lunedì 28 luglio 2008

Thailandia, Cambogia e il tempio della discordia

Nelle ultime settimane e’ improvvisamente salita la tensione tra Thailandia e Cambogia, in seguito alla decisione dell’UNESCO di inserire nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Umanita’ il tempio hindu di Preah Vihear risalente all’XI secolo e situato in una zona di confine tra i due Paesi, oggetto di disputa fin dagli anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1962 la Corte Internazionale di Giustizia ha pero’ assegnato alla Cambogia la sovranita’ territoriale sul tempio e la Thailandia ha accettato il verdetto. Il problema ancora irrisolto riguarda pero’ un’area di 4,6 Km quadrati vicino al tempio che garantisce l’accesso alla sua entrata principale.

Infatti finora l’unica strada percorribile per arrivare all’entrata del tempio e’ in territorio thailandese.
Dalla Cambogia non e’ ancora possible, per mancanza delle infrastrutture necessarie, accedere all’entrata del complesso religioso.

Quest’area contesa sara’ infatti fondamentale per costruire, anche attraverso i prossimi e sicuri fondi emanati dall’UNESCO, le strade e tutte le strutture turistiche utili ad attrarre le migliaia di turisti che nel prossimo futuro affluiranno a visitare il tempio, che necessita anche di notevoli fondi, sempre gentilmente forniti dall’UNESCO, per importanti opere di restaurazione e conservazione.
Si tratta percio’ di un grande business in prospettiva ed entrambi i Paesi ne vogliono beneficiare.

Finora questa vicenda ha gia’ provocato qualche settimana fa le dimissioni del ministro degli Esteri thailandese, accusato di aver svenduto la sovranita’ sul tempio alla Cambogia con l’accordo firmato a Parigi insieme al direttore dell’UNESCO e al ministro degli Esteri cambogiano nel Maggio scorso, con cui il governo thailandese accettava ufficialmente la decisione dell’UNESCO.

E in questi due Paesi infiammare le rispettive popolazioni soffiando sul nazionalismo e’ questione di un attimo. Si e’ infatti gia’ arrivati al punto che circa duemila soldati thailandesi sono schierati sul territorio conteso, fronteggiati da altrettanti soldati cambogiani disposti sull’altro versante del confine.

Questo movimento di truppe e’ dovuto all’arresto, durato pero’ solo poche ore, di tre attivisti politici thailandesi del movimento PAD (People’s Alliance for Democracy), tra cui un monaco, che, dopo aver oltrepassato il confine di soppiatto per protestare contro la decisione dell’UNESCO, erano entrati nel tempio, la cui entrata principale era gia’ stata chiusa giorni prima dalle autorita’ cambogiane.

Domenica scorsa poi si sono svolte le elezioni politiche in Cambogia, stravinte ancora una volta dall’eterno primo ministro Hun Sen, che in campagna elettorale ha molto strumentalizzato la questione del Preah Vihear toccando il nervo nazionalista dei cambogiani.

Va ricordato anche che nel gennaio del 2003, sei mesi prima delle precedenti elezioni, e’ bastata una dichiarazione alla radio cambogiana di una famosa attrice thailandese che reclamava il ritorno alla sovranita’ thailandese di un altro complesso di tempi hindu – quello di Angkor Wat situato nel nord-ovest della Cambogia – per richiamare immediatamente centinaia di persone intorno all’ambasciata thailandese di Phnom Penh e metterla letteralmente a ferro e fuoco, insieme a molti negozi della compagnia di telefonia mobile Shinwa, appartenente all’allora premier thailandese Thaksin Shinawatra.

Si e’ poi scoperto che si era trattato di una montatura costruita alla perfezione dal partito di Hun Sen. La dichiarazione dell’attrice era stata infatti estrapolata da una vecchia puntata di una soap opera che la vedeva protagonista.

Sono comunque in corso colloqui tra i due governi per risolvere la questione pacificamente, cosi’ come tra i capi delle rispettive Forze Armate. Ma il ministro degli Esteri cambogiano ha gia’ dichiarato che se i colloqui dovessero fallire il suo Paese si rivolgera’ al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La Thailandia invece vuole mantenere la questione solo a livello bilaterale.

Il nodo da sciogliere ruota intorno a quale mappa fare riferimento. Una e’ stata disegnata dai francesi durante il periodo coloniale, ma favorisce la Cambogia ed e’ rifiutata dai thailandesi che insistono per un’altra mappa disegnata da loro con il supporto di tecnici americani.

Comunque il movimento PAD, in lotta contro il governo da piu’ di due mesi e che ha gia’ ottenuto le dimissioni del ministro degli Esteri, e’ convinto che dietro la decisione dell’UNESCO ci siano le grandi Potenze - USA e Cina in testa - che avrebbero supportato la Cambogia per avere poi in cambio le concessioni per l’estrazione di petrolio dai nuovi e ricchissimi giacimenti scoperti un paio di anni fa circa al largo delle coste cambogiane.

Inoltre il PAD accusa il governo thailandese di aver svenduto la sovranita’ thailandese per permettere a Thaksin Shinawatra e ai suoi amici di fare nei prossimi anni grossi affari nel campo del turismo e delle infrastrutture nell’area contesa.

Ma per ora i soldati dei due Paesi schierati sul confine si scambiano solo cibo e chiacchiere, non pallottole. Pero’ la situazione potrebbe improvvisamente sfuggire di mano, anche perche’ quella e’ una zona piena di mine antiuomo, crudele lascito della guerra civile cambogiana degli anni ’80 e ’90.

E gli ex Khmer Rossi - che allora in quella zona intorno ad Anlong Veng spopolavano guidati dal comandante Ta Mok, morto due anni fa - hanno gia’ fatto sapere di attendere solo il segnale del premier Hun Sen per riprendere le armi in difesa della sovranita’ cambogiana.

Nei prossimi giorni si vedra se sara’ necessario o meno l’intervento dell’ONU per risolvere una contesa territoriale che verte fondamentalmente su come spartirsi i fondi UNESCO e i proventi che deriveranno dall’industria turistica destinata a svilupparsi in quell’area.
Ma dietro a tutto cio’ c’e’ ancora una volta l’oro nero.