Il 29 Giugno scorso si sono svolte le elezioni in Mongolia, vinte dall’ex partito comunista ora denominato Pprm (Partito popolare rivoluzionario mongolo) ma immediatamente contestate dal suo principale avversario, il partito democratico, con cui governa pero’ in coalizione dal 2004. I democratici accusano il Pprm di aver truccato l’elezione.
6000 persone si sono percio’ radunate davanti alla sede del Pprm protestando contro gli ex comunisti per aver dichiarato la propria vittoria prima che la commissione elettorale nazionale avesse diffuso i risultati ufficiali. Sono scoppiati quindi violenti scontri con la polizia con un bilancio finora di 5 morti, 400 poliziotti feriti, centinaia di arresti e la sede del Pprm messa a fuoco.
Il presidente della Mongolia, Nambaryn Enkhbayar, ha nel frattempo dichiarato lo stato d’emergenza per quattro giorni, instaurato il coprifuoco notturno e ha vietato i raduni.
Qui di seguito un articolo che aiuta a comprendere cio’ che sta accadendo in Mongolia. Un film gia’ visto ultimamente in Ucraina e Georgia, per esempio, con protagonista l'Open Society Institute di George Soros.
Mongolia, lo zampino di Soros
di Enrico Piovesana – Peacereporter – 2 Luglio 2008
Dietro la rivolta popolare che ieri ha messo a ferro e fuoco la capitale della Mongolai, Ulan Bator, c’è lo zampino di George Soros, il filantropo statunitense che per mezzo della sua organizzazione mondiale – l’Open Society Institute – ha pianificato e finanziato tutte le ‘rivoluzioni colorate’ che nei paesi ex-comunisti hanno prodotto cambi di regime a vantaggio degli interessi economici e geopolitici occidentali.
Stato di emergenza dopo un giorno di guerriglia. Oggi a Ulan Bator regna una calma apparente. Si contano i morti di ieri, almeno cinque, e i feriti, centinaia, come le persone arrestate dalla polizia durante gli scontri. Il governo ha imposto lo stato d’emergenza e il coprifuoco notturno, ordinando alle forze dell’ordine di usare la forza per impedire nuove proteste. La sede centrale del Partito comunista mongolo (Mprp) e la Galleria d’arte nazionale sono stati distrutti dalle fiamme appiccate dai manifestanti. Devastati dai saccheggi tutti gli uffici governativi.
La rivolta è esplosa dopo che il Partito democratico d’opposizione, guidato da Tsakhia Elbegdorj, ha disconosciuto la vittoria del partito comunista di governo alle elezioni parlamentari di domenica scorsa, dicendo che il voto è stato truccato per impedire il vero risultato, ovvero la vittoria dell’opposizione. In realtà, gli osservatori internazionali avevano giudicato regolare il voto del 29 giugno.
Un nuovo terreno di scontro tra est e ovest. I due partiti – filo-russo e filo-cinese il comunista, più filo-occidentale e liberista il democratico – sono in disaccordo su come gestire i grandi giacimenti d’oro, rame e carbone appena scoperti sotto le steppe mongole. Per l’Occidente, un cambio di governo significherebbe la possibilità di avere concessioni di sfruttamento, che altrimenti andrebbero tutte a Russia e Cina.
Inoltre, gli Stati Uniti sognano da tempo di aprire una base militare in Mongolia, strategicamente cruciale vista la sua posizione geografica. Ma questa opzione sarebbe teoricamente realizzabile solo con un governo diverso da quello attuale.Tre mesi prima delle elezioni, il 27 e 28 maggio scorso, l’Open Society Institute ha organizzato a Ulan Bator una conferenza in vista delle elezioni, allo scopo di “preparare la società civile mongola a monitorare il voto di giugno”. Al seminario, tutto spesato dall’organizzazione si Soros, hanno partecipato i rappresentanti dell’opposizione mongola, ong locali e delegazioni straniere provenienti anche da Georgia e Ucraina, dove le rivoluzioni di piazza del 2003 e 2004 hanno portato al potere governi che hanno spalancato le loro porte agli investimenti occidentali e alla Nato.