Le prospettive di un progressivo ma pesante impoverimento nel prossimo futuro degli italiani sono molto concrete.
E questo anche perché l’aumento dei salari è e sarà sempre legato al tasso d’inflazione programmato, un’invenzione della BCE, a dir poco inferiore rispetto a quello effettivo e reale, che è invece quantomeno il quadruplo.
Quindi una grave e inarrestabile erosione del potere d’acquisto è ciò che ci aspetta, insieme ad un costante aumento dei prezzi dei carburanti, dell’energia e dei prodotti agricoli primari.
E intanto è già crollato in Italia il consumo di pane, diventato ormai un prodotto di lusso.
Il nostro arretramento pianificato
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 23 Giugno 2008
Com’è vecchio Epifani (CGIL): crede di vivere ancora sotto la lira, al tempo della sovranità monetaria. Poichè Tremonti ha posto un «tasso d’inflazione programmato» ridicolo, 1,7%, Epifani ha fatto due conti e scoperto che un salario da 25 mila euro annui perde 1500 euro di potere d’acquisto in tre anni. Bella scoperta.
Tremonti gli ha consigliato di telefonare alla BCE: «Vi spiegherà qual’è il motivo tecnico per cui ci chiede di inserire nei documenti di finanza pubblica questa indicazione».
Appunto, non siamo più sovrani della moneta. Viviamo sotto una moneta estera, l’euro, ed è la Banca Centrale Europea a imporre il tasso d’inflazione a quel ridicolo livello.
Tremonti però avrebbe dovuto spiegare meglio il motivo tecnico: si tratta del piano di impoverimento programmato, deciso dai gestori monetari, della classe media e lavoratrice europea.
La cosa risponde, in qualche modo, a giustizia: un popolo italiano che è meno colto, meno istruito, meno produttivo del popolo cinese o indiano, non può pretendere di avere un potere d’acquisto superiore.
Nel prossimo decennio, ci impoveriremo al livello cino-indiano, mentre gli indiani e i cinesi saliranno tendenzialmente verso il livello attuale europeo. Ci si incontrerà a metà strada.
Ma ovviamente, una cosa è essere dalla parte che sale, e ben peggio è stare dalla parte che scende.
Non è solo perdita del potere d’acquisto; è la perdita storica di possibilità che attende le generazioni future (e semi-analfabete); ci saranno meno speranze, e prospettive più ristrette.
E se l’istruzione continua a scendere, ci saranno sempre meno competenze, quelle da cui dipende se risaliremo dall’abisso.
E’ l’Occidente che diventa terzo mondo (1).
Il fenomeno non è solo italiano. Nè euro-dipendente. In Gran Bretagna, milioni di famiglie si sono accorte che il costo della vita è aumentato per loro del 6,7% annuo (inflazione reale) contro il 3,3% d’inflazione ufficiale.
E un’inflazione programmata dal governo britannico del 2% (2). Il che è giusto, visto che i giovani maschi bianchi britannici intendono andare all’università solo in 26 casi su cento, mentre quelli di origine indiana o pakistana proseguono gli studi superiori in 62 casi su cento (3).
Si sta evidentemente formando un sottoproletariato permanente di ignoranti bianchi, che saranno comandati e diretti da una classe dirigente di colorati.
Epifani vuole un tasso d’inflazione più alto per ottenere aumenti automatici dei salari; tutto lavoro in meno per i sindacati.
Ma - è questo il segreto di pulcinella rivelato da Tremonti - la politica imposta dalla Banca Centrale persegue deliberatamente il progetto contrario: tenere il tasso d’inflazione artificialmente basso, in modo che gli alti salari europei (immeritati) vengano a poco a poco divorati dall’inflazione reale.
Chi vuol guadagnare di più - questa la teoria - non si affidi agli automatismi; si metta a sgobbare, a fare più straordinari, il doppio lavoro, o - extrema ratio - a studiare di più. Questa teoria, come tutte le teorie economiche, viene da Washington.
Paul Krugman, economista di Princeton, benchè piuttosto critico del sistema capitalistico terminale, segnala che ormai la sola cosa da fare è scongiurare l’innesco della spirale prezzi-salari degli anni ‘70-‘80 (4).
Nel 1981, il sindacato minatori USA strappò un aumento contrattuale dell’11% in 33 anni, seguito da aumenti salariali per tutte le altre categorie. «Lavoratori e datori di lavoro si impegnarono nel gioco della cavallina: i primi chiedevano aumenti di salario per tener testa all’inflazione, le ditte passavano i costi salariali maggiorati sui prezzi delle merci e servizi, e prezzi rincarati portavano ad ulteriori richieste salariali e così via».
La spirale della «stag-flation». Da cui l’America è uscita con la deregulation, spietata soprattutto per i lavoratori.Oggi, dice Krugman, è sciocco temere che l’alluvione monetaria con cui la FED ha salvato le banche d’affari provochi inflazione. «Dove sono i sindacati che chiedono aumenti salariali dell’11 %? Anzi, dove sono i sindacati tout court? I consumatori si preoccupano dell’inflazione, ma bisogna cercare col lanternino lavoratori che chiedano di compensare l’inflazione con salari più alti, e meno ancora padroni disposti. Di fatto le paghe sembrano persino rallentare, data la debolezza del mercato del lavoro».
