavia di Scheveningen
Di Ennio Remondino – Il Manifesto – 27 Maggio 2008
Dal serbo Seselj al croato Gotovina, fino al kosovaro albanese Haradinaj (ora «assolto»), la kafkiana convivenza dei leader che hanno assassinato un paese
Scheveningen è la spiaggia dell'Aja, Le Hague, per le due settimane in cui il Mare del Nord non ti trasforma direttamente in merluzzo surgelato. Dieci minuti di taxi dalla capitale amministrativa dell'Olanda da presepe e una sessantina di chilometri della felicemente peccaminosa e vivace Amsterdam. Scheveningen è anche la sola spiaggia in salita esistente al mondo. Superi alla tua sinistra il fortilizio-caserma del carcere Onu dietro cui si nascondono gli edifici ipermoderni dell'ipergalera vigilata da secondini iperpagati, e ti arrampichi in mare. Oltre il fronte delle dighe diventate ormai colline adornate di verde, molto più in alto delle strade che hai percorso. Paesi Bassi si chiamano, e vedendo il Mare del Nord che incombe, fa impressione. Come il presentarsi all'entrata della galera. Hai un bel cambiare il nome in versione politicamente corretta ma anche qui l'operatore ecologico continua a raccogliere immondizia, l'operatore sanitario a pulire i sederi dei pazienti e la polizia penitenziaria ad applicare diffidenza di mestiere, controlli d'obbligo e chiavi d'ordinanza. Filtro generale per visitatori e legali di tutti i detenuti, poi le strade carcerarie dei «comuni» e degli «internazionali» si dividono. Una delle mie fonti racconta di 10 diversi sbarramenti, con relativo giro di catenacci, un'altra ne riferisce 17. Comunque sia, il tuo galeotto ti aspetta, sia chiamato Gospodine Predsednice, Signor Presidente, o Signor Generale.
L'ora del calcetto
I momenti di maggior tensione all'interno sono sempre quelli della partita di calcio. Calcetto con squadra a cinque. Tempo fa Mladen Natelic, detto «Tuta», ha commesso un fallaccio su Vojslav Seselj, detto «Voja», che piombando a terra con la sua mole ha fatto tremare la palestra. Gamba insaguinata, fischio del fallo e la polemica di sempre tra croati e serbi su chi pesta di più e per primo. Come tornare allo Stadio Maksimir di Zagabria nella partita storica tra Dinamo e Stella Rossa. Allora, 13 maggio del 1990, fu l'avvio delle contrapposte tifoserie della piazza nazionalista verso lo sfascio Jugoslavo. Fu la guerra. Nell'anno 2008, centro sportivo del carcere olandese di Scheveningen, Olanda, la gamba insanguinata appartiene al massicio Seselj, serbo tra i serbi, ex vicepremier di Milosevic, ex segretario del partito ultranazionalista e ultra radicale al secondo posto nelle elezioni di domenica in Serbia, ma pronto a formare la sua maggioranza di governo. Contro, gli sfottò del più mingherlino Natelic, croato d'Erzegovina, meno intellettuale ma altrettanto accanito nazionalista delle recenti guerre balcaniche. Un assaggio dell'antico spirito jugoslavo fatto d'ironia, sfottò e sostanziale convivenza. Quasi che i due «sportivi» da ora d'aria, regrediti all'infanzia del collegio carcerario, accusati tutti di crimini di guerra, volessero tornare a quella Grande Jugoslavia che loro, adulti, erano riusciti a mandare a catafascio.
Le celle di Scheveningen sono confortevoli. Camera da letto, piccolo soggiorno con seggiola, tavolino, Tv e, a richiesta, computer. Nella sala collettiva, un telefono internazionale a scheda. Un decente alloggio a tre stelle. Le docce purtroppo sono collettive. Come lo spazio che, dalle sette del mattino alle 20 e 30, ora del ritorno in cella, i 15 detenuti di ogni singolo braccio devono condividere. Soggiorno, cucina, spazio lettura, spazio di studio dei quintali di carte giudiziarie. Dalle 7 in poi, la socializzazione è nei fatti. Gli accudimenti personali. Ho sentito la signora di un detenuto illustre interrogare telefonicamente il marito sull'avvenuto lavaggio dei panni e la stiratura delle camicie. Se mai torneranno liberi saranno certamente degli uomini più umili. Pranzo in orario ospedaliero. O la mensa carceraria o l'ordinazione di materie prime, settimanale, a tuo carico. Cucina chi è capace. I più bravi sono i croati, forse per vicinanza con l'Italia, e quei serbi che sono stati soldati. Cella e «pennica» nell'ora del pranzo delle guardie poi sport, ora d'aria e altre attività. Seselj e Naletic, stesso braccio, ad esempio, giocavano per ore a scacchi. Ora il leader ultranazionalista serbo è molto dispiaciuto. Ha perso il suo croato preferito, condannato definitivamente a 25 anni di galera e trasferito, ad espiazione pena, in un carcere del nord Italia. Una notizia.
