mercoledì 23 luglio 2008

Consigli per il futuro

L’economia globale e’ in grave crisi, si sa. Percio’, in attesa di cio’ che ci sta per riservare il futuro, meglio cominciare subito a riflettere su come riadattare totalmente i nostri stili di vita.

E’ bene che ognuno, nel suo piccolo, si dia da fare in tal senso per evitare di ritrovarsi a pezzi quando sara’ ormai troppo tardi e senza neanche aver avuto il tempo di rendersene conto.

Qui di seguito si affronta la questione con tagli diversi.

L’ultima moda a Londra
di Maurizio Blondet - Effedieffe - 23 Luglio 2008

Recessione? Avete perso casa perchè non riuscite a pagare il mutuo? Vi hanno licenziato? Allegria! C’è un modo di trasformare tutto questo in una nuova «tendenza», che sta conquistando l’Inghilterra: razzolare nei bidoni della spazzatura alla ricerca di cibo, vestiario, pezzi da arredamento.

Il fenomeno è in crescita fra la classe media. La novità è che il Telegraph (di Murdoch) si sforza di presentarlo come una nuova moda, molto «cool» e persino chic. I nuovi barboni vengono ribattezzati «consumatori etici», o gente della «free economy» o, in modo definitivamente elegante, «freegans», che risuona come «vegans», i vegetariani di lusso della California, che vivono di succhi di carota e zucchine organiche per buddhismo o ecologismo (1).

Grandi interviste a questi «dumpster divers» (sommozzatori dei bidoni) e al loro fresco stile di vita, per mostrare che la loro è una libera scelta. Per esempio Alf, che se ne va’ per l’Irlanda col suo camper alimentato ad olio di friggitoria, che è anche la sua casa da quando ha lasciato il suo lavoro come contabile ad una ditta di marketing di Londra nel 1999.

«In ditta sentivo che mi pagavano per manipolare la gente e creare prodotti inesistenti. Ho deciso di prendermi una vacanza», dice Alf. Nonostante dieci anni di questa vita, egli rimane «risolutamente di classe media»; solo «ama il freegan lifestyle». Le sue uniche spese, dice, consistono nell’assicurazione per il suo camper-casa e l’abbonamento al telefono cellulare. Le sue spese vive, ritiene, sono diminuite del 90 per cento. Fa lavoretti e non chiede compensi ma regali (la gente risponde con entusiasmo), condivide tutto con gli altri freegans (a parte le mutande e lo spazzolino da denti).

«La quantità di cibo che troviamo nelle discariche dei supermarket è prodigiosa. Una volta ho trovato un barile di sidro. Dei miei amici hanno trovato 150 polli surgelati e bistecche».

Susan e Roland Gianstefani, di lontana origine italiana, sono barboni (pardon, freegans) da vent’anni. Mantengono se stessi e il figlio tredicenne con quel che trovano nella spazzatura. In questo modo, non spendono - assicurano - più di 2 mila sterline l’anno (3 mila euro), per lo più per la manutenzione del furgone. La loro vita è tutta serenità e abbondanza, perchè si immergono nei bidoni di Mark&Spencer, la catena dei grandi magazzini di lusso: una volta, raccontano, ci hanno trovato un sacco «pieno di aragoste canadesi fresche e congelate, abbiamo dato una festa».

Una volta parcheggiato il loro furgone-abitazione (anch’esso va’ a olio fritto usato) davanti ai bidoni come schermo contro occhi indiscreti, i coniugi - sotto gli occhi del cronista - mostrano la loro abilità. Ficcano la testa nei bidoni del reparto surgelati e dimostrano che «la quantità di cibo gettata via è immensa».

In breve, recuperano due litri di latte (con ancora 4 giorni prima della scadenza), quattro confezioni di zuppa di pollo, due mele, due confezioni di patate e due di cavolfiori-carote-broccoli. Più una confezione di funghi, una di formaggio fresco Muller, un cartone di panna da montare e le fragole con cui mangiarla. Oltre ad una bottiglietta di ketchup marca Heinz e 30 fette di pane sotto plastica, marca Kingsmill, ancora mangiabile. Una volta ripuliti dei mozziconi di sigarette, ed altri scarti non del tutto alimentari con cui sono mescolati nel bidone.

«Personalmente, prendo solo pane che sia integrale ed organico», dice la signora. Il barbone postmoderno è ecologicamente cosciente e solidale. I coniugi, del resto, lasciano parecchio cibo «buono» nei bidoni, per gli altri freegan che verranno.

Eccome se verranno. «Vediamo una quantità di nuovi freegans negli ultimi mesi», assicurano i Gianstefani, certo in coincidenza con il crollo della finanza alla City e la crisi dei subprime. Ma per loro, è uno stile di vita eccitante, giurano. «Ci sentiamo come avventurieri ed esploratori».

D’altra parte, appena qualche settimana fa il premier Gordon Brown ha tuonato contro gli enormi sprechi dei consumatori inglesi, che buttano via 10 miliardi di sterline l’anno in cibi ancora buoni, fra cui 7 milioni di pane affettato e 4,4 milioni di mele ogni giorno.
Ora le cose cambiano: razzolare nella spazzatura, oltre che ecologico e frugale, diventa anche patriottico, dice il Telegraph.

