Dopo le grandi esercitazioni effettuate dall’aviazione israeliana nel giugno scorso, anche l’Iran ha mostrato al mondo quanto pesantemente potrebbe danneggiare Israele qualora fosse attaccato.
Ieri c’e’ stato il lancio del missile Shahab-3, in grado di colpire tranquillamente Israele, e oggi il sito della tv di Stato iraniana ha annunciato nuovi test missilistici nel Golfo.
La tensione tra Israele e Iran continua quindi a salire, lasciando supporre un sicuro showdown nei prossimi mesi; ma tutto e’ ancora possibile e l’esito finale potrebbe rivelarsi un semplice braccio di ferro psicologico tra i due Paesi.
Sempre che alla fine prevalgano realpolitik e raziocinio.
Stato di Guerra
di Christian Elia – Peacereporter – 9 Luglio 2008
Se l'intensità di una crisi fosse misurabile dal modo in cui le parti in causa digrignano i denti, tra l'Iran e Israele la guerra sarebbe dietro l'angolo. Non sempre, per fortuna, va così. Dopo le grandi esercitazioni militari israeliane nel Mediterraneo, all'inizio di giugno, oggi l'esercito iraniano ha testato (a suo dire) con successo cinque nuovi razzi. Uno di questi avrebbe la gittata necessaria a colpire il cuore di Tel Aviv.
Le grandi manovre. Lo aveva già anticipato ieri Alì Shirazi, hojatoleslam (titolo onorifico che indica un'autorità religiosa) dei Guardiani della Rivoluzione, truppe d'élite religiose iraniane, dichiarando: ''Se vi sarà un attacco contro i nostri impianti nucleari, l'Iran metterà a ferro e a fuoco Tel Aviv e le navi statunitensi che incrociano nel Golfo Persico. La prima pallottola sparata dagli Usa contro l'Iran provocherà la distruzione degli interessi vitali Usa in tutto il mondo''. Le parole infuocate di Shirazi annunciavano le manovre delle forze aeree e navali dei Guardiani nel Golfo. L'esercitazione è stata chiamata Profeta 3 e avviene a poche miglia di distanza dalla concentrazione di navi militari Usa, sempre più numerose, schierate a difesa dello stretto di Hormuz, via di transito del 40 percento del commercio mondiale del petrolio, che l'Iran minaccia spesso di chiudere. Durante le esercitazioni è stato testato, con successo, secondo fonti governative iraniane, il razzo Shahab 3 che ha una gittata tale da raggiungere Israele. Il giorno prima dell'inizio delle manovre di Profeta 3, le marine militari di Usa, Gran Bretagna e Bahrein (sede della Quinta flotta Usa) avevano a loro volta terminato manovre congiunte durate cinque giorni. Nello spazio di poche miglia marine e di pochi giorni, dunque, sembra che gli eserciti mostrino i muscoli. A meno di un mese, come detto, dalle più grandi esercitazioni recenti dell'aviazione israeliana che hanno simulato operazioni in uno spazio aereo identico a quello che separa Tel Aviv dall'Iran. C'è poco da stare allegri.
Mostrare i muscoli. Lo ha confermato, all'inizio di luglio, l'ammiraglio Usa James Winnefeld, comandante della Sesta flotta Usa nel Mediterraneo, secondo cui l’Iran probabilmente lancerà un attacco con missili balistici contro Israele, e gli Stati Uniti e gli alleati Nato devono prepararsi a questa eventualità. Una sorta di guerra psicologica che, in alcuni casi, assume anche tratti grotteschi. Il 29 giugno scorso, ad esempio, il generale iraniano Mir Faisal Baqer Zadeh ha ordinato che venissero scavate 320mila fosse in tutte le province dell'Iran. Tanti sono, secondo il zelante militare, i soldati nemici che perderebbero la vita in un eventuale attacco al Paese degli ayatollah. Intervistato dall'agenzia iraniana Farsnews in merito alla vicenda, Zadeh ha spiegato che la decisione è stata presa per rispettare i protocolli di Ginevra rispetto alla sepoltura dei militari nemici. Boutade a parte, la tensione resta alta. Ma molti osservatori internazionali sono propensi a escludere un confronto militare diretto tra Stati Uniti e Israele da una parte e Iran dall'altra. Nessuna invasione come nel caso dell'Iraq, nel 2003, per intenderci. Vengono ritenuti probabili invece, come confermato nei giorni scorsi da fonti del Pentagono, altri scenari. In primis un bombardamento mirato dell'aviazione israeliana sui siti nucleari iraniani, in alternativa un certosino lavoro di destabilizzazione interna del regime degli ayatollah fino al suo collasso.
Il fronte interno. Un report, pubblicato dal quotidiano israeliano Jerusalem Post il 4 luglio scorso, racconta di come tra i collaboratori più stretti della Guida Suprema della Rivoluzione, l'ayatollah Khamenei, sia stato deciso di varare un piano chiamato 'Difesa Passiva' per contenere, prevenire e annientare le operazioni di destabilizzazione da parte di paesi stranieri. Il presidente Ahmadinejad, da tempo, denuncia il tentativo dei nemici dell'Iran di fomentare le minoranze del Paese (dove i persiani sono il 51 percento della popolazione) contro il governo centrale. Gli arabi del Khuzestan, i curdi, gli azeri, i baluci e così via. In effetti, negli ultimi mesi, c'è stata una recrudescenza di attentati e scontri armati in queste province tra ribelli e forze dell'ordine, ma non si è mai potuto dimostrare che questa tensione sia foraggiata dall'estero. Gli ayatollah, però, hanno deciso di muoversi per tempo, secondo le fonti del Jp. L'operazione 'Difesa Passiva' s'ispira alla strategia israeliana attuata nelle comunità di frontiera durante la guerra in Libano del 2006. Il concetto è che una prima difesa venga affidata a milizie volontarie territoriali, coordinate dal ministero degli Interni di Teheran, i cosiddetti Basiji, che contano su circa 12 milioni di uomini in tutto il Paese. A loro spetta una prima difesa della comunità, ma soprattutto un attento lavoro d'intelligence locale, per scoprire spie e infiltrati. Il conflitto armato, si spera, potrà essere evitato, ma i vertici iraniani si sentono già sotto assedio.