Governanti accusati di aver armato assassini e criminali trasformati miracolosamente in patrioti. Quel bel pezzo di protagonisti dei dieci anni di macello balcanico, in carcere, tendono a somigliare a tanti Peter Pan della Jugoslavia Perduta della favola, che proprio loro hanno trasformato in incubo. Serbi e croati, bosniaci serbi, croati e bosniacchi, kosovari serbi e kosovari albanesi, montenegrini. Con in più i fantasmi, a partire da quello di Slobodan Milosevic, sino agli invisibili Karadzic e Mladic. 161 incriminati, 43 dichiarati colpevoli, 8 assolti, 25 scagionati e 6 a giudizio nell'aldilà. Tutta la successione delle guerre balcaniche e tutte le varianti possibili dei nazionalismi contrapposti eppure tanto eguali tra loro. Quindici «ospiti» per blocco, a Scheveningen, detenzione rigorosamente interetnica, spazi comuni e poi, nelle due occasioni giornaliere di ora d'aria in cortile, l'incontro con i colleghi degli altri bracci. Se non è Jugo Nostalgia, sono certamente le Jugo Buone Maniere, a cominciare dall'uso della lingua. Serbo-croato anche per l'ex premier kosovaro, ex capo Uck e potente capo di un potente Fis (famiglia), l'albanese Ramush Haradinaj quando, incontrando nel cortile del passeggio l'ex presidente serbo Milan Milutinovic, gli si presenta con un correttissimo «Dobar dan gospodine Predsednice. Ja sam ...» (Buon giorno signor Presidente, io sono ...). Ora Haradinaj è in libertà tra le proteste unanimi a Belgrado, assolto in primo grado per moria di testimoni d'accusa dall'incriminazione di stragi contro civili serbi e rom (adesso lo stesso Tribunale dell'Aja che l'ha assolto ricorrerà in appello). E già minaccia di far cadere il governo di Pristina.
Anche Milosevic, mi raccontano, godeva di grande rispetto tra gli altri detenuti. Ha fatto clamore, nel marzo 2006, l'annuncio funebre sui quotidiani belgradesi Politika e Vecernje novosti con le condoglianze per il loro «compagno dell'Aja» Milosevic, morto in carcere il giorno prima. Tra i firmatari, oltre ai serbi detenuti, anche quattro croati, a partire dal generale Ante Gotovina. In Croazia ci fu chi parlò di «un inganno dei media serbi», di «manipolazione politica». Arrivata la conferma di Gotovina, si disse allora di «solidarietà carceraria», «consuetudini che regnano in carcere», ma anche di «sentimenti cristiani», con tanto di benedizione della Chiesa cattolica di Zagabria. In pochi hanno ricordato la nota frase su «fratellanza e unità» dell'ex presidente della Jugoslavia, Josip Broz Tito. Sia una parvenza di «titoismo» di ritorno, sia la redenzione cristiana di qualcuno, sia la pura necessità di sopravvivenza nella detenzione.
Una curiosità per tutti noi italiani-vaticani, le stanze carcerarie del sesso. A favorire, per quanto possibile, la sua pratica tra sessi diversi. Celletta angusta ma con letto matrimoniale. Il detenuto con la compagna in visita si presenta al secondino, ritira lenzuola di bucato e si chiude nell'alcova carceraria. Un'ora di tempo, che non è poco. Mi dicono che i figli di Scheveningen sono ormai molti. Un papà gioca col figlioletto piccolo in visita e, da croato, lo vezzeggia con «Il mio piccolo ustascia». Il bimbo, ormai educato alla scuola di Jugo-Scheveningen, sfotte, «No, io piccolo cetnik», a fare confusione tra nazionalismi che appaiono ormai caricature contrapposte. Quando la frotta dei visitatori viene spinta dal campanello lungo il percorso d'uscita, la donna bosniaca ingombrante di un altro figlio di Sheveningen in arrivo, fatica a trascinarsi dietro il ragazzino di tre anni, che finisce felicemente in braccio al «Cetnico» serbo che se lo accolla. Jugo-Sheveningen resiste anche oltre le mura simil medievali della fortezza. Tutti hanno il telefono di tutti. Lo scambio di solidarietà carceraria, dopo il macello sul campo, è un obbligo. Assieme allo scambio di cortesie all'interno.
Le maniere cortesi
Non c'è compleanno o ricorrenza di calendario che non diventi occasione di Jugo-Cortesia. Per il suo recente compleanno, Ante Gotovina, il generale croato, ex caporale della Legion francese accusato di massacri contro i Serbi delle Kraine orientali, ha offerto maialino al forno ad ogni detenuto. Col riguardo del pollo, religiosamente corretto, per i musulmani di Bosnia e del Kosovo. La torta di tradizione l'avrebbe confezionata uno dei pochi serbi con abilità culinarie. Del resto a Jugo-Scheveningen si festeggia ogni Natale, prima quello cattolico e, 13 giorni dopo, quello ortodosso. Per la Pasqua, calcolo liturgico più complicato, dai croati arrivano uova di cioccolato e dai serbi quelle di gallina, ma decorate a mano. Albanesi e Bosniacchi musulmani coinvolgono i colleghi galeotti nel Bayram del sacrificio di Abramo e in ogni fine Ramadan.
Tempo fa, mi riferisce una «fonte», qualcuno ha assistito ad un litigio interno alla parte serba che, grazie all'ex procuratrice Carla Del Ponte, é largamente maggioritaria. Un ex amministratore locale che discute con un ex esponente del governo nazionale: «Perchè mi hai sempre bocciato le richieste di finanziamento per ristrutturare gli asili e le scuole elementari?». «Se ci chiedevi di migliorare le carceri i soldi te li avremmo dati subito. Credevi forse che a fiera finita ci avrebbero rimandato a scuola?». Sapore di freddura amara che nasconde sofferenze immani. Per tutti i Balcani ma anche dentro Jugo-Scheveningen. Ancora più amaro in bocca nell'assaggio belgradese delle recenti elezioni serbe, con annessa votazione tra i serbi resistenti del Kosovo. Ad inseguire gli stessi personaggi di ieri che non riesci proprio ad immaginare come costruttori di un domani credibile per questi poveri Jugo-Balcani. A Belgrado e a Bruxelles. Mentre emerge la sola certezza che, per formare il nuovo governo serbo è stato sdoganato, non solo e non tanto dai «nazionalisti» ma anche dai cosiddetti «filoeuropeisti», il Partito socialista che fu di Slobodan Milosevic.