Nascono come funghi siti internet dedicati allo scambio di roba trovata nelle discariche, come Freecycle.org, Swapstyle.com, Selfsufficientish.com, i cui visitatori aumentano di giorno in giorno. In quel modo due gemelli Hamilton, di Bristol, si sono procurati il letto di casa loro (una casa ad affitto bloccato del municipio) e il materasso a 3 sterline.

I due Hamilton, Andy e Dave, hanno addirittura scritto un libro sul nuovo stile di vita, pubblicato da Hodder & Stoughton; e si parla di trarne una serie tv, un reality-show sull’allegra vita dei razzolatori.

Non è un sogno? Il capitalismo, anche terminale, è pieno di risorse: il marketing che gabella la vita dei dumpster divers come tendenza non è certo la meno brillante delle sue realizzazioni.

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1) James Hall, «Dumpster diving with the freegans: why pay for food?», Telegraph, 20 luglio 2008.


Dal low cost alla decrescita come vivremo col petrolio oltre i 200 dollari
di Giampaolo Fabris – La Repubblica – 22 Luglio 2008

Il greggio a 200 dollari. Il greggio a 300 dollari. Cosa significherebbero scenari tanto devastanti per i consumi? Apocalittici ma non impossibili, almeno il primo. Per il secondo ricordo soltanto che era comunque fra le provocazioni del World Economic Forum di quest’anno.

Con il greggio a 200 dollari lo scenario non è difficile da prevedere: basta estrapolare i meccanismi che i consumatori hanno messo a punto in questi anni per confrontarsi con una congiuntura così sfavorevole. Il punto di partenza non può che essere il precipitare di una parte consistente di famiglie al di sotto della soglia di povertà. Ma anche difficoltà generalizzate di accesso ad una molteplicità di consumi da parte di vasti settori dei ceti medi.

Il primo acquisto a contrarsi è quello più esplicitamente chiamato in causa dal caro greggio ed anche quello che pesa di più sul budget familiare: l’auto non si sostituisce, si usa sempre meno, i nuovi acquisti privilegiano modelli a consumi ridotti. L’epoca dei Suv mangia benzina si è per sempre conclusa. Il nomadismo – uno dei trend più significativi degli ultimi decenni – tende a ridursi a livelli fisiologici. Perché accanto all’auto diverranno generi improponibili anche i lunghi viaggi che non saranno più low cost mentre la bici e gli scooter, ma non la moto, registreranno una seconda giovinezza.

Le case saranno sempre più fredde d’inverno e l’aria condizionata d’estate, laddove gli impianti esistono, ridotta alle giornate torride. Gli acquisti alimentari invertiranno la tendenza degli ultimi anni a una minore incidenza sul budget e riprenderanno a presidiare una quota importante della spesa. Fenomeni oggi di nicchia come i farmers market, i kilometro zero con cibi locali e di stagione che abbattendo l’intermediazione consentono di contenere fortemente i prezzi ma anche la ripresa dell’autoproduzione agricola e più in generale dell’agricoltura coinvolgeranno segmenti crescenti della popolazione.

L’inquietante fenomeno dello spreco (sino ad un quinto della spesa alimentare) scomparirà radicalmente. L’hard discount – che non pesa adesso su più del 10% degli acquisti – tenderà ad approssimarsi a quel 50% esistente in Germania che non cessa di turbare i sonni dell’industria di marca. Ed accanto all’hard discount si potenzieranno tutte quelle formule – dagli outlet ai mercati rionali, dagli spacci aziendali ai negozi dell’usato ma anche forme inedite di baratto – che già adesso stanno divenendo familiari agli italiani.

Si ridurranno le quantità acquistate, le frequenze di consumo, tutti i beni di sostituzione – in primis l’abbigliamento – subiranno un forte rallentamento. Il macro fenomeno sarà verso versioni di marche/prodotti meno costosi e vedrà un forte ritorno dell’unbranded. Presumibilmente non si contrarrà la frequentazione di Internet, alleato prezioso nell’individuare soluzioni o opportunità che possano consentire di gestire una situazione tanto difficile.

Lo scenario 300 dollari appare, a chi scrive, incompatibile con un’economia capitalistica così come oggi la conosciamo. Per cui o verrà fronteggiata con azioni adesso imprevedibili ma sempre possibili come il controllo manu militari delle zone dei pozzi da parte di consorzi di nazioni (quelle del G8?) oppure i grandi totem che il capitalismo ha sempre considerato come irrinunciabili dovranno venire profondamente rivisitati. In primis il concetto di crescita.

Potrebbe allora trovare spazio e legittimazione, sia pure in maniera surrettizia ma che importa, quell’inevitabile decrescita di cui da tempo si parla. Intesa non come dramma o catastrofe ma come scelta doverosa e opportuna a fronte della limitatezza delle risorse, non solo di carburanti, del pianeta.

Decrescita non come parola d’ordine di pochi intellettuali disadattati. Forse, invece, la nascita di un grande movimento di massa che smonti i concetti di felicità e di benessere, di telos e di futuro costruiti sino ad oggi per sostituirli con altri. Facendo cioè di necessità virtù. Un processo non all’insegna della depressione o del regresso ma come consapevole e condiviso superamento di un periodo storico – quello attuale che verrà ricordato non come un eden perduto ma come affetto da bulimia economica e dei consumi. Come patologia quindi.