L’offerta di lavoro - contrariamente all’offerta di petrolio - è sovrabbondante: è «giusto» che costi sempre meno. Quindi la FED fa benissimo a non aumentare il tasso primario per tenere sotto controllo l’inflazione. Non ci sarà inflazione.
Il prezzo del disastro finanziario lo pagheranno i lavoratori.Agisce qui il dogma - sancito da Milton Friedman, l’autore dell’ultraliberismo terminale - che l’inflazione è sempre e solo un problema monetario.
I rincari di petrolio e cibo, che hanno altre cause, non sono definiti «inflazione». Basta, dice Krugman, che i prezzi delle materie prime calino. E caleranno perchè, nell’immiserimento generale, ci sarà meno richiesta per esse. Allora «anche l’inflazione si calmerà da sè».E’ il Washington Consensus - sempre quello - a cui la Banca Centrale Europea sta obbedendo.
A modo suo: mantiene interessi altissimi e impone ai Paesi membri più sconquassati «tassi d’inflazione programmata» ridicoli, raccomandando in più «moderazione salariale».
Il lavoro italiano ha produttività bassa, e quindi il suo potere d’acquisto deve adeguarsi alla produttività.
Naturalmente non è colpa dei lavoratori se la loro produttività è bassa: è colpa delle imprese che non hanno investito in impianti nè in sviluppo, ed è colpa dell’inefficienza pubblica sprecona, la vera palla al piede.Perciò, in questo fenomeno storico di arretramento - che dovremo sopportare - il nostro vero problema non è l’erosione del reddito reale.
Il vero problema italiano è che potenti categorie si difendono - perchè possono - dall’erosione. Gli stipendi pubblici sono aumentati regolarmente più dell’inflazione reale; e peggio, aumentano meno quelli degli statali utili (poliziotti, insegnanti) e moltissimo quelli dei grandi fannulloni ammanicati.
Epifani ha fatto il calcolo su un salario privato di 25 mila euro l’anno, che perderà 1.500 euro di potere d’acquisto. Incauto: 25 mila euro sono la paga mensile dei deputati, e certo quelli si compenseranno dall’inflazione.
E’ solo un esempio fra i tanti: pensate ai notai o agli idraulici, all’ENEL, ai bottegai, ai consiglieri regionali o dirigenti di ASL. Quelli, possono mantenere il loro livello di vita e d’acquisto, facendolo pagare a noi - precisamente a quella parte della popolazione che sta discendendo la china storica verso la miseria da terzo mondo.
Un simile programma di arretramento storico richiederebbe la condivisione dei sacrifici, a cominciare dalle categorie parassitarie, che costano troppo per il nulla che danno.
Oltretutto, la loro difesa dei propri livelli di vita indebiti rallenta il processo di discesa dei prezzi - già spasmodicamente lento - che deve seguire l’impoverimento generale. Sappiamo che ciò non avverrà. Ne abbiamo le avvisaglie.
Il governo ha provato ad abolire nove province, e già si sta rimandando tutto, per le forti resistenze dietro le quinte che incontra. Tremonti ha preso provvedimenti timidi verso i profitti eccelsi dei petrolieri; e nessuno verso le banche e le assicurazioni (ho appena visto che, per fare un bonifico, la banca si è prelevata 6 euro, 12 mila lire!).
Nessuno in Italia ha la forza di ridurre alla moderazione le cosche e le caste. Krugman, americano, si domanda «dove sono i sindacati». Noi no, perchè lo sappiamo: sono a fianco di ogni Casta.
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1) Ho spiegato più ampiamente questo processo storico in «Schiavi delle banche» (EFFEDIEFFE).
2) Harry Wallop, «Middle class hit as annual bills increase at twice inflation rates», Telegraph, 23 giugno 2008. «Le famiglie di classe media sono quelle più colpite, perchè tendono ad usare più l’auto e a mandare I figli a scuole private e università». In Gran Bretagna la famiglia che l’hanno scorso spendeva 100 sterline a settimana per il cibo, oggi ne spende 406. Il costo dell’istruzione superiore è aumentato del 13,1% in un anno. E il ministro delle Finanze (Cancelliere allo Scacchiere) Alistair Darling raccomanda di non reagire chiedendo più alti stipendi: «L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di tornare alla situazione degli anni ‘70-80, dove qualunque aumento salariale veniva divorato dagli aumenti dei prezzi nei negozi. Gli aumenti sia nel settore pubblico come in quello privato devono essere coerenti con la nostra inflazione programmata del 2%. Sarà difficile, sarà dura». Ma almeno in Inghilterra gli stipendi pubblici saranno trattati come i salari privati. Da noi è ben diverso.
3) Alexandra Frean, «White teenagers are significantly less likely to go university than their peers from ethnic minority gropus», Times, 18 giugno 2008.4) Paul Krugman, «A return of that ‘70s show?», New York Times, 2 giugno 2008.