giovedì 31 luglio 2008

Olimpiadi di Pechino: vita dura per i giornalisti stranieri

Mancano otto giorni all’apertura dei Giochi Olimpici di Pechino e i giornalisti accreditati per seguire i Giochi avranno qualche difficolta’ nel compiere il proprio lavoro. Non potranno navigare liberamente cliccando ad esempio sui siti web delle organizzazioni umanitarie, delle associazioni tibetane in esilio e di molti media stranieri.

C’era chi, tra i mainstream media, si era illuso che le Olimpiadi potessero portare delle novita’ positive nel campo della liberta’ di stampa, ma gli eventi in Tibet della scorsa primavera e le successive proteste sulla fiaccola olimpica nel resto del mondo hanno provocato una naturale e ovvia chiusura del regime cinese nei confronti della stampa estera e nazionale.

Non e’ da biasimare il comportamento delle autorita’ cinesi e, onde dare un giudizio obiettivo, si deve attendere la fine dei Giochi per verificare se tutto cio’ sara’ stato o meno solo un fatto del tutto eccezionale e temporaneo - come lo sono d’altronde le Olimpiadi - e se nel prossimo futuro le autorita’ cinesi riprenderanno la strada di progressiva apertura intrapresa negli ultimi anni.

E poi lo stesso Comitato Olimpico Internazionale (CIO) aveva accettato il limite imposto dalle autorita’ cinesi alla navigazione online.
Quindi c’e’ poco da meravigliarsi e indignarsi, soprattutto quando a lamentarsi sono i giornalisti mainstream occidentali, ben abituati ad autocensurarsi o a disinformare quasi quotidianamente.


Pechino: i Giochi "censurati", le promesse mancate dei cinesi
di Federico Rampini – La Repubblica – 31 Luglio 2008

PECHINO - Il primo dicembre 2006, Pechino annunciava che di lì a poco sarebbero scomparse le ultime restrizioni sulla libertà di circolazione per noi giornalisti stranieri sul territorio della Repubblica Popolare. Il giorno dopo, nel descrivere quel provvedimento, scrivevo su Repubblica: "I Giochi del 2008 semineranno qualche germe di cambiamento in questa Cina". Quella previsione, ahimé, si è avverata nella direzione diametralmente opposta.

I reporter stranieri che arrivano in questi giorni, e che si aggiungono a noi corrispondenti permanenti per coprire le Olimpiadi, trovano una Cina per molti aspetti peggiorata dal 2006. Quello che colpisce subito i nuovi arrivati, naturalmente, è l'insopportabile groviglio di restrizioni alla nostra libertà. Non possiamo andare in Tibet. Non possiamo usare una webcam su Piazza Tienanmen, né in alcuno degli stadi olimpici. Non possiamo accedere a diversi siti Internet oscurati dalla censura.

Dietro questi limiti che ci colpiscono direttamente, c'è una situazione ben più drammatica per i cinesi. Rispetto alla tradizionale mancanza di libertà di informazione c'è stato un ulteriore arretramento. Proprio in vista dei Giochi il governo ha "ripulito" la capitale dei potenziali disturbatori dell'ordine: dagli immigrati che appartengono alle minoranze etniche tibetana e uigura, ai dissidenti, agli avvocati che difendono cause umanitarie. Alcuni di questi attivisti oggi sono agli arresti domiciliari per impedire che entrino in contatto con gli stranieri.

Che cos'è accaduto dunque perché le speranze accese nel dicembre 2006 si vanificassero così brutalmente? Gran parte della spiegazione sta negli avvenimenti tragici di questa primavera, che hanno colto la leadership cinese impreparata, e hanno provocato una reazione furibonda. La rivolta del Tibet a metà marzo, seguita dalle contestazioni contro la fiaccola olimpica a Londra, Parigi e San Francisco, hanno provocato un arroccamento.

Il regime di Pechino ha vissuto improvvisamente un incubo: il rischio che questi Giochi con l'accresciuta visibilità che comportano, diventino un'occasione per un "processo virtuale" alla Cina, ai suoi abusi contro i diritti umani, ai suoi gravi ritardi sul terreno delle libertà individuali. La reazione della nomenklatura ha fatto appello al riflesso condizionato del vittimismo nazionalista: il popolo cinese è stato chiamato a serrare i ranghi contro "l'offensiva" degli stranieri.

In questo clima di unità nazionale, invocato per difendere l'immagine della Repubblica Popolare, gli spazi di tolleranza che si erano aperti negli ultimi anni si sono nuovamente ristretti. Ogni voce critica è catalogata come un "sabotatore" dei Giochi, un nemico della patria. La censura è tornata ad avere carta bianca. Anche le maggiori libertà che erano state promesse a noi giornalisti stranieri sono state revocate, per effetto di questo clima.

Ma le vere vittime non siamo noi: sono le tante voci di dissenso che negli ultimi anni avevano trovato nuovamente il coraggio di farsi sentire in Cina, e ora tacciono in attesa di tempi migliori. In attesa che passi la "nottata" dei Giochi, un avvenimento che paradossalmente ha fatto fare ai leader cinesi un grande balzo all'indietro.